Annali d'Italia, vol. 1 - 58
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Pupieno Massimo s'inviò contra di Massimino, e si fermò a Ravenna, per
far quivi maggior massa di gente e preparamenti per resistere al
ciclope[1908]: così egli nominava Massimino[1909]. Mandò ancora il
senato per tutte le provincie e città che aveano alzata bandiera
contra del tiranno, personaggi consolari, ed altri già stati pretori,
questori, edili, ec., con ordine di fortificar le città capaci di
difesa, provvederle d'armi e vettovaglie, e d'introdurvi tutto il
grano delle campagne, acciocchè mancasse la sussistenza allo arrivo di
Massimino. Allorchè pervenne ad esso Massimino la nuova dei novelli
due imperadori, conobbe chiaro che l'odio del popolo romano era
irreconciliabile contra di lui, e però doversi riporre tutte le sue
speranze nella forza. Sollecitata dunque più che mai la marcia del suo
esercito, che tuttavia era fuori della Italia, giunse ad Emona città
dell'Istria, e la trovò abbandonata da quegli abitanti. Il non aver
essi lasciata ivi vettovaglia alcuna diede da mormorare ai di lui
soldati, i quali, dopo tante marcie sforzate e patimenti del viaggio,
si erano lusingati di trovar le tavole imbandite, anzi le delizie ai
confini dell'Italia. Il peggio fu, che, continuato il viaggio, ebbero
avviso, qualmente Aquileia, città allora assai vasta, ricca e
popolata, ed una delle più riguardevoli del romano imperio, avea
chiuse le porte, e s'era accinta alla difesa. Prima d'imprendere
l'assedio di quella città, mandò Massimino uffiziali a parlare a quel
popolo, per esortarlo alla pace: al qual fine furono adoperate
promesse e parole le più belle del mondo. Ma dentro v'erano _Menofilo_
e _Crespino_, uomini consolari, che meglio seppero parlare e ritenere
il vacillante popolo dall'aprir le porte al nemico, con avere
spezialmente finto che Apollo Beleno, singolarmente ivi onorato,
avesse, per mezzo degli aruspici, predetto che Massimino resterebbe
vinto. Fu di avviso il padre Pagi che questo assedio si facesse in
tempo di verno: e il cardinal Noris cita Erodiano[1910] là dove scrive
che il fiume Isonzo era grosso per le nevi delle montagne, le quali
dopo un lungo verno si disfacevano, deducendo da ciò che l'assedio si
facesse nel principio del mese di marzo. Ma le nevi delle alte
montagne più tardi si disfanno, e tanto più dovettero tardare dopo un
lungo verno, e però nè pure al giugno e luglio non disconviene
l'essere tuttavia ricchi d'acque i fiumi. Passò Massimino coll'armata
quel fiume,, volendosi di botti vuote, o pur di quei vasi, ne' quali
si portano l'uve alla città; e poi strinse d'assedio Aquileia.
Mentre queste cose succedeano, un lagrimevole accidente occorse in
Roma diffusamente narrato da Erodiano[1911]. Due soldati pretoriani di
que' pochi che restavano in Roma, mossi da curiosità d'intendere ciò
che si trattava nel senato, entrarono dentro, e s'inoltrarono sino
all'altare della Vittoria. _Giuliano_, che poco fa era stato console
(non so se diverso dai due sostituiti soprannominati, o pure l'un
d'essi), e _Mecenate_, uno de' senatori, piantati nel petto di que'
due soldati i lor pugnali, li stesero morti a terra. Fuggirono gli
altri pretoriani al quartiere, e quivi rinserrati aspettavano il tempo
di vendicarsi. Uscito Giuliano, commosse il popolo e i gladiatori
all'armi contra de' pretoriani: laonde tutti in folla corsero al
castello pretorio, credendosi di poterlo superare, e di ingoiare i
pretoriani. Ma furono ben ricevuti dalle lor freccie e picche, in
maniera tale, che, vegnendo la sera, se ne tornarono confusamente
entro la città, riportando solamente delle ferite da quel conflitto.
Allora, spalancate le porte del pretorio, ne uscirono i soldati, e
diedero addosso a quella disordinata moltitudine, con farne grande
strage, e massimamente de' gladiatori. Irritato sempre più il popolo
romano per questa grave percossa, cercò aiuto, e continuò pei più
giorni a far guerra al pretorio, non sapendo sofferire che un mucchio
di soldati tanto inferiori di numero facesse sì lunga resistenza.
Tolsero anche gli acquidotti al pretorio, ma allora que' soldati,
mossi dalla disperazione, tornarono fuori, e colle spade alle reni
inseguirono il popolo fin dentro la città, con ucciderne molti.
Trovandosi ivi con isvantaggio, perchè dalle finestre e dai tetti
fioccavano i sassi e le tegole, s'avvisarono di mettere il fuoco a
varie case. Per disavventura s'andò sì fattamente dilatando
l'incendio, che non poca parte della città ne rimase disfatta: ed
unitasi coi soldati tutta la feccia de' cattivi, diede un fiero
saccheggio alle case de' benestanti. Non v'era giorno che _Balbino
Augusto_, rimasto al governo di Roma, non mandasse fuori qualche
editto, per quetare, se mai era possibile, sì gran turbolenza, e
pacificare il popolo coi pretoriani; ma nè gli uni nè gli altri
l'ubbidivano. E benchè in persona molte volte si sforzasse di fermar
quel furore, nulla ottenne, anzi gli fu gittato un sasso; ed altri
scrisse che gli arrivò una bastonata addosso[1912]. L'unico mezzo per
ismorzar quell'izza fu di condurre in pubblico il giovinetto _Gordiano
Cesare_, alla cui visita tanto il popolo che i soldati (perchè era
amato da ognuno) si placarono, e formarono una specie di concordia, o,
per dir meglio, di tregua, perchè vera pace non fu.
Avea ben Massimino cominciato l'assedio di Aquileia, perchè gli pareva
troppo disonore il continuar il viaggio verso Roma, lasciando indietro
disubbidiente la prima città d'Italia ch'egli incontrava, e città di
tanto riguardo[1913]. Ma ebbe ben tosto ad arrabbiare al vedere la
valorosa difesa dei cittadini sì uomini che donne e fanciulli, i quali
con bitumi accesi accoglievano chiunque veniva all'assalto, bruciavano
le macchine nemiche, e magagnavano continuamente con sassi e fuoco i
più arditi del campo nemico. Però quanto più cresceva il coraggio agli
assediati, sino a farsi dalle mura le più grande beffe di Massimino,
tanto più calava l'animo agli assedianti. Poteano ben quanto voleano i
due Massimini montati a cavallo girar per le schiere, animando
ciascuno alla bravura e agli assalti: tutto era indarno. Allora
l'iniquo Massimino, giacchè non potea infierir contro gli Aquileiesi,
sfogò il suo sdegno contra di alcuni dei proprii capitani, imputando
loro di mantener intelligenza co' nemici, e di non far molto, perchè
nulla intendeano di fare; e li fece morire. Questa ingiustizia alienò
da lui l'animo di moltissimi soldati. Si aggiunse che mancava la
vettovaglia al campo per gli uomini e cavalli, dappoichè Pupieno
Massimo avea fatto ridurre nelle città forti tutti i viveri, e
vietatone per mare e pe' fiumi il trasporto. Bestemmiava per questi
patimenti la sua armata, ed erano anche tutti mesti e scorati per le
nuove, probabilmente da Pupieno Massimo fatte spargere, che tutto il
popolo romano era in armi, tutte le provincie romane, e fino i Barbari
congiurati contra di Massimino. Pertanto una brigata di soldati,
solita ad aver quartiere vicino a Roma nel monte Albano, e che
militava allora nel campo di Massimino, ricordevole delle mogli e de'
figliuoli lasciati nella stessa Roma, determinò di finir la tragedia.
Verso il mezzodì tutti attruppati andarono al padiglione di Massimino,
ed essendo di accordo colle guardie, levarono dalle bandiere le
immagini di lui. Usciti Massimino e il figliuolo per placarli,
rimasero tagliati a pezzi, correndo il quarto anno del loro imperio.
Lo stesso trattamento fu fatto al prefetto, e a qualunque altro de'
confidenti de' Massimini. Furono i lor cadaveri lasciati ai cani; le
sole teste inviate per alcuni corridori a Roma. Dispiacque forte la
morte di questi due tiranni ai soldati della Tracia; ma il fatto era
fatto. Trattò allora l'esercito di entrare amichevolmente in Aquileia;
ma quel popolo non amando ospiti tali, solamente dalle mura gli andava
somministrando de' viveri, e seguitò a tener chiuse le porte. Intanto
i corridori destinati a portar le teste dei tiranni a Roma, passarono
in barca le paludi formate dall'Adige, dal Po e da altri fiumi da
Altino sino a Ravenna, e chiamate Sette Mari, e con altro nome la
Padusa. Trovato in Ravenna _Pupieno Massimo Augusto_, che ivi
attendeva ad ingrossarsi di gente, recarono a lui e a tutti i
Ravegnani un immenso giubilo colla inaspettata felicissima nuova di
essere liberato il romano imperio dai due formidabili tiranni. Allora
Pupieno Massimo volò ad Aquileia, ricevuto da quella città con
indicibil plauso. Concorsero a lui ambascerie dalle città vicine,
tutte per congratularsi, e l'armata stessa di Massimino in abito di
pace e con corone di alloro in capo, mostrò di accomodarsi alla
presente fortuna, prorompendo in liete acclamazioni, ma internamente
covando del veleno, per vedersi assoggettata ad un imperadore eletto
dal senato, e non da loro. Fece Pupieno Massimo una bella aringa a
costoro con promessa di un grosso regalo; e diviso quell'esercito,
mandò ogni legione alla sua provincia, e pochi dì fermatosi in
Aquileia con varie schiere, colla guardia de' Germani, ne' quali più
confidava, si rimise in viaggio, e tornossene a Roma.
Fu così sollecito per le poste il viaggio di coloro che portavano le
teste dei due Massimini, che da Aquileia in quattro dì giunsero a
Roma[1914]. Perchè era giorno di giuochi, si trovavano allora al
teatro _Balbino Augusto_, il giovine _Gordiano Cesare_, e il popolo;
ed appena comparvero que' messi, che il popolo gridò: _Massimino è
ucciso_. Verificatosi il fatto, ebbero tutti ad impazzir per la gioia.
Tosto si raunò il senato, furono fatte le acclamazioni agl'Imperadori;
determinato che _Pupieno Massimo_ e _Balbino_ Augusti fossero consoli
nel resto dell'anno, e che in luogo di Massimino fosse sostituito
_Gordiano Cesare_. Riconosce lo stesso padre Pagi[1915], voler dire
queste parole che Massimino avea prima della ribellione disegnato sè
stesso console per l'anno venturo 239, e che, venuta la nuova di sua
morte, il senato disegnò console per esso anno Gordiano terzo. Adunque
egli dovea riconoscere ancora che non era per anche nata la ribellione
dei due Gordiani Africani nel principio dell'anno presente, in cui si
soleano disegnare i consoli per l'anno prossimo; nè doversi riferire
al precedente anno la esaltazione e morte di essi due Gordiani, e la
creazione di Pupieno Massimo e di Balbino. Tutte queste scene nel solo
presente anno avvennero; e chi inoltre ben rifletterà ai frettolosi
passi di Massimino, troverà confermata la medesima verità. Arrivato
vicino a Roma Pupieno Massimo, ebbe l'incontro di Balbino, di Gordiano
terzo, e del senato e popolo romano, e gran festa fu fatta; ma in
faccia ai soldati altro non si leggeva che malinconia; e per altro
verso cominciò ad apparire nebbia di dissensione fra gli stessi
regnanti. Cioè, quantunque i due Augusti attendessero con somma
moderazione e zelo al buon governo sì civile che militare, pure fra
loro si scorgeva della gelosia e poco buona armonia. _Balbino_
sprezzava _Pupieno Massimo_, perchè bassamente nato; e _Massimo_ non
istimava l'altro, perchè non era suo pari nel valore dell'armi. Di
questa discordia avvedutisi gl'infelloniti soldati, specialmente i
pretoriani, conobbero che non era tanto difficile l'atterrar due
imperadori da loro mal voluti, perchè alzati senza di loro al trono, e
perchè sempre erano in sospetto di essere degradati, come avvenne a'
tempi di Severo Augusto[1916]. Ora, allorchè si celebrarono i giuochi
scenici, o pure, come vuole Erodiano[1917], i capitolini, furiosamente
vennero i pretoriani al palazzo. Pupieno Massimo, che fu il primo ad
accorgersi di questo nuvolo minaccioso, mandò, e dipoi andò anche in
persona a Balbino, perchè si facessero venire in aiuto loro i soldati
germani. Qui saltò di nuovo in campo la gelosia. Balbino, per sospetto
che l'altro li chiamasse per farsi solo imperatore, non acconsentì, e
vennero a parole fra loro: quando ecco, forzate le porte e le guardie,
arrivar loro addosso i pretoriani, spogliarli, e menarli fuori, con
istrappar loro la barba, batterli e caricarli d'ingiurie. Volevano
condurli al loro quartiere, per quivi finirli; ma inteso che i Germani
prendevano l'armi per soccorrerli, in mezzo alla strada gli svenarono
amendue (non ne sappiamo nè il giorno nè il mese), e preso seco il
giovanetto _Gordiano terzo_ acclamato _Imperadore_ da essi, andarono a
rinserrarsi nella fortezza pretoria. E tal fu l'infelice fine di
questi due Augusti, degni certamente per le belle doti loro di miglior
fortuna, colla morte dei quali Erodiano termina la storia sua. Rimasto
_Gordiano III Cesare_, dopo tante tragiche scene, solo ed amato non
men dal popolo che dai soldati, tuttochè, secondo Erodiano[1918], egli
non avesse che tredici anni di età, fu riconosciuto da tutti
_Imperadore romano_.
NOTE:
[1892] Pagius. Relandus. Stampa et alii.
[1893] Thesaurus Novus Inscription., pag. 360.
[1894] Herodianus, lib. 7. Capitol., in Maximino seniore et in
Gordian.
[1895] Herodianus, lib. 7.
[1896] Pagius, in Crit. Baron.
[1897] Capitolin., in Maximino seniore. Herodian., lib. 7.
[1898] Capitolinus, in Maximino seniore.
[1899] Herod., lib. 5.
[1900] Capitol., in Gordiano seniore.
[1901] Herod., lib. 7.
[1902] Panvin., Fast. Cons.
[1903] Herodian., lib. 7. Capitol., in Maxim. et Balbin.
[1904] Capitol., in Maxim. et Balbin.
[1905] Capitol., in Maximin. seniore.
[1906] Pagius, Crit. Baron., ad annum 236.
[1907] Capitol., in Maximo et Balbin.
[1908] Idem, ibid.
[1909] Herodian., lib. 5.
[1910] Herodianus, lib. 8.
[1911] Herodianus, lib. 8.
[1912] Capitol., in Maximo et Balbino.
[1913] Herodianus, lib. 7. Capitol., in Maximino seniore.
[1914] Capitol., in Maximino seniore.
[1915] Pagius, Crit. Baron., ad annum 239.
[1916] Capitol., in Maximo et Balbino.
[1917] Herodianus, lib. 8.
[1918] Herodianus, lib. 8.
Anno di CRISTO CCXXXIX. Indizione II.
FABIANO papa 4.
GORDIANO III imperadore 2.
_Consoli_
MARCO ANTONIO GORDIANO AUGUSTO e MANIO ACILIO AVIOLA.
In una iscrizione riferita dal Doni e da me[1919] apparisce che tal fu
il prenome e nome del secondo console, cioè di _Aviola_. Già dicemmo
che _Gordiano III_ era stato nell'anno precedente disegnato console.
Portava egli lo stesso nome dell'avolo e del padre Augusto, cioè
_Marco Antonio Gordiano_; perchè nato da una figliuola di _Gordiano
I_, fu verisimilmente adottato da lui, o pure da _Gordiano II_ suo zio
materno, benchè Desippo e un altro antico storico il facciano
figliuolo di _Gordiano II_. Il che se fosse, sarebbe stato solamente
figlio naturale; perchè, per attestato di Capitolino[1920], il secondo
dei Gordiani non ebbe mai moglie legittima, e se la passava con
ventidue concubine. Il vedere che sua madre, tuttavia vivente dopo
l'esaltazion del figliuolo, non vien nominata da alcuno Augusta,
potrebbe servire per farla credere di bassa sfera, e non sorella, ma
concubina di Gordiano II. Questo principe vi fu alcun degli
antichi[1921] che il pretese nominato _Antonino_; opinione che pare
confermata da qualche marmo; ma il più sicuro suo nome è quello di
_Antonio_. Era questo giovinetto principe bello di aspetto, di umore
allegro, affabile con tutti, amabilissimo; avea studiato lettere;
tante in somma erano le sue belle doti, che faceano a gara il senato,
il popolo ed i soldati ad amarlo, dandogli il titolo di lor figliuolo,
e chiamandolo la lor delizia. Altro non gli mancava, per ben governar
l'imperio, che l'età e la sperienza degli affari; poichè per la buona
volontà non la cedeva ad alcuno. Creato dunque che egli fu _Augusto_,
cessarono tutti i tumulti e le brighe di Roma, si pacificarono i
soldati col popolo, e cominciò ognuno a goder del riposo e dei
solazzi, studiandosi di dimenticare i tanti affanni patiti dopo la
morte del buon imperadore Alessandro. Racconta il suddetto
Capitolino[1922], che, tolto di vita il crudo Massimino, i Parti, cioè
i Persiani, minacciavano guerra in Oriente; e che i Carpi e gli Sciti
l'aveano già mossa contro le due Mesie, provincie dell'imperio romano,
con farvi gran danno. Perciò nel precedente anno era già stabilito che
_Pupieno Massimo_ andrebbe in Levante per opporsi ai tentativi de'
Persiani, e che _Balbino_ con altra armata passerebbe il Danubio, per
far fronte ai Barbari, con lasciare il giovane _Gordiano_ al governo
di Roma. Ma Iddio altramente dispose, e convien pensare che non fosse
grande nè il pericolo, nè il bisogno, perchè in questo anno si godè
buona pace in Roma, nè si sa che l'imperio romano patisse scossa o
molestia alcuna in quelle contrade. Che questo novello Augusto
_Gordiano_, per maggiormente procacciarsi l'amore del popolo e delle
milizie, usasse loro un gran regalo, come si praticava dai nuovi
principi, si ricava dalle monete[1923] d'allora, nelle quali è
mentovata la prima _liberalità_ di questo Augusto.
NOTE:
[1919] Thes. Inscript., p. 361, n. 1.
[1920] Capitol., in Gordiano III.
[1921] Lampridius, in Elagabalo.
[1922] Capitolin., in Maxim. et Balbino.
[1923] Mediobarb., in Numism. Imperator.
Anno di CRISTO CCXL. Indizione III.
FABIANO papa 5.
GORDIANO III imperadore 3.
_Consoli_
SABINO per la seconda volta e VENUSTO.
Questo _Sabino_ console verisimilmente è quello che, dopo la morte dei
due Gordiani, propose in senato di eleggere imperadori Pupieno Massimo
e Balbino, ed appresso fu creato prefetto di Roma. Quando ciò si
ammettesse, dicendo Capitolino[1924] ch'egli era della famiglia degli
Ulpii, la stessa che quella di Traiano, converrebbe chiamarlo _Ulpio
Vettio Sabino_. Godevasi in Roma una invidiabil tranquillità, quando
vennero nuove dall'Africa[1925] che s'era fatta ivi un'unione di
malcontenti e ribelli contra dell'Augusto Gordiano, e capo di essi era
un certo _Sabiniano_. Colà inviò Gordiano un rinforzo di gente, con
cui il governatore della Mauritania, dianzi assediato dai congiurati,
talmente ristrinse coloro, che gli obbligò a venire a Cartagine, a
dargli legato il lor condottiero Sabiniano e a chieder perdono: il che
loro conceduto, si quietò tutto il rumore. Ma il testo di Capitolino
alquanto confuso non ci lascia ben discernere come passasse quella
faccenda, nè s'accorda con Zosimo[1926], quale pretende che il popolo
di Cartagine avesse proclamato Imperadore lo stesso _Sabiniano_, senza
che altro si sappia di lui. Da una legge di Gordiano si ricava che in
questi tempi era prefetto del pretorio un _Domizio_.
NOTE:
[1924] Capitolin., in Maximo et Balbino.
[1925] Capitol., in Gordiano III.
[1926] Zosimus, Hist., lib. 1.
Anno di CRISTO CCXLI. Indizione IV.
FABIANO papa 6.
GORDIANO III imperadore 4.
_Consoli_
MARCO ANTONIO GORDIANO AUGUSTO per la seconda volta e CIVICA
POMPEIANO.
Se non mi ritenesse una iscrizione greca rapportata dal Reinesio[1927]
e presa da quelle del Ligorio, in cui si legge console con Gordiano
Augusto _Pompeiano Civica_, io non gli darei il nome di _Civica_, nè
mi fiderei di un'altra del Gudio, dove questo console è appellato
_Civica Pompeiano_. Posto nondimeno ch'egli usasse questi due cognomi,
almen certo sarà che fu personaggio diverso da Pompeiano veduto da noi
console nell'anno 231, perchè qui non vien chiamato console per la
seconda volta. Guasto sarà il testo di Capitolino[1928], dove ha il
nome di _Popiniano_, avendo noi troppe testimonianze di leggi e di
marmi che _Pompeiano_ fu il suo cognome. Abbiam già veduto di sopra
come _Artaserse_ avea ristabilito la monarchia de' Persiani. Dopo la
guerra a lui fatta da Alessandro Augusto stettero per qualche tempo
quieti quei popoli; ma, defunto Artaserse, divenne _Sapore_ suo
figliuolo successore non men dei regni che dell'ambizione del padre.
La Mesopotamia posseduta dai Romani, siccome sottoposta una volta al
dominio persiano, tosto fu l'oggetto delle superbe sue mire.
Eutichio[1929] il loda per la sua giustizia; Agatia[1930] cel descrive
tutto il rovescio, uomo crudele, sanguinario, implacabile e di maniere
affatto tiranniche. Entrò costui con formidabil esercito sui principii
del suo governo nella Mesopotamia; prese Carre ed altre città
circonvicine, e mise l'assedio a quella di Nisibi. Fabbricato quivi un
castello alto presso le mura di quella città, continuamente infestava
quegli abitanti, i quali erano già vicini a rendersi, quando gli
convenne per urgente bisogno ritornar coll'armata nelle sue contrade.
S'accordò co' cittadini di Nisibi, che se promettessero di lasciare in
piedi quel castello fino al suo ritorno, egli se ne andrebbe. Ma non
sì tosto fu partito, che i Nisibini con fossa e muro nuovo chiusero
quel castello nella città. Tornato poi Sapore, e rinnovato l'assedio
con impadronirsi di Nisibi, fiera strage fece di parte di quel popolo,
e il resto condusse in ischiavitù con immenso bottino. I progressi di
questo ferocissimo re fecero paura fino all'Italia. Applicossi perciò
con tutto vigore il senato romano ad ammassar gente e danaro per
reprimere il borioso nemico, e fu determinato che il giovine
_imperador Gordiano_ in persona andrebbe a comandar l'armata, o, per
dir meglio, ad apprendere il mestier della guerra[1931]. Intanto si
pensò ad accasarlo, ancorchè, secondo i conti di Erodiano, non fosse
giunto per anche all'età di diciotto anni. La madre sua, da noi poco
conosciuta, probabilmente fu quella che gli trovò la moglie, cioè
_Furia Tranquillina Sabina_, così appellata nelle medaglie[1932] e in
alcune iscrizioni[1933], ma _Sabina_ in altre. Era essa figliuola di
_Misiteo_, uomo di competente nobiltà, ed allora solamente noto pel
suo sapere, per la sua eloquenza e prudenza, e non per impiego alcuno.
Altro non sappiamo di essa Tranquillina, se non che portò il titolo di
_Augusta_, senza apparire che da lei nascesse prole alcuna. Fu bensì
celebre _Misiteo_ suo padre, perchè divenuto suocero dell'imperadore e
creato prefetto del pretorio. Nè tardò egli a valersi della sua
autorità per dar sesto alla corte e mettere sul buon cammino lo
Augusto suo genero. Fin qui era stato il giovine Gordiano sotto il
governo della madre, che, poco avvertita, il lasciava aggirare a lor
talento dagli eunuchi della corte. Costoro lo allevarono in
divertimenti fanciulleschi e in bagattelle, e insieme d'accordo
vendevano la giustizia e i posti. Proponeva Mauro, uno di essi,
qualche risoluzione in lode o in biasimo di taluno. Sopra ciò chiedeva
Gordiano il loro parere a Gaudiano, Reverendo e Montano; ed approvando
questi la proposizion dell'altro, tutto si faceva. Per consiglio di
essi avea creato _Felice_ prefetto del pretorio, e data la quarta
legione a _Sarapammone_, uomini indegni di sì fatte cariche. L'erario
del principe caduto nelle griffe di queste arpie si trovava affatto
senza sangue. Venne a tempo il saggio Misiteo per liberar da peste sì
abbominevole l'Augusto suo genero. Abbiamo da Capitolino[1934] una
lettera da lui scritta ad esso Gordiano, in cui si rallegra di aver
medicate quelle piaghe, e di aver Gordiano allontanati da sè tali
ministri, congiurati contro l'onore di lui e contro il pubblico bene.
E Gordiano in altra lettera riconosce d'avere operato in addietro cose
che non erano da fare, dicendo, fra le altre cose, di _conoscere
oramai quanto sia infelice il principe posto in mano di gente, la
quale gli taccia il vero, e lo inganni col falso_. Però da lì innanzi
Gordiano volea saper tutto; e siccome principe di buon intendimento e
di miglior volontà, non lasciò indietro disordine alcuno conosciuto, a
cui non rimediasse, valendosi in tutto de' consigli del savio suo
suocero, a cui dava il titolo di padre. Per tale, e per tutore della
repubblica voleva che fosse riconosciuto anche dal senato: e
pubblicamente protestava che quel di bene che si faceva, tutto si
doveva attribuire a quel ministro d'onore ch'era toccato a lui per
suocero. In questa maniera non parve più governo di un giovane il suo;
e andò sempre crescendo l'amore del pubblico verso di esso Augusto. Un
gran tremuoto in questi tempi si fece udire, per cui traballarono
varie città, e si aprirono voragini con inghiottire gli abitatori.
NOTE:
[1927] Reinesius, Inscript., pag. 633.
[1928] Capitolinus, in Gordiano III.
[1929] Eutichius, Annal. Eccles.
[1930] Agathias, Histor., lib. 4.
[1931] Capitolin., in Gordiano III.
[1932] Mediobarb., in Numismat. Imperat.
[1933] Thesaurus Novus Inscription., pag. 251.
[1934] Capitol., in Gordiano III.
Anno di CRISTO CCXLII. Indizione V.
FABIANO papa 7.
GORDIANO III imperadore 5.
_Consoli_
CAIO VETTIO ATTICO e CAIO ASINIO PRETESTATO.
_Caio Aufidio Attico_ si truova nominato il primo console in una
iscrizione del Grutero[1935]. Più ne restano dove è nominato _Vettio_,
e non _Aufidio_, e così pure si legge in un marmo riferito nella mia
Raccolta[1936]. Però è scorretta quella iscrizione, o pur egli portò
amendue quei nomi. Gran tempo era che non si praticava in Roma la
cerimonia di aprire e chiudere le porte del tempio di Giano, allorchè
si dava principio o fine alle guerre[1937]. Gordiano, già risoluto di
passare in Levante per opporre le forze romane a quelle de' Persiani,
le fece spalancare sul principio di quest'anno in segno di guerra.
Venuta poi la primavera, provveduto di una fiorita armata e di assai
danaro, imprese il viaggio per terra alla volta di Bisanzio, per di là
traghettare in Asia. Passato per la Mesia, trovò nella Tracia molti
nemici del romano imperio, verisimilmente Sarmati, Alani o altra simil
gente barbara: tutti, o gli sterminò, o li fece ritirar colla fuga ai
loro paesi. Seco era _Misiteo_ suo suocero, prefetto del pretorio, e
suo braccio diritto. La provvidenza e l'indefessa vigilanza di questo
uffizial comandante si facea ammirar da tutti. Non v'era alcuna città
considerabile ne' confini dell'imperio romano che non fosse provveduta
di tanto grano, aceto, lardo, orzo e paglia da poter mantenere per un
anno l'imperadore col suo esercito, se pure s'han così da interpretar
le parole di Capitolino: il che a me par difficile a credersi. Altre
aveano provvisione per due mesi, ed altre meno, a proporzione delle
lor forze. Essendo prefetto del pretorio, spessissimo visitava l'armi
dei suoi soldati; non permetteva che i vecchi militassero, nè si
arrolassero fanciulli. Ovunque si accampava l'armata, volea che il
campo fosse cinto di fosse, e di notte facea sovente la ronda. Questo
suo zelo pel pubblico bene riportava in premio l'amore di tutti, ed
era così amato e rispettato dagli uffiziali subalterni, che niun di
essi osava di mancare al suo dovere. Dopo l'acquisto della
Mesopotamia, _Sapore_ re di Persia più altiero che mai era entrato
colle sue armi nella Soria, e forse gli sarebbe riuscito agevole di
conquistarla interamente, se non fosse giunto l'Augusto Gordiano a
reprimere un sì potente avversario. Secondo le parole di Capitolino,
sembra che Antiochia fosse caduta in potere del re barbaro; e ne fa
dubitare anche una lettera scritta dal medesimo Gordiano al senato; ma
potrebbe essere che quella gran città solamente fosse assediata dai
Persiani, e ridotta agli estremi. Certo è almeno, che arrivato colà
Gordiano, la liberò dalle lor mani. Seguirono varii combattimenti: in
tutti cantarono la vittoria i Romani. Tal terrore misero questi
fortunati successi in cuor di Sapore e de' Persiani, che il più
frettolosamente che poterono si ritirarono di là dall'Eufrate. Ed
esser può che succedesse allora quanto racconta Pietro Patrizio[1938]
ne' frammenti delle ambascerie, cioè, che, avendo Sapore passato
l'Eufrate, si abbracciavano l'un l'altro i di lui soldati: tanta era
la lor gioia di avere scappato il gran pericolo, in cui si trovavano,
credendo ad ogni momento d'avere alle spalle le spade romane. Dovette
egli passare quel fiume verso Edessa posta di là; e però mandò messi
alla guarnigion romana di quella città, offerendo loro un grosso
regalo della sua moneta, se il volevano lasciar passare, fingendo
d'andare al suo paese, non per paura, ma per solennizzarvi una festa,
non sapendo probabilmente quei soldati che Gordiano avesse data ai
far quivi maggior massa di gente e preparamenti per resistere al
ciclope[1908]: così egli nominava Massimino[1909]. Mandò ancora il
senato per tutte le provincie e città che aveano alzata bandiera
contra del tiranno, personaggi consolari, ed altri già stati pretori,
questori, edili, ec., con ordine di fortificar le città capaci di
difesa, provvederle d'armi e vettovaglie, e d'introdurvi tutto il
grano delle campagne, acciocchè mancasse la sussistenza allo arrivo di
Massimino. Allorchè pervenne ad esso Massimino la nuova dei novelli
due imperadori, conobbe chiaro che l'odio del popolo romano era
irreconciliabile contra di lui, e però doversi riporre tutte le sue
speranze nella forza. Sollecitata dunque più che mai la marcia del suo
esercito, che tuttavia era fuori della Italia, giunse ad Emona città
dell'Istria, e la trovò abbandonata da quegli abitanti. Il non aver
essi lasciata ivi vettovaglia alcuna diede da mormorare ai di lui
soldati, i quali, dopo tante marcie sforzate e patimenti del viaggio,
si erano lusingati di trovar le tavole imbandite, anzi le delizie ai
confini dell'Italia. Il peggio fu, che, continuato il viaggio, ebbero
avviso, qualmente Aquileia, città allora assai vasta, ricca e
popolata, ed una delle più riguardevoli del romano imperio, avea
chiuse le porte, e s'era accinta alla difesa. Prima d'imprendere
l'assedio di quella città, mandò Massimino uffiziali a parlare a quel
popolo, per esortarlo alla pace: al qual fine furono adoperate
promesse e parole le più belle del mondo. Ma dentro v'erano _Menofilo_
e _Crespino_, uomini consolari, che meglio seppero parlare e ritenere
il vacillante popolo dall'aprir le porte al nemico, con avere
spezialmente finto che Apollo Beleno, singolarmente ivi onorato,
avesse, per mezzo degli aruspici, predetto che Massimino resterebbe
vinto. Fu di avviso il padre Pagi che questo assedio si facesse in
tempo di verno: e il cardinal Noris cita Erodiano[1910] là dove scrive
che il fiume Isonzo era grosso per le nevi delle montagne, le quali
dopo un lungo verno si disfacevano, deducendo da ciò che l'assedio si
facesse nel principio del mese di marzo. Ma le nevi delle alte
montagne più tardi si disfanno, e tanto più dovettero tardare dopo un
lungo verno, e però nè pure al giugno e luglio non disconviene
l'essere tuttavia ricchi d'acque i fiumi. Passò Massimino coll'armata
quel fiume,, volendosi di botti vuote, o pur di quei vasi, ne' quali
si portano l'uve alla città; e poi strinse d'assedio Aquileia.
Mentre queste cose succedeano, un lagrimevole accidente occorse in
Roma diffusamente narrato da Erodiano[1911]. Due soldati pretoriani di
que' pochi che restavano in Roma, mossi da curiosità d'intendere ciò
che si trattava nel senato, entrarono dentro, e s'inoltrarono sino
all'altare della Vittoria. _Giuliano_, che poco fa era stato console
(non so se diverso dai due sostituiti soprannominati, o pure l'un
d'essi), e _Mecenate_, uno de' senatori, piantati nel petto di que'
due soldati i lor pugnali, li stesero morti a terra. Fuggirono gli
altri pretoriani al quartiere, e quivi rinserrati aspettavano il tempo
di vendicarsi. Uscito Giuliano, commosse il popolo e i gladiatori
all'armi contra de' pretoriani: laonde tutti in folla corsero al
castello pretorio, credendosi di poterlo superare, e di ingoiare i
pretoriani. Ma furono ben ricevuti dalle lor freccie e picche, in
maniera tale, che, vegnendo la sera, se ne tornarono confusamente
entro la città, riportando solamente delle ferite da quel conflitto.
Allora, spalancate le porte del pretorio, ne uscirono i soldati, e
diedero addosso a quella disordinata moltitudine, con farne grande
strage, e massimamente de' gladiatori. Irritato sempre più il popolo
romano per questa grave percossa, cercò aiuto, e continuò pei più
giorni a far guerra al pretorio, non sapendo sofferire che un mucchio
di soldati tanto inferiori di numero facesse sì lunga resistenza.
Tolsero anche gli acquidotti al pretorio, ma allora que' soldati,
mossi dalla disperazione, tornarono fuori, e colle spade alle reni
inseguirono il popolo fin dentro la città, con ucciderne molti.
Trovandosi ivi con isvantaggio, perchè dalle finestre e dai tetti
fioccavano i sassi e le tegole, s'avvisarono di mettere il fuoco a
varie case. Per disavventura s'andò sì fattamente dilatando
l'incendio, che non poca parte della città ne rimase disfatta: ed
unitasi coi soldati tutta la feccia de' cattivi, diede un fiero
saccheggio alle case de' benestanti. Non v'era giorno che _Balbino
Augusto_, rimasto al governo di Roma, non mandasse fuori qualche
editto, per quetare, se mai era possibile, sì gran turbolenza, e
pacificare il popolo coi pretoriani; ma nè gli uni nè gli altri
l'ubbidivano. E benchè in persona molte volte si sforzasse di fermar
quel furore, nulla ottenne, anzi gli fu gittato un sasso; ed altri
scrisse che gli arrivò una bastonata addosso[1912]. L'unico mezzo per
ismorzar quell'izza fu di condurre in pubblico il giovinetto _Gordiano
Cesare_, alla cui visita tanto il popolo che i soldati (perchè era
amato da ognuno) si placarono, e formarono una specie di concordia, o,
per dir meglio, di tregua, perchè vera pace non fu.
Avea ben Massimino cominciato l'assedio di Aquileia, perchè gli pareva
troppo disonore il continuar il viaggio verso Roma, lasciando indietro
disubbidiente la prima città d'Italia ch'egli incontrava, e città di
tanto riguardo[1913]. Ma ebbe ben tosto ad arrabbiare al vedere la
valorosa difesa dei cittadini sì uomini che donne e fanciulli, i quali
con bitumi accesi accoglievano chiunque veniva all'assalto, bruciavano
le macchine nemiche, e magagnavano continuamente con sassi e fuoco i
più arditi del campo nemico. Però quanto più cresceva il coraggio agli
assediati, sino a farsi dalle mura le più grande beffe di Massimino,
tanto più calava l'animo agli assedianti. Poteano ben quanto voleano i
due Massimini montati a cavallo girar per le schiere, animando
ciascuno alla bravura e agli assalti: tutto era indarno. Allora
l'iniquo Massimino, giacchè non potea infierir contro gli Aquileiesi,
sfogò il suo sdegno contra di alcuni dei proprii capitani, imputando
loro di mantener intelligenza co' nemici, e di non far molto, perchè
nulla intendeano di fare; e li fece morire. Questa ingiustizia alienò
da lui l'animo di moltissimi soldati. Si aggiunse che mancava la
vettovaglia al campo per gli uomini e cavalli, dappoichè Pupieno
Massimo avea fatto ridurre nelle città forti tutti i viveri, e
vietatone per mare e pe' fiumi il trasporto. Bestemmiava per questi
patimenti la sua armata, ed erano anche tutti mesti e scorati per le
nuove, probabilmente da Pupieno Massimo fatte spargere, che tutto il
popolo romano era in armi, tutte le provincie romane, e fino i Barbari
congiurati contra di Massimino. Pertanto una brigata di soldati,
solita ad aver quartiere vicino a Roma nel monte Albano, e che
militava allora nel campo di Massimino, ricordevole delle mogli e de'
figliuoli lasciati nella stessa Roma, determinò di finir la tragedia.
Verso il mezzodì tutti attruppati andarono al padiglione di Massimino,
ed essendo di accordo colle guardie, levarono dalle bandiere le
immagini di lui. Usciti Massimino e il figliuolo per placarli,
rimasero tagliati a pezzi, correndo il quarto anno del loro imperio.
Lo stesso trattamento fu fatto al prefetto, e a qualunque altro de'
confidenti de' Massimini. Furono i lor cadaveri lasciati ai cani; le
sole teste inviate per alcuni corridori a Roma. Dispiacque forte la
morte di questi due tiranni ai soldati della Tracia; ma il fatto era
fatto. Trattò allora l'esercito di entrare amichevolmente in Aquileia;
ma quel popolo non amando ospiti tali, solamente dalle mura gli andava
somministrando de' viveri, e seguitò a tener chiuse le porte. Intanto
i corridori destinati a portar le teste dei tiranni a Roma, passarono
in barca le paludi formate dall'Adige, dal Po e da altri fiumi da
Altino sino a Ravenna, e chiamate Sette Mari, e con altro nome la
Padusa. Trovato in Ravenna _Pupieno Massimo Augusto_, che ivi
attendeva ad ingrossarsi di gente, recarono a lui e a tutti i
Ravegnani un immenso giubilo colla inaspettata felicissima nuova di
essere liberato il romano imperio dai due formidabili tiranni. Allora
Pupieno Massimo volò ad Aquileia, ricevuto da quella città con
indicibil plauso. Concorsero a lui ambascerie dalle città vicine,
tutte per congratularsi, e l'armata stessa di Massimino in abito di
pace e con corone di alloro in capo, mostrò di accomodarsi alla
presente fortuna, prorompendo in liete acclamazioni, ma internamente
covando del veleno, per vedersi assoggettata ad un imperadore eletto
dal senato, e non da loro. Fece Pupieno Massimo una bella aringa a
costoro con promessa di un grosso regalo; e diviso quell'esercito,
mandò ogni legione alla sua provincia, e pochi dì fermatosi in
Aquileia con varie schiere, colla guardia de' Germani, ne' quali più
confidava, si rimise in viaggio, e tornossene a Roma.
Fu così sollecito per le poste il viaggio di coloro che portavano le
teste dei due Massimini, che da Aquileia in quattro dì giunsero a
Roma[1914]. Perchè era giorno di giuochi, si trovavano allora al
teatro _Balbino Augusto_, il giovine _Gordiano Cesare_, e il popolo;
ed appena comparvero que' messi, che il popolo gridò: _Massimino è
ucciso_. Verificatosi il fatto, ebbero tutti ad impazzir per la gioia.
Tosto si raunò il senato, furono fatte le acclamazioni agl'Imperadori;
determinato che _Pupieno Massimo_ e _Balbino_ Augusti fossero consoli
nel resto dell'anno, e che in luogo di Massimino fosse sostituito
_Gordiano Cesare_. Riconosce lo stesso padre Pagi[1915], voler dire
queste parole che Massimino avea prima della ribellione disegnato sè
stesso console per l'anno venturo 239, e che, venuta la nuova di sua
morte, il senato disegnò console per esso anno Gordiano terzo. Adunque
egli dovea riconoscere ancora che non era per anche nata la ribellione
dei due Gordiani Africani nel principio dell'anno presente, in cui si
soleano disegnare i consoli per l'anno prossimo; nè doversi riferire
al precedente anno la esaltazione e morte di essi due Gordiani, e la
creazione di Pupieno Massimo e di Balbino. Tutte queste scene nel solo
presente anno avvennero; e chi inoltre ben rifletterà ai frettolosi
passi di Massimino, troverà confermata la medesima verità. Arrivato
vicino a Roma Pupieno Massimo, ebbe l'incontro di Balbino, di Gordiano
terzo, e del senato e popolo romano, e gran festa fu fatta; ma in
faccia ai soldati altro non si leggeva che malinconia; e per altro
verso cominciò ad apparire nebbia di dissensione fra gli stessi
regnanti. Cioè, quantunque i due Augusti attendessero con somma
moderazione e zelo al buon governo sì civile che militare, pure fra
loro si scorgeva della gelosia e poco buona armonia. _Balbino_
sprezzava _Pupieno Massimo_, perchè bassamente nato; e _Massimo_ non
istimava l'altro, perchè non era suo pari nel valore dell'armi. Di
questa discordia avvedutisi gl'infelloniti soldati, specialmente i
pretoriani, conobbero che non era tanto difficile l'atterrar due
imperadori da loro mal voluti, perchè alzati senza di loro al trono, e
perchè sempre erano in sospetto di essere degradati, come avvenne a'
tempi di Severo Augusto[1916]. Ora, allorchè si celebrarono i giuochi
scenici, o pure, come vuole Erodiano[1917], i capitolini, furiosamente
vennero i pretoriani al palazzo. Pupieno Massimo, che fu il primo ad
accorgersi di questo nuvolo minaccioso, mandò, e dipoi andò anche in
persona a Balbino, perchè si facessero venire in aiuto loro i soldati
germani. Qui saltò di nuovo in campo la gelosia. Balbino, per sospetto
che l'altro li chiamasse per farsi solo imperatore, non acconsentì, e
vennero a parole fra loro: quando ecco, forzate le porte e le guardie,
arrivar loro addosso i pretoriani, spogliarli, e menarli fuori, con
istrappar loro la barba, batterli e caricarli d'ingiurie. Volevano
condurli al loro quartiere, per quivi finirli; ma inteso che i Germani
prendevano l'armi per soccorrerli, in mezzo alla strada gli svenarono
amendue (non ne sappiamo nè il giorno nè il mese), e preso seco il
giovanetto _Gordiano terzo_ acclamato _Imperadore_ da essi, andarono a
rinserrarsi nella fortezza pretoria. E tal fu l'infelice fine di
questi due Augusti, degni certamente per le belle doti loro di miglior
fortuna, colla morte dei quali Erodiano termina la storia sua. Rimasto
_Gordiano III Cesare_, dopo tante tragiche scene, solo ed amato non
men dal popolo che dai soldati, tuttochè, secondo Erodiano[1918], egli
non avesse che tredici anni di età, fu riconosciuto da tutti
_Imperadore romano_.
NOTE:
[1892] Pagius. Relandus. Stampa et alii.
[1893] Thesaurus Novus Inscription., pag. 360.
[1894] Herodianus, lib. 7. Capitol., in Maximino seniore et in
Gordian.
[1895] Herodianus, lib. 7.
[1896] Pagius, in Crit. Baron.
[1897] Capitolin., in Maximino seniore. Herodian., lib. 7.
[1898] Capitolinus, in Maximino seniore.
[1899] Herod., lib. 5.
[1900] Capitol., in Gordiano seniore.
[1901] Herod., lib. 7.
[1902] Panvin., Fast. Cons.
[1903] Herodian., lib. 7. Capitol., in Maxim. et Balbin.
[1904] Capitol., in Maxim. et Balbin.
[1905] Capitol., in Maximin. seniore.
[1906] Pagius, Crit. Baron., ad annum 236.
[1907] Capitol., in Maximo et Balbin.
[1908] Idem, ibid.
[1909] Herodian., lib. 5.
[1910] Herodianus, lib. 8.
[1911] Herodianus, lib. 8.
[1912] Capitol., in Maximo et Balbino.
[1913] Herodianus, lib. 7. Capitol., in Maximino seniore.
[1914] Capitol., in Maximino seniore.
[1915] Pagius, Crit. Baron., ad annum 239.
[1916] Capitol., in Maximo et Balbino.
[1917] Herodianus, lib. 8.
[1918] Herodianus, lib. 8.
Anno di CRISTO CCXXXIX. Indizione II.
FABIANO papa 4.
GORDIANO III imperadore 2.
_Consoli_
MARCO ANTONIO GORDIANO AUGUSTO e MANIO ACILIO AVIOLA.
In una iscrizione riferita dal Doni e da me[1919] apparisce che tal fu
il prenome e nome del secondo console, cioè di _Aviola_. Già dicemmo
che _Gordiano III_ era stato nell'anno precedente disegnato console.
Portava egli lo stesso nome dell'avolo e del padre Augusto, cioè
_Marco Antonio Gordiano_; perchè nato da una figliuola di _Gordiano
I_, fu verisimilmente adottato da lui, o pure da _Gordiano II_ suo zio
materno, benchè Desippo e un altro antico storico il facciano
figliuolo di _Gordiano II_. Il che se fosse, sarebbe stato solamente
figlio naturale; perchè, per attestato di Capitolino[1920], il secondo
dei Gordiani non ebbe mai moglie legittima, e se la passava con
ventidue concubine. Il vedere che sua madre, tuttavia vivente dopo
l'esaltazion del figliuolo, non vien nominata da alcuno Augusta,
potrebbe servire per farla credere di bassa sfera, e non sorella, ma
concubina di Gordiano II. Questo principe vi fu alcun degli
antichi[1921] che il pretese nominato _Antonino_; opinione che pare
confermata da qualche marmo; ma il più sicuro suo nome è quello di
_Antonio_. Era questo giovinetto principe bello di aspetto, di umore
allegro, affabile con tutti, amabilissimo; avea studiato lettere;
tante in somma erano le sue belle doti, che faceano a gara il senato,
il popolo ed i soldati ad amarlo, dandogli il titolo di lor figliuolo,
e chiamandolo la lor delizia. Altro non gli mancava, per ben governar
l'imperio, che l'età e la sperienza degli affari; poichè per la buona
volontà non la cedeva ad alcuno. Creato dunque che egli fu _Augusto_,
cessarono tutti i tumulti e le brighe di Roma, si pacificarono i
soldati col popolo, e cominciò ognuno a goder del riposo e dei
solazzi, studiandosi di dimenticare i tanti affanni patiti dopo la
morte del buon imperadore Alessandro. Racconta il suddetto
Capitolino[1922], che, tolto di vita il crudo Massimino, i Parti, cioè
i Persiani, minacciavano guerra in Oriente; e che i Carpi e gli Sciti
l'aveano già mossa contro le due Mesie, provincie dell'imperio romano,
con farvi gran danno. Perciò nel precedente anno era già stabilito che
_Pupieno Massimo_ andrebbe in Levante per opporsi ai tentativi de'
Persiani, e che _Balbino_ con altra armata passerebbe il Danubio, per
far fronte ai Barbari, con lasciare il giovane _Gordiano_ al governo
di Roma. Ma Iddio altramente dispose, e convien pensare che non fosse
grande nè il pericolo, nè il bisogno, perchè in questo anno si godè
buona pace in Roma, nè si sa che l'imperio romano patisse scossa o
molestia alcuna in quelle contrade. Che questo novello Augusto
_Gordiano_, per maggiormente procacciarsi l'amore del popolo e delle
milizie, usasse loro un gran regalo, come si praticava dai nuovi
principi, si ricava dalle monete[1923] d'allora, nelle quali è
mentovata la prima _liberalità_ di questo Augusto.
NOTE:
[1919] Thes. Inscript., p. 361, n. 1.
[1920] Capitol., in Gordiano III.
[1921] Lampridius, in Elagabalo.
[1922] Capitolin., in Maxim. et Balbino.
[1923] Mediobarb., in Numism. Imperator.
Anno di CRISTO CCXL. Indizione III.
FABIANO papa 5.
GORDIANO III imperadore 3.
_Consoli_
SABINO per la seconda volta e VENUSTO.
Questo _Sabino_ console verisimilmente è quello che, dopo la morte dei
due Gordiani, propose in senato di eleggere imperadori Pupieno Massimo
e Balbino, ed appresso fu creato prefetto di Roma. Quando ciò si
ammettesse, dicendo Capitolino[1924] ch'egli era della famiglia degli
Ulpii, la stessa che quella di Traiano, converrebbe chiamarlo _Ulpio
Vettio Sabino_. Godevasi in Roma una invidiabil tranquillità, quando
vennero nuove dall'Africa[1925] che s'era fatta ivi un'unione di
malcontenti e ribelli contra dell'Augusto Gordiano, e capo di essi era
un certo _Sabiniano_. Colà inviò Gordiano un rinforzo di gente, con
cui il governatore della Mauritania, dianzi assediato dai congiurati,
talmente ristrinse coloro, che gli obbligò a venire a Cartagine, a
dargli legato il lor condottiero Sabiniano e a chieder perdono: il che
loro conceduto, si quietò tutto il rumore. Ma il testo di Capitolino
alquanto confuso non ci lascia ben discernere come passasse quella
faccenda, nè s'accorda con Zosimo[1926], quale pretende che il popolo
di Cartagine avesse proclamato Imperadore lo stesso _Sabiniano_, senza
che altro si sappia di lui. Da una legge di Gordiano si ricava che in
questi tempi era prefetto del pretorio un _Domizio_.
NOTE:
[1924] Capitolin., in Maximo et Balbino.
[1925] Capitol., in Gordiano III.
[1926] Zosimus, Hist., lib. 1.
Anno di CRISTO CCXLI. Indizione IV.
FABIANO papa 6.
GORDIANO III imperadore 4.
_Consoli_
MARCO ANTONIO GORDIANO AUGUSTO per la seconda volta e CIVICA
POMPEIANO.
Se non mi ritenesse una iscrizione greca rapportata dal Reinesio[1927]
e presa da quelle del Ligorio, in cui si legge console con Gordiano
Augusto _Pompeiano Civica_, io non gli darei il nome di _Civica_, nè
mi fiderei di un'altra del Gudio, dove questo console è appellato
_Civica Pompeiano_. Posto nondimeno ch'egli usasse questi due cognomi,
almen certo sarà che fu personaggio diverso da Pompeiano veduto da noi
console nell'anno 231, perchè qui non vien chiamato console per la
seconda volta. Guasto sarà il testo di Capitolino[1928], dove ha il
nome di _Popiniano_, avendo noi troppe testimonianze di leggi e di
marmi che _Pompeiano_ fu il suo cognome. Abbiam già veduto di sopra
come _Artaserse_ avea ristabilito la monarchia de' Persiani. Dopo la
guerra a lui fatta da Alessandro Augusto stettero per qualche tempo
quieti quei popoli; ma, defunto Artaserse, divenne _Sapore_ suo
figliuolo successore non men dei regni che dell'ambizione del padre.
La Mesopotamia posseduta dai Romani, siccome sottoposta una volta al
dominio persiano, tosto fu l'oggetto delle superbe sue mire.
Eutichio[1929] il loda per la sua giustizia; Agatia[1930] cel descrive
tutto il rovescio, uomo crudele, sanguinario, implacabile e di maniere
affatto tiranniche. Entrò costui con formidabil esercito sui principii
del suo governo nella Mesopotamia; prese Carre ed altre città
circonvicine, e mise l'assedio a quella di Nisibi. Fabbricato quivi un
castello alto presso le mura di quella città, continuamente infestava
quegli abitanti, i quali erano già vicini a rendersi, quando gli
convenne per urgente bisogno ritornar coll'armata nelle sue contrade.
S'accordò co' cittadini di Nisibi, che se promettessero di lasciare in
piedi quel castello fino al suo ritorno, egli se ne andrebbe. Ma non
sì tosto fu partito, che i Nisibini con fossa e muro nuovo chiusero
quel castello nella città. Tornato poi Sapore, e rinnovato l'assedio
con impadronirsi di Nisibi, fiera strage fece di parte di quel popolo,
e il resto condusse in ischiavitù con immenso bottino. I progressi di
questo ferocissimo re fecero paura fino all'Italia. Applicossi perciò
con tutto vigore il senato romano ad ammassar gente e danaro per
reprimere il borioso nemico, e fu determinato che il giovine
_imperador Gordiano_ in persona andrebbe a comandar l'armata, o, per
dir meglio, ad apprendere il mestier della guerra[1931]. Intanto si
pensò ad accasarlo, ancorchè, secondo i conti di Erodiano, non fosse
giunto per anche all'età di diciotto anni. La madre sua, da noi poco
conosciuta, probabilmente fu quella che gli trovò la moglie, cioè
_Furia Tranquillina Sabina_, così appellata nelle medaglie[1932] e in
alcune iscrizioni[1933], ma _Sabina_ in altre. Era essa figliuola di
_Misiteo_, uomo di competente nobiltà, ed allora solamente noto pel
suo sapere, per la sua eloquenza e prudenza, e non per impiego alcuno.
Altro non sappiamo di essa Tranquillina, se non che portò il titolo di
_Augusta_, senza apparire che da lei nascesse prole alcuna. Fu bensì
celebre _Misiteo_ suo padre, perchè divenuto suocero dell'imperadore e
creato prefetto del pretorio. Nè tardò egli a valersi della sua
autorità per dar sesto alla corte e mettere sul buon cammino lo
Augusto suo genero. Fin qui era stato il giovine Gordiano sotto il
governo della madre, che, poco avvertita, il lasciava aggirare a lor
talento dagli eunuchi della corte. Costoro lo allevarono in
divertimenti fanciulleschi e in bagattelle, e insieme d'accordo
vendevano la giustizia e i posti. Proponeva Mauro, uno di essi,
qualche risoluzione in lode o in biasimo di taluno. Sopra ciò chiedeva
Gordiano il loro parere a Gaudiano, Reverendo e Montano; ed approvando
questi la proposizion dell'altro, tutto si faceva. Per consiglio di
essi avea creato _Felice_ prefetto del pretorio, e data la quarta
legione a _Sarapammone_, uomini indegni di sì fatte cariche. L'erario
del principe caduto nelle griffe di queste arpie si trovava affatto
senza sangue. Venne a tempo il saggio Misiteo per liberar da peste sì
abbominevole l'Augusto suo genero. Abbiamo da Capitolino[1934] una
lettera da lui scritta ad esso Gordiano, in cui si rallegra di aver
medicate quelle piaghe, e di aver Gordiano allontanati da sè tali
ministri, congiurati contro l'onore di lui e contro il pubblico bene.
E Gordiano in altra lettera riconosce d'avere operato in addietro cose
che non erano da fare, dicendo, fra le altre cose, di _conoscere
oramai quanto sia infelice il principe posto in mano di gente, la
quale gli taccia il vero, e lo inganni col falso_. Però da lì innanzi
Gordiano volea saper tutto; e siccome principe di buon intendimento e
di miglior volontà, non lasciò indietro disordine alcuno conosciuto, a
cui non rimediasse, valendosi in tutto de' consigli del savio suo
suocero, a cui dava il titolo di padre. Per tale, e per tutore della
repubblica voleva che fosse riconosciuto anche dal senato: e
pubblicamente protestava che quel di bene che si faceva, tutto si
doveva attribuire a quel ministro d'onore ch'era toccato a lui per
suocero. In questa maniera non parve più governo di un giovane il suo;
e andò sempre crescendo l'amore del pubblico verso di esso Augusto. Un
gran tremuoto in questi tempi si fece udire, per cui traballarono
varie città, e si aprirono voragini con inghiottire gli abitatori.
NOTE:
[1927] Reinesius, Inscript., pag. 633.
[1928] Capitolinus, in Gordiano III.
[1929] Eutichius, Annal. Eccles.
[1930] Agathias, Histor., lib. 4.
[1931] Capitolin., in Gordiano III.
[1932] Mediobarb., in Numismat. Imperat.
[1933] Thesaurus Novus Inscription., pag. 251.
[1934] Capitol., in Gordiano III.
Anno di CRISTO CCXLII. Indizione V.
FABIANO papa 7.
GORDIANO III imperadore 5.
_Consoli_
CAIO VETTIO ATTICO e CAIO ASINIO PRETESTATO.
_Caio Aufidio Attico_ si truova nominato il primo console in una
iscrizione del Grutero[1935]. Più ne restano dove è nominato _Vettio_,
e non _Aufidio_, e così pure si legge in un marmo riferito nella mia
Raccolta[1936]. Però è scorretta quella iscrizione, o pur egli portò
amendue quei nomi. Gran tempo era che non si praticava in Roma la
cerimonia di aprire e chiudere le porte del tempio di Giano, allorchè
si dava principio o fine alle guerre[1937]. Gordiano, già risoluto di
passare in Levante per opporre le forze romane a quelle de' Persiani,
le fece spalancare sul principio di quest'anno in segno di guerra.
Venuta poi la primavera, provveduto di una fiorita armata e di assai
danaro, imprese il viaggio per terra alla volta di Bisanzio, per di là
traghettare in Asia. Passato per la Mesia, trovò nella Tracia molti
nemici del romano imperio, verisimilmente Sarmati, Alani o altra simil
gente barbara: tutti, o gli sterminò, o li fece ritirar colla fuga ai
loro paesi. Seco era _Misiteo_ suo suocero, prefetto del pretorio, e
suo braccio diritto. La provvidenza e l'indefessa vigilanza di questo
uffizial comandante si facea ammirar da tutti. Non v'era alcuna città
considerabile ne' confini dell'imperio romano che non fosse provveduta
di tanto grano, aceto, lardo, orzo e paglia da poter mantenere per un
anno l'imperadore col suo esercito, se pure s'han così da interpretar
le parole di Capitolino: il che a me par difficile a credersi. Altre
aveano provvisione per due mesi, ed altre meno, a proporzione delle
lor forze. Essendo prefetto del pretorio, spessissimo visitava l'armi
dei suoi soldati; non permetteva che i vecchi militassero, nè si
arrolassero fanciulli. Ovunque si accampava l'armata, volea che il
campo fosse cinto di fosse, e di notte facea sovente la ronda. Questo
suo zelo pel pubblico bene riportava in premio l'amore di tutti, ed
era così amato e rispettato dagli uffiziali subalterni, che niun di
essi osava di mancare al suo dovere. Dopo l'acquisto della
Mesopotamia, _Sapore_ re di Persia più altiero che mai era entrato
colle sue armi nella Soria, e forse gli sarebbe riuscito agevole di
conquistarla interamente, se non fosse giunto l'Augusto Gordiano a
reprimere un sì potente avversario. Secondo le parole di Capitolino,
sembra che Antiochia fosse caduta in potere del re barbaro; e ne fa
dubitare anche una lettera scritta dal medesimo Gordiano al senato; ma
potrebbe essere che quella gran città solamente fosse assediata dai
Persiani, e ridotta agli estremi. Certo è almeno, che arrivato colà
Gordiano, la liberò dalle lor mani. Seguirono varii combattimenti: in
tutti cantarono la vittoria i Romani. Tal terrore misero questi
fortunati successi in cuor di Sapore e de' Persiani, che il più
frettolosamente che poterono si ritirarono di là dall'Eufrate. Ed
esser può che succedesse allora quanto racconta Pietro Patrizio[1938]
ne' frammenti delle ambascerie, cioè, che, avendo Sapore passato
l'Eufrate, si abbracciavano l'un l'altro i di lui soldati: tanta era
la lor gioia di avere scappato il gran pericolo, in cui si trovavano,
credendo ad ogni momento d'avere alle spalle le spade romane. Dovette
egli passare quel fiume verso Edessa posta di là; e però mandò messi
alla guarnigion romana di quella città, offerendo loro un grosso
regalo della sua moneta, se il volevano lasciar passare, fingendo
d'andare al suo paese, non per paura, ma per solennizzarvi una festa,
non sapendo probabilmente quei soldati che Gordiano avesse data ai
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