Annali d'Italia, vol. 1 - 72
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tutte, che fece dar fuoco alle navi, acciocchè i suoi, veggendosi
tolta la speranza d'ogni scampo, sapessero che nelle lor sole braccia
era riposta la salute, ed anche per impedir che que' legni non
cadessero in poter de' nemici. Atterrito Alletto parte dalla notizia
che Costanzo veniva contra di lui con una flotta, e che l'altra, già
pervenuta in terra ferma, minacciava tutte le sue città, lasciata
andare l'armata sua navale, co' suoi se ne ritornò anch'egli indietro,
e si mise in campagna contra di Asclepiodoto. Senza aspettare di aver
unite tutte le sue forze, e senza nè pur mettere in ordine di
battaglia quelle che seco avea, coi soli Barbari di suo seguito assalì
egli dipoi i Romani. Rimase sconfitto, ed anch'egli lasciò nel
combattimento la vita, con essersi poi appena potuto discernere il
cadavero suo, per aver egli deposto l'abito imperiale, che avrebbe
potuto farlo conoscere nella zuffa o nella fuga. Ma forse molto più
tardi accadde la caduta di costui. Intanto la flotta, dove era
Costanzo Cesare, più per accidente che per sicura condotta, a cagion
delle folte nebbie, imboccò il Tamigi, e per esso si spinse fino alla
città di Londra. L'arrivo suo fu la salute di quel popolo;
imperciocchè essendosi ridotti colà i Franchi ed altri Barbari che si
erano salvati dalla rotta di Alletto, mentre concertavano fra loro di
dare il sacco alla città, e poi di fuggirsene, eccoli giugnere loro
addosso Costanzo colle sue milizie, e tagliarli lutti a pezzi, con
salvar le vite e i beni di que' cittadini. Così in poco tempo tutto
quel paese della Bretagna, che ubbidiva già all'aquile romane, tornò
alla division di Costanzo, con estremo giubilo di quei popoli, per
vedersi liberi dai tiranni e dai Barbari ausiliarii, e più perchè
trovarono in Costanzo non un nemico, nè un vendicativo, ma un principe
pien di clemenza. Perdonò egli a tutti, ed anche ai complici della
ribellione[2588], e fece restituire ai particolari tutto quanto era
stato loro tolto o dai tiranni passati, o dalle sue medesime milizie.
Così fu restituita le quiete e l'allegrezza alle contrade romane della
Bretagna; e i popoli, non per anche soggiogati in essa, un sommo
rispetto cominciarono ad osservare verso i Romani. Le Gallie anche
esse restarono libere dalle molte vessazioni patite in addietro per
cagione di que' corsari.
A questo medesimo anno, se non falla la Cronica d'Eusebio[2589], si
dee riferir la spedizione di Diocleziano Augusto contra di _Achilleo_
usurpatore dell'Egitto[2590]. Tenne egli assediata per otto mesi
Alessandria, e, secondo Giovanni Malala[2591], le tolse l'uso
dell'acqua, con rompere gli acquidotti. Finalmente entratovi,
dimentico affatto della clemenza, non solamente tolse di vita il
tiranno ed altri suoi complici, ma permise a' suoi soldati il sacco di
quella insigne città, e poi, datole il fuoco, ne fece diroccar le
mura. Innumerabili furono coloro che rimasero spogliati delle lor
facoltà e cacciati in esilio. Una favola sarà il raccontar esso
Malala, che avendo Diocleziano ordinato che non si cessasse di
uccidere gli Alessandrini, finchè il sangue loro non arrivasse ai
ginocchi del suo cavallo, per accidente nell'entrar egli nella città,
inciampando il suo cavallo in un uomo ucciso, si tinse di sangue il
ginocchio. Diocleziano allora comandò che desistessero dalla strage,
per essersi adempiuto il suo giuramento: perlochè quel popolo alzò
dipoi una statua di bronzo al di lui cavallo. Il solo Eumenio da
panegirista adulatore esalta la clemenza di Diocleziano, con cui avea
data la pace all'Egitto; imperciocchè lo stesso Eutropio[2592], oltre
ad altri scrittori[2593], ci assicura ch'egli con somma crudeltà
trattò que' popoli. Galerio Massimiano presso Eusebio[2594] si truova
intitolato _Egiziano_ e _Tebaico_: indizio ch'egli, siccome il bravo
Diocleziano, faticò in quella impresa. Nella Istoria Miscella[2595] è
scritto che Costantino figlio di Costanzo accompagnò Diocleziano colà,
e militando diede più segni del suo valore. Se poi crediamo a
Suida[2596], in questa occasione fece Diocleziano cercare e bruciare
quanti libri potè ritrovare che trattassero d'alchimia, cioè di
cangiare i metalli, convenendoli in oro ed argento. Credono alcuni
che, prestando egli fede a que' decantati segreti, volesse levare a
que' popoli i mezzi da ribellarsi. Più probabile è, che, tenendoli per
cose vane, siccome sono in fatti, egli cercasse di guarir quella gente
da cotal malattia. Quando quei libri avessero contenuto il segreto di
far oro ed argento, non era sì corto di giudizio Diocleziano che gli
avesse dati alle fiamme: avrebbe saputo ritenerli per valersene in suo
pro. Oltre a questo, egli visitò tutto il paese; ed abbiamo da
Procopio[2597], che avendo trovato un gran tratto di paese nell'alto
Egitto confinante coll'Etiopia, o sia colla Nubia, il cui mantenimento
portava più spesa che profitto a cagion delle scorrerie che vi faceano
continuamente i Nubiani, per via di una convenzione lo rilasciò ai
medesimi, con obbligarli a tenere in freno i Blemmii ed altri popoli
dell'Arabia, acciocchè non molestassero l'Egitto. Aggiugne
Olimpiodoro[2598] che Diocleziano, invitato dai Blemmii, andò a
divertirsi nel loro paese, e che loro accordò un'annua pensione per
averli amici: il che a nulla servì col tempo, essendo troppo avvezzi
coloro al mestier del rubare, che tuttavia a' dì nostri continua in
quel paese, altri non essendo stati i Blemmii, se non una nazione
d'Arabi masnadieri. Osserva ancora Procopio che in que' paesi erano
miniere di smeraldi; il che veggo confermato dai moderni viaggiatori,
i quali nondimeno asseriscono non sapersi più il sito di quelle, per
vendetta fatta da un principe d'Arabi, perseguitato indebitamente
dall'avarizia turchesca.
NOTE:
[2586] Anastas. Bibliothecar.
[2587] Eumenes, in Constant. Eutropius. Aurelius Victor.
[2588] Eumenes., Panegyr. Constant., cap. 6.
[2589] Eusebius, in Chron.
[2590] Aurelius Victor, in Epitome. Eutrop., in Breviar.
[2591] Johannes Malala, in Chronograph.
[2592] Eutrop., in Breviar.
[2593] Euseb., in Chron. Orosius et alii.
[2594] Euseb., Hist. Eccl. lib. 8, cap. 17.
[2595] Histor. Miscella in Dioclet.
[2596] Suidas, in Excerpt.
[2597] Procop., de Reb. Pers., lib. 1, cap. 19.
[2598] Olympiodorus, Eclog. in Histor. Byzant.
Anno di CRISTO CCXCVII. Indizione XV.
MARCELLINO papa 2.
DIOCLEZIANO imperadore 14.
MASSIMIANO imperadore 12.
_Consoli_
MARCO AURELIO VALERIO MASSIMIANO AUGUSTO per la quinta volta e CAIO
GALERIO MASSIMIANO CESARE per la seconda.
_Afranio Annibaliano_ tenne in questo anno la prefettura di Roma. Se
fosse vero che nell'anno presente Eumenio recitata avesse la sua
orazione delle scuole di Autun, come ha creduto il padre Pagi con
altri[2599], sarebbe da dire che in quest'anno fosse già cominciata la
guerra fatta da Galerio Massimiano contro ai Persiani. Ma non è ciò
esente da dubbii, potendo essere che nel corrente anno, o pur nel
seguente, come pensa il Tillemont[2600], quell'orazione venisse
recitata, non contenendo essa indizio certo dell'anno, oltre all'aver
anche alcuni dubitato se Eumenio ne sia l'autore. Sia dunque a me
permesso rammentar qui la guerra persiana di Galerio, giacchè
Eutropio[2601], Eusebio[2602], Idacio[2603] e la Cronica
Alessandrina[2604] la riferiscono dopo la liberazion dell'Egitto:
confessando io nondimeno che Aurelio Vittore[2605] e Giovanni
Malala[2606] sembrano rapportarla al tempo avanti. Zonara[2607] ne
parla come se fossero tutte e due nello stesso tempo succedute.
Regnava allora nella Persia non so se Narseo, o sia Narse, o Narsete,
o pur Vararane, principe ambizioso, che s'era messo in testa di non la
cedere a Sapore, avolo suo, nella gloria di conquistatore. Avea egli
già tolto ai Romani l'Armenia, e con formidabil armata minacciava il
resto dell'Oriente. Diocleziano, per attestato di Lattanzio[2608], non
si sentendo voglia di far pruova del suo valore contra di coloro, per
non incorrere nella sciagura di Valeriano Augusto, diede, secondo il
solito, l'incumbenza d'essa guerra al suo gran campione, cioè a
Galerio Massimiano Cesare, con andarsene egli a riposare in Antiochia
col pretesto di attender ivi alla spedizione di gente e di viveri
all'armata di Galerio a misura de' bisogni. Era Galerio uomo
arditissimo, ed Orosio[2609] parla di due combattimenti contro i
Persiani, ma senza dirne l'esito. Convengono poi tutti gli
storici[2610] che in un d'essi, o pure nel terzo, egli totalmente
rimase sconfitto dai nemici, non già per sua dappocaggine, ma per sua
temerità, avendo voluto con poche schiere de' suoi assalir le
moltissime dei Persiani. Da una o due parole di Eusebio[2611], e da
altre di Eutropio[2612] e di Rufo Festo[2613], ricaviamo che lo stesso
Galerio venne in persona ad informar Diocleziano de' suoi sinistri
avvenimenti; ma fu sì sgarbatamente, e con tale alterigia e sprezzo
ricevuto da Diocleziano, che fu costretto a tenergli dietro per più di
un miglio di viaggio a piedi vicino alla carrozza con tutto il suo
abito di porpora indosso. Potrebbe essere che nel precedente anno
tutto questo avvenisse. Ma per tal disavventura ed ignominia in vece
di perdere il coraggio, Galerio maggiormente si sentì animato alla
vendetta. Raunato dunque un possente esercito[2614], massimamente di
veterani e di Goti nell'Illirico e nella Mesia, con esso passò
nell'Armenia, per azzuffarsi di nuovo col re persiano. Diocleziano
anch'egli con molte forze si avvicinò ai confini della Persia nella
Mesopotamia, per fiancheggiar Galerio, ma lungi dai pericoli. Mirabile
fu questa volta la circospezione e sagacità di Galerio, dopo aver
imparato dianzi alle sue spese. In persona con due soli compagni andò
egli prima a spiare l'armata nemica, e seppe sì ben disporre le
insidie e cogliere il tempo, che, assalito all'improvviso il campo
nemico, superiore bensì di forze, ma impedito da gran bagaglio,
interamente lo disfece con orrido macello della gente persiana. Scrive
Zonara[2615] che il re loro se ne fuggì portando seco per buona
ricordanza del fatto una ferita. Ma restò prigioniera la di lui
moglie, o pure, come altri vogliono, le di lui mogli, sorelle e
figliuoli dell'uno e l'altro sesso, con assaissime altre persone della
prima nobiltà della Persia. Lo spoglio del campo nemico fu d'immense
ricchezze, e ne arricchirono tutti i soldati. Ebbe cura Galerio, per
attestato di Pietro Patrizio[2616], che fossero trattale con tutta
proprietà e modestia le principesse prigioniere: atto sommamente
ammirato dai Persiani, i quali furono forzati a confessare che i
Romani andavano loro innanzi, non meno nel valore dell'armi che nella
pulizia de' costumi. Avrà pena il lettore a credere ad Ammiano
Marcellino[2617], allorchè racconta, che avendo un soldato trovato in
quell'occasione un sacco di cuoio, se pur non fu uno scudo, dove era
gran quantità di perle, gittò via le perle, contento del solo scudo o
sacco: tanto erano allora le armate romane lontane del lusso, e
ignoranti nelle cose di vanità. Certo un grande ignorante dovea essere
costui!
Giovanni Malala[2618] lasciò scritto che Arsane regina di Persia,
rimasta prigioniera, fu condotta ad Antiochia, ed ivi nel delizioso
luogo di Dafne per alcuni anni con tutto onore mantenuta da
Diocleziano, finchè, fatta la pace, fu restituita al marito. Aggiunge
ch'esso Augusto per la vittoria suddetta provar fece a tutte le
province la sua liberalità. Ma non sussiste che per alcuni anni
durasse la prigionia della regina persiana. Imperciocchè Narse, dopo
essere fuggito sino alle parti estreme del suo reame, rivenne in sè
stesso, e spedì a Galerio uno de' suoi più confidenti[2619], per nome
Afarban, affinchè umilmente il pregasse di pace, con dargli un foglio
in bianco per quelle condizioni che più piacessero ad esso Galerio. Nè
altro chiedeva quel re, fuorchè la restituzion delle sue donne e de'
suoi figliuoli, perchè nel resto sperava buon trattamento dalla
generosità romana, la quale non vorrebbe troppo eclissata la monarchia
persiana, cioè uno dei due occhi, o pur dei due soli che si avesse
allora la terra. L'ambasciata andò; e Galerio in collera rispose che
non toccava ai Persiani il domandare ad altrui della moderazion nella
vittoria dopo gl'indegni trattamenti da lor fatti a Valeriano Augusto,
e che egli restava più tosto offeso delle lor preghiere. Nientedimeno
voleva ben ricordarsi del costume de' Romani, avvezzi a vincere i
superbi e resistenti, e a trattar bene chi si sottometteva. Con questo
licenziò l'ambasciatore, dicendogli che il di lui padrone sperasse di
riveder presto persone a lui tanto care. Venne Galerio a Nisibi nella
Mesopotamia, dove si trovava Diocleziano, per conferir seco le
proposizioni del re nemico. Con grande onore fu allora ricevuto, e si
trattò fra loro se si avea da dar mano alla pace. Pretendeva Galerio
che si seguitasse la vittoria[2620], in guisa che si facesse della
Persia una provincia soggetta all'imperio romano. Ma Diocleziano, che
la volea finire, e più dell'altro scorgeva quanto fosse malagevole il
tenere in ubbidienza quel vasto regno, si ridusse a più discrete
pretensioni. Fu dunque spedito a Narse il segretario Sicorio Probo, il
quale, trovato il re nella Media vicino al fiume Asprudis, fu molto
onorevolmente accolto; ma non ebbe sì tosto udienza, perchè Narse
volle dar tempo a' suoi fuggiti dalla battaglia di comparir colà.
L'udienza fu fata alla presenza del solo Afarban e di due altri; e
Probo dimandò che il re cedesse ai Romani cinque provincie poste di
qua dal fiume Tigri verso la di lui sorgente, ciò l'Intelene, la
Sofene, l'Arzacene, la Carduene e la Zabdicene. Pretese inoltre che il
Tigri fosse il divisorio delle monarchie, Nisibi il luogo di commercio
fra le due nazioni; che l'Armenia sottoposta ai Romani arrivasse fino
al castello di Zinta sui confini della Media; e che il re d'Iberia
ricevesse la corona dall'imperatore. A riserva dell'articolo Nisibi,
Narse accordò tutto, e rinunziò ad ogni sua pretensione sopra la
Mesopotamia: con che seguì la pace, e furono restituiti i prigioni.
Gloria ed utilità non poca provenne dalla suddetta vittoria
all'imperio romano; perchè, a testimonianza di Rufo Festo[2621], durò
la stabilita pace sino ai suoi giorni, cioè per quaranta anni,
avendola rotta i Persiani solamente verso il fine del governo di
Costantino, per riaver le provincie cedute, siccome in fatti le
riebbero. Galerio per questa sì fortunata campagna si gonfiò a
dismisura; e, siccome avvertì Lattanzio[2622], prese i titoli fastosi
di _Persico, Armeniaco, Medico_ e _Adiabenico_, quasichè egli avesse
soggiogate tutte quelle nazioni. Quel che è più ridicolo, da lì
innanzi egli affettò il titolo di _figliuolo di Marte_, laonde
Diocleziano cominciò a temer forte di lui. Si sa che nel presentare a
Galerio le lettere di esso Diocleziano col titolo consueto di
_Cesare_, più volte egli esclamò dicendo: _E fin a quando io dovrò
ricevere questo solo titolo?_ Potrebbe essere che nel presente anno
ancora Massimiano Augusto e Costanzo Cloro Cesare riportassero altre
vittorie dal canto loro contra dei Barbari; ma giacchè il tempo
preciso delle loro imprese non si può fissare, parlerò dei loro fatti
negli anni seguenti.
NOTE:
[2599] Pagius, Critic. Baron. De la Baune et alii.
[2600] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[2601] Eutrop., in Breviario.
[2602] Eusebius, in Chronic.
[2603] Idacius, in Fastis.
[2604] Chronic. Alexandrinam.
[2605] Aurelius Victor, in Epitome.
[2606] Johannes Malala, in Chronograph.
[2607] Zonaras, in Annalibus.
[2608] Lactantius, de Mortibus Persecutor., cap. 9.
[2609] Orosius, Histor., lib. 7, cap. 25.
[2610] Aurelius Victor, in Epitome. Julianus, Oratione I. Ammianus
Marcellin. et alii.
[2611] Euseb., in Chronic.
[2612] Eutrop., in Breviar.
[2613] Rufus Festus, in Breviar.
[2614] Jordan., de Reb. Getic., cap. 21. Lactantius, de Mortibus
Persecut., cap. 9. Rufus Festus, in Breviar. Eutropius et alii.
[2615] Zonaras, in Annalibus.
[2616] Petrus Patritius, de Legat. Tom. I Histor. Byzant.
[2617] Ammianus Marcellinus, lib. 22.
[2618] Joannes Malala, in Chronogr.
[2619] Petrus Patricius, de Legat. Tom. I Hist. Byzant.
[2620] Aurelius Victor, Epitome.
[2621] Rufus Festus, in Breviario. Libanius, in Basilic.
[2622] Lactantius, de Mortib. Persec.
Anno di CRISTO CCXCVIII. Indizione I.
MARCELLINO papa 3.
DIOCLEZIANO imperadore 15.
MASSIMIANO imperadore 13.
_Consoli_
ANICIO FAUSTO e VIRIO GALLO.
Così ho io descritto i nomi di questi consoli, appoggiato a due
iscrizioni che si leggono nella mia Raccolta[2623], senza dare a
_Fausto_ il secondo consolato, come alcuno ha tenuto; e con chiamare
il secondo console _Virio_, e non _Severo_, come fa la Cronica
Alessandrina. _Artorio Massimo_, per attestato degli antichi
cataloghi, fu prefetto di Roma in questo anno. Potrebbe essere che
all'anno presente appartenesse la guerra fatta da Costanzo Cesare
contra degli Alamanni. Eusebio[2624] la riferisce circa questi tempi.
Eutropio[2625] e Zonara[2626] ne parlano prima della guerra di Persia.
Erano in armi gli Alamanni, e con poderoso esercito venuti alla volta
di Langres nelle Gallie, sorpresero in maniera Costanzo, che fu
forzato a ritirarsi precipitosamente colle sue genti. Pervenuto a
quella città, vi trovò chiuse le porte, per timore che v'entrassero i
nemici. Se volle salvarsi, gli convenne farsi tirar su per le mura con
delle corde. Ma raccolte in meno di cinque ore tutte le sue milizie,
coraggiosamente uscì addosso ai nemici, li sbaragliò, e ne fece restar
freddi sul campo sessantamila, come ha il testo latino di Eusebio,
Eutropio, Orosio[2627] e Zonara. Ma chi è pratico delle guerre, e sa
che d'ordinario troppo da' parziali s'ingrandiscono le vittorie, avrà
ben ragionevolmente dubbio, che invece di sessantamila s'abbia a
leggere sei mila, come appunto sta nel testo greco di Eusebio e di
Teofane[2628]. In questa battaglia restò ferito Costanzo. Eutropio
dopo sì gloriosa vittoria seguita a dire che Massimiano Augusto
nell'Africa terminò la guerra contro ai Quinquegenziani con averli
domati, e costretti a chieder pace, ch'egli loro non negò.
NOTE:
[2623] Thesaurus Novus Inscript., pag 370.
[2624] Euseb., in Chron.
[2625] Eutrop., in Breviar.
[2626] Zonaras, in Annalibus.
[2627] Orosius, lib. 7, cap. 25.
[2628] Teophanes, in Chronico.
Anno di CRISTO CCXCIX. Indizione II.
MARCELLINO papa 4.
DIOCLEZIANO imperadore 16.
MASSIMIANO imperadore 14.
_Consoli_
CAIO AURELIO VALERIO DIOCLEZIANO AUGUSTO per la settima volta e MARCO
AURELIO VALERIO MASSIMIANO AUGUSTO per la sesta.
Fu in quest'anno esercitata la prefettura di Roma da _Anicio Fausto_.
Da che Diocleziano Augusto ebbe scelto per sè il governo dell'Oriente,
per l'affetto da lui preso a quel soggiorno, si diede ad abbellir di
nuove fabbriche l'insigne città di Antiochia, cioè la Roma di quelle
contrade; ma specialmente v'attese da che ebbe ricuperato l'Egitto, e
terminata felicemente la guerra co' Persiani, per essere succeduta
un'invidiabil pace. Giovanni Malala[2629], siccome di patria
Antiocheno, merita ben qualche fede, allorchè descrive le sontuose
opere di lui in ornamento d'Antiochia, e per sicurezza delle frontiere
romane. Scrive egli dunque che in quella città fabbricò un vasto
palazzo, di cui già avea Gallieno gittati i fondamenti, siccome ancora
un bagno pubblico vicino al circo, a cui diede il nome di terme
diocleziane. Furono ancora, d'ordine suo, fabbricati i pubblici
granai, per riporvi i grani, con regolar le misure del frumento e
delle altre cose venali, affinchè i mercatanti non venissero
danneggiati dai soldati. Inoltre fabbricò nel luogo di Dafne lo
stadio, acciocchè ivi dopo i giuochi olimpici si coronassero i
vincitori. Quivi ancora eresse i templi di Giove Olimpico, di Apolline
e di Nemesi, incrostandoli di marmi pellegrini. Parimente fabbricò
sotterra un tempio ad Ecate, al quale si scendeva per trecento
sessantacinque gradini; e in Dafne un palazzo, dove potessero
alloggiar gl'imperadori andando colà, quando in addietro stavano sotto
le tende. Quivi pure, siccome ancora in Edessa e in Damasco, dispose
botteghe, per lavorarvi ogni sorta d'armi ad uso della guerra, e per
impedir le frequenti scorrerie degli Arabi. Oltre a ciò, in Antiochia
da' fondamenti eresse una zecca, e fra alcuni altri bagni uno, a cui
diede il nome di senatorio. Nè questo bastò al suo magnifico genio. Si
applicò ancora ad alzar castella e fortezze ai confini, mettendo
guarnigioni di soldati dappertutto; e valenti capitani per custodir
quelle frontiere. Abbiamo confermata da Ammiano[2630] questa diligenza
di Diocleziano, siccome ancora da Procopio[2631], i quali scrivono
aver egli specialmente fortificato di mura e di torri il castello di
Cercusio, o sia Circesio, nella Mesopotamia. L'autore[2632] inoltre
della orazione pel ristoramento delle scuole in Autun, parla di varie
città già deserte, e divenute covili di fiere, le quali dalla
diligenza degli Augusti e Cesari di questi tempi erano state rimesse
io buono stato e popolate. Fa egli eziandio menzione delle fortezze
alzate al Reno, al Danubio, all'Eufrate per guardia del paese romano.
Se vogliamo stare alla testimonianza di Idacio[2633], ebbe Massimiano
Augusto guerra in quest'anno coi Marcomanni, popoli della Germania, e
fracassò le loro squadre: della qual vittoria fecero anche menzione
Eutropio[2634] ed Aurelio Vittore[2635].
NOTE:
[2629] Joannes Malala, in Chronogr.
[2630] Ammianus, lib. 23, cap. 11.
[2631] Procop., de Ædicti., lib. 1, cap. 6.
[2632] Eumen., Orat. de Schol. restaurand.
[2633] Idacius, in Fastis.
[2634] Eutrop., in Breviar.
[2635] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CCC. Indizione III.
MARCELLINO papa 5.
DIOCLEZIANO imperadore 17.
MASSIMIANO imperatore 15.
_Consoli_
FLAVIO VALERIO COSTANZO CESARE per la terza volta e CAIO VALERIO
GALERIO MASSIMIANO CESARE per la terza.
L'essere nominato _Costanzo_ Cesare ne' Fasti prima di _Galerio_,
avvalora l'opinion di coloro che gli attribuiscono la preminenza,
allorchè egli fu eletto Cesare. _Appio Pompeo Faustino_, secondo gli
antichi Cataloghi[2636], esercitò in quest'anno la prefettura di Roma.
Alcune leggi, che si possono riferire all'anno presente, ci fan vedere
Diocleziano dimorante in questi tempi nelle città della Tracia e
dell'Illirico, e massimamente a Sirmio. Il dirsi poi da Eutropio[2637]
che dopo la guerra persiana furono vinti i Sarmati, e domati i popoli
Carpi e Bastarni, se veramente riguardasse l'anno presente, ci farebbe
intendere perchè Diocleziano si trattenesse in quelle parti della
giurisdizion di Galerio, cioè per secondare le di lui militari imprese
contra di que' Barbari. Ma per conto de' Carpi e Bastarni, la Cronica
d'Eusebio[2638] ce li rappresenta molto prima soggiogati, e
trasportati ad abitar nelle provincie romane. Parla il medesimo
Eusebio delle terme diocleziane che si cominciarono a fabbricare
(secondochè crede il padre Pagi)[2639] circa questi tempi in Roma, e
furono poi compiute da Costantino; fabbrica di maravigliosa mole, di
cui son da vedere gli scrittori che hanno illustrato Roma antica.
Similmente Massimiano Erculio Augusto si applicò ad edificar le terme
massimiane in Cartagine. Frequentissimo in questi secoli era
dappertutto l'uso dei bagni, che pure troviamo da sì lungo tempo
dismesso per quasi tutta l'Europa.
NOTE:
[2636] Panvin., in Fastis Consul.
[2637] Eutrop., in Breviario.
[2638] Eusebius, in Chron.
[2639] Pagius, Crit. Baron.
Anno di CRISTO CCCI. Indizione IV.
MARCELLINO papa 6.
DIOCLEZIANO imperadore 18.
MASSIMIANO imperadore 16.
_Consoli_
TIZIANO per la seconda volta e NEPOZIANO.
Si parla in un'iscrizione pubblicata dal Fabretti[2640] di un _Tito
Flavio Postumio Tiziano console_. Egli da me è creduto quegli stesso
che in quest'anno procedette console, perciocchè noi vedremo all'anno
505 _Postumio Tiziano_ prefetto di Roma. Per l'anno presente quella
prefettura fu data ad _Elio Dionisio_. Eusebio[2641] riferisce un
orribil tremuoto che in questi tempi si fece sentire in Sidone e Tiro,
colla rovina di moltissimi edifizii, ed oppressione di popolo
innumerabile. Quali imprese in questi tempi facesse Costanzo Cloro
Cesare nelle Gallie, non sappiam dirlo, nè a qual anno appartenga il
raccontarsi da Eumenio[2642], nel panegirico a Costantino Augusto, che
Costanzo suo padre nei campi di Vindone, creduto oggidì un luogo nel
cantone di Berna, fece una grande strage di nemici. Oltre a ciò,
essendo passata una sterminata moltitudine di nazioni germaniche col
benefizio del ghiaccio nella grande isola formata dal Reno, cioè nella
Batavia, allo improvviso scioltosi il ghiaccio, restò ivi di maniera
ristretta, che fu obbligata a rendersi prigioniera a Costanzo. Non è
improbabile che verso questi tempi un tal fatto accadesse.
NOTE:
[2640] Fabrettus, Inscript., pag. 208.
[2641] Euseb., in Chron.
[2642] Eumenes, Panegyric. Const.
Anno di CRISTO CCCII. Indizione V.
MARCELLINO papa 7.
DIOCLEZIANO imperadore 19.
MASSIMIANO imperadore 17.
_Consoli_
FLAVIO VALERIO COSTANZO CESARE per la quarta volta e CAIO VALERIO
MASSIMIANO CESARE per la quarta.
_Nummio Tosco_ esercitò in quest'anno la carica di prefetto di Roma.
Gran carestia si patì in Oriente, ed arrivò ad una esorbitanza il
prezzo de' grani[2643]. Nel ripiego che prese in tal congiuntura
Diocleziano, si desiderò la prudenza; imperciocchè ordinò che ad un
prezzo mediocre si vendesse il grano: dal che venne che i mercanti non
ne vendevano più, nè faceano venirne da lontani paesi: sicchè crebbe
di lunga mano la penuria e la fame, e succederono sedizioni ed
ammazzamenti, con essere in fine costretto l'imperadore a levar quella
tassa, e a lasciare che il mondo per questo conto si governasse da sè
stesso. Può essere che tale carestia si stendesse anche allo Egitto,
paese per altro scelto a pascere gli altri coll'abbondanza sua.
Certamente abbiamo dalla Cronica di Alessandria[2644] e da
Procopio[2645] che Diocleziano assegnò alcuni milioni di misure di
grano, da darsi annualmente in dono ai poveri di quel paese, con
distribuirlo per famiglie: liberalità che durò sino ai tempi di
Giustiniano Augusto, e sotto di lui cessò. Abbiamo da Aurelio
Vittore[2646] che furono dai due Augusti pubblicate delle giustissime
leggi per la quiete pubblica e buono stato delle città, e sopra tutto
fu abolito l'uffizio dei frumentarii, cioè di spie, ossia
d'inspettori, che si mandavano nelle provincie per indagare se v'erano
movimenti, abusi e doglianze. Sembra che sul principio un tal impiego
fosse onorevole, e ne ridondasse buon utile al pubblico, perchè,
informati gli Augusti dei disordini occorrenti, vi rimediavano. Ma nel
progresso del tempo, giusta il costume delle umane cose, il buon
istituto degenerò in una vera peste; perchè costoro, con inventar
mille false accuse, assassinavano chiunque lor non piaceva, o non si
comperava la loro amicizia; e facendo paura anche ai più lontani,
mettevano in contribuzione tutti i paesi. Inoltre buoni regolamenti
furono fatti per mantenere l'abbondanza de' viveri in Roma, e perchè
puntualmente fossero pagate le milizie e promosse le persone
meritevoli, e gastigati i malfattori. Finalmente si continuò a cingere
di belle e forti mura la città di Roma, e ad abbellir l'altre città
con delle nuove e magnifiche fabbriche: il che particolarmente fu
fatto in Cartagine, Nicomedia e Milano. Fra gli altri suntuosi
edificii Massimiano Erculio Augusto in questa ultima città fece
fabbricar le terme, o vogliam dire i bagni, che presero la
denominazione da lui. Ne fa menzione Ausonio[2647] nella descrizion
delle primarie città. Non si può negare, v'erano motivi per poter
tolta la speranza d'ogni scampo, sapessero che nelle lor sole braccia
era riposta la salute, ed anche per impedir che que' legni non
cadessero in poter de' nemici. Atterrito Alletto parte dalla notizia
che Costanzo veniva contra di lui con una flotta, e che l'altra, già
pervenuta in terra ferma, minacciava tutte le sue città, lasciata
andare l'armata sua navale, co' suoi se ne ritornò anch'egli indietro,
e si mise in campagna contra di Asclepiodoto. Senza aspettare di aver
unite tutte le sue forze, e senza nè pur mettere in ordine di
battaglia quelle che seco avea, coi soli Barbari di suo seguito assalì
egli dipoi i Romani. Rimase sconfitto, ed anch'egli lasciò nel
combattimento la vita, con essersi poi appena potuto discernere il
cadavero suo, per aver egli deposto l'abito imperiale, che avrebbe
potuto farlo conoscere nella zuffa o nella fuga. Ma forse molto più
tardi accadde la caduta di costui. Intanto la flotta, dove era
Costanzo Cesare, più per accidente che per sicura condotta, a cagion
delle folte nebbie, imboccò il Tamigi, e per esso si spinse fino alla
città di Londra. L'arrivo suo fu la salute di quel popolo;
imperciocchè essendosi ridotti colà i Franchi ed altri Barbari che si
erano salvati dalla rotta di Alletto, mentre concertavano fra loro di
dare il sacco alla città, e poi di fuggirsene, eccoli giugnere loro
addosso Costanzo colle sue milizie, e tagliarli lutti a pezzi, con
salvar le vite e i beni di que' cittadini. Così in poco tempo tutto
quel paese della Bretagna, che ubbidiva già all'aquile romane, tornò
alla division di Costanzo, con estremo giubilo di quei popoli, per
vedersi liberi dai tiranni e dai Barbari ausiliarii, e più perchè
trovarono in Costanzo non un nemico, nè un vendicativo, ma un principe
pien di clemenza. Perdonò egli a tutti, ed anche ai complici della
ribellione[2588], e fece restituire ai particolari tutto quanto era
stato loro tolto o dai tiranni passati, o dalle sue medesime milizie.
Così fu restituita le quiete e l'allegrezza alle contrade romane della
Bretagna; e i popoli, non per anche soggiogati in essa, un sommo
rispetto cominciarono ad osservare verso i Romani. Le Gallie anche
esse restarono libere dalle molte vessazioni patite in addietro per
cagione di que' corsari.
A questo medesimo anno, se non falla la Cronica d'Eusebio[2589], si
dee riferir la spedizione di Diocleziano Augusto contra di _Achilleo_
usurpatore dell'Egitto[2590]. Tenne egli assediata per otto mesi
Alessandria, e, secondo Giovanni Malala[2591], le tolse l'uso
dell'acqua, con rompere gli acquidotti. Finalmente entratovi,
dimentico affatto della clemenza, non solamente tolse di vita il
tiranno ed altri suoi complici, ma permise a' suoi soldati il sacco di
quella insigne città, e poi, datole il fuoco, ne fece diroccar le
mura. Innumerabili furono coloro che rimasero spogliati delle lor
facoltà e cacciati in esilio. Una favola sarà il raccontar esso
Malala, che avendo Diocleziano ordinato che non si cessasse di
uccidere gli Alessandrini, finchè il sangue loro non arrivasse ai
ginocchi del suo cavallo, per accidente nell'entrar egli nella città,
inciampando il suo cavallo in un uomo ucciso, si tinse di sangue il
ginocchio. Diocleziano allora comandò che desistessero dalla strage,
per essersi adempiuto il suo giuramento: perlochè quel popolo alzò
dipoi una statua di bronzo al di lui cavallo. Il solo Eumenio da
panegirista adulatore esalta la clemenza di Diocleziano, con cui avea
data la pace all'Egitto; imperciocchè lo stesso Eutropio[2592], oltre
ad altri scrittori[2593], ci assicura ch'egli con somma crudeltà
trattò que' popoli. Galerio Massimiano presso Eusebio[2594] si truova
intitolato _Egiziano_ e _Tebaico_: indizio ch'egli, siccome il bravo
Diocleziano, faticò in quella impresa. Nella Istoria Miscella[2595] è
scritto che Costantino figlio di Costanzo accompagnò Diocleziano colà,
e militando diede più segni del suo valore. Se poi crediamo a
Suida[2596], in questa occasione fece Diocleziano cercare e bruciare
quanti libri potè ritrovare che trattassero d'alchimia, cioè di
cangiare i metalli, convenendoli in oro ed argento. Credono alcuni
che, prestando egli fede a que' decantati segreti, volesse levare a
que' popoli i mezzi da ribellarsi. Più probabile è, che, tenendoli per
cose vane, siccome sono in fatti, egli cercasse di guarir quella gente
da cotal malattia. Quando quei libri avessero contenuto il segreto di
far oro ed argento, non era sì corto di giudizio Diocleziano che gli
avesse dati alle fiamme: avrebbe saputo ritenerli per valersene in suo
pro. Oltre a questo, egli visitò tutto il paese; ed abbiamo da
Procopio[2597], che avendo trovato un gran tratto di paese nell'alto
Egitto confinante coll'Etiopia, o sia colla Nubia, il cui mantenimento
portava più spesa che profitto a cagion delle scorrerie che vi faceano
continuamente i Nubiani, per via di una convenzione lo rilasciò ai
medesimi, con obbligarli a tenere in freno i Blemmii ed altri popoli
dell'Arabia, acciocchè non molestassero l'Egitto. Aggiugne
Olimpiodoro[2598] che Diocleziano, invitato dai Blemmii, andò a
divertirsi nel loro paese, e che loro accordò un'annua pensione per
averli amici: il che a nulla servì col tempo, essendo troppo avvezzi
coloro al mestier del rubare, che tuttavia a' dì nostri continua in
quel paese, altri non essendo stati i Blemmii, se non una nazione
d'Arabi masnadieri. Osserva ancora Procopio che in que' paesi erano
miniere di smeraldi; il che veggo confermato dai moderni viaggiatori,
i quali nondimeno asseriscono non sapersi più il sito di quelle, per
vendetta fatta da un principe d'Arabi, perseguitato indebitamente
dall'avarizia turchesca.
NOTE:
[2586] Anastas. Bibliothecar.
[2587] Eumenes, in Constant. Eutropius. Aurelius Victor.
[2588] Eumenes., Panegyr. Constant., cap. 6.
[2589] Eusebius, in Chron.
[2590] Aurelius Victor, in Epitome. Eutrop., in Breviar.
[2591] Johannes Malala, in Chronograph.
[2592] Eutrop., in Breviar.
[2593] Euseb., in Chron. Orosius et alii.
[2594] Euseb., Hist. Eccl. lib. 8, cap. 17.
[2595] Histor. Miscella in Dioclet.
[2596] Suidas, in Excerpt.
[2597] Procop., de Reb. Pers., lib. 1, cap. 19.
[2598] Olympiodorus, Eclog. in Histor. Byzant.
Anno di CRISTO CCXCVII. Indizione XV.
MARCELLINO papa 2.
DIOCLEZIANO imperadore 14.
MASSIMIANO imperadore 12.
_Consoli_
MARCO AURELIO VALERIO MASSIMIANO AUGUSTO per la quinta volta e CAIO
GALERIO MASSIMIANO CESARE per la seconda.
_Afranio Annibaliano_ tenne in questo anno la prefettura di Roma. Se
fosse vero che nell'anno presente Eumenio recitata avesse la sua
orazione delle scuole di Autun, come ha creduto il padre Pagi con
altri[2599], sarebbe da dire che in quest'anno fosse già cominciata la
guerra fatta da Galerio Massimiano contro ai Persiani. Ma non è ciò
esente da dubbii, potendo essere che nel corrente anno, o pur nel
seguente, come pensa il Tillemont[2600], quell'orazione venisse
recitata, non contenendo essa indizio certo dell'anno, oltre all'aver
anche alcuni dubitato se Eumenio ne sia l'autore. Sia dunque a me
permesso rammentar qui la guerra persiana di Galerio, giacchè
Eutropio[2601], Eusebio[2602], Idacio[2603] e la Cronica
Alessandrina[2604] la riferiscono dopo la liberazion dell'Egitto:
confessando io nondimeno che Aurelio Vittore[2605] e Giovanni
Malala[2606] sembrano rapportarla al tempo avanti. Zonara[2607] ne
parla come se fossero tutte e due nello stesso tempo succedute.
Regnava allora nella Persia non so se Narseo, o sia Narse, o Narsete,
o pur Vararane, principe ambizioso, che s'era messo in testa di non la
cedere a Sapore, avolo suo, nella gloria di conquistatore. Avea egli
già tolto ai Romani l'Armenia, e con formidabil armata minacciava il
resto dell'Oriente. Diocleziano, per attestato di Lattanzio[2608], non
si sentendo voglia di far pruova del suo valore contra di coloro, per
non incorrere nella sciagura di Valeriano Augusto, diede, secondo il
solito, l'incumbenza d'essa guerra al suo gran campione, cioè a
Galerio Massimiano Cesare, con andarsene egli a riposare in Antiochia
col pretesto di attender ivi alla spedizione di gente e di viveri
all'armata di Galerio a misura de' bisogni. Era Galerio uomo
arditissimo, ed Orosio[2609] parla di due combattimenti contro i
Persiani, ma senza dirne l'esito. Convengono poi tutti gli
storici[2610] che in un d'essi, o pure nel terzo, egli totalmente
rimase sconfitto dai nemici, non già per sua dappocaggine, ma per sua
temerità, avendo voluto con poche schiere de' suoi assalir le
moltissime dei Persiani. Da una o due parole di Eusebio[2611], e da
altre di Eutropio[2612] e di Rufo Festo[2613], ricaviamo che lo stesso
Galerio venne in persona ad informar Diocleziano de' suoi sinistri
avvenimenti; ma fu sì sgarbatamente, e con tale alterigia e sprezzo
ricevuto da Diocleziano, che fu costretto a tenergli dietro per più di
un miglio di viaggio a piedi vicino alla carrozza con tutto il suo
abito di porpora indosso. Potrebbe essere che nel precedente anno
tutto questo avvenisse. Ma per tal disavventura ed ignominia in vece
di perdere il coraggio, Galerio maggiormente si sentì animato alla
vendetta. Raunato dunque un possente esercito[2614], massimamente di
veterani e di Goti nell'Illirico e nella Mesia, con esso passò
nell'Armenia, per azzuffarsi di nuovo col re persiano. Diocleziano
anch'egli con molte forze si avvicinò ai confini della Persia nella
Mesopotamia, per fiancheggiar Galerio, ma lungi dai pericoli. Mirabile
fu questa volta la circospezione e sagacità di Galerio, dopo aver
imparato dianzi alle sue spese. In persona con due soli compagni andò
egli prima a spiare l'armata nemica, e seppe sì ben disporre le
insidie e cogliere il tempo, che, assalito all'improvviso il campo
nemico, superiore bensì di forze, ma impedito da gran bagaglio,
interamente lo disfece con orrido macello della gente persiana. Scrive
Zonara[2615] che il re loro se ne fuggì portando seco per buona
ricordanza del fatto una ferita. Ma restò prigioniera la di lui
moglie, o pure, come altri vogliono, le di lui mogli, sorelle e
figliuoli dell'uno e l'altro sesso, con assaissime altre persone della
prima nobiltà della Persia. Lo spoglio del campo nemico fu d'immense
ricchezze, e ne arricchirono tutti i soldati. Ebbe cura Galerio, per
attestato di Pietro Patrizio[2616], che fossero trattale con tutta
proprietà e modestia le principesse prigioniere: atto sommamente
ammirato dai Persiani, i quali furono forzati a confessare che i
Romani andavano loro innanzi, non meno nel valore dell'armi che nella
pulizia de' costumi. Avrà pena il lettore a credere ad Ammiano
Marcellino[2617], allorchè racconta, che avendo un soldato trovato in
quell'occasione un sacco di cuoio, se pur non fu uno scudo, dove era
gran quantità di perle, gittò via le perle, contento del solo scudo o
sacco: tanto erano allora le armate romane lontane del lusso, e
ignoranti nelle cose di vanità. Certo un grande ignorante dovea essere
costui!
Giovanni Malala[2618] lasciò scritto che Arsane regina di Persia,
rimasta prigioniera, fu condotta ad Antiochia, ed ivi nel delizioso
luogo di Dafne per alcuni anni con tutto onore mantenuta da
Diocleziano, finchè, fatta la pace, fu restituita al marito. Aggiunge
ch'esso Augusto per la vittoria suddetta provar fece a tutte le
province la sua liberalità. Ma non sussiste che per alcuni anni
durasse la prigionia della regina persiana. Imperciocchè Narse, dopo
essere fuggito sino alle parti estreme del suo reame, rivenne in sè
stesso, e spedì a Galerio uno de' suoi più confidenti[2619], per nome
Afarban, affinchè umilmente il pregasse di pace, con dargli un foglio
in bianco per quelle condizioni che più piacessero ad esso Galerio. Nè
altro chiedeva quel re, fuorchè la restituzion delle sue donne e de'
suoi figliuoli, perchè nel resto sperava buon trattamento dalla
generosità romana, la quale non vorrebbe troppo eclissata la monarchia
persiana, cioè uno dei due occhi, o pur dei due soli che si avesse
allora la terra. L'ambasciata andò; e Galerio in collera rispose che
non toccava ai Persiani il domandare ad altrui della moderazion nella
vittoria dopo gl'indegni trattamenti da lor fatti a Valeriano Augusto,
e che egli restava più tosto offeso delle lor preghiere. Nientedimeno
voleva ben ricordarsi del costume de' Romani, avvezzi a vincere i
superbi e resistenti, e a trattar bene chi si sottometteva. Con questo
licenziò l'ambasciatore, dicendogli che il di lui padrone sperasse di
riveder presto persone a lui tanto care. Venne Galerio a Nisibi nella
Mesopotamia, dove si trovava Diocleziano, per conferir seco le
proposizioni del re nemico. Con grande onore fu allora ricevuto, e si
trattò fra loro se si avea da dar mano alla pace. Pretendeva Galerio
che si seguitasse la vittoria[2620], in guisa che si facesse della
Persia una provincia soggetta all'imperio romano. Ma Diocleziano, che
la volea finire, e più dell'altro scorgeva quanto fosse malagevole il
tenere in ubbidienza quel vasto regno, si ridusse a più discrete
pretensioni. Fu dunque spedito a Narse il segretario Sicorio Probo, il
quale, trovato il re nella Media vicino al fiume Asprudis, fu molto
onorevolmente accolto; ma non ebbe sì tosto udienza, perchè Narse
volle dar tempo a' suoi fuggiti dalla battaglia di comparir colà.
L'udienza fu fata alla presenza del solo Afarban e di due altri; e
Probo dimandò che il re cedesse ai Romani cinque provincie poste di
qua dal fiume Tigri verso la di lui sorgente, ciò l'Intelene, la
Sofene, l'Arzacene, la Carduene e la Zabdicene. Pretese inoltre che il
Tigri fosse il divisorio delle monarchie, Nisibi il luogo di commercio
fra le due nazioni; che l'Armenia sottoposta ai Romani arrivasse fino
al castello di Zinta sui confini della Media; e che il re d'Iberia
ricevesse la corona dall'imperatore. A riserva dell'articolo Nisibi,
Narse accordò tutto, e rinunziò ad ogni sua pretensione sopra la
Mesopotamia: con che seguì la pace, e furono restituiti i prigioni.
Gloria ed utilità non poca provenne dalla suddetta vittoria
all'imperio romano; perchè, a testimonianza di Rufo Festo[2621], durò
la stabilita pace sino ai suoi giorni, cioè per quaranta anni,
avendola rotta i Persiani solamente verso il fine del governo di
Costantino, per riaver le provincie cedute, siccome in fatti le
riebbero. Galerio per questa sì fortunata campagna si gonfiò a
dismisura; e, siccome avvertì Lattanzio[2622], prese i titoli fastosi
di _Persico, Armeniaco, Medico_ e _Adiabenico_, quasichè egli avesse
soggiogate tutte quelle nazioni. Quel che è più ridicolo, da lì
innanzi egli affettò il titolo di _figliuolo di Marte_, laonde
Diocleziano cominciò a temer forte di lui. Si sa che nel presentare a
Galerio le lettere di esso Diocleziano col titolo consueto di
_Cesare_, più volte egli esclamò dicendo: _E fin a quando io dovrò
ricevere questo solo titolo?_ Potrebbe essere che nel presente anno
ancora Massimiano Augusto e Costanzo Cloro Cesare riportassero altre
vittorie dal canto loro contra dei Barbari; ma giacchè il tempo
preciso delle loro imprese non si può fissare, parlerò dei loro fatti
negli anni seguenti.
NOTE:
[2599] Pagius, Critic. Baron. De la Baune et alii.
[2600] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[2601] Eutrop., in Breviario.
[2602] Eusebius, in Chronic.
[2603] Idacius, in Fastis.
[2604] Chronic. Alexandrinam.
[2605] Aurelius Victor, in Epitome.
[2606] Johannes Malala, in Chronograph.
[2607] Zonaras, in Annalibus.
[2608] Lactantius, de Mortibus Persecutor., cap. 9.
[2609] Orosius, Histor., lib. 7, cap. 25.
[2610] Aurelius Victor, in Epitome. Julianus, Oratione I. Ammianus
Marcellin. et alii.
[2611] Euseb., in Chronic.
[2612] Eutrop., in Breviar.
[2613] Rufus Festus, in Breviar.
[2614] Jordan., de Reb. Getic., cap. 21. Lactantius, de Mortibus
Persecut., cap. 9. Rufus Festus, in Breviar. Eutropius et alii.
[2615] Zonaras, in Annalibus.
[2616] Petrus Patritius, de Legat. Tom. I Histor. Byzant.
[2617] Ammianus Marcellinus, lib. 22.
[2618] Joannes Malala, in Chronogr.
[2619] Petrus Patricius, de Legat. Tom. I Hist. Byzant.
[2620] Aurelius Victor, Epitome.
[2621] Rufus Festus, in Breviario. Libanius, in Basilic.
[2622] Lactantius, de Mortib. Persec.
Anno di CRISTO CCXCVIII. Indizione I.
MARCELLINO papa 3.
DIOCLEZIANO imperadore 15.
MASSIMIANO imperadore 13.
_Consoli_
ANICIO FAUSTO e VIRIO GALLO.
Così ho io descritto i nomi di questi consoli, appoggiato a due
iscrizioni che si leggono nella mia Raccolta[2623], senza dare a
_Fausto_ il secondo consolato, come alcuno ha tenuto; e con chiamare
il secondo console _Virio_, e non _Severo_, come fa la Cronica
Alessandrina. _Artorio Massimo_, per attestato degli antichi
cataloghi, fu prefetto di Roma in questo anno. Potrebbe essere che
all'anno presente appartenesse la guerra fatta da Costanzo Cesare
contra degli Alamanni. Eusebio[2624] la riferisce circa questi tempi.
Eutropio[2625] e Zonara[2626] ne parlano prima della guerra di Persia.
Erano in armi gli Alamanni, e con poderoso esercito venuti alla volta
di Langres nelle Gallie, sorpresero in maniera Costanzo, che fu
forzato a ritirarsi precipitosamente colle sue genti. Pervenuto a
quella città, vi trovò chiuse le porte, per timore che v'entrassero i
nemici. Se volle salvarsi, gli convenne farsi tirar su per le mura con
delle corde. Ma raccolte in meno di cinque ore tutte le sue milizie,
coraggiosamente uscì addosso ai nemici, li sbaragliò, e ne fece restar
freddi sul campo sessantamila, come ha il testo latino di Eusebio,
Eutropio, Orosio[2627] e Zonara. Ma chi è pratico delle guerre, e sa
che d'ordinario troppo da' parziali s'ingrandiscono le vittorie, avrà
ben ragionevolmente dubbio, che invece di sessantamila s'abbia a
leggere sei mila, come appunto sta nel testo greco di Eusebio e di
Teofane[2628]. In questa battaglia restò ferito Costanzo. Eutropio
dopo sì gloriosa vittoria seguita a dire che Massimiano Augusto
nell'Africa terminò la guerra contro ai Quinquegenziani con averli
domati, e costretti a chieder pace, ch'egli loro non negò.
NOTE:
[2623] Thesaurus Novus Inscript., pag 370.
[2624] Euseb., in Chron.
[2625] Eutrop., in Breviar.
[2626] Zonaras, in Annalibus.
[2627] Orosius, lib. 7, cap. 25.
[2628] Teophanes, in Chronico.
Anno di CRISTO CCXCIX. Indizione II.
MARCELLINO papa 4.
DIOCLEZIANO imperadore 16.
MASSIMIANO imperadore 14.
_Consoli_
CAIO AURELIO VALERIO DIOCLEZIANO AUGUSTO per la settima volta e MARCO
AURELIO VALERIO MASSIMIANO AUGUSTO per la sesta.
Fu in quest'anno esercitata la prefettura di Roma da _Anicio Fausto_.
Da che Diocleziano Augusto ebbe scelto per sè il governo dell'Oriente,
per l'affetto da lui preso a quel soggiorno, si diede ad abbellir di
nuove fabbriche l'insigne città di Antiochia, cioè la Roma di quelle
contrade; ma specialmente v'attese da che ebbe ricuperato l'Egitto, e
terminata felicemente la guerra co' Persiani, per essere succeduta
un'invidiabil pace. Giovanni Malala[2629], siccome di patria
Antiocheno, merita ben qualche fede, allorchè descrive le sontuose
opere di lui in ornamento d'Antiochia, e per sicurezza delle frontiere
romane. Scrive egli dunque che in quella città fabbricò un vasto
palazzo, di cui già avea Gallieno gittati i fondamenti, siccome ancora
un bagno pubblico vicino al circo, a cui diede il nome di terme
diocleziane. Furono ancora, d'ordine suo, fabbricati i pubblici
granai, per riporvi i grani, con regolar le misure del frumento e
delle altre cose venali, affinchè i mercatanti non venissero
danneggiati dai soldati. Inoltre fabbricò nel luogo di Dafne lo
stadio, acciocchè ivi dopo i giuochi olimpici si coronassero i
vincitori. Quivi ancora eresse i templi di Giove Olimpico, di Apolline
e di Nemesi, incrostandoli di marmi pellegrini. Parimente fabbricò
sotterra un tempio ad Ecate, al quale si scendeva per trecento
sessantacinque gradini; e in Dafne un palazzo, dove potessero
alloggiar gl'imperadori andando colà, quando in addietro stavano sotto
le tende. Quivi pure, siccome ancora in Edessa e in Damasco, dispose
botteghe, per lavorarvi ogni sorta d'armi ad uso della guerra, e per
impedir le frequenti scorrerie degli Arabi. Oltre a ciò, in Antiochia
da' fondamenti eresse una zecca, e fra alcuni altri bagni uno, a cui
diede il nome di senatorio. Nè questo bastò al suo magnifico genio. Si
applicò ancora ad alzar castella e fortezze ai confini, mettendo
guarnigioni di soldati dappertutto; e valenti capitani per custodir
quelle frontiere. Abbiamo confermata da Ammiano[2630] questa diligenza
di Diocleziano, siccome ancora da Procopio[2631], i quali scrivono
aver egli specialmente fortificato di mura e di torri il castello di
Cercusio, o sia Circesio, nella Mesopotamia. L'autore[2632] inoltre
della orazione pel ristoramento delle scuole in Autun, parla di varie
città già deserte, e divenute covili di fiere, le quali dalla
diligenza degli Augusti e Cesari di questi tempi erano state rimesse
io buono stato e popolate. Fa egli eziandio menzione delle fortezze
alzate al Reno, al Danubio, all'Eufrate per guardia del paese romano.
Se vogliamo stare alla testimonianza di Idacio[2633], ebbe Massimiano
Augusto guerra in quest'anno coi Marcomanni, popoli della Germania, e
fracassò le loro squadre: della qual vittoria fecero anche menzione
Eutropio[2634] ed Aurelio Vittore[2635].
NOTE:
[2629] Joannes Malala, in Chronogr.
[2630] Ammianus, lib. 23, cap. 11.
[2631] Procop., de Ædicti., lib. 1, cap. 6.
[2632] Eumen., Orat. de Schol. restaurand.
[2633] Idacius, in Fastis.
[2634] Eutrop., in Breviar.
[2635] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CCC. Indizione III.
MARCELLINO papa 5.
DIOCLEZIANO imperadore 17.
MASSIMIANO imperatore 15.
_Consoli_
FLAVIO VALERIO COSTANZO CESARE per la terza volta e CAIO VALERIO
GALERIO MASSIMIANO CESARE per la terza.
L'essere nominato _Costanzo_ Cesare ne' Fasti prima di _Galerio_,
avvalora l'opinion di coloro che gli attribuiscono la preminenza,
allorchè egli fu eletto Cesare. _Appio Pompeo Faustino_, secondo gli
antichi Cataloghi[2636], esercitò in quest'anno la prefettura di Roma.
Alcune leggi, che si possono riferire all'anno presente, ci fan vedere
Diocleziano dimorante in questi tempi nelle città della Tracia e
dell'Illirico, e massimamente a Sirmio. Il dirsi poi da Eutropio[2637]
che dopo la guerra persiana furono vinti i Sarmati, e domati i popoli
Carpi e Bastarni, se veramente riguardasse l'anno presente, ci farebbe
intendere perchè Diocleziano si trattenesse in quelle parti della
giurisdizion di Galerio, cioè per secondare le di lui militari imprese
contra di que' Barbari. Ma per conto de' Carpi e Bastarni, la Cronica
d'Eusebio[2638] ce li rappresenta molto prima soggiogati, e
trasportati ad abitar nelle provincie romane. Parla il medesimo
Eusebio delle terme diocleziane che si cominciarono a fabbricare
(secondochè crede il padre Pagi)[2639] circa questi tempi in Roma, e
furono poi compiute da Costantino; fabbrica di maravigliosa mole, di
cui son da vedere gli scrittori che hanno illustrato Roma antica.
Similmente Massimiano Erculio Augusto si applicò ad edificar le terme
massimiane in Cartagine. Frequentissimo in questi secoli era
dappertutto l'uso dei bagni, che pure troviamo da sì lungo tempo
dismesso per quasi tutta l'Europa.
NOTE:
[2636] Panvin., in Fastis Consul.
[2637] Eutrop., in Breviario.
[2638] Eusebius, in Chron.
[2639] Pagius, Crit. Baron.
Anno di CRISTO CCCI. Indizione IV.
MARCELLINO papa 6.
DIOCLEZIANO imperadore 18.
MASSIMIANO imperadore 16.
_Consoli_
TIZIANO per la seconda volta e NEPOZIANO.
Si parla in un'iscrizione pubblicata dal Fabretti[2640] di un _Tito
Flavio Postumio Tiziano console_. Egli da me è creduto quegli stesso
che in quest'anno procedette console, perciocchè noi vedremo all'anno
505 _Postumio Tiziano_ prefetto di Roma. Per l'anno presente quella
prefettura fu data ad _Elio Dionisio_. Eusebio[2641] riferisce un
orribil tremuoto che in questi tempi si fece sentire in Sidone e Tiro,
colla rovina di moltissimi edifizii, ed oppressione di popolo
innumerabile. Quali imprese in questi tempi facesse Costanzo Cloro
Cesare nelle Gallie, non sappiam dirlo, nè a qual anno appartenga il
raccontarsi da Eumenio[2642], nel panegirico a Costantino Augusto, che
Costanzo suo padre nei campi di Vindone, creduto oggidì un luogo nel
cantone di Berna, fece una grande strage di nemici. Oltre a ciò,
essendo passata una sterminata moltitudine di nazioni germaniche col
benefizio del ghiaccio nella grande isola formata dal Reno, cioè nella
Batavia, allo improvviso scioltosi il ghiaccio, restò ivi di maniera
ristretta, che fu obbligata a rendersi prigioniera a Costanzo. Non è
improbabile che verso questi tempi un tal fatto accadesse.
NOTE:
[2640] Fabrettus, Inscript., pag. 208.
[2641] Euseb., in Chron.
[2642] Eumenes, Panegyric. Const.
Anno di CRISTO CCCII. Indizione V.
MARCELLINO papa 7.
DIOCLEZIANO imperadore 19.
MASSIMIANO imperadore 17.
_Consoli_
FLAVIO VALERIO COSTANZO CESARE per la quarta volta e CAIO VALERIO
MASSIMIANO CESARE per la quarta.
_Nummio Tosco_ esercitò in quest'anno la carica di prefetto di Roma.
Gran carestia si patì in Oriente, ed arrivò ad una esorbitanza il
prezzo de' grani[2643]. Nel ripiego che prese in tal congiuntura
Diocleziano, si desiderò la prudenza; imperciocchè ordinò che ad un
prezzo mediocre si vendesse il grano: dal che venne che i mercanti non
ne vendevano più, nè faceano venirne da lontani paesi: sicchè crebbe
di lunga mano la penuria e la fame, e succederono sedizioni ed
ammazzamenti, con essere in fine costretto l'imperadore a levar quella
tassa, e a lasciare che il mondo per questo conto si governasse da sè
stesso. Può essere che tale carestia si stendesse anche allo Egitto,
paese per altro scelto a pascere gli altri coll'abbondanza sua.
Certamente abbiamo dalla Cronica di Alessandria[2644] e da
Procopio[2645] che Diocleziano assegnò alcuni milioni di misure di
grano, da darsi annualmente in dono ai poveri di quel paese, con
distribuirlo per famiglie: liberalità che durò sino ai tempi di
Giustiniano Augusto, e sotto di lui cessò. Abbiamo da Aurelio
Vittore[2646] che furono dai due Augusti pubblicate delle giustissime
leggi per la quiete pubblica e buono stato delle città, e sopra tutto
fu abolito l'uffizio dei frumentarii, cioè di spie, ossia
d'inspettori, che si mandavano nelle provincie per indagare se v'erano
movimenti, abusi e doglianze. Sembra che sul principio un tal impiego
fosse onorevole, e ne ridondasse buon utile al pubblico, perchè,
informati gli Augusti dei disordini occorrenti, vi rimediavano. Ma nel
progresso del tempo, giusta il costume delle umane cose, il buon
istituto degenerò in una vera peste; perchè costoro, con inventar
mille false accuse, assassinavano chiunque lor non piaceva, o non si
comperava la loro amicizia; e facendo paura anche ai più lontani,
mettevano in contribuzione tutti i paesi. Inoltre buoni regolamenti
furono fatti per mantenere l'abbondanza de' viveri in Roma, e perchè
puntualmente fossero pagate le milizie e promosse le persone
meritevoli, e gastigati i malfattori. Finalmente si continuò a cingere
di belle e forti mura la città di Roma, e ad abbellir l'altre città
con delle nuove e magnifiche fabbriche: il che particolarmente fu
fatto in Cartagine, Nicomedia e Milano. Fra gli altri suntuosi
edificii Massimiano Erculio Augusto in questa ultima città fece
fabbricar le terme, o vogliam dire i bagni, che presero la
denominazione da lui. Ne fa menzione Ausonio[2647] nella descrizion
delle primarie città. Non si può negare, v'erano motivi per poter
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