Annali d'Italia, vol. 1 - 31
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risoluzione abbracciata volentieri ed applaudita da que' popoli. Indi
passò nell'Arabia Petrea, che s'era anch'essa ribellata; ma vi trovò
il paese molto brutto, nè vi potè prendere Atra lor capitale, con
patirvi ancora insoffribili caldi e molti altri disastri. Credesi
nondimeno da alcuni ch'egli pervenisse fino all'Arabia Felice. Negli
stessi tempi[830] continuarono più che mai le sedizioni e ribellioni
de' Giudei nella Mesopotamia, nell'Egitto e in Cipri. Attesta
Eusebio[831], che in Salamina città di Cipri prevalse la forza de'
Giudei contra de' Gentili, di modo che quella città rimase spopolata.
Ma Artemione capitano de' Cipriotti così fattamente perseguitò i
Giudei in quell'isola, che li disertò affatto, facendosi conto, che
ivi tra Gentili e Giudei perirono dugento quarantamila persone. Fu
anche spedito _Lucio Quieto_ il Moro contra de' medesimi nella
Mesopotamia, che, col farne un'orrida strage, diede fine alla loro
inquietudine.
Ma che? tutte queste vittorie e conquiste di Trajano, che costarono
tanto sangue e tante spese e fatiche ai Romani, non istettero molto a
svanir in fumo; perchè appena ritirossi da quelle contrade Trajano,
che le cose ritornarono nel primiero stato, senza restarvi un palmo di
dominio pe' Romani. E se ne ritirò per forza Trajano, perchè nel mese
di luglio cominciò a sentire aggravata la sua sanità da male
pericoloso, che da lui fu creduto veleno; ma si attribuisce da altri a
cessazion delle emorroidi, e da altri ad un tocco di apoplessia, per
cui restò offesa qualche parte del suo corpo. Altri in fine vogliono
ch'egli fosse assalito dall'idropisia. Questo qualunque sia malore
sopraggiunto a Trajano, allorchè meditava di tornarsene in
Mesopotamia, gli fece cangiar pensiero, e l'invogliò di ritornarsene
in Italia, dove era continuamente richiamato dal senato; e però verso
queste parti frettolosamente s'incamminò[832]. Giunto ad Antiochia,
capitale della Soria, lasciò ivi _Elio Adriano_, suo cugino, con
titolo di governatore, e gli consegnò l'esercito romano. Continuato
poscia il viaggio sino a Selinonte, città marittima della Cilicia,
appellata poi Trajanopoli, oppresso dal male, che Eutropio[833] chiamò
flusso di ventre, quivi in età di sessantuno, altri dicono di
sessantatrè anni, compiè il corso di sua vita, per quanto si crede nel
dì 10 d'agosto. Il detto finora ha condotto i lettori a comprendere le
mirabili belle doti, che concorsero a rendere Trajano uno de' più
gloriosi imperadori che s'abbia mai avuto Roma, e a cui pochi altri
possono uguagliarsi, non che andare innanzi. Oltre alle belle memorie
ch'egli lasciò in Roma e in varie parti del romano imperio, in
fabbriche sontuose, strade, porti, ponti, si trovano ancora varie
città o fabbricate da lui, o che presero il nome da lui. A lui ancora
principalmente attribuisce Aurelio Vittore l'istituzione del Corso
Pubblico, oggidì appellato le Poste, che veramente ebbe origine da
Augusto, ma fu ampliato e regolato in miglior forma da Trajano,
acciocchè si potessero speditamente e regolarmente saper
dall'imperadore le nuove del vasto imperio romano, e andar e venir
prontamente gli uffiziali cesarei: giacchè, come dottamente osservò il
Gotofredo[834], serviva allora la posta solamente per gli ministri ed
uomini dell'imperatore, e non già per le persone private, ed era
mantenuta alle spese del Fisco con cavalli, calessi e carrette. Ma
siccome osserva Aurelio Vittore[835], e si raccoglie dal codice
teodosiano, questo lodevol istituto col tempo, e sotto i cattivi
imperadori degenerò in uno intollerabil aggravio delle provincie e de'
sudditi. Non fu già esente da ogni difetto Trajano, e van di accordo
Dione[836], Aurelio Vittore[837], Sparziano[838] e Giuliano
l'Apostata[839] in dire ch'egli cadea talvolta in eccessi di bere; ma
non si sa ch'egli commettesse giammai azione alcuna contra il dovere,
allorchè era riscaldato dal vino. Anzi, se crediamo ad esso Vittore,
egli ordinò di non aver riguardo a ciò ch'egli avesse comandato dopo
essere intervenuto a qualche convito. Aggiugne Dione, ch'egli fu
suggetto ad un'infame libidine, abborrita dalla natura stessa, ma
senza fare violenza o torto ad alcuno. Tutti effetti della falsa e
stolta religione dei Gentili, la quale accecava e affascinava talmente
le loro menti, che non si attribuivano a vergogna e peccato le
maggiori enormità, che san Paolo chiaramente nomina e riconosce per un
gran vitupero del gentilesimo allora dominante. Contuttociò nelle
virtù politiche, e massimamente nell'amorevolezza, clemenza e
saviezza, fu sì eccellente questo Augusto, che[840] da lì innanzi
nelle acclamazioni che faceva il senato al regnante imperadore, si usò
di augurargli, che fosse più _fortunato d'Augusto, più buono di
Trajano_. E ben godè sotto di lui Roma e l'imperio tutto una mirabil
calma: se non che si sentirono tremuoti in varie città, e peste e
carestia in vari luoghi, e in Roma seguì una fiera inondazion del
Tevere: malanni nondimeno, che servirono solamente di gloria a
Trajano, perchè egli in quante maniere potè si adoperò per rimediare
ai lor pessimi effetti, e per sovvenire chi era in bisogno. Fiorirono
ancora sotto questo insigne imperadore vari eccellenti ingegni, perchè
egli al pari degli altri più rinomati regnanti, amò i letterati, e
promosse le lettere. Restano a noi tuttavia le Opere di _Cornelio
Tacito_, di _Plinio_ il giovane e di _Frontino_, per tacer d'altri,
che fiorirono anche sotto Adriano, e d'altri de' quali si son perduti
i libri.
Ora _Plotina imperadrice_, che accompagnò sempre in tutti i suoi
viaggi il marito Trajano, dacchè egli fu morto, non lasciò traspirare
la di lui perdita, se non dappoichè ebbe concertato tutto per fargli
succedere _Publio Elio Adriano_ di lui cugino, giacchè non si sa che
Trajano avesse mai figliuolo alcuno. La fama è varia intorno a questo
punto. Crederono alcuni[841], che fosse corso per mente a Trajano di
lasciar l'imperio a _Nerazio Prisco_ giurisconsulto di que' tempi, e
che gli dicesse un giorno: _A voi raccomando le provincie, se qualche
disgrazia mi accadesse_. Altri pensarono[842] ch'egli avesse posti gli
occhi sopra _Serviano_ cognato di Adriano, ed altri fin sopra _Lucio
Quieto_, che già dicemmo moro di nazione. Lo creda chi vuole. Vi fu
chi disse essere stata sua intenzione di nominar dieci persone,
lasciando poi la scelta del migliore al senato, dopo la sua morte.
Nulla di ciò fu fatto. Solamente sul fin della vita adottò e nominò
suo successore _Adriano_, e ciò per opera di _Plotina Augusta_ e di
_Celio Taziano_ o sia _Attiano_, tutore di esso Adriano; perchè
veramente Trajano non mostrò mai tenerezza alcuna di amore per lui,
conoscendone assai i difetti; e l'avea bensì sollevato alla dignità di
console, ma senza dargli cariche riguardevoli sussistenti: il che non
si accorda con ciò che abbiam detto rivelato a lui da _Licinio
Sura_[843] nell'anno 109, cioè che fin d'allora Trajano meditava di
adottarlo per suo figliuolo. Convengono nondimeno gli storici in dire,
che Plotina co' suoi maneggi portò il marito infermo a dichiararlo suo
figliuolo e successore, siccome quella che, se vogliamo prestar fede a
Dione[844], era innamorata di Adriano: il che facilmente potè
immaginar la malizia solita a far dei ricami alle azioni altrui, e
massimamente dei grandi. Anzi non mancò chi credesse essere stata
l'adozion di Adriano una tela interamente fatta da essa Plotina senza
notizia e consentimento di Trajano, ed anche dopo la di lui morte,
tenuta celata apposta per qualche dì, con fingere fatta da lui
l'adozione suddetta. A questo sospetto diede qualche fondamento
l'essere state spedite le lettere al senato coll'avviso di tale
adozione, ma sottoscritte dalla sola Plotina. Fece la medesima Augusta
per solleciti corrieri intendere ad _Adriano_ la nuova dell'operato da
Trajano (se pur tutta sua non fu quella fattura) nel dì 9 di agosto.
Poscia nel dì 11 gli arrivò la nuova della morte di Trajano[845]. Non
perdè tempo Adriano a scriver lettere al senato, intitolandosi
_Trajano Adriano_, e pregandolo di confermargli l'imperio, e
protestando di non ammettere onore alcuno, ch'egli non avesse prima
domandato ed ottenuto dal medesimo senato, con altre sparate di non
voler fare se non ciò che fosse utile al pubblico, di non far morire
alcun senatore, aggiungendo a tali proteste gravi giuramenti ed
imprecazioni, se non eseguiva ciò che prometteva. Niuna difficoltà si
trovò ad approvare la di lui successione, ben conoscendo i senatori,
che, comandando egli al nerbo maggiore delle milizie romane, pazzia
sarebbe il negare a lui ciò che colla forza potrebbe ottenere. Oltre
di che l'esercito stesso della Soria, appena udita l'adozione di lui e
la morte di Trajano[846], l'avea riconosciuto per _Imperadore_: del
che fece egli scusa col senato. Uscì Adriano di Antiochia, per veder
le ceneri ed ossa dello stesso Trajano, che _Plotina_ sua moglie,
_Matidia_ sua nipote e _Taziano_ portavano a Roma; e poscia se ne
ritornò ad Antiochia, per dar sesto agli affari dell'Oriente, prima
d'imprendere anch'egli il suo viaggio alla volta della Italia. Furono
accolte in Roma esse ceneri colle lagrime e con un trionfo lugubre, ed
introdotte in quella città sopra un carro trionfale, in cui si mirava
l'immagine del defunto Augusto; e poscia collocate in un'urna d'oro
sotto la colonna trajana, con privilegio conceduto a pochi in
addietro, perchè non era lecito il seppellire entro le città[847].
Egli certo fu il primo degl'imperadori che fossero entro Roma
seppelliti. Scrisse Adriano al senato, acciocchè gli onori divini,
secondo l'empio costume del gentilesimo, fossero compartiti a Trajano.
Non sol questi, ma altri ancora, come templi e sacerdoti, decretò il
senato alla di lui memoria; e per molti anni dipoi si celebrarono in
onor suo i giuochi appellati Partici.
NOTE:
[827] Dio, lib. 68.
[828] Eutropius, in Breviar.
[829] Spartianus, in Vita Hadriani.
[830] Dio, lib. 68.
[831] Euseb., in Chron.
[832] Aurel. Vict., in Epit.
[833] Eutrop., in Breviar.
[834] Gothofredus ad Legem 8, Tit. 5, Codic. Theodosiani.
[835] Aurelius Victor, de Caesarib.
[836] Dio, lib. 68.
[837] Aurel. Vict., de Caesarib.
[838] Spart., in Vita Hadriani.
[839] Julian., de Caesar.
[840] Eutrop., in Brev.
[841] Spartianus, in Vita Hadriani.
[842] Dio, lib. 69.
[843] Spartianus, in Vita Hadriani.
[844] Dio, lib. 69.
[845] Dio, ibid.
[846] Spartianus, in Vita Hadriani.
[847] Eutropius, in Breviar.
Anno di CRISTO CXVIII. Indizione I.
SISTO papa 2.
ADRIANO imperadore 2.
_Consoli_
ELIO ADRIANO AUGUSTO per la seconda volta, e TIBERIO CLAUDIO FOSCO
ALESSANDRO.
Credesi che Trajano avesse all'anno precedente disegnato console
_Adriano_ per l'anno presente. Ma anche senza di questo, il costume
era che i novelli Augusti prendessero il consolato ordinario nel primo
anno del loro governo. Era nato Adriano nell'anno 76 della nostra Era,
nel dì 24 di gennaio, per testimonianza di Sparziano[848], da cui
abbiam la sua vita. Ebbe per moglie _Giulia Sabina_, figliuola di
_Matidia Augusta_, di cui fu madre _Marciana Augusta_, sorella di
_Trajano_. Perchè in sua gioventù comparve scialacquatore, si tirò
addosso lo sdegno di Trajano, suo parente, e già suo tutore. Tuttavia
tal era la sua disinvoltura e vivacità di spirito, che si rimise in
grazia di lui, e ricevè anche molti onori da lui; ma non mai giunse in
vita del medesimo ad essere accertato di succedergli nell'imperio a
cagion del suo naturale, in cui quel saggio imperadore trovava bensì
molte belle doti, ma insieme sapea scoprire non pochi vizii,
quantunque Adriano si studiasse di dissimularli e coprirli.
L'ambizione traspariva dalle di lui azioni e parole, molto più la
leggerezza e l'incostanza; e sopra tutto, il suo essere stizzoso e
vendicativo, facea temere che sarebbe portato alla crudeltà. Non si
può negare, che la penetrazione del suo intendimento, la prontezza
delle sue risposte, un'applicazione a tutto quanto può riuscir
d'ornamento a persona nobile, l'aiutavano a brillar nella corte e
negli uffizi a lui commessi. Prodigiosa era la sua memoria. Tutto
quanto leggeva, lo riteneva a niente. Fu veduto talvolta in uno stesso
tempo scrivere una lettera, dettarne un'altra, ascoltare e favellar
con gli amici. Non si lasciava andar innanzi alcuno nella cognizion
delle lingue greca e latina; sapea egregiamente comporre tanto in
prosa che in versi, ed anche improvvisava talvolta con garbo[849]. La
medicina, l'aritmetica, la geometria le possedeva; dilettavasi di
sonar vari strumenti, di dipignere, di lavorar delle statue; e la sua
non mai sazia curiosità il portava a voler sapere di tutto, con insino
inoltrarsi molto nel vanissimo studio della strologia giudiciaria, o
nell'empio della magia. Lasciò anche dopo di sè vari libri di sua
composizione in prosa e in versi. Suo maestro, o pure aiutante di
studio, fu _Lucio Giulio Vestinio_, che servì poscia a lui divenuto
imperadore di segretario, e vien chiamato sopraintendente alle
biblioteche di Roma greche e latine in una iscrizione[850]. Questo suo
amore alle scienze ed arti cagion fu, che a' suoi tempi fiorirono in
Roma le lettere, e vidersi i professori d'esse sommamente onorati e
premiati, come attesta anche Filostrato[851]. Piena era la sua corte
di grammatici, musici, pittori, geometri ed altri simili. Spezialmente
si compiaceva di conversar coi filosofi, poeti ed oratori, e li teneva
bene in esercizio, proponendo loro stravaganti quistioni, per
imbrogliarli, e rispondendo loro con egual vivacità tanto sul serio,
che burlando. Per altro a misura del suo volubil cervello era anche
bizzarro ed instabile il suo genio e gusto. E credendosi, per istare
sopra gli altri come imperadore, di aver anche questa medesima
superiorità nell'ingegno e nel sapere, portava nello stesso tempo
invidia a chi parea sapere più di lui, con giugnere a maltrattarli, e
a trovar da dire sopra tutte le lor fatiche, e, quel che è peggio, a
perseguitarli. Facevasi anche ridere dietro, allorchè anteponeva ad
Omero un certo cattivo poeta appellato Antimaco, Ennio a Virgilio,
Catone a Cicerone, Celio a Sallustio. E questo suo maligno ed
invidioso talento il trasse fino a screditar le azioni e le fabbriche
di Trajano, quasichè egli andasse innanzi a quel grand'uomo nel
giudizio e nel buon gusto. Ma questo per ora basti del novello
imperadore Adriano, e intorno alle sue doti e costumi.
Dacchè fu egli creato imperadore, giudicò di non dover partire di
Antiochia senza lasciare in istato quieto le cose d'Oriente[852]. Avea
ben Trajano aggiunto al romano imperio le provincie della Mesopotamia,
dell'Assiria e dell'Armenia; ma il mantenere quelle provincie nella
dovuta ubbidienza, non era da un Adriano, principe che s'intendea del
mestier della guerra per parlarne in sua camera, non per esercitarlo
in campagna, perchè mal provveduto di coraggio e di pazienza nelle
fatiche. Però si rivolse egli a' trattati di pace con _Cosroe_, già re
de' Parti, e con quei popoli, contento di salvare la dignità del
popolo romano: giacchè non si credea da tanto da poter conservar
quelle conquiste. Cedette dunque l'Assiria e la Mesopotamia a Cosroe,
mandandogli probabilmente il diadema, con ritener qualche ombra di
superiorità, e riducendo il confine romano all'Eufrate, come era
prima. Levò via _Partamaspare_, cioè quel re che Trajano avea dato ai
Parti, costituendolo re in qualche di angolo quelle contrade. Permise
anche ai popoli dell'Armenia l'eleggersi il loro re. Parve che in
tutto questo egli cercasse d'estinguere la gloria di Trajano, di cui,
per attestato di Eutropio[853], si mostrò sempre invidioso. Fece poi
anche per questo distruggere, contro il volere di tutti, il teatro
fabbricato da esso Trajano nel Campo Marzio. Poco mancò che non
restituisse ancora la Dacia ai Barbari. Impedito ne fu dalla
persuasion degli amici, acciocchè non cadessero sotto il giogo
barbarico tanti cittadini romani, che Trajano aveva inviato ad abitare
colà. Creò Adriano sul principio due prefetti del pretorio, cioè
_Celio Taziano_ per gratitudine, avendolo avuto per tutore in sua
gioventù, e per mezzano a salire in alto; e _Simile_ per la
moderazione ed onoratezza de' suoi costumi. Di questi ne dà un saggio
lo storico Dione[854] con dire che mentre _Simile_ era solamente
centurione, trovossi nella anticamera imperiale per andare all'udienza
di Trajano. V'erano ancora molti altri da più di lui, cioè uffiziali
primari che la desideravano anch'essi. Trajano il fece chiamare
innanzi agli altri, ma egli si scusò con dire, essere contro l'ordine,
che un par suo dovesse goder quest'onore, con fare intanto aspettare i
suoi comandanti nell'anticamera. Accettò Simile con difficoltà la
carica di prefetto, e da lì forse a due anni, scorgendo che verso di
lui s'era raffreddato Adriano, dimandò ed ottenne il suo congedo.
Ritiratosi alla campagna, quivi per sette anni sopravvisse in tutta
pace, comandando poi alla sua morte, che pel suo epitaffio si
scrivesse come egli _era stato settantasei anni sulla terra, ed
esserne vissuto solamente sette_. D'altro umore fu ben _Taziano_,
perchè uomo violento. Egli sulle prime scrisse da Roma ad Adriano di
levar dal mondo[855] _Bebio Marco_ prefetto di Roma, e _Laberio
Massimo_, e _Crasso Frugi_, relegati nell'isole, come persone capaci
di novità. Adriano non volle dar principio al suo governo con queste
crudeltà. Alcune poi ne commise andando innanzi, e di queste diede la
colpa ai consigli del medesimo Taziano. Depresse _Lucio Quieto_,
valoroso uffiziale, con levargli la compagnia de' Mori, perchè si
sospettava che aspirasse all'imperio. Mandò ancora _Marzio Turbone_ ad
acquetare un tumulto insorto nella Mauritania. Probabilmente verso la
primavera di quest'anno Adriano, dopo aver dato ai soldati il doppio
di quel regalo che solevano dare gli altri nuovi imperadori, e
lasciato al governo della Soria _Catilio Severo_, si mise in viaggio
per terra alla volta di Roma. Il senato gli avea decretato il trionfo.
Lo ricusò egli, volendo che a Trajano, benchè defunto, si desse
quest'onore. Perciò entrò in Roma sul carro trionfale, su cui era
inalberata l'immagine di esso Trajano. Cominciò dipoi il suo governo,
come far sogliono per lo più i principi novelli, con somma bontà e
dolcezza, e con far bene a tutti. Diede un congiario al popolo
romano[856], e pare che n'avesse dato due altri nell'anno antecedente.
Rimise alle città d'Italia tutto il tributo coronario, cioè quello che
si solea pagare per le vittorie degl'imperadori, e per l'assunzione
d'essi al trono. Lo sminuì anche alle provincie fuori d'Italia, benchè
egli pomposamente esprimesse, quanto allora lo stato si trovasse in
gran bisogno di danaro, che ciò nonostante egli faceva quella
remissione. Ciò nondimeno che gli produsse un incredibil plauso, fu
l'aver condonato tutti i debiti[857] che aveano le persone private da
sedici anni in addietro coll'erario imperiale, tanto in Roma che in
Italia, e nelle provincie spettanti all'imperadore, secondo la
divisione d'Augusto, non sapendosi se questa liberalità si stendesse
ancora alle provincie governate dal senato. Parla di questa sua
memorabil generosità Sparziano, e ne conservarono la memoria le
medaglie e le iscrizioni antiche[858]. Se non fallano i conti del
Gronovio[859], questa remissione ascese a ventidue milioni e mezzo di
scudi d'oro: il che sembra cosa incredibile. Per dare maggior risalto
a questa sua insigne azione, e per maggior sicurezza dei debitori,
fece bruciar nella piazza di Trajano tutte le lor polizze ed
obbigazioni. Apparisce dalle medaglie suddette, ch'egli appena creato
imperadore prese i titoli di _Germanico_, _Dacico_ e _Partico_, come
se ancor questi fossero passati in lui coll'eredità di Trajano.
Trovasi anche appellato _Pontefice Massimo_. Ma per conto del titolo
di Padre_ della Patria_, benchè il senato non tardasse ad
esibirglielo, e tornasse da lì a qualche tempo ad offerirglielo, nol
volle, sull'esempio di Augusto che tardi l'avea accettato.
NOTE:
[848] Spartianus, in Vita Hadriani.
[849] Dio, lib. 69.
[850] Thesaurus novus Inscription.
[851] Philostratus, in Sophist.
[852] Dio, lib. 69. Spartianus, in Vita Hadriani.
[853] Eutrop., in Breviar.
[854] Dio, lib. 69.
[855] Spartianus, in Vita Hadriani.
[856] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
[857] Dio, lib. 69.
[858] Panvinius, Fast. Consular. Spartianus, in Vita Hadriani.
[859] Gronovius de Sestertiis.
Anno di CRISTO CXIX. Indizione II.
SISTO papa 3.
ADRIANO imperatore 3.
_Consoli_
ELIO ADRIANO AUGUSTO per la terza volta, e QUINTO GIUNIO RUSTICO.
Perchè non abbiamo storici che abbiano con ordine di cronologia
distribuite le azioni di Adriano e di molti altri susseguenti
imperadori, possiamo ben rapportar con sicurezza ciò che operarono, ma
non già accertarne i tempi. Le stesse medaglie mancano in questi tempi
di note cronologiche, perchè non vi si esprime, se non in generale, la
podestà tribunizia e il consolato terzo, ripetuto sempre ne'
susseguenti anni, perchè egli più non fu da lì innanzi console. Diede
(forse nel precedente e non meno nel presente) dei sollazzi al popolo
romano, troppo vago degli spettacoli, correndo il suo giorno
natalizio, cioè[860] il combattimento de' gladiatori, e molte cacce di
fiere. Giorni vi furono, ne' quali cento lioni ed altrettante lionesse
restarono uccisi. Tanto nel teatro che nel circo, dove si fecero altri
giuochi, sparse dei doni separatamente agli uomini e alle donne. E
perciocchè regnava in Roma l'abbominevole abuso, che nel medesimo
bagno e nello stesso tempo si andavano a lavar uomini e donne, proibì
così enorme indecenza. Durò[861] il suo consolato dell'anno presente
solamente i primi quattro mesi, senza che si sappia chi gli fosse
sostituito in quella dignità. Ed allora attese ad ascoltar e decidere
le cause, che erano portate al senato. Meglio regolò le poste,
acciocchè i magistrati delle provincie non avessero l'incomodo di
provveder le vetture ai bisogni. Ordinò che da lì innanzi le pene dei
condannati non si pagassero al fisco, cioè alla camera cesarea, ma
bensì all'erario della repubblica. Accrebbe gli alimenti ai fanciulli
e alle fanciulle orfane povere per tutta l'Italia, ampliando la bella
istituzione che aveano dinanzi fatto i buoni imperadori Nerva e
Trajano. Ai senatori, che senza lor colpa aveano sminuito molto del
patrimonio che si esigeva per essere di quell'ordine eminente, diede
egli il supplemento con pensioni ben pagate finchè egli visse. Per le
spese occorrenti nell'ingresso delle cariche a molti suoi amici poveri
somministrò un buon aiuto di costa, e ciò fece ancora con alcuni che
nol meritavano. Sovvenne ancora molte nobili donne, alle quali mancava
il modo onesto di sostentar la vita. Scelse i più accreditati
dell'ordine senatorio per i suoi domestici e familiari, e li teneva
alla sua tavola. Fuorchè nel giorno suo natalizio, ricusò i giuochi
circensi, che in altri tempi volle il senato decretare in onore di
lui. Spesse volte ancora, parlando al senato e al popolo, protestò di
voler far conoscere nel suo governo, ch'egli procurava il ben
pubblico, e non già il proprio.
La cronica di Alessandria mette sotto questi consoli l'andata di
Addano a Gerusalemme[862], per quietare i tumulti eccitati dai Giudei
anche in quelle parti. Prese, se vogliam credere a quello storico, la
città di Terebinto, e vendè schiavi al pubblico i Giudei quivi
trovati. Atterrò il tempio di Gerusalemme; fabbricò ivi due piazze, un
teatro ed altri edifizii. Divise quella città in sette rioni coi lor
sopraintendenti, ed abolito il nome di Gerusalemme, volle che quella
città dal suo si chiamasse Elia. Anche Eusebio[863] qualche cosa di
ciò parla all'anno presente; e il padre Pagi[864] tien per fermo che
allora seguisse il viaggio suddetto di Adriano, e che Gerusalemme
fosse da lui rifabbricata. Ma non è l'autore della cronica
alessandrina di tal peso, da dovergli tosto prestar fede in questo
punto di cronologia, quando Dione e Sparziano nulla di ciò dicono
verso i tempi presenti; e quello scrittore patentemente s'inganna in
attribuire ad Adriano la distruzione del tempio accaduta nella guerra
di Tito. Non è perciò, a mio credere, assai sussistente il viaggio
colà di Adriano in questi tempi. Possiamo bensì tenere, che nell'anno
presente i sediziosi Giudei facessero qualche movimento, e restassero
abbattuti, come scrive san Girolamo[865], e vien accennato anche da
Eusebio. Abbiamo inoltre da Eutropio[866], che Adriano ebbe una sola
guerra, di cui parleremo, nè questa la fece in persona, ma per mezzo
di un suo generale.
NOTE:
[860] Dio, lib. 69.
[861] Spartianus, in vita Hadriani.
[862] Chr. Paschale, tom. I Histor. Byzantin.
[863] Eusebius, in Chron.
[864] Pagius, in Critic. Baron.
[865] Hieron., Comment. in Danymus, c. 9.
[866] Eutrop., in Breviar.
Anno di CRISTO CXX. Indizione III.
SISTO papa 4.
ADRIANO imperadore 4.
_Consoli_
LUCIO CATILIO SEVERO e TITO AURELIO FULVO.
Per quanto c'insegna Giulio Capitolino[867], l'imperadore _Antonino
Pio_ fu prima nominato _Tito Aurelio Fulvio_ o _Fulvo_, ed era stato
console con _Catilio Severo_. Quando quello storico non prenda
abbaglio, il secondo de' consoli dell'anno presente dovette essere il
medesimo Antonino. Non _Lucio Aurelio_, come per errore è corso ne'
fasti del padre Stampa, ma _Tito Aurelio_ fu il prenome e nome d'esso
console, come s'ha da un'iscrizione riferita dal Panvinio[868]. Ora
all'anno presente, secondochè immaginò il padre Pagi[869] con altri, e
non già al precedente, come volle il Tillemont, pare che s'abbia da
riferire la guerra mossa[870] dai Sarmati e dai Rossolani contro le
terre dell'imperio romano. A questo avviso Adriano Augusto
immediatamente mandò innanzi l'esercito romano, e poi, tenendogli
dietro, arrivò anche egli nella Mesia, e si fermò al Danubio,
frapposto fra lui e i nemici. Il Cellario[871], che mette i Sarmati
verso il mar Nero, e i Rossolani circa la Palude Meotide, non so come
ben si accordi col racconto di questa guerra. Un dì la cavalleria
romana, di tutte armi guernita, all'improvviso passò a nuoto il
Danubio: azione sommamente ardita, che mise tal terrore nei Barbari,
che trattarono di pace[872]. Lamentavasi il re de' Rossolani[873], che
gli fosse stata sminuita la pensione solita a pagarsegli dai Romani.
Adriano, che abborriva i pericoli della guerra, il soddisfece, con
accordar vergognosamente quanto il barbaro richiedea. Fu in questi
tempi, che egli diede il governo della Pannonia e della Dacia a
_Marzio Turbone_, ch'era stato presidente della Mauritania,
conferendogli la medesima autorità che avea il governator dell'Egitto.
Fors'anche allora fu ch'egli fece fabbricar nella Mesia una città, che
da lui prese il nome di Adrianopoli, oggidì Andrinopoli, città molto
cospicua tuttavia. Secondo l'ordine che tiene Sparziano nel suo
racconto, parrebbe che appartenessero all'anno presente alcune
crudeltà usate da esso Adriano. Dione[874] sembra metterle molto
prima, cioè all'anno 118 o 119. Siccome Adriano era principe
diffidente e sospettoso, e che facilmente bevea quanto di male gli
veniva riferito, così prestò fede a chi accusò _Domizio_ Negrino
d'aver macchinato contro la di lui vita: del qual delitto (vero o
falso che fosse) furono creduti complici _Cornelio Palma, Lucio
Publicio Celso_ e _Lucio Quieto_, tutti e quattro personaggi di gran
credito e nobiltà, e stati già consoli ordinari o straordinari. Ma non
s'accordano insieme Dione e Sparziano. Il primo scrive che doveano
ammazzare Adriano, allorchè era alla caccia; e l'altro, mentr'egli si
trovava impegnato in un sagrifizio. Si può anche dubitare che un tal
fatto accadesse quando Adriano si trovava nelle vicinanze di Roma, e
non già nella Mesia. Ne scrisse Adriano al senato. Pare che queste
persone prendessero la fuga, perchè _Palma_, per ordine del senato, fu
ucciso in Terracina, _Celso_ a Baja, _Negrino_ a Faenza, e _Lucio_ in
passò nell'Arabia Petrea, che s'era anch'essa ribellata; ma vi trovò
il paese molto brutto, nè vi potè prendere Atra lor capitale, con
patirvi ancora insoffribili caldi e molti altri disastri. Credesi
nondimeno da alcuni ch'egli pervenisse fino all'Arabia Felice. Negli
stessi tempi[830] continuarono più che mai le sedizioni e ribellioni
de' Giudei nella Mesopotamia, nell'Egitto e in Cipri. Attesta
Eusebio[831], che in Salamina città di Cipri prevalse la forza de'
Giudei contra de' Gentili, di modo che quella città rimase spopolata.
Ma Artemione capitano de' Cipriotti così fattamente perseguitò i
Giudei in quell'isola, che li disertò affatto, facendosi conto, che
ivi tra Gentili e Giudei perirono dugento quarantamila persone. Fu
anche spedito _Lucio Quieto_ il Moro contra de' medesimi nella
Mesopotamia, che, col farne un'orrida strage, diede fine alla loro
inquietudine.
Ma che? tutte queste vittorie e conquiste di Trajano, che costarono
tanto sangue e tante spese e fatiche ai Romani, non istettero molto a
svanir in fumo; perchè appena ritirossi da quelle contrade Trajano,
che le cose ritornarono nel primiero stato, senza restarvi un palmo di
dominio pe' Romani. E se ne ritirò per forza Trajano, perchè nel mese
di luglio cominciò a sentire aggravata la sua sanità da male
pericoloso, che da lui fu creduto veleno; ma si attribuisce da altri a
cessazion delle emorroidi, e da altri ad un tocco di apoplessia, per
cui restò offesa qualche parte del suo corpo. Altri in fine vogliono
ch'egli fosse assalito dall'idropisia. Questo qualunque sia malore
sopraggiunto a Trajano, allorchè meditava di tornarsene in
Mesopotamia, gli fece cangiar pensiero, e l'invogliò di ritornarsene
in Italia, dove era continuamente richiamato dal senato; e però verso
queste parti frettolosamente s'incamminò[832]. Giunto ad Antiochia,
capitale della Soria, lasciò ivi _Elio Adriano_, suo cugino, con
titolo di governatore, e gli consegnò l'esercito romano. Continuato
poscia il viaggio sino a Selinonte, città marittima della Cilicia,
appellata poi Trajanopoli, oppresso dal male, che Eutropio[833] chiamò
flusso di ventre, quivi in età di sessantuno, altri dicono di
sessantatrè anni, compiè il corso di sua vita, per quanto si crede nel
dì 10 d'agosto. Il detto finora ha condotto i lettori a comprendere le
mirabili belle doti, che concorsero a rendere Trajano uno de' più
gloriosi imperadori che s'abbia mai avuto Roma, e a cui pochi altri
possono uguagliarsi, non che andare innanzi. Oltre alle belle memorie
ch'egli lasciò in Roma e in varie parti del romano imperio, in
fabbriche sontuose, strade, porti, ponti, si trovano ancora varie
città o fabbricate da lui, o che presero il nome da lui. A lui ancora
principalmente attribuisce Aurelio Vittore l'istituzione del Corso
Pubblico, oggidì appellato le Poste, che veramente ebbe origine da
Augusto, ma fu ampliato e regolato in miglior forma da Trajano,
acciocchè si potessero speditamente e regolarmente saper
dall'imperadore le nuove del vasto imperio romano, e andar e venir
prontamente gli uffiziali cesarei: giacchè, come dottamente osservò il
Gotofredo[834], serviva allora la posta solamente per gli ministri ed
uomini dell'imperatore, e non già per le persone private, ed era
mantenuta alle spese del Fisco con cavalli, calessi e carrette. Ma
siccome osserva Aurelio Vittore[835], e si raccoglie dal codice
teodosiano, questo lodevol istituto col tempo, e sotto i cattivi
imperadori degenerò in uno intollerabil aggravio delle provincie e de'
sudditi. Non fu già esente da ogni difetto Trajano, e van di accordo
Dione[836], Aurelio Vittore[837], Sparziano[838] e Giuliano
l'Apostata[839] in dire ch'egli cadea talvolta in eccessi di bere; ma
non si sa ch'egli commettesse giammai azione alcuna contra il dovere,
allorchè era riscaldato dal vino. Anzi, se crediamo ad esso Vittore,
egli ordinò di non aver riguardo a ciò ch'egli avesse comandato dopo
essere intervenuto a qualche convito. Aggiugne Dione, ch'egli fu
suggetto ad un'infame libidine, abborrita dalla natura stessa, ma
senza fare violenza o torto ad alcuno. Tutti effetti della falsa e
stolta religione dei Gentili, la quale accecava e affascinava talmente
le loro menti, che non si attribuivano a vergogna e peccato le
maggiori enormità, che san Paolo chiaramente nomina e riconosce per un
gran vitupero del gentilesimo allora dominante. Contuttociò nelle
virtù politiche, e massimamente nell'amorevolezza, clemenza e
saviezza, fu sì eccellente questo Augusto, che[840] da lì innanzi
nelle acclamazioni che faceva il senato al regnante imperadore, si usò
di augurargli, che fosse più _fortunato d'Augusto, più buono di
Trajano_. E ben godè sotto di lui Roma e l'imperio tutto una mirabil
calma: se non che si sentirono tremuoti in varie città, e peste e
carestia in vari luoghi, e in Roma seguì una fiera inondazion del
Tevere: malanni nondimeno, che servirono solamente di gloria a
Trajano, perchè egli in quante maniere potè si adoperò per rimediare
ai lor pessimi effetti, e per sovvenire chi era in bisogno. Fiorirono
ancora sotto questo insigne imperadore vari eccellenti ingegni, perchè
egli al pari degli altri più rinomati regnanti, amò i letterati, e
promosse le lettere. Restano a noi tuttavia le Opere di _Cornelio
Tacito_, di _Plinio_ il giovane e di _Frontino_, per tacer d'altri,
che fiorirono anche sotto Adriano, e d'altri de' quali si son perduti
i libri.
Ora _Plotina imperadrice_, che accompagnò sempre in tutti i suoi
viaggi il marito Trajano, dacchè egli fu morto, non lasciò traspirare
la di lui perdita, se non dappoichè ebbe concertato tutto per fargli
succedere _Publio Elio Adriano_ di lui cugino, giacchè non si sa che
Trajano avesse mai figliuolo alcuno. La fama è varia intorno a questo
punto. Crederono alcuni[841], che fosse corso per mente a Trajano di
lasciar l'imperio a _Nerazio Prisco_ giurisconsulto di que' tempi, e
che gli dicesse un giorno: _A voi raccomando le provincie, se qualche
disgrazia mi accadesse_. Altri pensarono[842] ch'egli avesse posti gli
occhi sopra _Serviano_ cognato di Adriano, ed altri fin sopra _Lucio
Quieto_, che già dicemmo moro di nazione. Lo creda chi vuole. Vi fu
chi disse essere stata sua intenzione di nominar dieci persone,
lasciando poi la scelta del migliore al senato, dopo la sua morte.
Nulla di ciò fu fatto. Solamente sul fin della vita adottò e nominò
suo successore _Adriano_, e ciò per opera di _Plotina Augusta_ e di
_Celio Taziano_ o sia _Attiano_, tutore di esso Adriano; perchè
veramente Trajano non mostrò mai tenerezza alcuna di amore per lui,
conoscendone assai i difetti; e l'avea bensì sollevato alla dignità di
console, ma senza dargli cariche riguardevoli sussistenti: il che non
si accorda con ciò che abbiam detto rivelato a lui da _Licinio
Sura_[843] nell'anno 109, cioè che fin d'allora Trajano meditava di
adottarlo per suo figliuolo. Convengono nondimeno gli storici in dire,
che Plotina co' suoi maneggi portò il marito infermo a dichiararlo suo
figliuolo e successore, siccome quella che, se vogliamo prestar fede a
Dione[844], era innamorata di Adriano: il che facilmente potè
immaginar la malizia solita a far dei ricami alle azioni altrui, e
massimamente dei grandi. Anzi non mancò chi credesse essere stata
l'adozion di Adriano una tela interamente fatta da essa Plotina senza
notizia e consentimento di Trajano, ed anche dopo la di lui morte,
tenuta celata apposta per qualche dì, con fingere fatta da lui
l'adozione suddetta. A questo sospetto diede qualche fondamento
l'essere state spedite le lettere al senato coll'avviso di tale
adozione, ma sottoscritte dalla sola Plotina. Fece la medesima Augusta
per solleciti corrieri intendere ad _Adriano_ la nuova dell'operato da
Trajano (se pur tutta sua non fu quella fattura) nel dì 9 di agosto.
Poscia nel dì 11 gli arrivò la nuova della morte di Trajano[845]. Non
perdè tempo Adriano a scriver lettere al senato, intitolandosi
_Trajano Adriano_, e pregandolo di confermargli l'imperio, e
protestando di non ammettere onore alcuno, ch'egli non avesse prima
domandato ed ottenuto dal medesimo senato, con altre sparate di non
voler fare se non ciò che fosse utile al pubblico, di non far morire
alcun senatore, aggiungendo a tali proteste gravi giuramenti ed
imprecazioni, se non eseguiva ciò che prometteva. Niuna difficoltà si
trovò ad approvare la di lui successione, ben conoscendo i senatori,
che, comandando egli al nerbo maggiore delle milizie romane, pazzia
sarebbe il negare a lui ciò che colla forza potrebbe ottenere. Oltre
di che l'esercito stesso della Soria, appena udita l'adozione di lui e
la morte di Trajano[846], l'avea riconosciuto per _Imperadore_: del
che fece egli scusa col senato. Uscì Adriano di Antiochia, per veder
le ceneri ed ossa dello stesso Trajano, che _Plotina_ sua moglie,
_Matidia_ sua nipote e _Taziano_ portavano a Roma; e poscia se ne
ritornò ad Antiochia, per dar sesto agli affari dell'Oriente, prima
d'imprendere anch'egli il suo viaggio alla volta della Italia. Furono
accolte in Roma esse ceneri colle lagrime e con un trionfo lugubre, ed
introdotte in quella città sopra un carro trionfale, in cui si mirava
l'immagine del defunto Augusto; e poscia collocate in un'urna d'oro
sotto la colonna trajana, con privilegio conceduto a pochi in
addietro, perchè non era lecito il seppellire entro le città[847].
Egli certo fu il primo degl'imperadori che fossero entro Roma
seppelliti. Scrisse Adriano al senato, acciocchè gli onori divini,
secondo l'empio costume del gentilesimo, fossero compartiti a Trajano.
Non sol questi, ma altri ancora, come templi e sacerdoti, decretò il
senato alla di lui memoria; e per molti anni dipoi si celebrarono in
onor suo i giuochi appellati Partici.
NOTE:
[827] Dio, lib. 68.
[828] Eutropius, in Breviar.
[829] Spartianus, in Vita Hadriani.
[830] Dio, lib. 68.
[831] Euseb., in Chron.
[832] Aurel. Vict., in Epit.
[833] Eutrop., in Breviar.
[834] Gothofredus ad Legem 8, Tit. 5, Codic. Theodosiani.
[835] Aurelius Victor, de Caesarib.
[836] Dio, lib. 68.
[837] Aurel. Vict., de Caesarib.
[838] Spart., in Vita Hadriani.
[839] Julian., de Caesar.
[840] Eutrop., in Brev.
[841] Spartianus, in Vita Hadriani.
[842] Dio, lib. 69.
[843] Spartianus, in Vita Hadriani.
[844] Dio, lib. 69.
[845] Dio, ibid.
[846] Spartianus, in Vita Hadriani.
[847] Eutropius, in Breviar.
Anno di CRISTO CXVIII. Indizione I.
SISTO papa 2.
ADRIANO imperadore 2.
_Consoli_
ELIO ADRIANO AUGUSTO per la seconda volta, e TIBERIO CLAUDIO FOSCO
ALESSANDRO.
Credesi che Trajano avesse all'anno precedente disegnato console
_Adriano_ per l'anno presente. Ma anche senza di questo, il costume
era che i novelli Augusti prendessero il consolato ordinario nel primo
anno del loro governo. Era nato Adriano nell'anno 76 della nostra Era,
nel dì 24 di gennaio, per testimonianza di Sparziano[848], da cui
abbiam la sua vita. Ebbe per moglie _Giulia Sabina_, figliuola di
_Matidia Augusta_, di cui fu madre _Marciana Augusta_, sorella di
_Trajano_. Perchè in sua gioventù comparve scialacquatore, si tirò
addosso lo sdegno di Trajano, suo parente, e già suo tutore. Tuttavia
tal era la sua disinvoltura e vivacità di spirito, che si rimise in
grazia di lui, e ricevè anche molti onori da lui; ma non mai giunse in
vita del medesimo ad essere accertato di succedergli nell'imperio a
cagion del suo naturale, in cui quel saggio imperadore trovava bensì
molte belle doti, ma insieme sapea scoprire non pochi vizii,
quantunque Adriano si studiasse di dissimularli e coprirli.
L'ambizione traspariva dalle di lui azioni e parole, molto più la
leggerezza e l'incostanza; e sopra tutto, il suo essere stizzoso e
vendicativo, facea temere che sarebbe portato alla crudeltà. Non si
può negare, che la penetrazione del suo intendimento, la prontezza
delle sue risposte, un'applicazione a tutto quanto può riuscir
d'ornamento a persona nobile, l'aiutavano a brillar nella corte e
negli uffizi a lui commessi. Prodigiosa era la sua memoria. Tutto
quanto leggeva, lo riteneva a niente. Fu veduto talvolta in uno stesso
tempo scrivere una lettera, dettarne un'altra, ascoltare e favellar
con gli amici. Non si lasciava andar innanzi alcuno nella cognizion
delle lingue greca e latina; sapea egregiamente comporre tanto in
prosa che in versi, ed anche improvvisava talvolta con garbo[849]. La
medicina, l'aritmetica, la geometria le possedeva; dilettavasi di
sonar vari strumenti, di dipignere, di lavorar delle statue; e la sua
non mai sazia curiosità il portava a voler sapere di tutto, con insino
inoltrarsi molto nel vanissimo studio della strologia giudiciaria, o
nell'empio della magia. Lasciò anche dopo di sè vari libri di sua
composizione in prosa e in versi. Suo maestro, o pure aiutante di
studio, fu _Lucio Giulio Vestinio_, che servì poscia a lui divenuto
imperadore di segretario, e vien chiamato sopraintendente alle
biblioteche di Roma greche e latine in una iscrizione[850]. Questo suo
amore alle scienze ed arti cagion fu, che a' suoi tempi fiorirono in
Roma le lettere, e vidersi i professori d'esse sommamente onorati e
premiati, come attesta anche Filostrato[851]. Piena era la sua corte
di grammatici, musici, pittori, geometri ed altri simili. Spezialmente
si compiaceva di conversar coi filosofi, poeti ed oratori, e li teneva
bene in esercizio, proponendo loro stravaganti quistioni, per
imbrogliarli, e rispondendo loro con egual vivacità tanto sul serio,
che burlando. Per altro a misura del suo volubil cervello era anche
bizzarro ed instabile il suo genio e gusto. E credendosi, per istare
sopra gli altri come imperadore, di aver anche questa medesima
superiorità nell'ingegno e nel sapere, portava nello stesso tempo
invidia a chi parea sapere più di lui, con giugnere a maltrattarli, e
a trovar da dire sopra tutte le lor fatiche, e, quel che è peggio, a
perseguitarli. Facevasi anche ridere dietro, allorchè anteponeva ad
Omero un certo cattivo poeta appellato Antimaco, Ennio a Virgilio,
Catone a Cicerone, Celio a Sallustio. E questo suo maligno ed
invidioso talento il trasse fino a screditar le azioni e le fabbriche
di Trajano, quasichè egli andasse innanzi a quel grand'uomo nel
giudizio e nel buon gusto. Ma questo per ora basti del novello
imperadore Adriano, e intorno alle sue doti e costumi.
Dacchè fu egli creato imperadore, giudicò di non dover partire di
Antiochia senza lasciare in istato quieto le cose d'Oriente[852]. Avea
ben Trajano aggiunto al romano imperio le provincie della Mesopotamia,
dell'Assiria e dell'Armenia; ma il mantenere quelle provincie nella
dovuta ubbidienza, non era da un Adriano, principe che s'intendea del
mestier della guerra per parlarne in sua camera, non per esercitarlo
in campagna, perchè mal provveduto di coraggio e di pazienza nelle
fatiche. Però si rivolse egli a' trattati di pace con _Cosroe_, già re
de' Parti, e con quei popoli, contento di salvare la dignità del
popolo romano: giacchè non si credea da tanto da poter conservar
quelle conquiste. Cedette dunque l'Assiria e la Mesopotamia a Cosroe,
mandandogli probabilmente il diadema, con ritener qualche ombra di
superiorità, e riducendo il confine romano all'Eufrate, come era
prima. Levò via _Partamaspare_, cioè quel re che Trajano avea dato ai
Parti, costituendolo re in qualche di angolo quelle contrade. Permise
anche ai popoli dell'Armenia l'eleggersi il loro re. Parve che in
tutto questo egli cercasse d'estinguere la gloria di Trajano, di cui,
per attestato di Eutropio[853], si mostrò sempre invidioso. Fece poi
anche per questo distruggere, contro il volere di tutti, il teatro
fabbricato da esso Trajano nel Campo Marzio. Poco mancò che non
restituisse ancora la Dacia ai Barbari. Impedito ne fu dalla
persuasion degli amici, acciocchè non cadessero sotto il giogo
barbarico tanti cittadini romani, che Trajano aveva inviato ad abitare
colà. Creò Adriano sul principio due prefetti del pretorio, cioè
_Celio Taziano_ per gratitudine, avendolo avuto per tutore in sua
gioventù, e per mezzano a salire in alto; e _Simile_ per la
moderazione ed onoratezza de' suoi costumi. Di questi ne dà un saggio
lo storico Dione[854] con dire che mentre _Simile_ era solamente
centurione, trovossi nella anticamera imperiale per andare all'udienza
di Trajano. V'erano ancora molti altri da più di lui, cioè uffiziali
primari che la desideravano anch'essi. Trajano il fece chiamare
innanzi agli altri, ma egli si scusò con dire, essere contro l'ordine,
che un par suo dovesse goder quest'onore, con fare intanto aspettare i
suoi comandanti nell'anticamera. Accettò Simile con difficoltà la
carica di prefetto, e da lì forse a due anni, scorgendo che verso di
lui s'era raffreddato Adriano, dimandò ed ottenne il suo congedo.
Ritiratosi alla campagna, quivi per sette anni sopravvisse in tutta
pace, comandando poi alla sua morte, che pel suo epitaffio si
scrivesse come egli _era stato settantasei anni sulla terra, ed
esserne vissuto solamente sette_. D'altro umore fu ben _Taziano_,
perchè uomo violento. Egli sulle prime scrisse da Roma ad Adriano di
levar dal mondo[855] _Bebio Marco_ prefetto di Roma, e _Laberio
Massimo_, e _Crasso Frugi_, relegati nell'isole, come persone capaci
di novità. Adriano non volle dar principio al suo governo con queste
crudeltà. Alcune poi ne commise andando innanzi, e di queste diede la
colpa ai consigli del medesimo Taziano. Depresse _Lucio Quieto_,
valoroso uffiziale, con levargli la compagnia de' Mori, perchè si
sospettava che aspirasse all'imperio. Mandò ancora _Marzio Turbone_ ad
acquetare un tumulto insorto nella Mauritania. Probabilmente verso la
primavera di quest'anno Adriano, dopo aver dato ai soldati il doppio
di quel regalo che solevano dare gli altri nuovi imperadori, e
lasciato al governo della Soria _Catilio Severo_, si mise in viaggio
per terra alla volta di Roma. Il senato gli avea decretato il trionfo.
Lo ricusò egli, volendo che a Trajano, benchè defunto, si desse
quest'onore. Perciò entrò in Roma sul carro trionfale, su cui era
inalberata l'immagine di esso Trajano. Cominciò dipoi il suo governo,
come far sogliono per lo più i principi novelli, con somma bontà e
dolcezza, e con far bene a tutti. Diede un congiario al popolo
romano[856], e pare che n'avesse dato due altri nell'anno antecedente.
Rimise alle città d'Italia tutto il tributo coronario, cioè quello che
si solea pagare per le vittorie degl'imperadori, e per l'assunzione
d'essi al trono. Lo sminuì anche alle provincie fuori d'Italia, benchè
egli pomposamente esprimesse, quanto allora lo stato si trovasse in
gran bisogno di danaro, che ciò nonostante egli faceva quella
remissione. Ciò nondimeno che gli produsse un incredibil plauso, fu
l'aver condonato tutti i debiti[857] che aveano le persone private da
sedici anni in addietro coll'erario imperiale, tanto in Roma che in
Italia, e nelle provincie spettanti all'imperadore, secondo la
divisione d'Augusto, non sapendosi se questa liberalità si stendesse
ancora alle provincie governate dal senato. Parla di questa sua
memorabil generosità Sparziano, e ne conservarono la memoria le
medaglie e le iscrizioni antiche[858]. Se non fallano i conti del
Gronovio[859], questa remissione ascese a ventidue milioni e mezzo di
scudi d'oro: il che sembra cosa incredibile. Per dare maggior risalto
a questa sua insigne azione, e per maggior sicurezza dei debitori,
fece bruciar nella piazza di Trajano tutte le lor polizze ed
obbigazioni. Apparisce dalle medaglie suddette, ch'egli appena creato
imperadore prese i titoli di _Germanico_, _Dacico_ e _Partico_, come
se ancor questi fossero passati in lui coll'eredità di Trajano.
Trovasi anche appellato _Pontefice Massimo_. Ma per conto del titolo
di Padre_ della Patria_, benchè il senato non tardasse ad
esibirglielo, e tornasse da lì a qualche tempo ad offerirglielo, nol
volle, sull'esempio di Augusto che tardi l'avea accettato.
NOTE:
[848] Spartianus, in Vita Hadriani.
[849] Dio, lib. 69.
[850] Thesaurus novus Inscription.
[851] Philostratus, in Sophist.
[852] Dio, lib. 69. Spartianus, in Vita Hadriani.
[853] Eutrop., in Breviar.
[854] Dio, lib. 69.
[855] Spartianus, in Vita Hadriani.
[856] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
[857] Dio, lib. 69.
[858] Panvinius, Fast. Consular. Spartianus, in Vita Hadriani.
[859] Gronovius de Sestertiis.
Anno di CRISTO CXIX. Indizione II.
SISTO papa 3.
ADRIANO imperatore 3.
_Consoli_
ELIO ADRIANO AUGUSTO per la terza volta, e QUINTO GIUNIO RUSTICO.
Perchè non abbiamo storici che abbiano con ordine di cronologia
distribuite le azioni di Adriano e di molti altri susseguenti
imperadori, possiamo ben rapportar con sicurezza ciò che operarono, ma
non già accertarne i tempi. Le stesse medaglie mancano in questi tempi
di note cronologiche, perchè non vi si esprime, se non in generale, la
podestà tribunizia e il consolato terzo, ripetuto sempre ne'
susseguenti anni, perchè egli più non fu da lì innanzi console. Diede
(forse nel precedente e non meno nel presente) dei sollazzi al popolo
romano, troppo vago degli spettacoli, correndo il suo giorno
natalizio, cioè[860] il combattimento de' gladiatori, e molte cacce di
fiere. Giorni vi furono, ne' quali cento lioni ed altrettante lionesse
restarono uccisi. Tanto nel teatro che nel circo, dove si fecero altri
giuochi, sparse dei doni separatamente agli uomini e alle donne. E
perciocchè regnava in Roma l'abbominevole abuso, che nel medesimo
bagno e nello stesso tempo si andavano a lavar uomini e donne, proibì
così enorme indecenza. Durò[861] il suo consolato dell'anno presente
solamente i primi quattro mesi, senza che si sappia chi gli fosse
sostituito in quella dignità. Ed allora attese ad ascoltar e decidere
le cause, che erano portate al senato. Meglio regolò le poste,
acciocchè i magistrati delle provincie non avessero l'incomodo di
provveder le vetture ai bisogni. Ordinò che da lì innanzi le pene dei
condannati non si pagassero al fisco, cioè alla camera cesarea, ma
bensì all'erario della repubblica. Accrebbe gli alimenti ai fanciulli
e alle fanciulle orfane povere per tutta l'Italia, ampliando la bella
istituzione che aveano dinanzi fatto i buoni imperadori Nerva e
Trajano. Ai senatori, che senza lor colpa aveano sminuito molto del
patrimonio che si esigeva per essere di quell'ordine eminente, diede
egli il supplemento con pensioni ben pagate finchè egli visse. Per le
spese occorrenti nell'ingresso delle cariche a molti suoi amici poveri
somministrò un buon aiuto di costa, e ciò fece ancora con alcuni che
nol meritavano. Sovvenne ancora molte nobili donne, alle quali mancava
il modo onesto di sostentar la vita. Scelse i più accreditati
dell'ordine senatorio per i suoi domestici e familiari, e li teneva
alla sua tavola. Fuorchè nel giorno suo natalizio, ricusò i giuochi
circensi, che in altri tempi volle il senato decretare in onore di
lui. Spesse volte ancora, parlando al senato e al popolo, protestò di
voler far conoscere nel suo governo, ch'egli procurava il ben
pubblico, e non già il proprio.
La cronica di Alessandria mette sotto questi consoli l'andata di
Addano a Gerusalemme[862], per quietare i tumulti eccitati dai Giudei
anche in quelle parti. Prese, se vogliam credere a quello storico, la
città di Terebinto, e vendè schiavi al pubblico i Giudei quivi
trovati. Atterrò il tempio di Gerusalemme; fabbricò ivi due piazze, un
teatro ed altri edifizii. Divise quella città in sette rioni coi lor
sopraintendenti, ed abolito il nome di Gerusalemme, volle che quella
città dal suo si chiamasse Elia. Anche Eusebio[863] qualche cosa di
ciò parla all'anno presente; e il padre Pagi[864] tien per fermo che
allora seguisse il viaggio suddetto di Adriano, e che Gerusalemme
fosse da lui rifabbricata. Ma non è l'autore della cronica
alessandrina di tal peso, da dovergli tosto prestar fede in questo
punto di cronologia, quando Dione e Sparziano nulla di ciò dicono
verso i tempi presenti; e quello scrittore patentemente s'inganna in
attribuire ad Adriano la distruzione del tempio accaduta nella guerra
di Tito. Non è perciò, a mio credere, assai sussistente il viaggio
colà di Adriano in questi tempi. Possiamo bensì tenere, che nell'anno
presente i sediziosi Giudei facessero qualche movimento, e restassero
abbattuti, come scrive san Girolamo[865], e vien accennato anche da
Eusebio. Abbiamo inoltre da Eutropio[866], che Adriano ebbe una sola
guerra, di cui parleremo, nè questa la fece in persona, ma per mezzo
di un suo generale.
NOTE:
[860] Dio, lib. 69.
[861] Spartianus, in vita Hadriani.
[862] Chr. Paschale, tom. I Histor. Byzantin.
[863] Eusebius, in Chron.
[864] Pagius, in Critic. Baron.
[865] Hieron., Comment. in Danymus, c. 9.
[866] Eutrop., in Breviar.
Anno di CRISTO CXX. Indizione III.
SISTO papa 4.
ADRIANO imperadore 4.
_Consoli_
LUCIO CATILIO SEVERO e TITO AURELIO FULVO.
Per quanto c'insegna Giulio Capitolino[867], l'imperadore _Antonino
Pio_ fu prima nominato _Tito Aurelio Fulvio_ o _Fulvo_, ed era stato
console con _Catilio Severo_. Quando quello storico non prenda
abbaglio, il secondo de' consoli dell'anno presente dovette essere il
medesimo Antonino. Non _Lucio Aurelio_, come per errore è corso ne'
fasti del padre Stampa, ma _Tito Aurelio_ fu il prenome e nome d'esso
console, come s'ha da un'iscrizione riferita dal Panvinio[868]. Ora
all'anno presente, secondochè immaginò il padre Pagi[869] con altri, e
non già al precedente, come volle il Tillemont, pare che s'abbia da
riferire la guerra mossa[870] dai Sarmati e dai Rossolani contro le
terre dell'imperio romano. A questo avviso Adriano Augusto
immediatamente mandò innanzi l'esercito romano, e poi, tenendogli
dietro, arrivò anche egli nella Mesia, e si fermò al Danubio,
frapposto fra lui e i nemici. Il Cellario[871], che mette i Sarmati
verso il mar Nero, e i Rossolani circa la Palude Meotide, non so come
ben si accordi col racconto di questa guerra. Un dì la cavalleria
romana, di tutte armi guernita, all'improvviso passò a nuoto il
Danubio: azione sommamente ardita, che mise tal terrore nei Barbari,
che trattarono di pace[872]. Lamentavasi il re de' Rossolani[873], che
gli fosse stata sminuita la pensione solita a pagarsegli dai Romani.
Adriano, che abborriva i pericoli della guerra, il soddisfece, con
accordar vergognosamente quanto il barbaro richiedea. Fu in questi
tempi, che egli diede il governo della Pannonia e della Dacia a
_Marzio Turbone_, ch'era stato presidente della Mauritania,
conferendogli la medesima autorità che avea il governator dell'Egitto.
Fors'anche allora fu ch'egli fece fabbricar nella Mesia una città, che
da lui prese il nome di Adrianopoli, oggidì Andrinopoli, città molto
cospicua tuttavia. Secondo l'ordine che tiene Sparziano nel suo
racconto, parrebbe che appartenessero all'anno presente alcune
crudeltà usate da esso Adriano. Dione[874] sembra metterle molto
prima, cioè all'anno 118 o 119. Siccome Adriano era principe
diffidente e sospettoso, e che facilmente bevea quanto di male gli
veniva riferito, così prestò fede a chi accusò _Domizio_ Negrino
d'aver macchinato contro la di lui vita: del qual delitto (vero o
falso che fosse) furono creduti complici _Cornelio Palma, Lucio
Publicio Celso_ e _Lucio Quieto_, tutti e quattro personaggi di gran
credito e nobiltà, e stati già consoli ordinari o straordinari. Ma non
s'accordano insieme Dione e Sparziano. Il primo scrive che doveano
ammazzare Adriano, allorchè era alla caccia; e l'altro, mentr'egli si
trovava impegnato in un sagrifizio. Si può anche dubitare che un tal
fatto accadesse quando Adriano si trovava nelle vicinanze di Roma, e
non già nella Mesia. Ne scrisse Adriano al senato. Pare che queste
persone prendessero la fuga, perchè _Palma_, per ordine del senato, fu
ucciso in Terracina, _Celso_ a Baja, _Negrino_ a Faenza, e _Lucio_ in
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