Annali d'Italia, vol. 1 - 36
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l'orgoglioso sofista altra risposta non diede, se non _che toccava al
discepolo di andar a trovare il maestro, e non già al maestro di
andare al discepolo_. In somma l'essere dotto e prudente non è lo
stesso: e pur troppo il sapere suol mandare de' fumi alla testa. Si
mise a ridere Antonino, e disse: _Mirate che bel capriccio! A costui
non è incresciuto di venir sì da lontano a Roma, ed ora gl'incresce di
venir solamente dalla sua casa al palazzo._ Contuttociò permise che
Marco Aurelio andasse a prendere le lezioni, dove Apollonio volle, e
durò fatica a contentar costui nel salario. Un saggio ancora della sua
mansuetudine diede il buon Antonino nel visitar che fece la casa di
_Valerio Omulo_[1029]. Al vedere le belle colonne di porfido, delle
quali essa era ornata, se ne maravigliò, e dimandò onde le avesse
avute. Omulo, in vece di gradire la stima che facea un imperadore
degli ornamenti di sua casa, sgarbatamente gli rispose: _In casa
d'altri si ha da essere mutolo e sordo._ Tanto questa impertinenza,
quanto altri motti pungenti del medesimo Omulo, persona satirica e
maligna, sopportò sempre con pazienza il buon imperadore Antonino,
senza far valere giammai i diritti della maestà imperiale, e senza
farne mai vendetta.
NOTE:
[1023] Marcus Aur., de rebus suis, lib. 1, §. 26.
[1024] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1025] Eutrop., in Breviar.
[1026] Philostrat., in Sophistis.
[1027] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1028] Lucianus, in Demonacte.
[1029] Capitolinus, in Antonino Pio.
Anno di CRISTO CXLVII. Indizione XV.
PIO papa 6.
ANTONINO PIO imperadore 10.
_Consoli_
LARGO e MESSALINO.
Cresceva ogni dì più l'affetto di Antonino Pio verso di _Marco Aurelio
Cesare_, non solamente perchè figliuolo suo adottivo e marito di
_Faustina_ sua figlia, ma perchè scopriva in lui ben radicata la
saviezza con altre virtù che insegnava la filosofia di quei tempi, e
per le quali meritò poi di essere appellato _Marco Aurelio Antonino il
Filosofo_. Avendogli appunto[1030] Faustina partorita una figliuola,
cioè _Lucilla_, maritata poi con _Lucio Commodo_, o sia _Lucio Vero_,
da che divenne Augusto, volle Antonino Pio esaltar maggiormente
l'amato suo genero e figliuolo, conferendogli in questo anno la
_Tribunizia Podestà_, _l'imperio proconsolare_ fuori di Roma, e il
diritto di far cinque relazioni in qualsivoglia senato. Pretende il
padre Pagi[1031], che Marco Aurelio fosse in quest'anno ancora
dichiarato _Imperadore_ e _Collega dell'Imperio_ con suo padre
Antonino. Il cardinal Noris pretese di no, e par ben più sicura la di
lui opinione. Il gius della quinta relazione, conferito a Marco
Aurelio, non conveniva ad un imperadore, la cui autorità non era
ristretta, ma si stendeva a quello che gli piaceva. Scrive inoltre
Capitolino, che quel maligno uomo di _Valerio Omulo_, di cui poco fa
si è parlato, osservata un giorno _Domizia Calvilla_, madre di Marco
Aurelio, la quale, dopo il presente anno, venerava in un giardino la
statua di Apollo, disse sotto voce ad Antonino: _Colei prega ora, che
tu chiuda gli occhi, e suo figliuolo sia imperadore._ Non ne fece
alcun caso l'imperadore; tanto era conosciuta la probità di Marco
Aurelio, tanta era la modestia nel _principato imperatorio_; le quali
ultime parole non si sa se si abbiano da riferire a Marco Aurelio,
oppure ad Antonino stesso, regnante con tal moderazione, che non
credeva dovergli alcuno augurare la morte. Pareva ancora che Antonino
Pio portasse affetto all'altro suo figliuolo adottivo, cioè a Lucio
Commodo[1032]; ma era ben differente il calibro di questo amore.
Imperciocchè finchè visse, il lasciò sempre nello stato di persona
privata, senza mai conferirgli il titolo di _Cesare_, nè altra
dignità, per cui apparisse che destinava ancor lui all'imperio. Era
egli solamente appellato _Figliuolo dell'Imperadore_, e quando
Antonino usciva in campagna, Lucio Commodo non andava in carrozza col
padre, ma bensì nel cocchio del capitan delle guardie. Tuttociò
chiaramente apparisce da quanto ne scrisse Capitolino; falsa perciò o
adultera si può credere qualche medaglia o iscrizione, che sembra
insinuare il contrario[1033]. Conosceva assai Antonino Pio i difetti
di questo giovinetto, ma non lasciava di compatirlo, ed amava in lui
la semplicità dell'ingegno, e l'andar egli alla buona nella sua
maniera di vivere. Abbiamo dalla cronica alessandrina[1034] che
nell'anno presente Antonino Pio esercitò la sua liberalità verso i
debitori del Fisco, con rimettere loro tutto il debito, e bruciar
pubblicamente le cedole delle loro obbligazioni. Ancor questo possiam
conghietturare fatto per solennizzar maggiormente la promozion
predetta di Marco Aurelio a maggiori onori. Correndo intanto l'anno
novecentesimo dalla fondazion di Roma, sono stati di parere alcuni
dotti uomini che nell'anno presente si celebrassero in Roma i giuochi
secolari con somma magnificenza. L'ha negato il padre Pagi. Ma Aurelio
Vittore[1035], secondo l'edizione del padre Scotto, può abbastanza
assicurarcene in dicendo: _Celebrato magnifice Urbis nongentesimo._
NOTE:
[1030] Capitolinus, in Marco Aurel.
[1031] Pagius, in Crit. Baron.
[1032] Capitolinus, in Lucio Vero.
[1033] Tillemont, Mémoires des Empereurs. Pagius, Crit. Baron.
[1034] Chron. Pascale, Histor. Byzantin.
[1035] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CXLVIII. Indizione I.
PIO papa 7.
ANTONINO PIO imperadore 11.
_Consoli_
LUCIO TORQUATO per la terza volta, e MARCO SALVIO GIULIANO.
Pietro Relando[1036], accuratissimo illustratore dei Fasti consolari
dell'anno 146 dell'Era Cristiana sino al fine, chiama il secondo
console _Cajo Giuliano Vetere_, ricavandolo da un'iscrizione riferita
dal Gudio. Ma converrebbe prima accertarsi, se le tante iscrizioni
pubblicate dal Gudio fossero tutte di buon conio ed esenti da ogni
sospetto: il che non sarà sì facile. Quanto a me vo' giudicando più
sicuro partito il chiamar questo console _Marco Salvio Giuliano_,
giurisconsulto celebratissimo di questi tempi, milanese di patria,
perchè tale si trova appellato in una iscrizione da me data alla
luce[1037], e perchè sappiamo da Sparziano[1038], esser egli stato
console due volte. Se il console dell'anno presente fosse stato _Cajo
Giuliano Vetere_, l'anno sarebbe stato notato _Torquato et Vetere
Coss._ perchè l'ultimo cognome o soprannome soleva enunziarsi, secondo
l'uso più familiare d'allora. Ma in tutt'i fasti antichi noi troviamo
solamente _Torquato et Juliano Coss._ Forse anche si può dubitare, se
questo _Torquato_ fosse appellato console _per la terza volta_. Che in
quest'anno si celebrassero in Roma i decennali di Antonino Pio
Augusto, chiaramente apparisce dalle medaglie[1039] che ne parlano e
rammentano i voti pubblici fatti per la di lui salute. Crede il padre
Pagi[1040], che nell'anno presente _san Giustino_ presentasse ad
Antonino Pio la sua prima apologia, creduta un pezzo la seconda, in
difesa della religione cristiana.
NOTE:
[1036] Reland., Fast. Consular.
[1037] Thesaurus Novus Inscript., p. 329, n. 3.
[1038] Spartianus, in Didio Juliano.
[1039] Mediobarb., in Numism. Imperator.
[1040] Pagius, Crit. Baron.
Anno di CRISTO CXLIX. Indizione II.
PIO papa 8.
ANTONINO PIO imperadore 12.
_Consoli_
SERVIO SCIPIONE ORFITO e QUINTO NONIO PRISCO.
Se crediamo al Relando[1041], il primo console fu _Sergio Scipione
Orfito_; in prova di che egli cita quattro iscrizioni della Raccolta
di Marquardo Gudio, nelle quali chiaramente si legge _Sergio_. Ma io
torno a dire (e ne chieggo perdono): convien andar cauto a fidarsi de'
marmi del Gudio, dati alla luce pochi anni sono. A buon conto la prima
di quelle iscrizioni, che si dice data sotto questi consoli, è
patentemente falsa, perchè vi si parla delle _Terme Costantiniane_,
che certo non erano per anche nate. Ho io dunque dato ad esso _Orfito_
il prenome di _Servio_, perchè nelle iscrizioni rapportate dal
Panvinio e dal Grutero si legge SER. che significa _Servio_ e non
_Sergio_. Pensa il Noris[1042] che questo console s'abbia da appellare
_Sergio Vettio Scipione Orfito_. Del prenome ho parlato. Per conto del
nome di _Vettio_, lo reputo cosa dubbiosa. Anche lo Spon[1043]
rapporta un'iscrizione, in cui il secondo console è appellato _Sosio
Prisco_. Sarebbe da vedere, se quella fosse un'iscrizione sicura, in
cui comparisce un liberto di Tito Augusto, cioè di un principe morto
sessanta anni prima. In ogni caso col Fabretti si può immaginare
ch'egli fosse chiamato _Nonio Sosio Prisco_. In un mattone antico da
me rapportato[1044] egli vien chiamato _Priscino_, o per vezzo o per
distinguerlo da un altro _Prisco_. Parlando le medaglie[1045] di
quest'anno di una munificenza usata dall'imperadore Antonino al popolo
romano, stima il padre Pagi[1046] ciò fatto per la celebrazione dei
decennali dell'imperio cesareo di Marco Aurelio. Se sia vero, niuno lo
potrà dire. Piena avea la testa esso padre Pagi di quinquennali,
decennali, quindecennali, vicennali, ec. tutto riferendo ad essi; ma
non poco è da diffalcare dalle regole sue.
NOTE:
[1041] Reland., Fast. Consular.
[1042] Noris, Epist. Consulari.
[1043] Sponius, Section. III, num. 28.
[1044] Thesaur. Nov. Inscription., pag. 330, n. 3.
[1045] Mediobarbus, in Numism. Imperat.
[1046] Pagius, in Crit. Baron.
Anno di CRISTO CL. Indizione III.
ANICETO papa 1.
ANTONINO PIO imperadore 13.
_Consoli_
GALLICANO e VETERE.
Il prenome e nome di questi consoli son tuttavia incerti. Ha creduto
il Panvinio[1047], che il secondo si chiamasse _Cajo Antistio Vetere_,
perchè si trova sotto Domiziano un personaggio di tal nome. La
conghiettura è assai debole. Meno si può accordare al Tillemont[1048],
il chiamare il primo di questi consoli _Glabrione Gallicano_, e al
Bianchini[1049] l'appellarlo _Quinto Romulo Gallicano_, senza che essi
ne adducano pruove sufficienti. Nell'anno presente, secondo i conti
del medesimo Bianchini, passò a miglior vita _s. Pio_ pontefice
romano, coronato col martirio, e sulla cattedra di san Pietro fu posto
_Aniceto_. Truovansi medaglie battute in quest'anno dal senato e
popolo romano[1050], in cui vien dato ad Antonino Pio il titolo di
_Ottimo Principe_; e si dice che egli ha accresciuto il numero de'
cittadini. Ben giustamente si meritò questo imperadore un sì glorioso
titolo, perchè egli spendeva tutti i suoi pensieri e le sue
applicazioni per procurare il pubblico bene, tanto di Roma, quanto di
tutte le provincie dell'imperio romano[1051]. Sapeva egli esattamente
lo stato d'esse provincie, e quanto se ne ricavava. Raccomandava agli
esattori de' tributi di procedere senza rigore, molto più senza avanie
nel loro uffizio; e qualora mancavano a questo dovere, gli obbligava a
render conto rigorosamente della loro amministrazione. La porta e gli
orecchi suoi erano sempre aperti a chiunque si trovava aggravato da sì
fatti ministri, abborrendo egli troppo di arricchirsi colle lagrime e
coll'oppressione de' sudditi. Però sotto il suo regno furono ricche e
floride le provincie romane tutte. Che se ad alcuna incontravano
inevitabili disastri di carestie, tremuoti, epidemie e simili malanni,
si trovava in lui un'amorevol prontezza ad esentarle per un
convenevole tempo dalle imposte. Le sue maggiori premure riguardavano
la giustizia; e però quanto egli era attentissimo e indefesso nel
farla, tanto ancora si studiava di scegliere chi credeva abile ed
inclinato ad amministrarla agli altri. Chi più si distingueva in
questo, più veniva da lui amato e promesso a gradi maggiori. Molti
editti fece in bene del pubblico, servendosi de' più celebri
giurisconsulti d'allora, cioè di _Vinidio Vero_, _Salvio Valente_,
_Volusio_, _Metiano_, _Ulpio Marcello_ e _Jaboleno_. Vietò il
seppellire i morti nelle città, perchè doveva esser ito in disuso il
rigore delle antiche leggi. L'aggravio delle poste con savii
regolamenti fu da lui scemato. Probabilmente è di lui una legge,
citata da santo Agostino[1052], che non fu lecito al marito il volere
in giudizio gastigata la moglie per colpa di adulterio, quando
anch'egli fosse mancato di fedeltà verso della stessa. Se talun
veniva[1053] per proporgli qualche cosa utile al pubblico, con piacere
la ascoltava; e lo stesso allegro volto faceva a chiunque gli dava
qualche buon avviso, senza aversi a male che quei del suo consiglio
s'opponessero al di lui sentimento, nè che vi fossero persone, le
quali ingiustamente disapprovassero il governo suo. Molto ancora
onorava i veri filosofi: diede pensioni e privilegi per tutto
l'imperio romano, tanto ad essi che ai professori dell'eloquenza.
Sopportava poi que' filosofi, ch'erano tali solamente in apparenza, e
senza mai rimproverar loro la superbia od ipocrisia. E questo basti
per ora delle ragioni, per le quali si meritò Antonino Pio l'eminente
elogio di _Principe Ottimo_.
NOTE:
[1047] Panvinius, in Fastis Consul.
[1048] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[1049] Blanc., ad Anastas. Bibliothecar.
[1050] Mediobarbus, in Numism. Imperator.
[1051] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1052] August., de Adulter. Conjug., lib. 2, cap. 8.
[1053] Marcus Aurel., lib. 1, cap. 16, de Rebus suis.
Anno di CRISTO CLI. Indizione IV.
ANICETO papa 2.
ANTONINO PIO imperadore 14.
_Consoli_
SESTO QUINTILIO CONDIANO e SESTO QUINTILIO MASSIMO.
Senza i prenomi di _Sesto_, il Pagi e il Relando ed altri aveano
proposto i consoli presenti. Loro l'ho aggiunto io in vigore
d'un'iscrizione che si legge nella mia Raccolta[1054]. Nuovo non è,
che due fratelli portino il medesimo prenome. Il cognome o sia
soprannome li distingueva. Nelle medaglie di Antonino Pio[1055]
spettanti all'anno presente, è fatta menzione dell'_Annona_, cioè
della provvision di grani, fatta dal buon imperadore per sollievo del
popolo romano. Se ne trova menzione anche sotto altri anni. Ben
sollecito in sì importante affare fu Antonino Augusto[1056],
trattandosi di provvedere di vitto all'immenso popolo allora abitante
in Roma. Un anno ancora vi fu, in cui si patì una grave carestia.
Servì questa a far meglio conoscere il generoso ed amorevol cuore del
principe. Abbondante provvision da ogni parte fece egli di grano e
d'olio e di vino colla sua propria borsa, e tutto gratuitamente donò
al suo popolo. Pareva che questo imperadore inclinasse troppo al
risparmio, e quasi all'avarizia; ma ciò che veniva disapprovato
dall'ignorante popolo, nell'estimazion de' saggi era uno de' suoi più
begli elogi. Levò egli via moltissime pensioni date da Adriano a delle
persone inutili, con dire, _che era cosa indegna, anzi crudele, il
lasciar divorare il pubblico da chi non gli prestava servigio alcuno.
A Mesomede Candiotto_, poeta e sonator di lira, che dovea essere ben
eccellente nell'arte sua, perchè di lui parlano con lode Eusebio[1057]
e Suida, sminuì Antonino il salario. Vendè ancora vari addobbi ed
altre cose superflue de' palazzi imperiali, ed alcuni poderi ancora:
del che probabilmente si fecero molte dicerie. Pure tutto ciò era per
pubblico bene, e non per ammassar tesori, perchè Antonino in occasione
magnificamente spendea, se così richiedeva il bene e il bisogno della
repubblica, e il risparmio suo tendeva al non aggravar mai di nuove
imposte i popoli. Se dice il vero Zonara[1058], occorrendo qualche
guerra, o pur altro bisogno di regalare i soldati, non richiedeva egli
danari da alcuno, non imponeva gabelle; ma, messi pubblicamente
all'incanto gli ornamenti del palazzo, e fin le gioie ed altri arredi
della moglie Augusta, col ricavato soddisfacea i soldati. Passata poi
quella necessità, procurava di ricuperar le cose preziose vendute, con
rifonderne il prezzo. Alcuni le restituivano; ma altri no, senza che
Antonino se ne sdegnasse, nè inquietasse per questo i compratori. Noi
vedremo all'anno 170, che Marco Aurelio suo successore fece lo stesso,
talmente che si può fondatamente sospettare che Zonara si sia
ingannato attribuendo questo fatto glorioso ad Antonino Pio, quando
esso unicamente si può credere di Marco Aurelio Antonino. Guardossi
egli sempre dall'imprendere alcun viaggio lungo. Il suo andar più
lontano era nella Campania e alle terre che possedeva nelle vicinanze
di Roma; perchè diceva di sapere quanto costasse ai popoli la corte
d'un imperadore in viaggio, ancorchè egli camminasse con poco seguito.
Doveva ben esso Augusto avere inteso i lamenti delle città per li
tanti viaggi fatti da Adriano, o pure da Domiziano. E quanto egli
fosse alieno dal succiar il sangue de' sudditi, lo fece ben
vedere[1059] con levar via tutti gli accusatori che abbondavano in
altri tempi, perchè toccava loro la quarta parte delle condanne. Però
sotto di lui il fisco fece poche faccende. Avea questo usato in
addietro d'ingojar le sostanze di quei governatori, giudici ed altri
ministri, contra de' quali o le comunità o i privati avessero
intentate querele per danari indebitamente presi nel loro uffizio;
Antonino restituì ai loro figliuoli i beni confiscati, con obbligo
nondimeno di rifare ai provinciali il danno ad essi dato. Nè egli fu
mai veduto accettar eredità a lui lasciate da chi avea de' figliuoli.
Se s'ha da credere a Zonara[1060], egli bruciò ed abolì il
senatusconsulto fatto da Giulio Cesare, con cui era proibito il far
testamento, in cui non fosse lasciata all'erario della repubblica una
determinata parte dell'eredità. Parla anche Pausania[1061] d'una
legge, per cui chi avea la cittadinanza romana per privilegio, senza
che questa si stendesse ai suoi figliuoli, l'eredità sua dovea passare
ad altri cittadini, o pure al fisco, restandone privi essi suoi
figliuoli. Ma Antonino più riguardo avendo alle leggi dell'umanità,
che all'altre inventate dall'avarizia de' principi cattivi, volle che
ne' loro figli passasse l'eredità paterna.
NOTE:
[1054] Thesaur. Novus Inscript., pag. 330, n. 5.
[1055] Mediobarb., in Numism. Imper.
[1056] Capitol., in Antonino Pio.
[1057] Eusebius, in Chron.
[1058] Zonaras, in Annal.
[1059] Capitolin., in Antonino Pio.
[1060] Zonar., in Annal.
[1061] Pausanias, lib. 8.
Anno di CRISTO CLII. Indizione V.
ANICETO papa 3.
ANTONINO PIO imperadore 15.
_Consoli_
MARCO ACILIO GLABRIONE e MARCO VALERIO OMULO o sia OMULLO.
Questo _Omulo_ o _Omullo_, console, quel medesimo è che abbiam veduto
di sopra, di genio satirico e maligno. Può essere che Antonino non
avesse a male la libertà del di lui parlare, anzi prendesse per
buffonerie gustose i di lui motti piccanti, o pure che coi benefizii
volesse guadagnar la di lui tagliente lingua in suo favore. Da molti
letterati vien creduta data in quest'anno la lettera[1062] di Antonino
Pio a varie città dell'Asia in favor dei cristiani, comandando di non
inferir loro molestia per cagion della loro religione, ma solamente in
caso d'altri delitti vietati dalla legge comune. Altri han preteso
ch'essa lettera sia di _Marco Aurelio_ Augusto, e però spettante agli
anni del suo imperio. Certo è che si parla in essa di vari tremuoti
accaduti allora nell'Asia, de' quali i ciechi o nemici Gentili soleano
sempre accagionare la religion cristiana. Ora Capitolino[1063] lasciò
scritto, che, regnando Antonino Pio, varie disavventure pubbliche
accaddero, cioè la fame, di cui abbiam parlato, e la rovina del Circo,
un fiero tremuoto, per cui molte città e terre dell'isola di Rodi e
dell'Asia furono atterrate. In Roma un terribile incendio consumò
trecento quaranta tra isole e case. Per isole si crede che gli antichi
appellassero le case separate dall'altre; con tale opinione pare che
non s'accordi la descrizion di Roma a noi venuta da Publio Vittore,
perchè ivi sono attribuite a quella gran città _Insulae per totam
Urbem XLVI Millia et DCCII_, e solamente _Domus MDCCXC_. Col nome di
_Domus_ paiono indicati quei che ora chiamiamo _palazzi_; col nome
d'_isole_ le ordinarie case del popolo romano, l'una dall'altra
distinte, ma insieme coi muri unite. Anche le città di Narbona e di
Antiochia, e la gran piazza di Cartagine, rimasero maltrattate da un
somigliante flagello del fuoco. Parla Ancora Zonara[1064] de' tremuoti
succeduti allora, che rovesciarono varie città della Bitinia e
dell'Ellesponto, con abbattere specialmente il tempio di Cizico,
creduto il più grande e il più bello che fosse allora in Asia.
Servirono queste pubbliche sciagure a far maggiormente risplendere la
liberalità di Antonino Pio; perchè a sue spese furono rifatte varie di
quelle città, o pure contribuì egli non poco per aiutare i popoli a
rifarle. Aristide[1065], sofista celebre, attesta che il gran tempio
di Cizico fu poi terminato sotto l'impero di Marco Aurelio Augusto.
NOTE:
[1062] Eusebius, Hist. Eccles., lib. 4, c. 13.
[1063] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1064] Zonaras, in Annal.
[1065] Aristid., Oration. 16.
Anno di CRISTO CLIII. Indizione VI.
ANICETO papa 4.
ANTONINO PIO imperad. 16.
_Consoli_
CAJO BRUTTIO PRESENTE e AULO GIUNIO RUFINO.
Perchè le medaglie[1066] coniate nell'anno presente ci fanno vedere la
Vittoria che mette in capo all'imperadore una corona d'alloro,
possiamo ben conghietturare che in questi tempi avessero qualche
guerra i Romani, benchè non apparisca che Antonino prendesse se non
due volte il nome d'_imperadore_, significante Vincitore. Scrive
Capitolino[1067], aver egli amata sommamente la pace, con andare in
varie occasioni ripetendo quel detto di Scipione, _che gli era più
caro di salvare un sol cittadino romano, che di uccidere mille
nemici_. Ma altro è l'amar la pace, ed altro non aver guerra. Anche i
principi di genio pacifico sono talvolta, loro malgrado, costretti a
guerreggiare, e se Antonino non andò mai in persona alla guerra, vi
mandò bene i generali suoi. Già abbiamo accennata di sopra quella
della Bretagna, felicemente compiuta da _Lollio Urbico_. Abbiamo dallo
stesso Capitolino, che questo Augusto mandò delle sue milizie in
soccorso degli Olbiopoliti, che erano in guerra coi Taurosciti verso
il Ponto, e colla forza dell'armi obbligò que' barbari a dar degli
ostaggi agli Olbiopoliti. Da san Giustino[1068] si può inoltre
dedurre, che avendo fatto i Giudei qualche nuova ribellion nel loro
paese, furono messi in dovere dalle armi di Antonino Augusto. Di
maggiori notizie intorno a ciò non abbiamo, perchè son perite le
antiche storie. Per altro attesta Capitolino, che questo imperadore
non mai volontariamente, ma per non potere di meno, fece moltissime
guerre, valendosi in esse de' suoi legati, o sia de' suoi
luogotenenti. E a lui pare che si possa più credere che ad Aurelio
Vittore[1069], il quale scrive, aver Antonino senza guerra alcuna
governato per ventitrè anni il romano imperio.
NOTE:
[1066] Mediobarbus, in Numism. Imper.
[1067] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1068] Justinus, in Dialog. contra Triphon.
[1069] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CLIV. Indizione VII.
ANICETO papa 5.
ANTONINO PIO imperad. 17.
_Consoli_
LUCIO ELIO AURELIO COMMODO e TITO SESTIO LATERANO.
Il secondo console, cioè _Laterano_, è chiamato da Capitolino[1070]
_Sestilio Laterano_, e in un'iscrizione greca presso il Grutero, _Tito
Sestio Laterano_. Perchè il cardinal Noris[1071] trovò _Lucio Sestio
Sestino Laterano_ console trecento sessantasei anni prima dell'Era
cristiana, conchiuse egli, che _Sestio_ e non _Sestilio_ fosse il nome
ancora di questo console. Ma non toglie ogni dubbio cotale
osservazione; e potrebbe anche nascere sospetto, se il marmo greco del
Grutero fosse assai esattamente copiato. A buon conto il
Panvinio[1072] ne cita un altro latino, in cui leggiamo _Sestilio
Laterano_, ed _Aquilio Orfito Consoli_: il che s'accorda col testo di
Capitolino. Vien qui portata dal Relando[1073] un'iscrizione del
Gudio, dove questo console si vede appellato _Sestio Sestilio
Laterano_. Ma non si può far fondamento sopra i marmi del Gudio. Il
prenome di _Sesto_ combatte coll'iscrizion gruteriana. Quivi si
trovano _Cassari_, artefici di nome sospetto, e _Scambillari_, che
certo dovrebb'essere _Scabilluri_. Forse perchè il Gudio, uomo
dottissimo, s'avvide che non erano sicuri tutti i marmi ch'egli aveva
raccolti, non li volle mai pubblicare in sua vita. S'è poi trovato chi
meno scrupoloso di lui gli ha dati dopo la sua morte alle stampe. Il
console primo ordinario di quest'anno è _Lucio Elio Aurelio Commodo_,
quel medesimo che fu adottato da Antonino Pio[1074], nè avea altro
onorifico titolo, che quello di _figliuolo dell'imperadore_. L'aveva
il padre promosso alla questura nel precedente anno, nella qual carica
diede al popolo, ma con denaro paterno, il divertimento di uno
spettacolo di gladiatori, ed ebbe l'onore di sedere in mezzo
all'imperadore e a Marco Aurelio Cesare suo fratello. Aveva egli
passati i verdi suoi anni nello studio delle lettere, non avendo
tralasciato il buon Antonino di procurargli tutti i mezzi convenevoli
per una buona educazione, affinchè divenisse un valentuomo. Gli
assegnò egli per aio _Nicomede_, e per maestri nella grammatica latina
_Scauro_, figliuolo di quello _Scauro_ ch'era stato grammatico di
Adriano; nella grammatica greca _Telefo_, _Efestione_ ed
_Arprocazione_; nella retorica greca _Apollonio Caninio Celere_ ed
_Erode Attico_, da noi veduto console; nella retorica latina _Cornelio
Frontone_, anch'esso uomo consolare: e nella filosofia stoica
_Apollonio_, della cui albagia si parlò di sopra, e _Sesto_ anch'esso
celebre filosofo di que' tempi. Tuttochè Lucio Commodo non avesse gran
testa per profittar nelle lettere, egli portò un singolar amore a
tutti questi suoi maestri, ed essi non meno amarono lui. Imparò a far
versi e a compor delle orazioni; e riuscì miglior oratore che poeta,
o, per dir meglio, fu più cattivo poeta che retorico. Dilettavasi
egli, più che delle lettere, del lusso, delle delizie, di aver buona
conversazione di gente allegra, di andare a caccia, di far altri
esercizii cavallereschi, e sopra tutto di assistere ai giuochi
circensi ed ai combattimenti de' gladiatori. Tale era Lucio Commodo,
che vedremo fra pochi anni imperadore, ed appellato _Lucio Vero_. Si
raccoglie poi dalle medaglie[1075], che in quest'anno l'Augusto
Antonino fu _liberale per la settima volta_ verso il popolo romano con
qualche conciario, o sia donativo a lui fatto. Questo era l'uso
degl'imperadori, per tenerlo contento, e fargli dimenticare di avere
una volta avuto tanta parte nel governo e nella padronanza.
NOTE:
[1070] Capitol., in Lucio Vero.
[1071] Noris, Epist. Consulari.
[1072] Panvin., Fast. Consular.
[1073] Reland., Fast. Consular.
[1074] Capitol., in Lucio Vero.
[1075] Mediobarbus, in Numismat. Imp.
Anno di CRISTO CLV. Indizione VIII.
ANICETO papa 6.
ANTONINO PIO imperad. 18.
_Consoli_
CAJO GIULIO SEVERO e MARCO GIUNIO RUFINO SABINIANO.
Ho io aggiunto il nome di _Giunio_ al secondo console, fondato sopra
un'iscrizione pubblicata dal Doni, e posta ancora nella mia
raccolta[1076]. Molti furono ancora in questi tempi consoli
straordinari, o vogliam dire i sostituti agli ordinari; ma quai
fossero, e in qual anno maneggiassero i fasci consolari, ci mancano
memorie da poterlo chiarire. Pare bensì che si raccolga da
un'iscrizione, recata dal Panvinio[1077] e dal Grutero[1078], che nel
dì 5 novembre del presente anno fossero consoli sostituiti _Anzio
Pollione_ ed _Opimiano_. Ma con questo marmo parrebbe che facesse
guerra un altro pubblicato dal medesimo Panvinio, in cui nel dì 5 di
dicembre si veggono tuttavia consoli _Severo_ e _Sabiniano_, se non
sapessimo che gli atti pubblici erano per lo più segnati col nome de'
consoli ordinari, senza far caso de' sostituiti. Una medaglia[1079]
discepolo di andar a trovare il maestro, e non già al maestro di
andare al discepolo_. In somma l'essere dotto e prudente non è lo
stesso: e pur troppo il sapere suol mandare de' fumi alla testa. Si
mise a ridere Antonino, e disse: _Mirate che bel capriccio! A costui
non è incresciuto di venir sì da lontano a Roma, ed ora gl'incresce di
venir solamente dalla sua casa al palazzo._ Contuttociò permise che
Marco Aurelio andasse a prendere le lezioni, dove Apollonio volle, e
durò fatica a contentar costui nel salario. Un saggio ancora della sua
mansuetudine diede il buon Antonino nel visitar che fece la casa di
_Valerio Omulo_[1029]. Al vedere le belle colonne di porfido, delle
quali essa era ornata, se ne maravigliò, e dimandò onde le avesse
avute. Omulo, in vece di gradire la stima che facea un imperadore
degli ornamenti di sua casa, sgarbatamente gli rispose: _In casa
d'altri si ha da essere mutolo e sordo._ Tanto questa impertinenza,
quanto altri motti pungenti del medesimo Omulo, persona satirica e
maligna, sopportò sempre con pazienza il buon imperadore Antonino,
senza far valere giammai i diritti della maestà imperiale, e senza
farne mai vendetta.
NOTE:
[1023] Marcus Aur., de rebus suis, lib. 1, §. 26.
[1024] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1025] Eutrop., in Breviar.
[1026] Philostrat., in Sophistis.
[1027] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1028] Lucianus, in Demonacte.
[1029] Capitolinus, in Antonino Pio.
Anno di CRISTO CXLVII. Indizione XV.
PIO papa 6.
ANTONINO PIO imperadore 10.
_Consoli_
LARGO e MESSALINO.
Cresceva ogni dì più l'affetto di Antonino Pio verso di _Marco Aurelio
Cesare_, non solamente perchè figliuolo suo adottivo e marito di
_Faustina_ sua figlia, ma perchè scopriva in lui ben radicata la
saviezza con altre virtù che insegnava la filosofia di quei tempi, e
per le quali meritò poi di essere appellato _Marco Aurelio Antonino il
Filosofo_. Avendogli appunto[1030] Faustina partorita una figliuola,
cioè _Lucilla_, maritata poi con _Lucio Commodo_, o sia _Lucio Vero_,
da che divenne Augusto, volle Antonino Pio esaltar maggiormente
l'amato suo genero e figliuolo, conferendogli in questo anno la
_Tribunizia Podestà_, _l'imperio proconsolare_ fuori di Roma, e il
diritto di far cinque relazioni in qualsivoglia senato. Pretende il
padre Pagi[1031], che Marco Aurelio fosse in quest'anno ancora
dichiarato _Imperadore_ e _Collega dell'Imperio_ con suo padre
Antonino. Il cardinal Noris pretese di no, e par ben più sicura la di
lui opinione. Il gius della quinta relazione, conferito a Marco
Aurelio, non conveniva ad un imperadore, la cui autorità non era
ristretta, ma si stendeva a quello che gli piaceva. Scrive inoltre
Capitolino, che quel maligno uomo di _Valerio Omulo_, di cui poco fa
si è parlato, osservata un giorno _Domizia Calvilla_, madre di Marco
Aurelio, la quale, dopo il presente anno, venerava in un giardino la
statua di Apollo, disse sotto voce ad Antonino: _Colei prega ora, che
tu chiuda gli occhi, e suo figliuolo sia imperadore._ Non ne fece
alcun caso l'imperadore; tanto era conosciuta la probità di Marco
Aurelio, tanta era la modestia nel _principato imperatorio_; le quali
ultime parole non si sa se si abbiano da riferire a Marco Aurelio,
oppure ad Antonino stesso, regnante con tal moderazione, che non
credeva dovergli alcuno augurare la morte. Pareva ancora che Antonino
Pio portasse affetto all'altro suo figliuolo adottivo, cioè a Lucio
Commodo[1032]; ma era ben differente il calibro di questo amore.
Imperciocchè finchè visse, il lasciò sempre nello stato di persona
privata, senza mai conferirgli il titolo di _Cesare_, nè altra
dignità, per cui apparisse che destinava ancor lui all'imperio. Era
egli solamente appellato _Figliuolo dell'Imperadore_, e quando
Antonino usciva in campagna, Lucio Commodo non andava in carrozza col
padre, ma bensì nel cocchio del capitan delle guardie. Tuttociò
chiaramente apparisce da quanto ne scrisse Capitolino; falsa perciò o
adultera si può credere qualche medaglia o iscrizione, che sembra
insinuare il contrario[1033]. Conosceva assai Antonino Pio i difetti
di questo giovinetto, ma non lasciava di compatirlo, ed amava in lui
la semplicità dell'ingegno, e l'andar egli alla buona nella sua
maniera di vivere. Abbiamo dalla cronica alessandrina[1034] che
nell'anno presente Antonino Pio esercitò la sua liberalità verso i
debitori del Fisco, con rimettere loro tutto il debito, e bruciar
pubblicamente le cedole delle loro obbligazioni. Ancor questo possiam
conghietturare fatto per solennizzar maggiormente la promozion
predetta di Marco Aurelio a maggiori onori. Correndo intanto l'anno
novecentesimo dalla fondazion di Roma, sono stati di parere alcuni
dotti uomini che nell'anno presente si celebrassero in Roma i giuochi
secolari con somma magnificenza. L'ha negato il padre Pagi. Ma Aurelio
Vittore[1035], secondo l'edizione del padre Scotto, può abbastanza
assicurarcene in dicendo: _Celebrato magnifice Urbis nongentesimo._
NOTE:
[1030] Capitolinus, in Marco Aurel.
[1031] Pagius, in Crit. Baron.
[1032] Capitolinus, in Lucio Vero.
[1033] Tillemont, Mémoires des Empereurs. Pagius, Crit. Baron.
[1034] Chron. Pascale, Histor. Byzantin.
[1035] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CXLVIII. Indizione I.
PIO papa 7.
ANTONINO PIO imperadore 11.
_Consoli_
LUCIO TORQUATO per la terza volta, e MARCO SALVIO GIULIANO.
Pietro Relando[1036], accuratissimo illustratore dei Fasti consolari
dell'anno 146 dell'Era Cristiana sino al fine, chiama il secondo
console _Cajo Giuliano Vetere_, ricavandolo da un'iscrizione riferita
dal Gudio. Ma converrebbe prima accertarsi, se le tante iscrizioni
pubblicate dal Gudio fossero tutte di buon conio ed esenti da ogni
sospetto: il che non sarà sì facile. Quanto a me vo' giudicando più
sicuro partito il chiamar questo console _Marco Salvio Giuliano_,
giurisconsulto celebratissimo di questi tempi, milanese di patria,
perchè tale si trova appellato in una iscrizione da me data alla
luce[1037], e perchè sappiamo da Sparziano[1038], esser egli stato
console due volte. Se il console dell'anno presente fosse stato _Cajo
Giuliano Vetere_, l'anno sarebbe stato notato _Torquato et Vetere
Coss._ perchè l'ultimo cognome o soprannome soleva enunziarsi, secondo
l'uso più familiare d'allora. Ma in tutt'i fasti antichi noi troviamo
solamente _Torquato et Juliano Coss._ Forse anche si può dubitare, se
questo _Torquato_ fosse appellato console _per la terza volta_. Che in
quest'anno si celebrassero in Roma i decennali di Antonino Pio
Augusto, chiaramente apparisce dalle medaglie[1039] che ne parlano e
rammentano i voti pubblici fatti per la di lui salute. Crede il padre
Pagi[1040], che nell'anno presente _san Giustino_ presentasse ad
Antonino Pio la sua prima apologia, creduta un pezzo la seconda, in
difesa della religione cristiana.
NOTE:
[1036] Reland., Fast. Consular.
[1037] Thesaurus Novus Inscript., p. 329, n. 3.
[1038] Spartianus, in Didio Juliano.
[1039] Mediobarb., in Numism. Imperator.
[1040] Pagius, Crit. Baron.
Anno di CRISTO CXLIX. Indizione II.
PIO papa 8.
ANTONINO PIO imperadore 12.
_Consoli_
SERVIO SCIPIONE ORFITO e QUINTO NONIO PRISCO.
Se crediamo al Relando[1041], il primo console fu _Sergio Scipione
Orfito_; in prova di che egli cita quattro iscrizioni della Raccolta
di Marquardo Gudio, nelle quali chiaramente si legge _Sergio_. Ma io
torno a dire (e ne chieggo perdono): convien andar cauto a fidarsi de'
marmi del Gudio, dati alla luce pochi anni sono. A buon conto la prima
di quelle iscrizioni, che si dice data sotto questi consoli, è
patentemente falsa, perchè vi si parla delle _Terme Costantiniane_,
che certo non erano per anche nate. Ho io dunque dato ad esso _Orfito_
il prenome di _Servio_, perchè nelle iscrizioni rapportate dal
Panvinio e dal Grutero si legge SER. che significa _Servio_ e non
_Sergio_. Pensa il Noris[1042] che questo console s'abbia da appellare
_Sergio Vettio Scipione Orfito_. Del prenome ho parlato. Per conto del
nome di _Vettio_, lo reputo cosa dubbiosa. Anche lo Spon[1043]
rapporta un'iscrizione, in cui il secondo console è appellato _Sosio
Prisco_. Sarebbe da vedere, se quella fosse un'iscrizione sicura, in
cui comparisce un liberto di Tito Augusto, cioè di un principe morto
sessanta anni prima. In ogni caso col Fabretti si può immaginare
ch'egli fosse chiamato _Nonio Sosio Prisco_. In un mattone antico da
me rapportato[1044] egli vien chiamato _Priscino_, o per vezzo o per
distinguerlo da un altro _Prisco_. Parlando le medaglie[1045] di
quest'anno di una munificenza usata dall'imperadore Antonino al popolo
romano, stima il padre Pagi[1046] ciò fatto per la celebrazione dei
decennali dell'imperio cesareo di Marco Aurelio. Se sia vero, niuno lo
potrà dire. Piena avea la testa esso padre Pagi di quinquennali,
decennali, quindecennali, vicennali, ec. tutto riferendo ad essi; ma
non poco è da diffalcare dalle regole sue.
NOTE:
[1041] Reland., Fast. Consular.
[1042] Noris, Epist. Consulari.
[1043] Sponius, Section. III, num. 28.
[1044] Thesaur. Nov. Inscription., pag. 330, n. 3.
[1045] Mediobarbus, in Numism. Imperat.
[1046] Pagius, in Crit. Baron.
Anno di CRISTO CL. Indizione III.
ANICETO papa 1.
ANTONINO PIO imperadore 13.
_Consoli_
GALLICANO e VETERE.
Il prenome e nome di questi consoli son tuttavia incerti. Ha creduto
il Panvinio[1047], che il secondo si chiamasse _Cajo Antistio Vetere_,
perchè si trova sotto Domiziano un personaggio di tal nome. La
conghiettura è assai debole. Meno si può accordare al Tillemont[1048],
il chiamare il primo di questi consoli _Glabrione Gallicano_, e al
Bianchini[1049] l'appellarlo _Quinto Romulo Gallicano_, senza che essi
ne adducano pruove sufficienti. Nell'anno presente, secondo i conti
del medesimo Bianchini, passò a miglior vita _s. Pio_ pontefice
romano, coronato col martirio, e sulla cattedra di san Pietro fu posto
_Aniceto_. Truovansi medaglie battute in quest'anno dal senato e
popolo romano[1050], in cui vien dato ad Antonino Pio il titolo di
_Ottimo Principe_; e si dice che egli ha accresciuto il numero de'
cittadini. Ben giustamente si meritò questo imperadore un sì glorioso
titolo, perchè egli spendeva tutti i suoi pensieri e le sue
applicazioni per procurare il pubblico bene, tanto di Roma, quanto di
tutte le provincie dell'imperio romano[1051]. Sapeva egli esattamente
lo stato d'esse provincie, e quanto se ne ricavava. Raccomandava agli
esattori de' tributi di procedere senza rigore, molto più senza avanie
nel loro uffizio; e qualora mancavano a questo dovere, gli obbligava a
render conto rigorosamente della loro amministrazione. La porta e gli
orecchi suoi erano sempre aperti a chiunque si trovava aggravato da sì
fatti ministri, abborrendo egli troppo di arricchirsi colle lagrime e
coll'oppressione de' sudditi. Però sotto il suo regno furono ricche e
floride le provincie romane tutte. Che se ad alcuna incontravano
inevitabili disastri di carestie, tremuoti, epidemie e simili malanni,
si trovava in lui un'amorevol prontezza ad esentarle per un
convenevole tempo dalle imposte. Le sue maggiori premure riguardavano
la giustizia; e però quanto egli era attentissimo e indefesso nel
farla, tanto ancora si studiava di scegliere chi credeva abile ed
inclinato ad amministrarla agli altri. Chi più si distingueva in
questo, più veniva da lui amato e promesso a gradi maggiori. Molti
editti fece in bene del pubblico, servendosi de' più celebri
giurisconsulti d'allora, cioè di _Vinidio Vero_, _Salvio Valente_,
_Volusio_, _Metiano_, _Ulpio Marcello_ e _Jaboleno_. Vietò il
seppellire i morti nelle città, perchè doveva esser ito in disuso il
rigore delle antiche leggi. L'aggravio delle poste con savii
regolamenti fu da lui scemato. Probabilmente è di lui una legge,
citata da santo Agostino[1052], che non fu lecito al marito il volere
in giudizio gastigata la moglie per colpa di adulterio, quando
anch'egli fosse mancato di fedeltà verso della stessa. Se talun
veniva[1053] per proporgli qualche cosa utile al pubblico, con piacere
la ascoltava; e lo stesso allegro volto faceva a chiunque gli dava
qualche buon avviso, senza aversi a male che quei del suo consiglio
s'opponessero al di lui sentimento, nè che vi fossero persone, le
quali ingiustamente disapprovassero il governo suo. Molto ancora
onorava i veri filosofi: diede pensioni e privilegi per tutto
l'imperio romano, tanto ad essi che ai professori dell'eloquenza.
Sopportava poi que' filosofi, ch'erano tali solamente in apparenza, e
senza mai rimproverar loro la superbia od ipocrisia. E questo basti
per ora delle ragioni, per le quali si meritò Antonino Pio l'eminente
elogio di _Principe Ottimo_.
NOTE:
[1047] Panvinius, in Fastis Consul.
[1048] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[1049] Blanc., ad Anastas. Bibliothecar.
[1050] Mediobarbus, in Numism. Imperator.
[1051] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1052] August., de Adulter. Conjug., lib. 2, cap. 8.
[1053] Marcus Aurel., lib. 1, cap. 16, de Rebus suis.
Anno di CRISTO CLI. Indizione IV.
ANICETO papa 2.
ANTONINO PIO imperadore 14.
_Consoli_
SESTO QUINTILIO CONDIANO e SESTO QUINTILIO MASSIMO.
Senza i prenomi di _Sesto_, il Pagi e il Relando ed altri aveano
proposto i consoli presenti. Loro l'ho aggiunto io in vigore
d'un'iscrizione che si legge nella mia Raccolta[1054]. Nuovo non è,
che due fratelli portino il medesimo prenome. Il cognome o sia
soprannome li distingueva. Nelle medaglie di Antonino Pio[1055]
spettanti all'anno presente, è fatta menzione dell'_Annona_, cioè
della provvision di grani, fatta dal buon imperadore per sollievo del
popolo romano. Se ne trova menzione anche sotto altri anni. Ben
sollecito in sì importante affare fu Antonino Augusto[1056],
trattandosi di provvedere di vitto all'immenso popolo allora abitante
in Roma. Un anno ancora vi fu, in cui si patì una grave carestia.
Servì questa a far meglio conoscere il generoso ed amorevol cuore del
principe. Abbondante provvision da ogni parte fece egli di grano e
d'olio e di vino colla sua propria borsa, e tutto gratuitamente donò
al suo popolo. Pareva che questo imperadore inclinasse troppo al
risparmio, e quasi all'avarizia; ma ciò che veniva disapprovato
dall'ignorante popolo, nell'estimazion de' saggi era uno de' suoi più
begli elogi. Levò egli via moltissime pensioni date da Adriano a delle
persone inutili, con dire, _che era cosa indegna, anzi crudele, il
lasciar divorare il pubblico da chi non gli prestava servigio alcuno.
A Mesomede Candiotto_, poeta e sonator di lira, che dovea essere ben
eccellente nell'arte sua, perchè di lui parlano con lode Eusebio[1057]
e Suida, sminuì Antonino il salario. Vendè ancora vari addobbi ed
altre cose superflue de' palazzi imperiali, ed alcuni poderi ancora:
del che probabilmente si fecero molte dicerie. Pure tutto ciò era per
pubblico bene, e non per ammassar tesori, perchè Antonino in occasione
magnificamente spendea, se così richiedeva il bene e il bisogno della
repubblica, e il risparmio suo tendeva al non aggravar mai di nuove
imposte i popoli. Se dice il vero Zonara[1058], occorrendo qualche
guerra, o pur altro bisogno di regalare i soldati, non richiedeva egli
danari da alcuno, non imponeva gabelle; ma, messi pubblicamente
all'incanto gli ornamenti del palazzo, e fin le gioie ed altri arredi
della moglie Augusta, col ricavato soddisfacea i soldati. Passata poi
quella necessità, procurava di ricuperar le cose preziose vendute, con
rifonderne il prezzo. Alcuni le restituivano; ma altri no, senza che
Antonino se ne sdegnasse, nè inquietasse per questo i compratori. Noi
vedremo all'anno 170, che Marco Aurelio suo successore fece lo stesso,
talmente che si può fondatamente sospettare che Zonara si sia
ingannato attribuendo questo fatto glorioso ad Antonino Pio, quando
esso unicamente si può credere di Marco Aurelio Antonino. Guardossi
egli sempre dall'imprendere alcun viaggio lungo. Il suo andar più
lontano era nella Campania e alle terre che possedeva nelle vicinanze
di Roma; perchè diceva di sapere quanto costasse ai popoli la corte
d'un imperadore in viaggio, ancorchè egli camminasse con poco seguito.
Doveva ben esso Augusto avere inteso i lamenti delle città per li
tanti viaggi fatti da Adriano, o pure da Domiziano. E quanto egli
fosse alieno dal succiar il sangue de' sudditi, lo fece ben
vedere[1059] con levar via tutti gli accusatori che abbondavano in
altri tempi, perchè toccava loro la quarta parte delle condanne. Però
sotto di lui il fisco fece poche faccende. Avea questo usato in
addietro d'ingojar le sostanze di quei governatori, giudici ed altri
ministri, contra de' quali o le comunità o i privati avessero
intentate querele per danari indebitamente presi nel loro uffizio;
Antonino restituì ai loro figliuoli i beni confiscati, con obbligo
nondimeno di rifare ai provinciali il danno ad essi dato. Nè egli fu
mai veduto accettar eredità a lui lasciate da chi avea de' figliuoli.
Se s'ha da credere a Zonara[1060], egli bruciò ed abolì il
senatusconsulto fatto da Giulio Cesare, con cui era proibito il far
testamento, in cui non fosse lasciata all'erario della repubblica una
determinata parte dell'eredità. Parla anche Pausania[1061] d'una
legge, per cui chi avea la cittadinanza romana per privilegio, senza
che questa si stendesse ai suoi figliuoli, l'eredità sua dovea passare
ad altri cittadini, o pure al fisco, restandone privi essi suoi
figliuoli. Ma Antonino più riguardo avendo alle leggi dell'umanità,
che all'altre inventate dall'avarizia de' principi cattivi, volle che
ne' loro figli passasse l'eredità paterna.
NOTE:
[1054] Thesaur. Novus Inscript., pag. 330, n. 5.
[1055] Mediobarb., in Numism. Imper.
[1056] Capitol., in Antonino Pio.
[1057] Eusebius, in Chron.
[1058] Zonaras, in Annal.
[1059] Capitolin., in Antonino Pio.
[1060] Zonar., in Annal.
[1061] Pausanias, lib. 8.
Anno di CRISTO CLII. Indizione V.
ANICETO papa 3.
ANTONINO PIO imperadore 15.
_Consoli_
MARCO ACILIO GLABRIONE e MARCO VALERIO OMULO o sia OMULLO.
Questo _Omulo_ o _Omullo_, console, quel medesimo è che abbiam veduto
di sopra, di genio satirico e maligno. Può essere che Antonino non
avesse a male la libertà del di lui parlare, anzi prendesse per
buffonerie gustose i di lui motti piccanti, o pure che coi benefizii
volesse guadagnar la di lui tagliente lingua in suo favore. Da molti
letterati vien creduta data in quest'anno la lettera[1062] di Antonino
Pio a varie città dell'Asia in favor dei cristiani, comandando di non
inferir loro molestia per cagion della loro religione, ma solamente in
caso d'altri delitti vietati dalla legge comune. Altri han preteso
ch'essa lettera sia di _Marco Aurelio_ Augusto, e però spettante agli
anni del suo imperio. Certo è che si parla in essa di vari tremuoti
accaduti allora nell'Asia, de' quali i ciechi o nemici Gentili soleano
sempre accagionare la religion cristiana. Ora Capitolino[1063] lasciò
scritto, che, regnando Antonino Pio, varie disavventure pubbliche
accaddero, cioè la fame, di cui abbiam parlato, e la rovina del Circo,
un fiero tremuoto, per cui molte città e terre dell'isola di Rodi e
dell'Asia furono atterrate. In Roma un terribile incendio consumò
trecento quaranta tra isole e case. Per isole si crede che gli antichi
appellassero le case separate dall'altre; con tale opinione pare che
non s'accordi la descrizion di Roma a noi venuta da Publio Vittore,
perchè ivi sono attribuite a quella gran città _Insulae per totam
Urbem XLVI Millia et DCCII_, e solamente _Domus MDCCXC_. Col nome di
_Domus_ paiono indicati quei che ora chiamiamo _palazzi_; col nome
d'_isole_ le ordinarie case del popolo romano, l'una dall'altra
distinte, ma insieme coi muri unite. Anche le città di Narbona e di
Antiochia, e la gran piazza di Cartagine, rimasero maltrattate da un
somigliante flagello del fuoco. Parla Ancora Zonara[1064] de' tremuoti
succeduti allora, che rovesciarono varie città della Bitinia e
dell'Ellesponto, con abbattere specialmente il tempio di Cizico,
creduto il più grande e il più bello che fosse allora in Asia.
Servirono queste pubbliche sciagure a far maggiormente risplendere la
liberalità di Antonino Pio; perchè a sue spese furono rifatte varie di
quelle città, o pure contribuì egli non poco per aiutare i popoli a
rifarle. Aristide[1065], sofista celebre, attesta che il gran tempio
di Cizico fu poi terminato sotto l'impero di Marco Aurelio Augusto.
NOTE:
[1062] Eusebius, Hist. Eccles., lib. 4, c. 13.
[1063] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1064] Zonaras, in Annal.
[1065] Aristid., Oration. 16.
Anno di CRISTO CLIII. Indizione VI.
ANICETO papa 4.
ANTONINO PIO imperad. 16.
_Consoli_
CAJO BRUTTIO PRESENTE e AULO GIUNIO RUFINO.
Perchè le medaglie[1066] coniate nell'anno presente ci fanno vedere la
Vittoria che mette in capo all'imperadore una corona d'alloro,
possiamo ben conghietturare che in questi tempi avessero qualche
guerra i Romani, benchè non apparisca che Antonino prendesse se non
due volte il nome d'_imperadore_, significante Vincitore. Scrive
Capitolino[1067], aver egli amata sommamente la pace, con andare in
varie occasioni ripetendo quel detto di Scipione, _che gli era più
caro di salvare un sol cittadino romano, che di uccidere mille
nemici_. Ma altro è l'amar la pace, ed altro non aver guerra. Anche i
principi di genio pacifico sono talvolta, loro malgrado, costretti a
guerreggiare, e se Antonino non andò mai in persona alla guerra, vi
mandò bene i generali suoi. Già abbiamo accennata di sopra quella
della Bretagna, felicemente compiuta da _Lollio Urbico_. Abbiamo dallo
stesso Capitolino, che questo Augusto mandò delle sue milizie in
soccorso degli Olbiopoliti, che erano in guerra coi Taurosciti verso
il Ponto, e colla forza dell'armi obbligò que' barbari a dar degli
ostaggi agli Olbiopoliti. Da san Giustino[1068] si può inoltre
dedurre, che avendo fatto i Giudei qualche nuova ribellion nel loro
paese, furono messi in dovere dalle armi di Antonino Augusto. Di
maggiori notizie intorno a ciò non abbiamo, perchè son perite le
antiche storie. Per altro attesta Capitolino, che questo imperadore
non mai volontariamente, ma per non potere di meno, fece moltissime
guerre, valendosi in esse de' suoi legati, o sia de' suoi
luogotenenti. E a lui pare che si possa più credere che ad Aurelio
Vittore[1069], il quale scrive, aver Antonino senza guerra alcuna
governato per ventitrè anni il romano imperio.
NOTE:
[1066] Mediobarbus, in Numism. Imper.
[1067] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1068] Justinus, in Dialog. contra Triphon.
[1069] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CLIV. Indizione VII.
ANICETO papa 5.
ANTONINO PIO imperad. 17.
_Consoli_
LUCIO ELIO AURELIO COMMODO e TITO SESTIO LATERANO.
Il secondo console, cioè _Laterano_, è chiamato da Capitolino[1070]
_Sestilio Laterano_, e in un'iscrizione greca presso il Grutero, _Tito
Sestio Laterano_. Perchè il cardinal Noris[1071] trovò _Lucio Sestio
Sestino Laterano_ console trecento sessantasei anni prima dell'Era
cristiana, conchiuse egli, che _Sestio_ e non _Sestilio_ fosse il nome
ancora di questo console. Ma non toglie ogni dubbio cotale
osservazione; e potrebbe anche nascere sospetto, se il marmo greco del
Grutero fosse assai esattamente copiato. A buon conto il
Panvinio[1072] ne cita un altro latino, in cui leggiamo _Sestilio
Laterano_, ed _Aquilio Orfito Consoli_: il che s'accorda col testo di
Capitolino. Vien qui portata dal Relando[1073] un'iscrizione del
Gudio, dove questo console si vede appellato _Sestio Sestilio
Laterano_. Ma non si può far fondamento sopra i marmi del Gudio. Il
prenome di _Sesto_ combatte coll'iscrizion gruteriana. Quivi si
trovano _Cassari_, artefici di nome sospetto, e _Scambillari_, che
certo dovrebb'essere _Scabilluri_. Forse perchè il Gudio, uomo
dottissimo, s'avvide che non erano sicuri tutti i marmi ch'egli aveva
raccolti, non li volle mai pubblicare in sua vita. S'è poi trovato chi
meno scrupoloso di lui gli ha dati dopo la sua morte alle stampe. Il
console primo ordinario di quest'anno è _Lucio Elio Aurelio Commodo_,
quel medesimo che fu adottato da Antonino Pio[1074], nè avea altro
onorifico titolo, che quello di _figliuolo dell'imperadore_. L'aveva
il padre promosso alla questura nel precedente anno, nella qual carica
diede al popolo, ma con denaro paterno, il divertimento di uno
spettacolo di gladiatori, ed ebbe l'onore di sedere in mezzo
all'imperadore e a Marco Aurelio Cesare suo fratello. Aveva egli
passati i verdi suoi anni nello studio delle lettere, non avendo
tralasciato il buon Antonino di procurargli tutti i mezzi convenevoli
per una buona educazione, affinchè divenisse un valentuomo. Gli
assegnò egli per aio _Nicomede_, e per maestri nella grammatica latina
_Scauro_, figliuolo di quello _Scauro_ ch'era stato grammatico di
Adriano; nella grammatica greca _Telefo_, _Efestione_ ed
_Arprocazione_; nella retorica greca _Apollonio Caninio Celere_ ed
_Erode Attico_, da noi veduto console; nella retorica latina _Cornelio
Frontone_, anch'esso uomo consolare: e nella filosofia stoica
_Apollonio_, della cui albagia si parlò di sopra, e _Sesto_ anch'esso
celebre filosofo di que' tempi. Tuttochè Lucio Commodo non avesse gran
testa per profittar nelle lettere, egli portò un singolar amore a
tutti questi suoi maestri, ed essi non meno amarono lui. Imparò a far
versi e a compor delle orazioni; e riuscì miglior oratore che poeta,
o, per dir meglio, fu più cattivo poeta che retorico. Dilettavasi
egli, più che delle lettere, del lusso, delle delizie, di aver buona
conversazione di gente allegra, di andare a caccia, di far altri
esercizii cavallereschi, e sopra tutto di assistere ai giuochi
circensi ed ai combattimenti de' gladiatori. Tale era Lucio Commodo,
che vedremo fra pochi anni imperadore, ed appellato _Lucio Vero_. Si
raccoglie poi dalle medaglie[1075], che in quest'anno l'Augusto
Antonino fu _liberale per la settima volta_ verso il popolo romano con
qualche conciario, o sia donativo a lui fatto. Questo era l'uso
degl'imperadori, per tenerlo contento, e fargli dimenticare di avere
una volta avuto tanta parte nel governo e nella padronanza.
NOTE:
[1070] Capitol., in Lucio Vero.
[1071] Noris, Epist. Consulari.
[1072] Panvin., Fast. Consular.
[1073] Reland., Fast. Consular.
[1074] Capitol., in Lucio Vero.
[1075] Mediobarbus, in Numismat. Imp.
Anno di CRISTO CLV. Indizione VIII.
ANICETO papa 6.
ANTONINO PIO imperad. 18.
_Consoli_
CAJO GIULIO SEVERO e MARCO GIUNIO RUFINO SABINIANO.
Ho io aggiunto il nome di _Giunio_ al secondo console, fondato sopra
un'iscrizione pubblicata dal Doni, e posta ancora nella mia
raccolta[1076]. Molti furono ancora in questi tempi consoli
straordinari, o vogliam dire i sostituti agli ordinari; ma quai
fossero, e in qual anno maneggiassero i fasci consolari, ci mancano
memorie da poterlo chiarire. Pare bensì che si raccolga da
un'iscrizione, recata dal Panvinio[1077] e dal Grutero[1078], che nel
dì 5 novembre del presente anno fossero consoli sostituiti _Anzio
Pollione_ ed _Opimiano_. Ma con questo marmo parrebbe che facesse
guerra un altro pubblicato dal medesimo Panvinio, in cui nel dì 5 di
dicembre si veggono tuttavia consoli _Severo_ e _Sabiniano_, se non
sapessimo che gli atti pubblici erano per lo più segnati col nome de'
consoli ordinari, senza far caso de' sostituiti. Una medaglia[1079]
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