Annali d'Italia, vol. 1 - 42
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crudel Cajo Caligola, sul cui modello tagliato fu parimente
quest'altro. Non avea mancato il di lui buon padre di procurargli
tutti i possibili mezzi, affinchè fosse ben educato ne' costumi ed
istradato nelle buone arti e nelle lettere. Suo maestro fu nella
lingua ed erudizione greca _Onesicrato_; nella latina _Antistio
Capella_, e nell'eloquenza _Attejo Santo_ o _Santio_. Non ne ricavò
egli profitto alcuno: tanto potè l'indole cattiva; imperciocchè egli
nulla ebbe dell'ottimo suo padre, e solamente in lui passarono le
magagne della madre infame, con essersi fin creduto, siccome già
accennai, averlo essa conceputo da un gladiatore, nel cui amore era
perduta. In fatti di buon'ora comparve inclinato alla crudeltà, alla
libidine, e dedito solamente a discorsi osceni, a saltare, a fare il
buffone e il gladiatore, con altri costumi propri della vil canaglia.
Non avea che dodici anni, quando in villeggiare a Centocelle, oggidì
Cività Vecchia, perchè non trovò assai calda l'acqua del bagno, ordinò
che il deputato del bagno fosse gittato in una fornace; e bisognò che
il suo aio _Pitolao_ fingesse di ubbidirlo non far bruciare una pelle
di castrone. Non poteva egli sofferir le persone dotate di probità,
che il padre gli avea messo appresso; solamente gli davano nel genio i
cattivi; e perchè il padre glieli levò d'attorno, si ammalò di rabbia.
Il troppo indulgente genitore non tenne saldo; laonde egli cominciò di
buon'ora a far bettola in sua camera, e praticar giuochi d'azzardo, ad
ammettere donne di vita cattiva, ad essere sboccato di lingua. Con
questo bell'apparato di vizii, coperti nondimeno fin qui, e non
passati alla vista del popolo, si trovò egli solo sul trono. Tuttavia
si può credere che non tanti allora fossero i suoi difetti, o
certamente che fossero coperti, e non passati agli occhi del popolo,
perchè Erodiano[1300], più vicino di lunga mano a questi tempi, non ci
fa un sì brutto ritratto della gioventù di Commodo.
Era egli, siccome dissi, in Ungheria coll'armata. Dopo i funerali del
padre, per consiglio de' parenti ed amici fece una bella allocuzione
all'esercito, e gli dispensò un abbondante donativo. Ma perciocchè
presso lui gran potere avea chi era più cattivo e sapea più adulare,
costoro non tardarono ad esagerar le delizie di Roma, e a dir quanto
male sapeano del brutto soggiorno del Danubio, tanto che l'indussero a
determinare di abbandonar l'armata e di venirsene in Italia. Preso il
pretesto di temere che alcuno in Roma si facesse dichiarare
imperadore, pubblicò il suo disegno. Tante ragioni nondimeno gli
addusse _Pompejano_ suo cognato, che il fermò per qualche tempo in
quelle parti, per terminare con qualche onore la guerra. Secondochè
s'ha da Erodiano, riuscì ai suoi generali di domar qualcheduno di quei
popoli barbari. Condusse Commodo gli altri alla pace, con regalarli
ben bene impiegando l'erario ch'egli avea trovato ben provveduto. Se
si vuol credere ad Eutropio[1301], felicemente egli combattè contro ai
Germani; ma non apparendo dalle medaglie ch'egli prendesse nuovo
titolo d'_Imperadore_ nell'anno precedente, o niuno o di poco rilievo
dovettero essere le sue vittorie. Certo è bensì, che egli con
condizioni anche svantaggiose, e a forza di danaro, comperò la pace,
perchè troppo gli stava a cuore di cangiare quell'aspro cielo nel
delizioso di Roma. Venn'egli finalmente accolto per tutte le città
dove passò con solenne allegria; e il senato e, per così dire, tutta
Roma con corone di alloro gli fece un festoso incontro. I più
considerandolo figliuolo di sì buon padre, veggendolo sì bel giovane,
con occhi vivi, con bionda zazzera, tale che parea sparsa sul suo capo
una pioggia d'oro, si figuravano maraviglie di lui; e però tra le
infinite acclamazioni, accompagnato da gran profusione di fiori e di
corone, entrò Commodo in Roma. Fu al senato, e recitò un'orazione che
contenea solamente delle inezie. Dione[1302], il quale comincia qui a
raccontar cose da lui stesso vedute, scrive ch'egli fece gran pompa
dell'aver dato soccorso al padre Augusto, che era caduto in una fossa
fangosa. Se il mese _romano_ fu, come pensa il Salmasio, novembre,
l'arrivo a Roma di Commodo seguì nel dì 22 di ottobre[1303]; ma è cosa
dubbiosa. Fece egli un ragionamento anche ai soldati di Roma, con
lodare la lor fedeltà. E che desse loro il consueto regalo e al popolo
un congiario, pare che si ricavi dalle medaglie. Procedente egli
console per la terza volta nell'anno presente; ed in questo ancora,
per attestato d'Eusebio[1304], egli trionfò dei Germani, ma con dare
una bella mostra dell'animo suo corrotto: perchè nello stesso cocchio
trionfale dietro a sè condusse un infame suo liberto, appellato
Antero, e l'andò baciando più volte pubblicamente, volgendo la faccia
indietro. Lo stesso praticò nell'orchestra a vista d'ognuno. Vivente
anche il padre, avea Commodo senza alcun merito conseguito il bel
titolo di _Padre della Patria_. In quest'anno l'adulazione gli conferì
ancor quello di _Pio_, che s'incontra nelle medaglie[1305], ma non già
quello di _Felice_, come va credendo il Tillemont[1306].
NOTE:
[1299] Vulcat., in Commodo.
[1300] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1301] Eutrop., in Breviar.
[1302] Dio, lib. 72.
[1303] Lampridius, in Commodo.
[1304] Euseb., in Chronic. Edition. Pont.
[1305] Mediobarb., in Numism. Imperator.
[1306] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
Anno di CRISTO CLXXXII. Indizione V.
ELEUTERIO papa 12.
COMMODO imperadore 3.
_Consoli_
POMPONIO MAMERTINO e RUFO.
Non ho io osato di chiamare altrimenti questi due consoli, perchè non
veggo sicurezza negli altri nomi. Certo è che il primo fu cognato di
Commodo Augusto, perchè avea per moglie una di lui sorella. Il
Panvinio[1307], seguitato da molti altri, chiamò il secondo console
_Trebellio Rufo_. Perchè il Relando[1308] pubblicò un'iscrizione
gudiana, posta nelle calende di marzo, C. PETRONIO MAMERTINO ET
CORNELIO RUFO COS., tanto esso Relando che il Bianchini[1309] e lo
Stampa[1310], stabilirono con tali nomi i consoli dell'anno presente.
Ma sarebbe prima da vedere se si possa riposar sulla fede de' marmi
riferiti dal Gudio. Il Fabretti[1311] porta un mattone, dove egli
lesse VETTIO RUFO ET POMP. MATER. COS. Probabilmente ivi si dee
leggere POMP. MAMER., cioè Pomponio Mamertino: il che se fosse,
l'altro console sarebbe stato _Vettio Rufo_, e non già _Trabellio_, o
_Cornelio Rufo_. _Velio Rufo_ vien posto fra i consoli da
Lampridio[1312]. Probabilmente egli scrisse _Vettio Rufo_. Crede poi
il suddetto Panvinio, che nelle calende di luglio fossero sostituiti
nel consolato _Emilio Junto_ o _Junzio_, ed _Atilio Severo_. Abbiam di
certo, che amendue furono consoli, ma non apparisce già che in
quest'anno. Anzi essendo essi stati esiliati, in tempo che Commodo si
abbandonò alla crudeltà, si dee credere che il lor consolato accadesse
molto più tardi. In questi primi tempi, secondo ciò che s'è anche
veduto di Tiberio, di Caligola, di Nerone e di Domiziano, anche
l'Augusto Commodo fece un buon governo. Onorava egli i consiglieri ed
amici del padre[1313], nulla risolveva senza il loro parere.
L'autorità di questi savi personaggi teneva in qualche freno le
sregolate passioni di questo giovinastro. E probabilmente è da
riferire all'anno presente ciò che racconta Dione[1314], cioè che
_Manilio_, il qual era stalo segretario delle lettere latine di
_Avidio Cassio_, della cui ribellione parlammo di sopra, e molta
possanza avea avuto sotto di lui, finalmente fu scoperto e condotto a
Roma. Prometteva egli di rivelar molti segreti; ma Commodo, per
consiglio, come possiam credere, de' saggi suoi ministri, non
solamente non volle ascoltarlo, ma fece anche bruciar tutte le di lui
lettere o carte, senza curarsi di leggerne pur una. Questa bella
azione diede speranza al senato e al popolo, ch'egli non volesse
essere da meno del padre. E perciocchè Commodo compariva in pubblico
con gran magnificenza, e faceva spiccare dappertutto la sua
leggiadria, l'ignorante popolo dicea _oh bello_! e si rallegrava
d'avere un principe sì grazioso. Ma non così la sentivano quei che il
praticavano, ed aveano miglior conoscenza delle di lui perverse
inclinazioni, che di giorno in giorno s'andavano meglio spiegando.
Truovasi egli in qualche medaglia[1315] dell'anno presente proclamato
_Imperadore per la quinta volta_. Dione[1316] parla della guerra fatta
contra de' Barbari di là della Dacia. E Lampridio[1317] scrive che
quei popoli rimasero sconfitti dai legati, cioè dai luogotenenti
generali dell'imperadore. Questi furono _Albino_ e _Negro_, de' quali
si parlerà a' tempi di Severo imperadore. Ciò probabilmente succedette
nell'anno presente, e per qualche loro vittoria si accrebbero i titoli
a Commodo senza sua fatica.
NOTE:
[1307] Panvin., in Fast. Consular.
[1308] Reland., Fast. Cons.
[1309] Blanchin., ad Anast. Bibliot.
[1310] Stamp., Fast. Cons. Sigon.
[1311] Fabrettus, Inscript., pag. 511.
[1312] Lampr., in Commodo.
[1313] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1314] Dio, in Excerptis Valesianis.
[1315] Mediobarbus, in Numism. Imperator.
[1316] Dio, lib. 72.
[1317] Lampridius, in Commodo.
Anno di CRISTO CLXXXIII. Indizione VI.
ELEUTERIO papa 13.
COMMODO imperadore 4.
_Consoli_
MARCO AURELIO ANTONINO COMMODO AUGUSTO per la quarta volta, e CAJO
AUFIDIO VITTORINO per la seconda.
Perchè abbiamo una nobile iscrizione, già pubblicata da monsignor
della Torre, che si legge anche nella mia raccolta[1318], luogo non
resta a disputare dei nomi di questi consoli. E di qui ancora può
risultare qual fede si possa avere alle iscrizioni del Gudio. Una di
esse, riferita anche dal Relando[1319], si dice posta IDIBVS OCTOBRIS
M. AVRELIO COMMODO IIII. ET M. AVRELIO VICTORINO COS. Ecco qual
capitale si possa far di quelle merci. Da un marmo, di cui non si può
trovare un più autentico, siamo assicurati che quel console si
chiamava _Cajo Aufidio_, ed esso nell'emporio gudiano ci comparisce
_Marco Aurelio_. Ora questo _Cajo Aufidio Vittorino_[1320] fu uno de'
più insigni senatori ed oratori del suo tempo, carissimo già a Marco
Aurelio Augusto, di modo che giunse ad essere non solamente prefetto
di Roma, ma console due volte. Di lui racconta Dione[1321], che
essendo governatore della Germania molti anni prima, certificato che
il suo legato, o sia luogotenente, prendeva de' regali, l'ammonì in
segreto di desistere da quell'abuso. Veggendo di non far frutto, un dì
assiso sul tribunale alla vista di ognuno, si fece citar dall'araldo a
giurare di non aver mai preso regali, e di non essere per prenderne,
finchè vivesse. Appresso fu esibito il giuramento medesimo al legato,
il quale convinto dalla coscienza e dal timore di chi potea deporre
contra di lui, ricusò il giurare. Vittorino immantinente il licenziò.
Essendo anche proconsole in Africa, trovò un altro legato, che
zoppicava dello stesso piede. Ed egli, senza far altre cerimonie, il
fece imbarcare, e rimandollo a Roma. Da che, siccome vedremo, Commodo
cominciò ne' tempi seguenti a mietere le vite de' più accreditati
senatori, più volte fu detto che anch'egli era in lista. Mosso da
questa voce Vittorino, francamente andò a trovar _Perenne_, prefetto
allora del pretorio, e gli disse d'aver inteso che si volea farlo
morire, ed aggiunse: _Se è così, che state a fare? Ora è il tempo._ Fu
lasciato in vita, e morto poi di morte naturale, ebbe l'onore di una
statua. Quanto a _Perenne_ poco fa nominato, costui[1322] per la sua
perizia della disciplina militare, fu alzato da Commodo al grado di
prefetto del pretorio, o sia di capitano delle guardie, quale ancora
_Tarrutino_ o sia _Tarrutenio Paterno_[1323]. Costui fu la rovina del
padrone, perchè andò tanto innanzi nella confidenza e grazia di lui
che diventò poi l'arbitro del governo. La sete di accumular tesori si
potè dire in lui inesausta. Quasi che un nulla fossero i già
guadagnati, tutto era egli sempre ansante a procacciarne de' nuovi. E
gli se ne presentò ben presto l'occasione, siccome vedremo. Intanto
convien avvertire i lettori, che gli avvenimenti in questi tempi non
si possono compartire per gli loro precisi anni, perchè le storie che
restano raccontano bensì i fatti, ma senza indicarne la cronologia.
Però solamente a tentone si andran riferendo le cose sotto gli anni
seguenti. Nel presente le medaglie[1324] ci avvisano che Commodo
Augusto fu proclamato _per la sesta volta Imperadore_, ma senza
apparire per qual vittoria. Il Tillemont[1325] la crede riportata
nella guerra che si accese nella Bretagna; ma questa vittoria, per
quel che dirò, sembra più tosto appartenere all'anno seguente.
Verisimile è più tosto, che in quest'anno ancora i generali cesarei in
Germania, come conghietturò il Mezzabarba, dessero qualche rotta ai
Barbari di quelle contrade. Parlano le stesse monete di un viaggio di
Commodo, di cui niun vestigio s'ha nella storia; siccome ancora di una
sua _munificenza_: indizio di qualche congiario dato al popolo. Ma
delle stesse monete si incontrano degl'imbrogli, o perchè non sincere,
o perchè non assai attentamente copiate.
NOTE:
[1318] Thesaur. Novus Inscript., pag. 340, n. 2.
[1319] Reland., in Fastis.
[1320] Capitol., in Marco Aurelio.
[1321] Dio, in Excerpt. Valesianis.
[1322] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1323] Lampridius, in Commodo.
[1324] Mediobarb., in Numism. Imper.
[1325] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
Anno di CRISTO CLXXXIV. Indizione VII.
ELEUTERIO papa 14.
COMMODO imperadore 5.
_Consoli_
LUCIO COSSONIO EGGIO MARULLO e GNEO PAPIRIO ELIANO.
Al primo console _Marullo_ ho io aggiunto il nome di _Cossonio_,
ricavato da un'iscrizione, esistente nel Museo Capitolino, data alla
luce da monsignor Torre, e prodotta anche nella mia raccolta[1326]. In
una iscrizione del Gudio, rapportata dal Relando[1327], il primo
console si vede chiamato _Marco Marullo_, quando è certissimo che il
suo prenome fu _Lucio_. Il secondo comparisce ivi col nome di _Giunio
Eliano_; e pure nell'altre iscrizioni troviamo costantemente _Gneo
Papirio Eliano_: tutte pruove che i fasti e l'erudizione antica
debbono aspettar dal Gudio, in vece di un sicuro rinforzo, della
confusione. Era, dissi, insorta una fiera guerra nella Bretagna[1328],
guerra la più lunga che si avesse Commodo ai suoi dì. Aveano i Barbari
passato il muro, posto da Antonino Pio ai confini, e tagliato a pezzi
il general romano con tutte le milizie che erano ivi di guardia.
Portata questa funesta nuova a Roma, il vile Commodo tutto impaurito
spedì tosto colà _Ulpio Marcello_, uomo di grand'animo, e di raro
valore; chè di tali persone non era già perduto il seminario in Roma.
Questi, per attestato di Dione, uomo modesto e severo, ma di una
severità che si accostava all'asprezza, fece più volte conoscere la
sua bravura ne' combattimenti, nè mai si lasciò invischiare dall'amor
de' regali e della pecunia. Era vigilantissimo, e per maggiormente
comparir tale, e tener anche vigilanti gli uffiziali di guerra, solea
qualche sera scrivere dodici biglietti, con ordine ai suoi servi di
portarli in varie ore della notte a diversi d'essi ufficiali,
acciocchè credessero ch'egli allora vegliasse. Non si distingueva egli
nel mangiare e vestire dai semplici soldati; anzi, per mangiar meno,
si facea venire con bizzarria quasi incredibile fin da Roma il pane,
come ognun può credere, ben secco e duro. Questo bravo uomo adunque
gravissimi danni recò a que' Barbari, e dovette dar loro una gran
rotta, per cui si osserva nelle medaglie[1329] che Commodo Augusto
conseguì in questo anno non solamente _per la settima volta_ il titolo
d'_Imperadore_, ma anche quello di _Britannico_[1330]. Era egli già
stato appellato _Pio_, adulatoriamente senza fallo, perchè egli nulla
mai fece, per cui meritasse così bell'elogio. Nell'anno presente si
aggiunse a' suoi titoli quello di _Felice_. L'esempio suo servì poi ai
susseguenti Augusti per più secoli, acciocchè cadaun d'essi fosse
chiamato _Pio Felice_.
Se non succedette nell'anno precedente, si dovrà almeno attribuire al
presente la prima congiura tramata contra di Commodo. Abbiamo da
Erodiano[1331] ch'egli per _pochi anni_ stette in dovere, e però
probabil cosa è che in questo si sovvertisse il di lui ingegno, e che
cominciasse il suo precipizio. Merita ben più di Lampridio d'essere
qui ascoltato Erodiano, siccome storico che visse in que' tempi e
soggiornò in Roma. Quel mal arnese adunque di _Perenne_ prefetto del
pretorio, per dominar solo, avea già staccati dal fianco del giovane
Augusto i migliori suoi consiglieri, con far subentrare in lor luogo
una frotta di persone vili, e maneggiava già solo tutti gli affari:
dal che può essere che prendesse origine l'odiosità dei buoni contra
di Commodo. Comunque sia, la prima pietra dei disordini fu posta da
_Lucilla_ figliuola di Marco Aurelio, e sorella dello stesso Commodo.
Per essere stata moglie di _Lucio Vero_ imperadore, il padre, tuttochè
la rimaritasse con _Claudio Pompejano_, pure le lasciò il titolo e gli
onori di Augusta; ed essa nel teatro soleva assidersi in una sedia
imperatoria, ed uscendo fuor di casa, le era portato innanzi il fuoco,
come si faceva agli Augusti. Sposata che fu _Crispina_ da Commodo, si
vide obbligata _Lucilla_ a cederle il primo luogo; ma gliel cedette
con immensa rabbia, credendo fatto a sè stessa un gran torto per la
sua anzianità in quell'onore, e da lì innanzi ne cercò sempre la
vendetta. Non si arrischiò mai a parlarne con _Pompejano_ suo marito,
perchè sapeva quant'egli amasse Commodo. Passava fra lei e _Quadrato_,
giovane nobilissimo e ricchissimo, appellato mastro di camera di
Commodo da Dione[1332], una stretta ed anche peccaminosa amicizia. Le
tante querele di Lucilla trassero questo giovane a formar una
cospirazione contro la vita di Commodo, in cui entrarono alcuni
senatori ancora. Scelto fu per eseguir l'impresa un giovane di grande
ardire per nome _Quinziano_. Lampridio il chiama _Claudio Pompejano_:
sbaglio probabilmente suo o de' copisti, benchè anco lo stesso scriva
Zonara[1333], anzi dice che fu lo stesso marito di Lucilla: errore
massiccio. Ora Quinziano ito a postarsi in luogo stretto e scuro
dell'entrata dell'anfiteatro, stette aspettando che arrivasse Commodo;
ed allorchè il vide, sfoderato un pugnale, che tenea sotto nascosto,
mattescamente gliel fece vedere con dire: _Questo te lo manda il
senato_, e gli si avventò addosso. Se crediamo ad Ammiano[1334], gli
diede qualche ferita. Erodiano e Lampridio nol dicono. Certo è che
lasciò tempo a Commodo di difendersi o di scappare. Preso dunque dalle
guardie lo sconsigliato Quinziano, e messo ai tormenti da _Perenne_,
rivelò i complici. Fu perciò relegata _Lucilla_ nell'isola di Capri, e
quivi da lì a qualche tempo uccisa. Tolta fu la vita a _Quinziano_, a
_Quadrato_, ad _Eletto_, mastro anch'esso di camera di Commodo[1335];
e per attestato di Lampridio[1336], fecero il medesimo fine _Norbana_,
_Norbano_ e, _Parelio_ colla madre sua. Il peggio fu, che il pugnale e
l'assalto di Quinziano, e più le parole da lui proferite, restarono
talmente impresse nella mente di Commodo, che sempre gli parea d'aver
davanti agli occhi quello spettacolo, e da lì innanzi cominciò ad
odiar tutti i senatori, come se veramente tutti avessero cospirato
contra di lui, ed ordinato a Quinziano di fargli quel brutto
complimento. Seppe ben prevalersi di questa congiuntura Perenne, per
empiere di paura l'incauto principe, ed accrescere i suoi odii contra
de' più ricchi e potenti, con lavorar poi di calunnie a fine di
processarli, e di arricchir sè stesso coi loro beni.
NOTE:
[1326] Thesaurus Novus Inscription., pag. 342.
[1327] Reland., in Fastis.
[1328] Dio, lib. 72.
[1329] Mediobarbus, in Numismat. Imper.
[1330] Lampridius, in Commodo.
[1331] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1332] Dio, l. 72.
[1333] Zonaras, in Annalib.
[1334] Ammianus, lib. 29.
[1335] Dio, lib. 72.
[1336] Lampridius, in Commodo.
Anno di CRISTO CLXXXV. Indizione VIII.
ELEUTERIO papa 15.
COMMODO imperadore 6.
_Consoli_
MARCO CORNELIO NEGRINO CURIAZIO MATERNO e MARCO ATTILIO BRADUA.
Il Relando[1337] non mette se non i cognomi di _Materno_ e _Bradua_.
Al Panvinio[1338], seguitato dal padre Pagi[1339], parve il primo
_Triario Materno_, solamente perchè sotto Pertinace si trovava un
senatore di tal nome: pruova troppo fievole. Gli ho io dato que' nomi,
mosso da un'iscrizione da me pubblicata nella mia raccolta[1340]. Il
nome dell'altro console _Bradua_ si raccoglie da un'iscrizione dello
Smirne, che pur ivi si legge. Trovandosene un'altra posta MATERNO ET
ATTICO COS., potrebbe essere che questo Attico fosso stato sostituito
a _Bradua_. Sino all'anno presente arrivò la vita di _santo Eleuterio_
romano pontefice, secondo la cronica di Damaso[1341]. Nel martirologio
egli porta il titolo di _Martire_; ma non è certo ch'egli desse il
capo per la confessione della religion di Cristo. Saggiamente osservò
il cardinal Baronio[1342], che ne' primi secoli il nome di _Martire_
fu conferito a coloro eziandio che sofferirono vessazioni o tormenti
per la fede di Cristo, benchè non morissero ne' tormenti. San Cipriano
non ce ne lascia dubitare. Al che si dee avere riguardo anche per
altri primi romani pontefici, tutti ornati di sì glorioso titolo,
senza che resti più precisa memoria della lor morte nel martirio. Per
questa cagione alcuni d'essi da _santo Ireneo_, celebre vescovo di
Lione, che fiorì in questi tempi, sono considerati solamente come
_Confessori_. A santo _Eleuterio_ fu sostituito _Vittore_ nella
cattedra di san Pietro, i cui anni cominceremo a contare nell'anno
seguente, seguendo la cronologia del padre Pagi e del Bianchini. A me
sia lecito di riferire a quest'anno altri sconcerti della corte di
Commodo e della nobiltà romana. Gran riputazione e potenza godeva in
quella corte Antero, infame suo liberto[1343]. Era costui stato alzato
al grado di mastro di camera da Commodo, a cui nello stesso tempo
serviva per ministro nelle disonestà. L'odio universale contra di
questo cattivo strumento cresceva ogni dì più, e andava poi a
terminare contra dello stesso Commodo, il quale spasimava per lui.
Sofferì un pezzo _Tarrutino_ o sia _Tarrutenio Paterno_, prefetto del
pretorio, costui; ma finalmente un dì rotta la pazienza, fattolo con
galanteria uscir di palazzo col pretesto d'un sagrificio, nel tornare
che egli faceva a casa, il fece assassinare ed uccidere da alquanti
sgherri. Diede nelle smanie Commodo per questo, e ne fu più cruccioso
di quel che fosse stato nel pericolo della vita ch'egli avea corso per
l'assalto di Quinziano. Avuto sufficiente sentore che _Paterno_ era
stato autore del colpo, col consiglio di _Tigidio_, e fors'anche di
_Perenne_, il quale prese questa congiuntura per tagliar le gambe al
compagno, il creò senatore, levandolo in tal guisa dal pretorio, sotto
specie di promuoverlo a grado più cospicuo. Ma non andò molto che fece
accusare Paterno di una congiura, apponendogli d'aver promessa sua
figliuola a _Salvio Giuliano_, nipote di _Giuliano_ celebre
giurisconsulto, per farne poscia un imperadore[1344]. Se avessero
avuto questo disegno Paterno e Giuliano, nulla mancava loro per
eseguirlo, comandando il primo alle guardie e l'altro a qualche
migliaio di soldati. Perciò amendue perderono la vita, e con esso loro
_Vitruvio Secondo_, segretario delle lettere dell'imperadore, perchè
era confidentissimo di Paterno. Nella stessa disgrazia rimasero
involti _Velio_ o sia _Vettio Rufo_ ed _Egnazio Capitone_, stati
consoli amendue. _Emilio Junto_ ed _Atilio Severo_, consoli sostituiti
(se pure in quest'anno succedette la morte di Antero), furono mandati
in esilio. Anche _Quintilio Massimo_ e _Quintilio Condiano_, già stato
console, due de' più riguardevoli personaggi che si avesse il senato,
amatissimi per la lor singolare saviezza da Marco Aurelio, e adoperati
nei primi posti militari e civili, furono in tal occasione tolti dal
mondo, e finì la lor casa. Narra Dione che fu condannato anche _Sesto
Quintilio_ figliuolo di Massimo. Precorsa a lui questa nuova, mentre
era in Soria, fece finta di cader da cavallo, e d'essere morto, e da'
suoi famigliari invece fu portato alla sepoltura un montone. Andò egli
dipoi, mutando sempre abito, vagabondo per vari paesi, nè più si seppe
nuova di lui, e ciò fu la rovina di molti, perchè essendo ricercato
dappertutto, le teste di non pochi innocenti furono portate a Roma,
pretese quella di Sesto, e rimasero altri spogliati di beni col
pretesto che gli avessero dato ricovero. Mancato poi di vita Commodo,
comparve persona a Roma che sosteneva d'essere Sesto, e rispondeva a
proposito a tutti gli esami. Pertinace scoprì la furberia, facendogli
delle interrogazioni in greco, lingua ch'egli sapeva essere già ben
intesa da Sesto; e qui s'imbrogliò l'impostore, perchè non capiva le
interrogazioni. V'era presente Dione. _Didio Giuliano_, che fu poi
imperadore, corse anch'egli pericolo della vita, per l'accusa datagli
d'aver tenuta mano alla congiura con Salvio Giuliano. Commodo il fece
assolvere, e condannar l'accusatore[1345]. Dopo la caduta di Paterno,
restò prefetto del pretorio il solo _Perenne_[1346], con divenir
padrone totale della corte. Seppe egli persuadere a Commodo, giovane
timidissimo, che non si fidasse d'alcuno, e se ne stesse in ritiro,
attendendo ai piaceri mentre egli assumerebbe in sè le cure spinose
del governo. Così fu fatto. Commodo rade volte da lì innanzi si lasciò
vedere in pubblico, e chiuso come in un turchesco serraglio, s'immerse
affatto nel baratro della lussuria con trecento concubine, scelte
parte dalla nobiltà, parte dai postriboli, e con altra non minor turba
anche più infame. I conviti e i bagni erano una continua scuola di
intemperanza e di disonestà; faceva egli ancora de' combattimenti in
abito da gladiatore, co' suoi camerieri, e talvolta ancora con ispada
nuda, uccidendo alcun d'essi armati solamente di spade colla punta
impiombata. E intanto Perenne aggirava tutti gli affari, uccidendo
quei che voleva, altri assaissimi spogliando dei loro beni non solo in
Roma, ma anche per le provincie, conculcando tutte leggi, ed
ammassando senza ritegno alcuno tesori immensi. In questo misero stato
si trovava allora l'augusta città per la balordaggine e sfrenatezza
del suo regnante.
NOTE:
[1337] Reland., in Fastis.
[1338] Panvin., in Fast.
[1339] Pagius, Critic. Baron.
[1340] Thesaurus Novus Inscript., p. 343.
[1341] Anast., Bibliot.
[1342] Baronius, Annal. Eccles. ad annum 194.
[1343] Lampridius, in Commodo.
[1344] Dio, lib. 72.
[1345] Spartianus, in Juliano.
[1346] Lampridius, in Commodo.
Anno di CRISTO CLXXXVI. Indizione IX.
VITTORE papa 1.
COMMODO imperadore 7.
_Consoli_
MARCO AURELIO COMMODO AUGUSTO per la quinta volta, e MANIO ACILIO
GABRIONE per la seconda.
Era già pervenuta al sommo la potenza di _Perenne_ prefetto del
pretorio, e l'abuso ch'egli ne faceva. Le tante ricchezze da lui
accumulate pareva che tendessero a guadagnarsi l'amore dei pretoriani,
qualora egli volesse tentar qualche tradimento contro la vita di
Commodo[1347]. Allo stesso fine sembrava che cospirassero le macchine
de' suoi giovani figliuoli, i quali portati da lui al governo
dell'Illirico, altro non faceano che ammassar gente. Può essere che in
mente sua non bollissero così alti disegni; certo è nondimeno, che
l'odio universale dava questa interpretazione a tutte le azioni di lui
e de' suoi figli. Di qua venne la rovina sua, narrata diversamente
nelle particolarità da Erodiano e da Dione[1348]. Abbiamo dal primo,
che celebrandosi in quest'anno i sontuosissimi giuochi capitolini, i
quali si solevano fare ad ogni quattro anni con immenso concorso di
popolo, ed assistendovi Commodo nella sedia imperatoria, prima che
gl'istrioni cominciassero le loro fatiche, comparve in iscena uno
quest'altro. Non avea mancato il di lui buon padre di procurargli
tutti i possibili mezzi, affinchè fosse ben educato ne' costumi ed
istradato nelle buone arti e nelle lettere. Suo maestro fu nella
lingua ed erudizione greca _Onesicrato_; nella latina _Antistio
Capella_, e nell'eloquenza _Attejo Santo_ o _Santio_. Non ne ricavò
egli profitto alcuno: tanto potè l'indole cattiva; imperciocchè egli
nulla ebbe dell'ottimo suo padre, e solamente in lui passarono le
magagne della madre infame, con essersi fin creduto, siccome già
accennai, averlo essa conceputo da un gladiatore, nel cui amore era
perduta. In fatti di buon'ora comparve inclinato alla crudeltà, alla
libidine, e dedito solamente a discorsi osceni, a saltare, a fare il
buffone e il gladiatore, con altri costumi propri della vil canaglia.
Non avea che dodici anni, quando in villeggiare a Centocelle, oggidì
Cività Vecchia, perchè non trovò assai calda l'acqua del bagno, ordinò
che il deputato del bagno fosse gittato in una fornace; e bisognò che
il suo aio _Pitolao_ fingesse di ubbidirlo non far bruciare una pelle
di castrone. Non poteva egli sofferir le persone dotate di probità,
che il padre gli avea messo appresso; solamente gli davano nel genio i
cattivi; e perchè il padre glieli levò d'attorno, si ammalò di rabbia.
Il troppo indulgente genitore non tenne saldo; laonde egli cominciò di
buon'ora a far bettola in sua camera, e praticar giuochi d'azzardo, ad
ammettere donne di vita cattiva, ad essere sboccato di lingua. Con
questo bell'apparato di vizii, coperti nondimeno fin qui, e non
passati alla vista del popolo, si trovò egli solo sul trono. Tuttavia
si può credere che non tanti allora fossero i suoi difetti, o
certamente che fossero coperti, e non passati agli occhi del popolo,
perchè Erodiano[1300], più vicino di lunga mano a questi tempi, non ci
fa un sì brutto ritratto della gioventù di Commodo.
Era egli, siccome dissi, in Ungheria coll'armata. Dopo i funerali del
padre, per consiglio de' parenti ed amici fece una bella allocuzione
all'esercito, e gli dispensò un abbondante donativo. Ma perciocchè
presso lui gran potere avea chi era più cattivo e sapea più adulare,
costoro non tardarono ad esagerar le delizie di Roma, e a dir quanto
male sapeano del brutto soggiorno del Danubio, tanto che l'indussero a
determinare di abbandonar l'armata e di venirsene in Italia. Preso il
pretesto di temere che alcuno in Roma si facesse dichiarare
imperadore, pubblicò il suo disegno. Tante ragioni nondimeno gli
addusse _Pompejano_ suo cognato, che il fermò per qualche tempo in
quelle parti, per terminare con qualche onore la guerra. Secondochè
s'ha da Erodiano, riuscì ai suoi generali di domar qualcheduno di quei
popoli barbari. Condusse Commodo gli altri alla pace, con regalarli
ben bene impiegando l'erario ch'egli avea trovato ben provveduto. Se
si vuol credere ad Eutropio[1301], felicemente egli combattè contro ai
Germani; ma non apparendo dalle medaglie ch'egli prendesse nuovo
titolo d'_Imperadore_ nell'anno precedente, o niuno o di poco rilievo
dovettero essere le sue vittorie. Certo è bensì, che egli con
condizioni anche svantaggiose, e a forza di danaro, comperò la pace,
perchè troppo gli stava a cuore di cangiare quell'aspro cielo nel
delizioso di Roma. Venn'egli finalmente accolto per tutte le città
dove passò con solenne allegria; e il senato e, per così dire, tutta
Roma con corone di alloro gli fece un festoso incontro. I più
considerandolo figliuolo di sì buon padre, veggendolo sì bel giovane,
con occhi vivi, con bionda zazzera, tale che parea sparsa sul suo capo
una pioggia d'oro, si figuravano maraviglie di lui; e però tra le
infinite acclamazioni, accompagnato da gran profusione di fiori e di
corone, entrò Commodo in Roma. Fu al senato, e recitò un'orazione che
contenea solamente delle inezie. Dione[1302], il quale comincia qui a
raccontar cose da lui stesso vedute, scrive ch'egli fece gran pompa
dell'aver dato soccorso al padre Augusto, che era caduto in una fossa
fangosa. Se il mese _romano_ fu, come pensa il Salmasio, novembre,
l'arrivo a Roma di Commodo seguì nel dì 22 di ottobre[1303]; ma è cosa
dubbiosa. Fece egli un ragionamento anche ai soldati di Roma, con
lodare la lor fedeltà. E che desse loro il consueto regalo e al popolo
un congiario, pare che si ricavi dalle medaglie. Procedente egli
console per la terza volta nell'anno presente; ed in questo ancora,
per attestato d'Eusebio[1304], egli trionfò dei Germani, ma con dare
una bella mostra dell'animo suo corrotto: perchè nello stesso cocchio
trionfale dietro a sè condusse un infame suo liberto, appellato
Antero, e l'andò baciando più volte pubblicamente, volgendo la faccia
indietro. Lo stesso praticò nell'orchestra a vista d'ognuno. Vivente
anche il padre, avea Commodo senza alcun merito conseguito il bel
titolo di _Padre della Patria_. In quest'anno l'adulazione gli conferì
ancor quello di _Pio_, che s'incontra nelle medaglie[1305], ma non già
quello di _Felice_, come va credendo il Tillemont[1306].
NOTE:
[1299] Vulcat., in Commodo.
[1300] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1301] Eutrop., in Breviar.
[1302] Dio, lib. 72.
[1303] Lampridius, in Commodo.
[1304] Euseb., in Chronic. Edition. Pont.
[1305] Mediobarb., in Numism. Imperator.
[1306] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
Anno di CRISTO CLXXXII. Indizione V.
ELEUTERIO papa 12.
COMMODO imperadore 3.
_Consoli_
POMPONIO MAMERTINO e RUFO.
Non ho io osato di chiamare altrimenti questi due consoli, perchè non
veggo sicurezza negli altri nomi. Certo è che il primo fu cognato di
Commodo Augusto, perchè avea per moglie una di lui sorella. Il
Panvinio[1307], seguitato da molti altri, chiamò il secondo console
_Trebellio Rufo_. Perchè il Relando[1308] pubblicò un'iscrizione
gudiana, posta nelle calende di marzo, C. PETRONIO MAMERTINO ET
CORNELIO RUFO COS., tanto esso Relando che il Bianchini[1309] e lo
Stampa[1310], stabilirono con tali nomi i consoli dell'anno presente.
Ma sarebbe prima da vedere se si possa riposar sulla fede de' marmi
riferiti dal Gudio. Il Fabretti[1311] porta un mattone, dove egli
lesse VETTIO RUFO ET POMP. MATER. COS. Probabilmente ivi si dee
leggere POMP. MAMER., cioè Pomponio Mamertino: il che se fosse,
l'altro console sarebbe stato _Vettio Rufo_, e non già _Trabellio_, o
_Cornelio Rufo_. _Velio Rufo_ vien posto fra i consoli da
Lampridio[1312]. Probabilmente egli scrisse _Vettio Rufo_. Crede poi
il suddetto Panvinio, che nelle calende di luglio fossero sostituiti
nel consolato _Emilio Junto_ o _Junzio_, ed _Atilio Severo_. Abbiam di
certo, che amendue furono consoli, ma non apparisce già che in
quest'anno. Anzi essendo essi stati esiliati, in tempo che Commodo si
abbandonò alla crudeltà, si dee credere che il lor consolato accadesse
molto più tardi. In questi primi tempi, secondo ciò che s'è anche
veduto di Tiberio, di Caligola, di Nerone e di Domiziano, anche
l'Augusto Commodo fece un buon governo. Onorava egli i consiglieri ed
amici del padre[1313], nulla risolveva senza il loro parere.
L'autorità di questi savi personaggi teneva in qualche freno le
sregolate passioni di questo giovinastro. E probabilmente è da
riferire all'anno presente ciò che racconta Dione[1314], cioè che
_Manilio_, il qual era stalo segretario delle lettere latine di
_Avidio Cassio_, della cui ribellione parlammo di sopra, e molta
possanza avea avuto sotto di lui, finalmente fu scoperto e condotto a
Roma. Prometteva egli di rivelar molti segreti; ma Commodo, per
consiglio, come possiam credere, de' saggi suoi ministri, non
solamente non volle ascoltarlo, ma fece anche bruciar tutte le di lui
lettere o carte, senza curarsi di leggerne pur una. Questa bella
azione diede speranza al senato e al popolo, ch'egli non volesse
essere da meno del padre. E perciocchè Commodo compariva in pubblico
con gran magnificenza, e faceva spiccare dappertutto la sua
leggiadria, l'ignorante popolo dicea _oh bello_! e si rallegrava
d'avere un principe sì grazioso. Ma non così la sentivano quei che il
praticavano, ed aveano miglior conoscenza delle di lui perverse
inclinazioni, che di giorno in giorno s'andavano meglio spiegando.
Truovasi egli in qualche medaglia[1315] dell'anno presente proclamato
_Imperadore per la quinta volta_. Dione[1316] parla della guerra fatta
contra de' Barbari di là della Dacia. E Lampridio[1317] scrive che
quei popoli rimasero sconfitti dai legati, cioè dai luogotenenti
generali dell'imperadore. Questi furono _Albino_ e _Negro_, de' quali
si parlerà a' tempi di Severo imperadore. Ciò probabilmente succedette
nell'anno presente, e per qualche loro vittoria si accrebbero i titoli
a Commodo senza sua fatica.
NOTE:
[1307] Panvin., in Fast. Consular.
[1308] Reland., Fast. Cons.
[1309] Blanchin., ad Anast. Bibliot.
[1310] Stamp., Fast. Cons. Sigon.
[1311] Fabrettus, Inscript., pag. 511.
[1312] Lampr., in Commodo.
[1313] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1314] Dio, in Excerptis Valesianis.
[1315] Mediobarbus, in Numism. Imperator.
[1316] Dio, lib. 72.
[1317] Lampridius, in Commodo.
Anno di CRISTO CLXXXIII. Indizione VI.
ELEUTERIO papa 13.
COMMODO imperadore 4.
_Consoli_
MARCO AURELIO ANTONINO COMMODO AUGUSTO per la quarta volta, e CAJO
AUFIDIO VITTORINO per la seconda.
Perchè abbiamo una nobile iscrizione, già pubblicata da monsignor
della Torre, che si legge anche nella mia raccolta[1318], luogo non
resta a disputare dei nomi di questi consoli. E di qui ancora può
risultare qual fede si possa avere alle iscrizioni del Gudio. Una di
esse, riferita anche dal Relando[1319], si dice posta IDIBVS OCTOBRIS
M. AVRELIO COMMODO IIII. ET M. AVRELIO VICTORINO COS. Ecco qual
capitale si possa far di quelle merci. Da un marmo, di cui non si può
trovare un più autentico, siamo assicurati che quel console si
chiamava _Cajo Aufidio_, ed esso nell'emporio gudiano ci comparisce
_Marco Aurelio_. Ora questo _Cajo Aufidio Vittorino_[1320] fu uno de'
più insigni senatori ed oratori del suo tempo, carissimo già a Marco
Aurelio Augusto, di modo che giunse ad essere non solamente prefetto
di Roma, ma console due volte. Di lui racconta Dione[1321], che
essendo governatore della Germania molti anni prima, certificato che
il suo legato, o sia luogotenente, prendeva de' regali, l'ammonì in
segreto di desistere da quell'abuso. Veggendo di non far frutto, un dì
assiso sul tribunale alla vista di ognuno, si fece citar dall'araldo a
giurare di non aver mai preso regali, e di non essere per prenderne,
finchè vivesse. Appresso fu esibito il giuramento medesimo al legato,
il quale convinto dalla coscienza e dal timore di chi potea deporre
contra di lui, ricusò il giurare. Vittorino immantinente il licenziò.
Essendo anche proconsole in Africa, trovò un altro legato, che
zoppicava dello stesso piede. Ed egli, senza far altre cerimonie, il
fece imbarcare, e rimandollo a Roma. Da che, siccome vedremo, Commodo
cominciò ne' tempi seguenti a mietere le vite de' più accreditati
senatori, più volte fu detto che anch'egli era in lista. Mosso da
questa voce Vittorino, francamente andò a trovar _Perenne_, prefetto
allora del pretorio, e gli disse d'aver inteso che si volea farlo
morire, ed aggiunse: _Se è così, che state a fare? Ora è il tempo._ Fu
lasciato in vita, e morto poi di morte naturale, ebbe l'onore di una
statua. Quanto a _Perenne_ poco fa nominato, costui[1322] per la sua
perizia della disciplina militare, fu alzato da Commodo al grado di
prefetto del pretorio, o sia di capitano delle guardie, quale ancora
_Tarrutino_ o sia _Tarrutenio Paterno_[1323]. Costui fu la rovina del
padrone, perchè andò tanto innanzi nella confidenza e grazia di lui
che diventò poi l'arbitro del governo. La sete di accumular tesori si
potè dire in lui inesausta. Quasi che un nulla fossero i già
guadagnati, tutto era egli sempre ansante a procacciarne de' nuovi. E
gli se ne presentò ben presto l'occasione, siccome vedremo. Intanto
convien avvertire i lettori, che gli avvenimenti in questi tempi non
si possono compartire per gli loro precisi anni, perchè le storie che
restano raccontano bensì i fatti, ma senza indicarne la cronologia.
Però solamente a tentone si andran riferendo le cose sotto gli anni
seguenti. Nel presente le medaglie[1324] ci avvisano che Commodo
Augusto fu proclamato _per la sesta volta Imperadore_, ma senza
apparire per qual vittoria. Il Tillemont[1325] la crede riportata
nella guerra che si accese nella Bretagna; ma questa vittoria, per
quel che dirò, sembra più tosto appartenere all'anno seguente.
Verisimile è più tosto, che in quest'anno ancora i generali cesarei in
Germania, come conghietturò il Mezzabarba, dessero qualche rotta ai
Barbari di quelle contrade. Parlano le stesse monete di un viaggio di
Commodo, di cui niun vestigio s'ha nella storia; siccome ancora di una
sua _munificenza_: indizio di qualche congiario dato al popolo. Ma
delle stesse monete si incontrano degl'imbrogli, o perchè non sincere,
o perchè non assai attentamente copiate.
NOTE:
[1318] Thesaur. Novus Inscript., pag. 340, n. 2.
[1319] Reland., in Fastis.
[1320] Capitol., in Marco Aurelio.
[1321] Dio, in Excerpt. Valesianis.
[1322] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1323] Lampridius, in Commodo.
[1324] Mediobarb., in Numism. Imper.
[1325] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
Anno di CRISTO CLXXXIV. Indizione VII.
ELEUTERIO papa 14.
COMMODO imperadore 5.
_Consoli_
LUCIO COSSONIO EGGIO MARULLO e GNEO PAPIRIO ELIANO.
Al primo console _Marullo_ ho io aggiunto il nome di _Cossonio_,
ricavato da un'iscrizione, esistente nel Museo Capitolino, data alla
luce da monsignor Torre, e prodotta anche nella mia raccolta[1326]. In
una iscrizione del Gudio, rapportata dal Relando[1327], il primo
console si vede chiamato _Marco Marullo_, quando è certissimo che il
suo prenome fu _Lucio_. Il secondo comparisce ivi col nome di _Giunio
Eliano_; e pure nell'altre iscrizioni troviamo costantemente _Gneo
Papirio Eliano_: tutte pruove che i fasti e l'erudizione antica
debbono aspettar dal Gudio, in vece di un sicuro rinforzo, della
confusione. Era, dissi, insorta una fiera guerra nella Bretagna[1328],
guerra la più lunga che si avesse Commodo ai suoi dì. Aveano i Barbari
passato il muro, posto da Antonino Pio ai confini, e tagliato a pezzi
il general romano con tutte le milizie che erano ivi di guardia.
Portata questa funesta nuova a Roma, il vile Commodo tutto impaurito
spedì tosto colà _Ulpio Marcello_, uomo di grand'animo, e di raro
valore; chè di tali persone non era già perduto il seminario in Roma.
Questi, per attestato di Dione, uomo modesto e severo, ma di una
severità che si accostava all'asprezza, fece più volte conoscere la
sua bravura ne' combattimenti, nè mai si lasciò invischiare dall'amor
de' regali e della pecunia. Era vigilantissimo, e per maggiormente
comparir tale, e tener anche vigilanti gli uffiziali di guerra, solea
qualche sera scrivere dodici biglietti, con ordine ai suoi servi di
portarli in varie ore della notte a diversi d'essi ufficiali,
acciocchè credessero ch'egli allora vegliasse. Non si distingueva egli
nel mangiare e vestire dai semplici soldati; anzi, per mangiar meno,
si facea venire con bizzarria quasi incredibile fin da Roma il pane,
come ognun può credere, ben secco e duro. Questo bravo uomo adunque
gravissimi danni recò a que' Barbari, e dovette dar loro una gran
rotta, per cui si osserva nelle medaglie[1329] che Commodo Augusto
conseguì in questo anno non solamente _per la settima volta_ il titolo
d'_Imperadore_, ma anche quello di _Britannico_[1330]. Era egli già
stato appellato _Pio_, adulatoriamente senza fallo, perchè egli nulla
mai fece, per cui meritasse così bell'elogio. Nell'anno presente si
aggiunse a' suoi titoli quello di _Felice_. L'esempio suo servì poi ai
susseguenti Augusti per più secoli, acciocchè cadaun d'essi fosse
chiamato _Pio Felice_.
Se non succedette nell'anno precedente, si dovrà almeno attribuire al
presente la prima congiura tramata contra di Commodo. Abbiamo da
Erodiano[1331] ch'egli per _pochi anni_ stette in dovere, e però
probabil cosa è che in questo si sovvertisse il di lui ingegno, e che
cominciasse il suo precipizio. Merita ben più di Lampridio d'essere
qui ascoltato Erodiano, siccome storico che visse in que' tempi e
soggiornò in Roma. Quel mal arnese adunque di _Perenne_ prefetto del
pretorio, per dominar solo, avea già staccati dal fianco del giovane
Augusto i migliori suoi consiglieri, con far subentrare in lor luogo
una frotta di persone vili, e maneggiava già solo tutti gli affari:
dal che può essere che prendesse origine l'odiosità dei buoni contra
di Commodo. Comunque sia, la prima pietra dei disordini fu posta da
_Lucilla_ figliuola di Marco Aurelio, e sorella dello stesso Commodo.
Per essere stata moglie di _Lucio Vero_ imperadore, il padre, tuttochè
la rimaritasse con _Claudio Pompejano_, pure le lasciò il titolo e gli
onori di Augusta; ed essa nel teatro soleva assidersi in una sedia
imperatoria, ed uscendo fuor di casa, le era portato innanzi il fuoco,
come si faceva agli Augusti. Sposata che fu _Crispina_ da Commodo, si
vide obbligata _Lucilla_ a cederle il primo luogo; ma gliel cedette
con immensa rabbia, credendo fatto a sè stessa un gran torto per la
sua anzianità in quell'onore, e da lì innanzi ne cercò sempre la
vendetta. Non si arrischiò mai a parlarne con _Pompejano_ suo marito,
perchè sapeva quant'egli amasse Commodo. Passava fra lei e _Quadrato_,
giovane nobilissimo e ricchissimo, appellato mastro di camera di
Commodo da Dione[1332], una stretta ed anche peccaminosa amicizia. Le
tante querele di Lucilla trassero questo giovane a formar una
cospirazione contro la vita di Commodo, in cui entrarono alcuni
senatori ancora. Scelto fu per eseguir l'impresa un giovane di grande
ardire per nome _Quinziano_. Lampridio il chiama _Claudio Pompejano_:
sbaglio probabilmente suo o de' copisti, benchè anco lo stesso scriva
Zonara[1333], anzi dice che fu lo stesso marito di Lucilla: errore
massiccio. Ora Quinziano ito a postarsi in luogo stretto e scuro
dell'entrata dell'anfiteatro, stette aspettando che arrivasse Commodo;
ed allorchè il vide, sfoderato un pugnale, che tenea sotto nascosto,
mattescamente gliel fece vedere con dire: _Questo te lo manda il
senato_, e gli si avventò addosso. Se crediamo ad Ammiano[1334], gli
diede qualche ferita. Erodiano e Lampridio nol dicono. Certo è che
lasciò tempo a Commodo di difendersi o di scappare. Preso dunque dalle
guardie lo sconsigliato Quinziano, e messo ai tormenti da _Perenne_,
rivelò i complici. Fu perciò relegata _Lucilla_ nell'isola di Capri, e
quivi da lì a qualche tempo uccisa. Tolta fu la vita a _Quinziano_, a
_Quadrato_, ad _Eletto_, mastro anch'esso di camera di Commodo[1335];
e per attestato di Lampridio[1336], fecero il medesimo fine _Norbana_,
_Norbano_ e, _Parelio_ colla madre sua. Il peggio fu, che il pugnale e
l'assalto di Quinziano, e più le parole da lui proferite, restarono
talmente impresse nella mente di Commodo, che sempre gli parea d'aver
davanti agli occhi quello spettacolo, e da lì innanzi cominciò ad
odiar tutti i senatori, come se veramente tutti avessero cospirato
contra di lui, ed ordinato a Quinziano di fargli quel brutto
complimento. Seppe ben prevalersi di questa congiuntura Perenne, per
empiere di paura l'incauto principe, ed accrescere i suoi odii contra
de' più ricchi e potenti, con lavorar poi di calunnie a fine di
processarli, e di arricchir sè stesso coi loro beni.
NOTE:
[1326] Thesaurus Novus Inscription., pag. 342.
[1327] Reland., in Fastis.
[1328] Dio, lib. 72.
[1329] Mediobarbus, in Numismat. Imper.
[1330] Lampridius, in Commodo.
[1331] Herodianus, Histor., lib. 1.
[1332] Dio, l. 72.
[1333] Zonaras, in Annalib.
[1334] Ammianus, lib. 29.
[1335] Dio, lib. 72.
[1336] Lampridius, in Commodo.
Anno di CRISTO CLXXXV. Indizione VIII.
ELEUTERIO papa 15.
COMMODO imperadore 6.
_Consoli_
MARCO CORNELIO NEGRINO CURIAZIO MATERNO e MARCO ATTILIO BRADUA.
Il Relando[1337] non mette se non i cognomi di _Materno_ e _Bradua_.
Al Panvinio[1338], seguitato dal padre Pagi[1339], parve il primo
_Triario Materno_, solamente perchè sotto Pertinace si trovava un
senatore di tal nome: pruova troppo fievole. Gli ho io dato que' nomi,
mosso da un'iscrizione da me pubblicata nella mia raccolta[1340]. Il
nome dell'altro console _Bradua_ si raccoglie da un'iscrizione dello
Smirne, che pur ivi si legge. Trovandosene un'altra posta MATERNO ET
ATTICO COS., potrebbe essere che questo Attico fosso stato sostituito
a _Bradua_. Sino all'anno presente arrivò la vita di _santo Eleuterio_
romano pontefice, secondo la cronica di Damaso[1341]. Nel martirologio
egli porta il titolo di _Martire_; ma non è certo ch'egli desse il
capo per la confessione della religion di Cristo. Saggiamente osservò
il cardinal Baronio[1342], che ne' primi secoli il nome di _Martire_
fu conferito a coloro eziandio che sofferirono vessazioni o tormenti
per la fede di Cristo, benchè non morissero ne' tormenti. San Cipriano
non ce ne lascia dubitare. Al che si dee avere riguardo anche per
altri primi romani pontefici, tutti ornati di sì glorioso titolo,
senza che resti più precisa memoria della lor morte nel martirio. Per
questa cagione alcuni d'essi da _santo Ireneo_, celebre vescovo di
Lione, che fiorì in questi tempi, sono considerati solamente come
_Confessori_. A santo _Eleuterio_ fu sostituito _Vittore_ nella
cattedra di san Pietro, i cui anni cominceremo a contare nell'anno
seguente, seguendo la cronologia del padre Pagi e del Bianchini. A me
sia lecito di riferire a quest'anno altri sconcerti della corte di
Commodo e della nobiltà romana. Gran riputazione e potenza godeva in
quella corte Antero, infame suo liberto[1343]. Era costui stato alzato
al grado di mastro di camera da Commodo, a cui nello stesso tempo
serviva per ministro nelle disonestà. L'odio universale contra di
questo cattivo strumento cresceva ogni dì più, e andava poi a
terminare contra dello stesso Commodo, il quale spasimava per lui.
Sofferì un pezzo _Tarrutino_ o sia _Tarrutenio Paterno_, prefetto del
pretorio, costui; ma finalmente un dì rotta la pazienza, fattolo con
galanteria uscir di palazzo col pretesto d'un sagrificio, nel tornare
che egli faceva a casa, il fece assassinare ed uccidere da alquanti
sgherri. Diede nelle smanie Commodo per questo, e ne fu più cruccioso
di quel che fosse stato nel pericolo della vita ch'egli avea corso per
l'assalto di Quinziano. Avuto sufficiente sentore che _Paterno_ era
stato autore del colpo, col consiglio di _Tigidio_, e fors'anche di
_Perenne_, il quale prese questa congiuntura per tagliar le gambe al
compagno, il creò senatore, levandolo in tal guisa dal pretorio, sotto
specie di promuoverlo a grado più cospicuo. Ma non andò molto che fece
accusare Paterno di una congiura, apponendogli d'aver promessa sua
figliuola a _Salvio Giuliano_, nipote di _Giuliano_ celebre
giurisconsulto, per farne poscia un imperadore[1344]. Se avessero
avuto questo disegno Paterno e Giuliano, nulla mancava loro per
eseguirlo, comandando il primo alle guardie e l'altro a qualche
migliaio di soldati. Perciò amendue perderono la vita, e con esso loro
_Vitruvio Secondo_, segretario delle lettere dell'imperadore, perchè
era confidentissimo di Paterno. Nella stessa disgrazia rimasero
involti _Velio_ o sia _Vettio Rufo_ ed _Egnazio Capitone_, stati
consoli amendue. _Emilio Junto_ ed _Atilio Severo_, consoli sostituiti
(se pure in quest'anno succedette la morte di Antero), furono mandati
in esilio. Anche _Quintilio Massimo_ e _Quintilio Condiano_, già stato
console, due de' più riguardevoli personaggi che si avesse il senato,
amatissimi per la lor singolare saviezza da Marco Aurelio, e adoperati
nei primi posti militari e civili, furono in tal occasione tolti dal
mondo, e finì la lor casa. Narra Dione che fu condannato anche _Sesto
Quintilio_ figliuolo di Massimo. Precorsa a lui questa nuova, mentre
era in Soria, fece finta di cader da cavallo, e d'essere morto, e da'
suoi famigliari invece fu portato alla sepoltura un montone. Andò egli
dipoi, mutando sempre abito, vagabondo per vari paesi, nè più si seppe
nuova di lui, e ciò fu la rovina di molti, perchè essendo ricercato
dappertutto, le teste di non pochi innocenti furono portate a Roma,
pretese quella di Sesto, e rimasero altri spogliati di beni col
pretesto che gli avessero dato ricovero. Mancato poi di vita Commodo,
comparve persona a Roma che sosteneva d'essere Sesto, e rispondeva a
proposito a tutti gli esami. Pertinace scoprì la furberia, facendogli
delle interrogazioni in greco, lingua ch'egli sapeva essere già ben
intesa da Sesto; e qui s'imbrogliò l'impostore, perchè non capiva le
interrogazioni. V'era presente Dione. _Didio Giuliano_, che fu poi
imperadore, corse anch'egli pericolo della vita, per l'accusa datagli
d'aver tenuta mano alla congiura con Salvio Giuliano. Commodo il fece
assolvere, e condannar l'accusatore[1345]. Dopo la caduta di Paterno,
restò prefetto del pretorio il solo _Perenne_[1346], con divenir
padrone totale della corte. Seppe egli persuadere a Commodo, giovane
timidissimo, che non si fidasse d'alcuno, e se ne stesse in ritiro,
attendendo ai piaceri mentre egli assumerebbe in sè le cure spinose
del governo. Così fu fatto. Commodo rade volte da lì innanzi si lasciò
vedere in pubblico, e chiuso come in un turchesco serraglio, s'immerse
affatto nel baratro della lussuria con trecento concubine, scelte
parte dalla nobiltà, parte dai postriboli, e con altra non minor turba
anche più infame. I conviti e i bagni erano una continua scuola di
intemperanza e di disonestà; faceva egli ancora de' combattimenti in
abito da gladiatore, co' suoi camerieri, e talvolta ancora con ispada
nuda, uccidendo alcun d'essi armati solamente di spade colla punta
impiombata. E intanto Perenne aggirava tutti gli affari, uccidendo
quei che voleva, altri assaissimi spogliando dei loro beni non solo in
Roma, ma anche per le provincie, conculcando tutte leggi, ed
ammassando senza ritegno alcuno tesori immensi. In questo misero stato
si trovava allora l'augusta città per la balordaggine e sfrenatezza
del suo regnante.
NOTE:
[1337] Reland., in Fastis.
[1338] Panvin., in Fast.
[1339] Pagius, Critic. Baron.
[1340] Thesaurus Novus Inscript., p. 343.
[1341] Anast., Bibliot.
[1342] Baronius, Annal. Eccles. ad annum 194.
[1343] Lampridius, in Commodo.
[1344] Dio, lib. 72.
[1345] Spartianus, in Juliano.
[1346] Lampridius, in Commodo.
Anno di CRISTO CLXXXVI. Indizione IX.
VITTORE papa 1.
COMMODO imperadore 7.
_Consoli_
MARCO AURELIO COMMODO AUGUSTO per la quinta volta, e MANIO ACILIO
GABRIONE per la seconda.
Era già pervenuta al sommo la potenza di _Perenne_ prefetto del
pretorio, e l'abuso ch'egli ne faceva. Le tante ricchezze da lui
accumulate pareva che tendessero a guadagnarsi l'amore dei pretoriani,
qualora egli volesse tentar qualche tradimento contro la vita di
Commodo[1347]. Allo stesso fine sembrava che cospirassero le macchine
de' suoi giovani figliuoli, i quali portati da lui al governo
dell'Illirico, altro non faceano che ammassar gente. Può essere che in
mente sua non bollissero così alti disegni; certo è nondimeno, che
l'odio universale dava questa interpretazione a tutte le azioni di lui
e de' suoi figli. Di qua venne la rovina sua, narrata diversamente
nelle particolarità da Erodiano e da Dione[1348]. Abbiamo dal primo,
che celebrandosi in quest'anno i sontuosissimi giuochi capitolini, i
quali si solevano fare ad ogni quattro anni con immenso concorso di
popolo, ed assistendovi Commodo nella sedia imperatoria, prima che
gl'istrioni cominciassero le loro fatiche, comparve in iscena uno
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