Annali d'Italia, vol. 1 - 13
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[261] Thesaurus Novus Inscription., pag. 304, num. 3.
[262] Plin., lib. 3, cap. 16.
[263] Sueton., in Claudio, cap. 17.
[264] Dio, lib. 60.
[265] Scipio Maffei, Diplomat.
[266] Thesaurus Novus Inscription., pag. 1095.
[267] Joseph., Antiq. Judaic., lib. 19.
Anno di CRISTO XLV. Indizione III.
PIETRO APOSTOLO papa 17.
TIBERIO CLAUDIO, figlio di
Druso, imperadore 5.
_Consoli_
MARCO VINICIO per la seconda volta e TAURO STATILIO CORVINO.
Secondo le osservazioni del cardinal Noris, tali furono i consoli
dell'anno presente, e, secondo lui, _Tauro_ fu il prenome di
_Statilio_: del che certo si può dubitare, perchè in un passo di
Flegonte[268] si parla di un fatto avvenuto in Roma, essendo consoli
_Marco Vinicio_ e _Tito Statilio Tauro_, cognominato _Corvilio_: dove
apparisce _Tauro_ cognome. Abbiam veduto nell'anno precedente
rammentata un'iscrizione posta MANIO ÆMILIO LEPIDO ET T. STATILIO
TAURO COS. Non ho io saputo dire, e neppure lo so ora, a qual anno
precisamente appartenga questo pajo di consoli. Certamente questo
_Tito Statilio Tauro_ non sarà stato console tanto in questo che
nell'antecedente anno, perchè ciò sarebbe stato notato ne' Fasti; e
però lo _Statilio_ di quell'anno dee essere diverso dal presente.
Osservarono il Panvinio ed altri, che ai consoli suddetti dovettero
essere sostituiti _Marco Cluvio Rufo_ e _Pompeo Silvano_, ricavandosi
ciò da un rescritto di Claudio, riferito da Giuseppe Ebreo[269], e
fatto sul fine di giugno, correndo la quinta sua podestà tribunizia.
Per altro, ancorchè finora abbiano faticato vari valenti letterati,
non possiam dire superate per anche le tenebre sparse qua e là ne'
Fasti consolari, restandovi tuttavia molto di scuro e molte
imperfezioni. Piena era oramai Roma di statue[270] e d'immagini
pubbliche o di marmo, o di bronzo, perciocchè ad ognuno era permesso
il metterne: il che rendeva troppo familiare ed anche vile un onore
che dovea essere riserbato alle persone di merito distinto. Claudio ne
levò via la maggior parte, ordinando insieme, che da lì innanzi niun
potesse esporre l'immagine sua senza licenza del senato, a riserva di
chi facea qualche fabbrica nuova, o rifacea le vecchie, per animar
ciascuno ad accrescere gli effetti di Roma. Mandò in esilio il
governatore di una provincia, perchè fu convinto d'aver preso dei
regali, e gli confiscò tutto quello che avea dianzi guadagnato nel
governo. Fece ancora un editto, che a niuno dopo un ufizio esercitato
nelle province, se ne potesse immediatamente conferire un altro: legge
anche altre volte stabilita; acciocchè nel tempo frapposto potesse chi
avea delle querele contra di tali persone, proporle con franchezza.
Proibì ancora, finiti i loro governi, il pellegrinare in altri paesi,
volendo che tutti venissero a Roma, per essere pronti a quello che ora
noi chiamiamo sindacato. Nell'anno presente spese Claudio di molto in
dar sollazzo al popolo con altri pubblici giuochi; e alla plebe,
solita a ricevere _gratis_ il frumento del pubblico, donò trecento
sesterzi per cadauno; e vi fu di quelli che n'ebbero per testa fino
mille e dugento cinquanta. Nel giorno suo natalizio[271], cioè nel dì
primo di agosto, in cui dieci anni prima dell'Era nostra egli venne
alla luce in Lione, correva in quest'anno l'ecclissi del sole. Claudio
con pubblico monitorio ne fece alcuni dì prima avvertito il popolo,
acciocchè sapessero quello essere un effetto necessario del corso dei
pianeti, e non ne tirassero qualche mal augurio, per lui, come per
poco soleano fare in tanti altri affari i Romani, essendo troppo
quella gente nudrita dagl'impostori nella superstizione. Le
medaglie[272] ci fan vedere che, tanto nel precedente che nel presente
anno, Claudio prese più volte il titolo d'_imperadore_, trovandosi
nominato _imperadore per la decima volta_. Indizii son questi, che i
suoi generali nella Bretagna doveano aver fatti de' progressi
coll'armi; ma di ciò non resta vestigio nella storia.
NOTE:
[268] Phlegon., de Mirabilib., cap. 6.
[269] Joseph., lib. 19.
[270] Dio, lib. 60.
[271] Sueton., in Claudio, cap. 2.
[272] Mediobarbus, Numismat. Imperator.
Anno di CRISTO XLVI. Indizione IV.
PIETRO APOSTOLO papa 18.
TIBERIO CLAUDIO, figliuolo di
Druso, imperadore 6.
_Consoli_
PUBLIO VALERIO ASIATICO per la seconda volta, e MARCO GIUNIO SILANO.
Dal trovar noi _Valerio Asiatico_ nominato console per la seconda
volta, apparisce aver ottenuto l'eccelso grado di console un qualche
anno innanzi, sostituito ai consoli ordinari; ma in quale non si è
potuto finora esattamente sapere. Se crediamo al Panvinio[273] e ad
altri, nelle calende di luglio a questi consoli succederono _Publio
Suillo Rufo_ e _Publio Ostorio Scapula_. Che ancor questi veramente
arrivasse al consolato, ne abbiam delle prove; ma se veramente in
quest'anno, ciò non si può accertare. Era[274] _Marco Giunio Silano_
console fratello di Lucio, da noi veduto genero di Claudio Augusto.
Diede molto da dire a' Romani la risoluzion presa in quest'anno dal
suddetto _Asiatico_ console. Siccome era stato determinato da Claudio
per fargli onore, egli dovea ritener per tutto l'anno il consolato; ma
spontaneamente lo rinunziò. Aveano ben fatto lo stesso alcuni altri
consoli, per mancar loro le ricchezze sufficienti a sostener la spesa
enorme che occorreva in celebrar i giuochi circensi, addossata alla
borsa dei consoli, e cresciuta poi a dismisura. Era giusta la scusa e
ritirata per questi, ma non già per Asiatico, ch'era uno de' più
ricchi nobili del romano imperio, possedendo egli delle rendite
sterminate nella Gallia, patria sua. Il motivo da lui addotto fu
quello di schivare l'invidia altrui pel suo secondo consolato; ma
poteva meglio assicurarsene col non accettarlo neppure per i primi sei
mesi; e può credersi che non andò esente dalla taccia di avarizia
quella spontanea sua rinunzia. Vedremo all'anno seguente i frutti
amari di tante sue care ricchezze. Nel presente toccò la mala ventura
a _Marco Vinicio_, personaggio illustre, già marito di _Giulia
Livilla_, cioè d'una sorella di _Caligola_. Non l'avea nel suo libro
Messalina, dopo aver essa procurata la morte alla di lui consorte.
Crebbero anche i sospetti e gli odii contra la di lui persona, dacchè
(per quanto fu creduto) l'onestà di lui diede una negativa alle impure
voglie della medesima Messalina. Seppe ella fargli dare sì destramente
il veleno, che il mandò per le poste al paese di là, con permettere
dipoi, che dopo morte gli fosse fatto il funerale alle spese del
pubblico: onore molto familiare in questi tempi. Da _Agrippina_, prima
che divenisse moglie di Tiberio Augusto, era nato _Asinio Pollione_,
il quale perciò fu fratello uterino di _Druso Cesare_ figliolo di
_Tiberio_. Nel cervello d'esso Pollione entrarono in quest'anno grilli
di grandezze e desiderii di divenir imperadore; e cominciò egli per
questo alcune tele con sì poca avvertenza, che ne arrivò tosto la
contezza a Claudio. Teneva ognuno per certa la di lui morte; ma
Claudio si contentò di mandarlo solamente in esilio, o perchè non avea
fatta adunanza alcuna di gente o di danaro per sì grande impresa, o
perchè il trattò da pazzo, considerata anche la sua piccola statura e
deformità del volto, per cui era comunemente deriso, nè ciera avea da
far paura a chi sedeva sul trono. Di questa sua indulgenza riportò
Claudio non poca lode presso il pubblico, siccome ancora per altre
azioni di giustizia e di zelo pel buon governo, e massimamente per la
giustizia. All'incontro era universale la doglianza e mormorazione,
perchè egli si lasciasse menar pel naso da Messalina sua moglie e dai
suoi favoriti liberti; di modo che egli pareva non più il padrone, ma
bensì lo schiavo di essi. Condannato fu (che così si usava ancora) a
combattere nei giuochi de' gladiatori _Sabino_, stato governator nella
Gallia a' tempi di Caligola, per le sue molte rapine e iniquità.
Desiderava Claudio, e gli altri più di lui, che questo mal uomo
lasciasse ivi la vita, come solea per lo più succedere. Ma Messalina,
che anche di costui si valeva per la sua sfrenata sensualità, il
dimandò in grazia, nè Claudio gliel seppe negare. Ed intanto ogni dì
più si mormorava, perchè Mnestore, commediante allora famoso, non si
lasciava più vedere al teatro. Era egli in grazia grande presso il
popolo per la sua arte, e specialmente per la sua perizia nel danzare;
ma in grazia di Messalina era egli maggiormente per la sua avvenenza.
Dolevasi la gente d'essere priva di un sì valente attore, ma più
perchè ne sapeva la cagione, e la sapevano anche i più remoti da Roma.
Altri non v'era, che il buon Claudio, il quale ignorasse, quanta
vergogna albergasse nel proprio suo palazzo. Eusebio Cesariense[275]
solo è a scrivere, che circa questi tempi essendo stato ucciso
_Rematalce re della Tracia_ da sua moglie, Claudio Augusto ridusse
quel paese in provincia, e ne diede il governo ai suoi uffiziali.
NOTE:
[273] Panvinius, in Fast. Consularibus.
[274] Dio, lib. 60.
[275] Eusebius, in Chronico et in Excerptis.
Anno di CRISTO XLVII. Indizione V.
PIETRO APOSTOLO papa 19.
TIBERIO CLAUDIO, figlio di
Druso, imperadore 7.
_Consoli_
TIBERIO CLAUDIO AUGUSTO GERMANICO per la seconda volta, e LUCIO
VITELLIO per la terza.
Abbiamo da Svetonio[276], che _Claudio Augusto_ non fu già console
ordinario con _Lucio Vitellio_ in quest'anno. Un altro, il cui nome
non sappiamo, procedette console nel principio di gennaio; ma perchè
questi da lì a poco finì di vivere, Claudio non isdegnò di succedere
in suo luogo. _Vitellio_ qui mentovato, lo stesso è che fu proconsole
della Soria, e padre di _Vitellio imperadore_. Tanti onori a lui
compartiti erano i frutti della sua vile adulazione. Secondo la
supputazion di Varrone, questo era l'anno ottocentesimo della
fondazion di Roma[277]; e però Claudio diede al popolo il piacere de'
giuochi secolari, i quali propriamente si doveano fare ad ogni cento
anni. Ma a que' giuochi accadde ciò che si osservò nel giubileo romano
cominciato nel 1300, che dovea rinnovarsi solamente cento anni dipoi;
ma poi fu celebrato in anni diversi. Erano passati solamente
sessantaquattro anni, dacchè Augusto diede questi giuochi, e viveano
tuttavia delle persone che vi assisterono, e degl'istrioni che aveano
ballato in essi, fra' quali Stefanione, commemorato da Plinio[278].
Però essendo solito il banditore, nell'invitare a questi giuochi il
popolo, di dire che venissero ad uno spettacolo che non aveano mai più
veduto, nè sarebbono mai più per vedere, si fecero delle risate alle
spese di Claudio. Ancor qui notata fu l'adulazione del console
Vitellio, perchè fu udito dire a Claudio, che gli augurava di poter
dare altre volte questi medesimi giuochi. Comparve ne' giuochi
suddetti _Britannico_ figliuolo dell'imperadore insieme col giovinetto
_Lucio Domizio_, che fu poi _Nerone_ imperadore; e si osservò che
l'inclinazion del popolo correa più verso questo giovine, perchè era
figliuolo di _Agrippina_ principessa amata da essi, non tanto per
essere stata figlia dell'amato Germanico, quanto perchè la miravano
perseguitata da Messalina. Si contano ancora sotto quest'anno alcune
azioni lodevoli di Claudio[279]. Prodigiosa era la quantità degli
schiavi che ogni nobil romano teneva al suo servigio[280]. Allorchè i
miseri cadeano infermi, costumavano alcuni de' loro padroni, per non
soggiacere alla spesa, di cacciarli fuori di casa, mandandoli
nell'isola del Tevere, acciocchè Esculapio, a cui quivi era dedicato
un tempio, li guarisse, ed esponendogli in tal guisa al pericolo di
morir di fame. Fece Claudio pubblicar un editto, che gli schiavi
cacciati da' padroni, s'intendessero liberi, nè fossero obbligati a
tornar a servire. Che se, in vece di cacciarli, volessero levarli di
vita, si procedesse contra di loro come omicidi. Inoltre essendo
denunziati alcuni di bassa sfera, quasi che avessero insidiato alla di
lui vita, niun caso ne fece, con dire, «non essere nella stessa
maniera da far vendetta di una pulce, che d'una fiera.» Ordinò ancora,
che i liberti ingrati ai lor padroni tornassero ad essere loro
schiavi: legge sempre dipoi osservata. Rimosse dal senato alcuni
senatori, perchè, essendo poveri, non poteano con dignità calcare quel
posto: il che a molti di loro fu cosa grata. E perchè un Sordinio
nativo della Gallia, ed uomo ricco, poteva con decoro sostenere la
dignità senatoria, e Claudio intese ch'era partito per andarsene a
Cartagine, disse: «Bisogna ch'io fermi costui in Roma con i ceppi
d'oro;» e richiamatolo indietro, il creò senatore. Insorsero gravi
querele contro gli avvocati che esigevano somme immense dai lor
clienti. Fu in procinto il senato di proibire affatto ogni pagamento.
Claudio volle che si tassasse una molto leggiera somma.
Ma se Claudio da tali azioni riportò lode, maggior fu bene il biasimo
che a lui venne, per essersi lasciato condurre a dar la morte in
questo medesimo anno a varie illustri persone, per le maligne
insinuazioni di Messalina sua moglie. Aveva egli accasata con _Gneo
Pompeo Magno_, _Antonia_ sua figliuola. La matrigna Messalina, che
odiava l'uno e l'altra, seppe inventar tante calunnie, dipingendo il
genero Pompeo per insidiatore della vita di lui, che Claudio gli fece
tagliar la testa. Per altro costui offuscava la nobiltà de' suoi
natali con dei vizii nefandi. Nè qui si fermò la persecuzione. Fece
anche morire Crasso Frugi e Scribonia genitori d'esso Pompeo,
tuttochè, per attestato di Seneca[281], Crasso fosse così stolido, che
meritasse d'essere imperadore, come era Claudio. Antonia fu poi
maritata con _Cornelio Silla Fausto_ fratello di Messalina. A Valerio
Asiatico, da noi già veduto due volte console, le sue molte ricchezze
furono in fine cagione di totale rovina[282]. Con occhio ingordo le
mirava Messalina, e massimamente coi desiderii divorava gli orti di
Lucullo, da lui maggiormente abbelliti. S'inventarono vari sospetti e
delitti di lui, ed avendo egli determinato di passar nelle Gallie,
dove possedea dei gran beni, fu fatto credere a Claudio, che ciò fosse
per sollevar contra di lui le legioni della Germania. Condotto da Baja
incatenato, ed accusato, con forza si difese, allegando che non
conosceva alcuno de' testimoni prodotti contra di lui. Si fece venire
innanzi un soldato, che protestava d'essere intervenuto al trattato
della congiura. Dettogli, se conosceva Asiatico: senza fallo, rispose.
Che il mostrasse: data una girata d'occhi sopra gli astanti, sapendo
che Asiatico era calvo, indicò un calvo, ma che non era Asiatico.
Niuno dell'uditorio potè contenere le risa, e l'assemblea fu finita.
Già pensava Claudio ad assolverlo per innocente, quando entrò in sua
camera l'infame Vitellio il console, imboccato da Messalina, che colle
lagrime agli occhi mostrò gran compassione d'Asiatico, e poi finse
d'essere spedito da lui per impetrar la grazia di potere scegliere
quella maniera di morte che più a lui piacesse. Il bietolone Augusto,
senza cercar altro, credendo che per rimprovero della coscienza rea
egli non volesse più vivere, accordò la grazia richiesta. Asiatico si
tagliò dipoi le vene, e rendè contenta, ma non sazia l'avarizia e
crudeltà di Messalina, la quale per altre somiglianti vie condusse a
morte _Poppea_ moglie di Scipione, la più bella donna de' suoi tempi,
e madre di _Poppea_, maritata poi coll'Augusto Nerone. Nulla seppe di
sua morte Claudio. D'altri nella stessa guisa abbattuti parla Tacito,
la cui storia maltrattata dai tempi torna a narrarci gli avvenimenti
d'allora, quando quella di Dione per la maggior parte è venuta meno.
In quest'anno[283] ancora si credè Claudio d'immortalare il suo nome
anche fra i grammatici, con aggiugnere tre lettere all'alfabeto
latino. Una delle quali fu F scritto al rovescio per significare l'V
consonante. Ma dopo la sua morte morirono ancora le da lui inventate
lettere. Furono in quest'anno rivoluzioni in oriente. Essendo stato
ucciso _Artabano re dei Parti_, disputarono del regno coll'armi in
mano due suoi figliuoli. Prese Claudio questa occasione per inviar
_Mitridate_ fratello di _Farasmane re dell'Iberia_ a ricuperare il
regno dell'Armenia, già occupato dai Parti. Ed egli in fatti se ne
impadronì, e vi si sostenne col braccio de' Romani. Nè fu senza moti
di guerra la Germania. Essendo morto Sanquinio, che comandava l'armi
romane nella Germania bassa, in suo luogo fu inviato _Gneo Domizio
Corbulone_, che riuscì dipoi il più valente capitano che allora si
avesse Roma. Innanzi ch'egli arrivasse colà, i Cauci aveano fatte
delle scorrerie nei lidi della Gallia. Subito che Corbulone fu alla
testa delle legioni, soggiogò essi Cauci; fece tornare all'ubbidienza
i popoli della Frisia, che s'erano ribellati alcuni anni prima: rimise
fra le truppe romane con gran rigore l'antica disciplina. Era per far
maggiori imprese, se il pauroso Claudio Augusto non gli avesse scritto
di ripassare il Reno, e di lasciar in pace i Barbari. Ubbidì
Corbulone, ma con esclamare: _Felici gli antichi generali!_ Claudio a
lui concedè poi gli ornamenti trionfali. Venuto anche a Roma _Aulo
Plauzio_, il quale s'era segnalato nella guerra della Bretagna,
accordò a lui pure l'onore dell'ovazione, che così chiamavano il
picciolo trionfo. Già s'era cominciato a riserbare il vero trionfo ai
soli imperadori, perchè soli essi erano i generalissimi dell'armi
romane, e a loro si attribuiva l'onor di qualunque vittoria che fosse
riportata dai subalterni.
NOTE:
[276] Suetonius, in Claudio, cap. 4.
[277] Suetonius, in Claudio, cap. 21. Tacitus, lib. 11, cap. 11.
[278] Plinius, lib. 7, cap. 48. Zosimus lib. 1.
[279] Dio, lib. 60.
[280] Sueton., in Claudio, cap. 25.
[281] Seneca, in Apocol.
[282] Tacitus, Annal., lib. II, cap. 1.
[283] Tacitus, Annal., lib. II, cap. 14. Suetonius in Claud., cap. 41.
Anno di CRISTO XLVIII. Indizione VI.
PIETRO APOSTOLO papa 20.
TIBERIO CLAUDIO, figlio di
Druso imperadore 8.
_Consoli_
AULO VITELLIO e QUINTO VIPSANIO POBLICOLA.
Il primo di questi consoli fu poscia imperadore. Per attestato di
Svetonio[284] ad esso _Aulo Vitellio_ nelle calende di luglio venne
sostituito _Lucio Vitellio_ suo fratello: tanto poteva nella corte di
allora _Lucio Vitellio_ lor padre, il re degli adulatori. Trattossi
nell'anno presente in senato[285] di crear dei nuovi senatori in luogo
dei defunti, e seguì molta disputa, perchè i popoli della Gallia
Comata dimandavano di poter anch'essi concorrere a tutte le dignità e
agli onori della repubblica romana. Fu contraddetto da non pochi; ma
prevalse il parere di Claudio, che, addotto l'esempio de' maggiori,
sostenne non doversi negar la grazia, perchè ridondava in pubblico
bene, e in accrescimento di Roma. Come censore fece Claudio ancora
alcune buone ordinazioni, e fra l'altre spurgò il senato di alcune
persone di cattivo nome, e ciò con buona maniera: perciocchè sotto
mano lasciò intendere a que' tali, che se avessero chiesta licenza di
ritirarsi, l'avrebbono conseguita. Propose il console Vipsanio, che si
desse a Claudio il titolo di _Padre del senato_. Claudio, conosciuto
che questo era un trovato dell'adulazione, lo rifiutò. Fu fatto in
quest'anno da esso Augusto parimente, come censore, e dal vecchio
Lucio Vitellio suo collega, il lustro, cioè la descrizione di tutti i
cittadini romani: il che non vuol già dire degli abitanti in Roma,
perchè tanti forestieri venuti a quella gran città non erano tutti per
questo cittadini di Roma, e molto meno tante e tante migliaia di
servi, cioè schiavi che servivano allora in Roma ai benestanti. Niuno
degli antichi scrittori ci ha lasciato il conto di quante anime allora
vivessero in Roma; città, che in que' tempi forse di non poco superava
le moderne di Parigi e di Londra. Un'iscrizione che di ciò parla,
merita d'essere creduta falsissima, siccome osservò Giusto
Lipsio[286]. Per cittadini dunque romani si intendevano tutte quelle
persone libere, che godeano allora la cittadinanza romana sì in Roma,
che nelle provincie; giacchè non per anche questo privilegio s'era
dilatato a tutto l'imperio romano, come ne' tempi susseguenti avvenne.
Di tali cittadini si trovarono nella descrizion suddetta sei milioni e
novecento e quarantaquattromila.
Giunta era all'eccesso l'impudicizia e la baldanza di _Messalina_
moglie di Claudio Augusto. Volle ella nell'anno presente far un colpo,
a credere il quale gran fatica si dura, non sapendosi capire come
potesse arrivar tant'oltre la sfacciataggine di una donna e la
balordaggine di un marito, e marito imperadore. Lo stesso Tacito
confessa[287], che ciò parrà favoloso: tuttavia tanto egli, quanto
Svetonio[288] e Dione[289], ci dan per sicuro il fatto. Era impazzita
questa rea femmina dietro a _Cajo Silio_, giovane, non men per la
nobiltà che per la bellezza del corpo, riguardevole. Avea Claudio a
disegnarlo console per l'anno prossimo. Nè bastandole di mantenere un
indegno commercio con questo giovane, determinò in fine di contraere
matrimonio con lui, benchè vivente Claudio, nè ripudiata da lui.
Dicono, ch'essendo ito Claudio ad Ostia per affari della pubblica
annona, ella fingendo qualche incomodo di sanità, si fermò in Roma, e
con gran solennità fece stendere lo strumento del contratto, munito di
tutte le clausole consuete, donando a Silio tutti i più preziosi
arredi del palazzo imperiale, e compiendo la funzione coi sagrifizii e
con un magnifico convito. Fu poi esposto[290] a Claudio, che alla
presenza del senato, del popolo e de' soldati tutto ciò era seguito.
Ha dell'incredibile. Svetonio aggiugne, aver Messalina indotto lo
stesso imperadore a sottoscrivere quell'atto, con fargli credere che
fosse una burla, e ciò utile per allontanare un pericolo che a lui
sovrastava, predetto dagl'indovini, e per farlo ricadere sopra Silio,
finto imperadore. Sì lontana da ogni verisimile è questa partita, che
patisce l'intelletto a crederla vera. Sarà stata probabilmente una
diceria del volgo, solito ad aggiugnere ai fatti veri delle false
circostanze; nè Tacito ne parla. Comunque sia, un gran dire per questo
sì sfoggiato ardimento fu per Roma tutta. Il solo Claudio nulla ne
sapea, perchè attorniato dai liberti, tutti paurosi di disgustar
Messalina, l'incorrere nella disgrazia di cui, e il perdere la vita,
andavano bene spesso uniti. Tuttavia troppo facile era lo scorgere che
Messalina, dopo aver fatto Silio suo marito, era dietro a farlo anche
imperadore, con un totale sconvolgimento del pubblico e della corte, a
cui terrebbe dietro infallibilmente la rovina ancora d'essi liberti,
tanto favoriti da Claudio. Si aggiunse ancora, che avendo Messalina
fatto morir Polibio[291], uno de' più potenti fra essi nella corte,
impararono gli altri a temere un'egual disavventura. Perciò Callisto,
Pallante e Narciso, liberti i più poderosi degli altri nell'animo di
Claudio, presero la risoluzione di aprire gli occhi all'ingannato
Augusto. Ma non istettero saldi i due primi nel proposito, paventando,
che se Messalina giugneva a parlare una sola volta a Claudio, saprebbe
inorpellar sì bene il fatto, che sfumerebbe in lui tutto lo sdegno.
Narciso solo stette costante, nè attentandosi egli a muoverne il primo
parola, fece che alcune puttanelle di Claudio gli rivelassero non
solamente la presente infamia, ma ancora la storia di tutti i
precedenti scandali originati dalla trabbocchevol libidine e crudeltà
di Messalina. Attonito Claudio fa tosto chiamar Narciso, il quale
chiesto perdono in prima, e addotte le cagioni del silenzio finora
osservato, conferma il fallo, e rivela altri complici della disonestà
di Messalina. Turranio presidente dell'annona, e Lusio Geta prefetto
del pretorio chiamati anch'essi attestano il medesimo, con
rappresentare e caricare il pericolo di perdere vita ed imperio,
imminente a Claudio per gli ambiziosi disegni di Silio e di Messalina,
e il bisogno di provvedervi con mano forte, senz'ascoltar discolpe e
parole lusinghiere della traditrice consorte. Rimase sì sbalordito
Claudio, che andava di tanto in tanto dimandando, s'egli era più
imperadore, se Silio menava tuttavia vita privata.
Era il mese d'ottobre, e fu veduta Messalina più gaia del solito
divertirsi alle feste di Bacco[292], che si faceano per le vendemmie,
prendendo essa la figura di Baccante, e Silio quella di Bacco.
Quand'ecco di qua e di là giugnere a Roma l'avviso, essere Claudio
consapevole di tutte le sue vergogne, e venire a Roma per farne
vendetta. Il colpo di riserva, su cui riponeva le sue speranze
Messalina, era quello di poter parlare a Claudio, fidandosi, che, come
tant'altre volte era accaduto, ora ancora placherebbe l'insensato
marito. Ma questo appunto era quello, da cui l'accorto Narciso volea
tener lontano il padrone: al qual fine impetrò di avere per quel
giorno il comando delle guardie, rappresentando la dubbiosa fede di
Lusio Geta; ed insieme ottenne di venir anch'egli in carrozza
coll'imperadore a Roma. Nella stessa venivano ancora Lucio Vitellio e
Publio Cecina Largo, senza mai articolar parola nè in favore nè contra
di Messalina, perchè non si fidavano dell'animo troppo instabile e
debole di Claudio. Intanto _Messalina_, presi seco _Britannico_ ed
_Ottavia_ suoi figliuoli, e _Vibidia_, la più anziana delle Vestali,
ed accompagnata da tre persone, perchè gli altri se ne guardarono,
s'inviò a piedi fuor della porta d'Ostia, e salita poi in una
vilissima carretta, trovata ivi per avventura, andò incontro al
marito, non compatita da alcuno. Allorchè arrivò Claudio, cominciò a
gridare, che ascoltasse chi era madre di Britannico e d'Ottavia; e
Narciso intanto facea marciar la carrozza, strepitando anche egli con
esagerar l'insolenza di Silio e di Messalina, e con rimettere sotto
gli occhi di Claudio lo strumento nuziale. Nell'intrare in Roma si
vollero affacciare alla carrozza Britannico ed Ottavia; ordinò Narciso
alle guardie che li tenessero lontani; ma per la venerazione e per gli
privilegi che godeano le Vestali, non potè impedir Vibidia
dall'accostarsi, e dal far grande istanza, che contra di Messalina non
si procedesse a condanna senza prima ascoltarla. Così promise Claudio.
Accortamente Narciso condusse a dirittura l'imperadore alla casa di
Silio, e fecegli osservar le preziose masserizie della corte portate
colà: vista che svegliò pur del fuoco in quel freddo petto. Indi così
caldo il menò al quartiere de' pretoriani, istruiti prima di quel che
aveano a dire. Poche parole potè proferir Claudio, confuso tra il
timore e la vergogna; ed alzossi allora un grido dei soldati che
dimandavano il nome e il gastigo dei rei. Silio fu il primo che
sofferì con coraggio la morte, poi Vettio Valente, Pompeo Urbico, ed
altri nobili, tutti macchiati nelle impudicizie di Messalina. Mnestore
il commediante, con ricordare a Claudio d'aver ubbidito ai di lui
comandamenti, intenerì sì fattamente il buon Claudio, che fu vicino a
perdonargli; ma i liberti gli fecero mutar sentimento. Solamente
Suilio Cesonino e Plautio Laterano la scapparono netta, l'ultimo per
gli meriti di Aulo Plautio suo zio. Intanto Messalina, ritiratasi
negli orti di Lucullo, fra la speranza e l'ira, si pensava pure di
poter superare la burrasca; e non ne fu lontana. Claudio arrivato al
palazzo con gran quiete si mise a tavola, ed allorchè si sentì ben
riscaldato dal vino, diede ordine che s'avvisasse Messalina di venire
nel seguente dì, che l'avrebbe ascoltata. Si credette allora perduto
Narciso; però fatto coraggio, e levatosi da tavola, come per dar
l'ordine suddetto, da disperato ne diede un tutto diverso al
centurione e al tribuno di guardia, dicendo loro, che immediatamente
si portassero ad uccidere Messalina, perchè tale era la volontà
dell'imperadore. La trovarono eglino stesa in terra, ed assistita da
Lepida sua madre, che l'andava esortando a prevenir colle sue mani gli
esecutori della giustizia. All'arrivo di essi si diede ella in fatti
alcuni colpi, ma con mano tremante; più sicura fu quella del tribuno,
che la finì. Portata incontanente la nuova a Claudio, che Messalina
era morta, lo stupido senza informarsi, se per mano propria o
[262] Plin., lib. 3, cap. 16.
[263] Sueton., in Claudio, cap. 17.
[264] Dio, lib. 60.
[265] Scipio Maffei, Diplomat.
[266] Thesaurus Novus Inscription., pag. 1095.
[267] Joseph., Antiq. Judaic., lib. 19.
Anno di CRISTO XLV. Indizione III.
PIETRO APOSTOLO papa 17.
TIBERIO CLAUDIO, figlio di
Druso, imperadore 5.
_Consoli_
MARCO VINICIO per la seconda volta e TAURO STATILIO CORVINO.
Secondo le osservazioni del cardinal Noris, tali furono i consoli
dell'anno presente, e, secondo lui, _Tauro_ fu il prenome di
_Statilio_: del che certo si può dubitare, perchè in un passo di
Flegonte[268] si parla di un fatto avvenuto in Roma, essendo consoli
_Marco Vinicio_ e _Tito Statilio Tauro_, cognominato _Corvilio_: dove
apparisce _Tauro_ cognome. Abbiam veduto nell'anno precedente
rammentata un'iscrizione posta MANIO ÆMILIO LEPIDO ET T. STATILIO
TAURO COS. Non ho io saputo dire, e neppure lo so ora, a qual anno
precisamente appartenga questo pajo di consoli. Certamente questo
_Tito Statilio Tauro_ non sarà stato console tanto in questo che
nell'antecedente anno, perchè ciò sarebbe stato notato ne' Fasti; e
però lo _Statilio_ di quell'anno dee essere diverso dal presente.
Osservarono il Panvinio ed altri, che ai consoli suddetti dovettero
essere sostituiti _Marco Cluvio Rufo_ e _Pompeo Silvano_, ricavandosi
ciò da un rescritto di Claudio, riferito da Giuseppe Ebreo[269], e
fatto sul fine di giugno, correndo la quinta sua podestà tribunizia.
Per altro, ancorchè finora abbiano faticato vari valenti letterati,
non possiam dire superate per anche le tenebre sparse qua e là ne'
Fasti consolari, restandovi tuttavia molto di scuro e molte
imperfezioni. Piena era oramai Roma di statue[270] e d'immagini
pubbliche o di marmo, o di bronzo, perciocchè ad ognuno era permesso
il metterne: il che rendeva troppo familiare ed anche vile un onore
che dovea essere riserbato alle persone di merito distinto. Claudio ne
levò via la maggior parte, ordinando insieme, che da lì innanzi niun
potesse esporre l'immagine sua senza licenza del senato, a riserva di
chi facea qualche fabbrica nuova, o rifacea le vecchie, per animar
ciascuno ad accrescere gli effetti di Roma. Mandò in esilio il
governatore di una provincia, perchè fu convinto d'aver preso dei
regali, e gli confiscò tutto quello che avea dianzi guadagnato nel
governo. Fece ancora un editto, che a niuno dopo un ufizio esercitato
nelle province, se ne potesse immediatamente conferire un altro: legge
anche altre volte stabilita; acciocchè nel tempo frapposto potesse chi
avea delle querele contra di tali persone, proporle con franchezza.
Proibì ancora, finiti i loro governi, il pellegrinare in altri paesi,
volendo che tutti venissero a Roma, per essere pronti a quello che ora
noi chiamiamo sindacato. Nell'anno presente spese Claudio di molto in
dar sollazzo al popolo con altri pubblici giuochi; e alla plebe,
solita a ricevere _gratis_ il frumento del pubblico, donò trecento
sesterzi per cadauno; e vi fu di quelli che n'ebbero per testa fino
mille e dugento cinquanta. Nel giorno suo natalizio[271], cioè nel dì
primo di agosto, in cui dieci anni prima dell'Era nostra egli venne
alla luce in Lione, correva in quest'anno l'ecclissi del sole. Claudio
con pubblico monitorio ne fece alcuni dì prima avvertito il popolo,
acciocchè sapessero quello essere un effetto necessario del corso dei
pianeti, e non ne tirassero qualche mal augurio, per lui, come per
poco soleano fare in tanti altri affari i Romani, essendo troppo
quella gente nudrita dagl'impostori nella superstizione. Le
medaglie[272] ci fan vedere che, tanto nel precedente che nel presente
anno, Claudio prese più volte il titolo d'_imperadore_, trovandosi
nominato _imperadore per la decima volta_. Indizii son questi, che i
suoi generali nella Bretagna doveano aver fatti de' progressi
coll'armi; ma di ciò non resta vestigio nella storia.
NOTE:
[268] Phlegon., de Mirabilib., cap. 6.
[269] Joseph., lib. 19.
[270] Dio, lib. 60.
[271] Sueton., in Claudio, cap. 2.
[272] Mediobarbus, Numismat. Imperator.
Anno di CRISTO XLVI. Indizione IV.
PIETRO APOSTOLO papa 18.
TIBERIO CLAUDIO, figliuolo di
Druso, imperadore 6.
_Consoli_
PUBLIO VALERIO ASIATICO per la seconda volta, e MARCO GIUNIO SILANO.
Dal trovar noi _Valerio Asiatico_ nominato console per la seconda
volta, apparisce aver ottenuto l'eccelso grado di console un qualche
anno innanzi, sostituito ai consoli ordinari; ma in quale non si è
potuto finora esattamente sapere. Se crediamo al Panvinio[273] e ad
altri, nelle calende di luglio a questi consoli succederono _Publio
Suillo Rufo_ e _Publio Ostorio Scapula_. Che ancor questi veramente
arrivasse al consolato, ne abbiam delle prove; ma se veramente in
quest'anno, ciò non si può accertare. Era[274] _Marco Giunio Silano_
console fratello di Lucio, da noi veduto genero di Claudio Augusto.
Diede molto da dire a' Romani la risoluzion presa in quest'anno dal
suddetto _Asiatico_ console. Siccome era stato determinato da Claudio
per fargli onore, egli dovea ritener per tutto l'anno il consolato; ma
spontaneamente lo rinunziò. Aveano ben fatto lo stesso alcuni altri
consoli, per mancar loro le ricchezze sufficienti a sostener la spesa
enorme che occorreva in celebrar i giuochi circensi, addossata alla
borsa dei consoli, e cresciuta poi a dismisura. Era giusta la scusa e
ritirata per questi, ma non già per Asiatico, ch'era uno de' più
ricchi nobili del romano imperio, possedendo egli delle rendite
sterminate nella Gallia, patria sua. Il motivo da lui addotto fu
quello di schivare l'invidia altrui pel suo secondo consolato; ma
poteva meglio assicurarsene col non accettarlo neppure per i primi sei
mesi; e può credersi che non andò esente dalla taccia di avarizia
quella spontanea sua rinunzia. Vedremo all'anno seguente i frutti
amari di tante sue care ricchezze. Nel presente toccò la mala ventura
a _Marco Vinicio_, personaggio illustre, già marito di _Giulia
Livilla_, cioè d'una sorella di _Caligola_. Non l'avea nel suo libro
Messalina, dopo aver essa procurata la morte alla di lui consorte.
Crebbero anche i sospetti e gli odii contra la di lui persona, dacchè
(per quanto fu creduto) l'onestà di lui diede una negativa alle impure
voglie della medesima Messalina. Seppe ella fargli dare sì destramente
il veleno, che il mandò per le poste al paese di là, con permettere
dipoi, che dopo morte gli fosse fatto il funerale alle spese del
pubblico: onore molto familiare in questi tempi. Da _Agrippina_, prima
che divenisse moglie di Tiberio Augusto, era nato _Asinio Pollione_,
il quale perciò fu fratello uterino di _Druso Cesare_ figliolo di
_Tiberio_. Nel cervello d'esso Pollione entrarono in quest'anno grilli
di grandezze e desiderii di divenir imperadore; e cominciò egli per
questo alcune tele con sì poca avvertenza, che ne arrivò tosto la
contezza a Claudio. Teneva ognuno per certa la di lui morte; ma
Claudio si contentò di mandarlo solamente in esilio, o perchè non avea
fatta adunanza alcuna di gente o di danaro per sì grande impresa, o
perchè il trattò da pazzo, considerata anche la sua piccola statura e
deformità del volto, per cui era comunemente deriso, nè ciera avea da
far paura a chi sedeva sul trono. Di questa sua indulgenza riportò
Claudio non poca lode presso il pubblico, siccome ancora per altre
azioni di giustizia e di zelo pel buon governo, e massimamente per la
giustizia. All'incontro era universale la doglianza e mormorazione,
perchè egli si lasciasse menar pel naso da Messalina sua moglie e dai
suoi favoriti liberti; di modo che egli pareva non più il padrone, ma
bensì lo schiavo di essi. Condannato fu (che così si usava ancora) a
combattere nei giuochi de' gladiatori _Sabino_, stato governator nella
Gallia a' tempi di Caligola, per le sue molte rapine e iniquità.
Desiderava Claudio, e gli altri più di lui, che questo mal uomo
lasciasse ivi la vita, come solea per lo più succedere. Ma Messalina,
che anche di costui si valeva per la sua sfrenata sensualità, il
dimandò in grazia, nè Claudio gliel seppe negare. Ed intanto ogni dì
più si mormorava, perchè Mnestore, commediante allora famoso, non si
lasciava più vedere al teatro. Era egli in grazia grande presso il
popolo per la sua arte, e specialmente per la sua perizia nel danzare;
ma in grazia di Messalina era egli maggiormente per la sua avvenenza.
Dolevasi la gente d'essere priva di un sì valente attore, ma più
perchè ne sapeva la cagione, e la sapevano anche i più remoti da Roma.
Altri non v'era, che il buon Claudio, il quale ignorasse, quanta
vergogna albergasse nel proprio suo palazzo. Eusebio Cesariense[275]
solo è a scrivere, che circa questi tempi essendo stato ucciso
_Rematalce re della Tracia_ da sua moglie, Claudio Augusto ridusse
quel paese in provincia, e ne diede il governo ai suoi uffiziali.
NOTE:
[273] Panvinius, in Fast. Consularibus.
[274] Dio, lib. 60.
[275] Eusebius, in Chronico et in Excerptis.
Anno di CRISTO XLVII. Indizione V.
PIETRO APOSTOLO papa 19.
TIBERIO CLAUDIO, figlio di
Druso, imperadore 7.
_Consoli_
TIBERIO CLAUDIO AUGUSTO GERMANICO per la seconda volta, e LUCIO
VITELLIO per la terza.
Abbiamo da Svetonio[276], che _Claudio Augusto_ non fu già console
ordinario con _Lucio Vitellio_ in quest'anno. Un altro, il cui nome
non sappiamo, procedette console nel principio di gennaio; ma perchè
questi da lì a poco finì di vivere, Claudio non isdegnò di succedere
in suo luogo. _Vitellio_ qui mentovato, lo stesso è che fu proconsole
della Soria, e padre di _Vitellio imperadore_. Tanti onori a lui
compartiti erano i frutti della sua vile adulazione. Secondo la
supputazion di Varrone, questo era l'anno ottocentesimo della
fondazion di Roma[277]; e però Claudio diede al popolo il piacere de'
giuochi secolari, i quali propriamente si doveano fare ad ogni cento
anni. Ma a que' giuochi accadde ciò che si osservò nel giubileo romano
cominciato nel 1300, che dovea rinnovarsi solamente cento anni dipoi;
ma poi fu celebrato in anni diversi. Erano passati solamente
sessantaquattro anni, dacchè Augusto diede questi giuochi, e viveano
tuttavia delle persone che vi assisterono, e degl'istrioni che aveano
ballato in essi, fra' quali Stefanione, commemorato da Plinio[278].
Però essendo solito il banditore, nell'invitare a questi giuochi il
popolo, di dire che venissero ad uno spettacolo che non aveano mai più
veduto, nè sarebbono mai più per vedere, si fecero delle risate alle
spese di Claudio. Ancor qui notata fu l'adulazione del console
Vitellio, perchè fu udito dire a Claudio, che gli augurava di poter
dare altre volte questi medesimi giuochi. Comparve ne' giuochi
suddetti _Britannico_ figliuolo dell'imperadore insieme col giovinetto
_Lucio Domizio_, che fu poi _Nerone_ imperadore; e si osservò che
l'inclinazion del popolo correa più verso questo giovine, perchè era
figliuolo di _Agrippina_ principessa amata da essi, non tanto per
essere stata figlia dell'amato Germanico, quanto perchè la miravano
perseguitata da Messalina. Si contano ancora sotto quest'anno alcune
azioni lodevoli di Claudio[279]. Prodigiosa era la quantità degli
schiavi che ogni nobil romano teneva al suo servigio[280]. Allorchè i
miseri cadeano infermi, costumavano alcuni de' loro padroni, per non
soggiacere alla spesa, di cacciarli fuori di casa, mandandoli
nell'isola del Tevere, acciocchè Esculapio, a cui quivi era dedicato
un tempio, li guarisse, ed esponendogli in tal guisa al pericolo di
morir di fame. Fece Claudio pubblicar un editto, che gli schiavi
cacciati da' padroni, s'intendessero liberi, nè fossero obbligati a
tornar a servire. Che se, in vece di cacciarli, volessero levarli di
vita, si procedesse contra di loro come omicidi. Inoltre essendo
denunziati alcuni di bassa sfera, quasi che avessero insidiato alla di
lui vita, niun caso ne fece, con dire, «non essere nella stessa
maniera da far vendetta di una pulce, che d'una fiera.» Ordinò ancora,
che i liberti ingrati ai lor padroni tornassero ad essere loro
schiavi: legge sempre dipoi osservata. Rimosse dal senato alcuni
senatori, perchè, essendo poveri, non poteano con dignità calcare quel
posto: il che a molti di loro fu cosa grata. E perchè un Sordinio
nativo della Gallia, ed uomo ricco, poteva con decoro sostenere la
dignità senatoria, e Claudio intese ch'era partito per andarsene a
Cartagine, disse: «Bisogna ch'io fermi costui in Roma con i ceppi
d'oro;» e richiamatolo indietro, il creò senatore. Insorsero gravi
querele contro gli avvocati che esigevano somme immense dai lor
clienti. Fu in procinto il senato di proibire affatto ogni pagamento.
Claudio volle che si tassasse una molto leggiera somma.
Ma se Claudio da tali azioni riportò lode, maggior fu bene il biasimo
che a lui venne, per essersi lasciato condurre a dar la morte in
questo medesimo anno a varie illustri persone, per le maligne
insinuazioni di Messalina sua moglie. Aveva egli accasata con _Gneo
Pompeo Magno_, _Antonia_ sua figliuola. La matrigna Messalina, che
odiava l'uno e l'altra, seppe inventar tante calunnie, dipingendo il
genero Pompeo per insidiatore della vita di lui, che Claudio gli fece
tagliar la testa. Per altro costui offuscava la nobiltà de' suoi
natali con dei vizii nefandi. Nè qui si fermò la persecuzione. Fece
anche morire Crasso Frugi e Scribonia genitori d'esso Pompeo,
tuttochè, per attestato di Seneca[281], Crasso fosse così stolido, che
meritasse d'essere imperadore, come era Claudio. Antonia fu poi
maritata con _Cornelio Silla Fausto_ fratello di Messalina. A Valerio
Asiatico, da noi già veduto due volte console, le sue molte ricchezze
furono in fine cagione di totale rovina[282]. Con occhio ingordo le
mirava Messalina, e massimamente coi desiderii divorava gli orti di
Lucullo, da lui maggiormente abbelliti. S'inventarono vari sospetti e
delitti di lui, ed avendo egli determinato di passar nelle Gallie,
dove possedea dei gran beni, fu fatto credere a Claudio, che ciò fosse
per sollevar contra di lui le legioni della Germania. Condotto da Baja
incatenato, ed accusato, con forza si difese, allegando che non
conosceva alcuno de' testimoni prodotti contra di lui. Si fece venire
innanzi un soldato, che protestava d'essere intervenuto al trattato
della congiura. Dettogli, se conosceva Asiatico: senza fallo, rispose.
Che il mostrasse: data una girata d'occhi sopra gli astanti, sapendo
che Asiatico era calvo, indicò un calvo, ma che non era Asiatico.
Niuno dell'uditorio potè contenere le risa, e l'assemblea fu finita.
Già pensava Claudio ad assolverlo per innocente, quando entrò in sua
camera l'infame Vitellio il console, imboccato da Messalina, che colle
lagrime agli occhi mostrò gran compassione d'Asiatico, e poi finse
d'essere spedito da lui per impetrar la grazia di potere scegliere
quella maniera di morte che più a lui piacesse. Il bietolone Augusto,
senza cercar altro, credendo che per rimprovero della coscienza rea
egli non volesse più vivere, accordò la grazia richiesta. Asiatico si
tagliò dipoi le vene, e rendè contenta, ma non sazia l'avarizia e
crudeltà di Messalina, la quale per altre somiglianti vie condusse a
morte _Poppea_ moglie di Scipione, la più bella donna de' suoi tempi,
e madre di _Poppea_, maritata poi coll'Augusto Nerone. Nulla seppe di
sua morte Claudio. D'altri nella stessa guisa abbattuti parla Tacito,
la cui storia maltrattata dai tempi torna a narrarci gli avvenimenti
d'allora, quando quella di Dione per la maggior parte è venuta meno.
In quest'anno[283] ancora si credè Claudio d'immortalare il suo nome
anche fra i grammatici, con aggiugnere tre lettere all'alfabeto
latino. Una delle quali fu F scritto al rovescio per significare l'V
consonante. Ma dopo la sua morte morirono ancora le da lui inventate
lettere. Furono in quest'anno rivoluzioni in oriente. Essendo stato
ucciso _Artabano re dei Parti_, disputarono del regno coll'armi in
mano due suoi figliuoli. Prese Claudio questa occasione per inviar
_Mitridate_ fratello di _Farasmane re dell'Iberia_ a ricuperare il
regno dell'Armenia, già occupato dai Parti. Ed egli in fatti se ne
impadronì, e vi si sostenne col braccio de' Romani. Nè fu senza moti
di guerra la Germania. Essendo morto Sanquinio, che comandava l'armi
romane nella Germania bassa, in suo luogo fu inviato _Gneo Domizio
Corbulone_, che riuscì dipoi il più valente capitano che allora si
avesse Roma. Innanzi ch'egli arrivasse colà, i Cauci aveano fatte
delle scorrerie nei lidi della Gallia. Subito che Corbulone fu alla
testa delle legioni, soggiogò essi Cauci; fece tornare all'ubbidienza
i popoli della Frisia, che s'erano ribellati alcuni anni prima: rimise
fra le truppe romane con gran rigore l'antica disciplina. Era per far
maggiori imprese, se il pauroso Claudio Augusto non gli avesse scritto
di ripassare il Reno, e di lasciar in pace i Barbari. Ubbidì
Corbulone, ma con esclamare: _Felici gli antichi generali!_ Claudio a
lui concedè poi gli ornamenti trionfali. Venuto anche a Roma _Aulo
Plauzio_, il quale s'era segnalato nella guerra della Bretagna,
accordò a lui pure l'onore dell'ovazione, che così chiamavano il
picciolo trionfo. Già s'era cominciato a riserbare il vero trionfo ai
soli imperadori, perchè soli essi erano i generalissimi dell'armi
romane, e a loro si attribuiva l'onor di qualunque vittoria che fosse
riportata dai subalterni.
NOTE:
[276] Suetonius, in Claudio, cap. 4.
[277] Suetonius, in Claudio, cap. 21. Tacitus, lib. 11, cap. 11.
[278] Plinius, lib. 7, cap. 48. Zosimus lib. 1.
[279] Dio, lib. 60.
[280] Sueton., in Claudio, cap. 25.
[281] Seneca, in Apocol.
[282] Tacitus, Annal., lib. II, cap. 1.
[283] Tacitus, Annal., lib. II, cap. 14. Suetonius in Claud., cap. 41.
Anno di CRISTO XLVIII. Indizione VI.
PIETRO APOSTOLO papa 20.
TIBERIO CLAUDIO, figlio di
Druso imperadore 8.
_Consoli_
AULO VITELLIO e QUINTO VIPSANIO POBLICOLA.
Il primo di questi consoli fu poscia imperadore. Per attestato di
Svetonio[284] ad esso _Aulo Vitellio_ nelle calende di luglio venne
sostituito _Lucio Vitellio_ suo fratello: tanto poteva nella corte di
allora _Lucio Vitellio_ lor padre, il re degli adulatori. Trattossi
nell'anno presente in senato[285] di crear dei nuovi senatori in luogo
dei defunti, e seguì molta disputa, perchè i popoli della Gallia
Comata dimandavano di poter anch'essi concorrere a tutte le dignità e
agli onori della repubblica romana. Fu contraddetto da non pochi; ma
prevalse il parere di Claudio, che, addotto l'esempio de' maggiori,
sostenne non doversi negar la grazia, perchè ridondava in pubblico
bene, e in accrescimento di Roma. Come censore fece Claudio ancora
alcune buone ordinazioni, e fra l'altre spurgò il senato di alcune
persone di cattivo nome, e ciò con buona maniera: perciocchè sotto
mano lasciò intendere a que' tali, che se avessero chiesta licenza di
ritirarsi, l'avrebbono conseguita. Propose il console Vipsanio, che si
desse a Claudio il titolo di _Padre del senato_. Claudio, conosciuto
che questo era un trovato dell'adulazione, lo rifiutò. Fu fatto in
quest'anno da esso Augusto parimente, come censore, e dal vecchio
Lucio Vitellio suo collega, il lustro, cioè la descrizione di tutti i
cittadini romani: il che non vuol già dire degli abitanti in Roma,
perchè tanti forestieri venuti a quella gran città non erano tutti per
questo cittadini di Roma, e molto meno tante e tante migliaia di
servi, cioè schiavi che servivano allora in Roma ai benestanti. Niuno
degli antichi scrittori ci ha lasciato il conto di quante anime allora
vivessero in Roma; città, che in que' tempi forse di non poco superava
le moderne di Parigi e di Londra. Un'iscrizione che di ciò parla,
merita d'essere creduta falsissima, siccome osservò Giusto
Lipsio[286]. Per cittadini dunque romani si intendevano tutte quelle
persone libere, che godeano allora la cittadinanza romana sì in Roma,
che nelle provincie; giacchè non per anche questo privilegio s'era
dilatato a tutto l'imperio romano, come ne' tempi susseguenti avvenne.
Di tali cittadini si trovarono nella descrizion suddetta sei milioni e
novecento e quarantaquattromila.
Giunta era all'eccesso l'impudicizia e la baldanza di _Messalina_
moglie di Claudio Augusto. Volle ella nell'anno presente far un colpo,
a credere il quale gran fatica si dura, non sapendosi capire come
potesse arrivar tant'oltre la sfacciataggine di una donna e la
balordaggine di un marito, e marito imperadore. Lo stesso Tacito
confessa[287], che ciò parrà favoloso: tuttavia tanto egli, quanto
Svetonio[288] e Dione[289], ci dan per sicuro il fatto. Era impazzita
questa rea femmina dietro a _Cajo Silio_, giovane, non men per la
nobiltà che per la bellezza del corpo, riguardevole. Avea Claudio a
disegnarlo console per l'anno prossimo. Nè bastandole di mantenere un
indegno commercio con questo giovane, determinò in fine di contraere
matrimonio con lui, benchè vivente Claudio, nè ripudiata da lui.
Dicono, ch'essendo ito Claudio ad Ostia per affari della pubblica
annona, ella fingendo qualche incomodo di sanità, si fermò in Roma, e
con gran solennità fece stendere lo strumento del contratto, munito di
tutte le clausole consuete, donando a Silio tutti i più preziosi
arredi del palazzo imperiale, e compiendo la funzione coi sagrifizii e
con un magnifico convito. Fu poi esposto[290] a Claudio, che alla
presenza del senato, del popolo e de' soldati tutto ciò era seguito.
Ha dell'incredibile. Svetonio aggiugne, aver Messalina indotto lo
stesso imperadore a sottoscrivere quell'atto, con fargli credere che
fosse una burla, e ciò utile per allontanare un pericolo che a lui
sovrastava, predetto dagl'indovini, e per farlo ricadere sopra Silio,
finto imperadore. Sì lontana da ogni verisimile è questa partita, che
patisce l'intelletto a crederla vera. Sarà stata probabilmente una
diceria del volgo, solito ad aggiugnere ai fatti veri delle false
circostanze; nè Tacito ne parla. Comunque sia, un gran dire per questo
sì sfoggiato ardimento fu per Roma tutta. Il solo Claudio nulla ne
sapea, perchè attorniato dai liberti, tutti paurosi di disgustar
Messalina, l'incorrere nella disgrazia di cui, e il perdere la vita,
andavano bene spesso uniti. Tuttavia troppo facile era lo scorgere che
Messalina, dopo aver fatto Silio suo marito, era dietro a farlo anche
imperadore, con un totale sconvolgimento del pubblico e della corte, a
cui terrebbe dietro infallibilmente la rovina ancora d'essi liberti,
tanto favoriti da Claudio. Si aggiunse ancora, che avendo Messalina
fatto morir Polibio[291], uno de' più potenti fra essi nella corte,
impararono gli altri a temere un'egual disavventura. Perciò Callisto,
Pallante e Narciso, liberti i più poderosi degli altri nell'animo di
Claudio, presero la risoluzione di aprire gli occhi all'ingannato
Augusto. Ma non istettero saldi i due primi nel proposito, paventando,
che se Messalina giugneva a parlare una sola volta a Claudio, saprebbe
inorpellar sì bene il fatto, che sfumerebbe in lui tutto lo sdegno.
Narciso solo stette costante, nè attentandosi egli a muoverne il primo
parola, fece che alcune puttanelle di Claudio gli rivelassero non
solamente la presente infamia, ma ancora la storia di tutti i
precedenti scandali originati dalla trabbocchevol libidine e crudeltà
di Messalina. Attonito Claudio fa tosto chiamar Narciso, il quale
chiesto perdono in prima, e addotte le cagioni del silenzio finora
osservato, conferma il fallo, e rivela altri complici della disonestà
di Messalina. Turranio presidente dell'annona, e Lusio Geta prefetto
del pretorio chiamati anch'essi attestano il medesimo, con
rappresentare e caricare il pericolo di perdere vita ed imperio,
imminente a Claudio per gli ambiziosi disegni di Silio e di Messalina,
e il bisogno di provvedervi con mano forte, senz'ascoltar discolpe e
parole lusinghiere della traditrice consorte. Rimase sì sbalordito
Claudio, che andava di tanto in tanto dimandando, s'egli era più
imperadore, se Silio menava tuttavia vita privata.
Era il mese d'ottobre, e fu veduta Messalina più gaia del solito
divertirsi alle feste di Bacco[292], che si faceano per le vendemmie,
prendendo essa la figura di Baccante, e Silio quella di Bacco.
Quand'ecco di qua e di là giugnere a Roma l'avviso, essere Claudio
consapevole di tutte le sue vergogne, e venire a Roma per farne
vendetta. Il colpo di riserva, su cui riponeva le sue speranze
Messalina, era quello di poter parlare a Claudio, fidandosi, che, come
tant'altre volte era accaduto, ora ancora placherebbe l'insensato
marito. Ma questo appunto era quello, da cui l'accorto Narciso volea
tener lontano il padrone: al qual fine impetrò di avere per quel
giorno il comando delle guardie, rappresentando la dubbiosa fede di
Lusio Geta; ed insieme ottenne di venir anch'egli in carrozza
coll'imperadore a Roma. Nella stessa venivano ancora Lucio Vitellio e
Publio Cecina Largo, senza mai articolar parola nè in favore nè contra
di Messalina, perchè non si fidavano dell'animo troppo instabile e
debole di Claudio. Intanto _Messalina_, presi seco _Britannico_ ed
_Ottavia_ suoi figliuoli, e _Vibidia_, la più anziana delle Vestali,
ed accompagnata da tre persone, perchè gli altri se ne guardarono,
s'inviò a piedi fuor della porta d'Ostia, e salita poi in una
vilissima carretta, trovata ivi per avventura, andò incontro al
marito, non compatita da alcuno. Allorchè arrivò Claudio, cominciò a
gridare, che ascoltasse chi era madre di Britannico e d'Ottavia; e
Narciso intanto facea marciar la carrozza, strepitando anche egli con
esagerar l'insolenza di Silio e di Messalina, e con rimettere sotto
gli occhi di Claudio lo strumento nuziale. Nell'intrare in Roma si
vollero affacciare alla carrozza Britannico ed Ottavia; ordinò Narciso
alle guardie che li tenessero lontani; ma per la venerazione e per gli
privilegi che godeano le Vestali, non potè impedir Vibidia
dall'accostarsi, e dal far grande istanza, che contra di Messalina non
si procedesse a condanna senza prima ascoltarla. Così promise Claudio.
Accortamente Narciso condusse a dirittura l'imperadore alla casa di
Silio, e fecegli osservar le preziose masserizie della corte portate
colà: vista che svegliò pur del fuoco in quel freddo petto. Indi così
caldo il menò al quartiere de' pretoriani, istruiti prima di quel che
aveano a dire. Poche parole potè proferir Claudio, confuso tra il
timore e la vergogna; ed alzossi allora un grido dei soldati che
dimandavano il nome e il gastigo dei rei. Silio fu il primo che
sofferì con coraggio la morte, poi Vettio Valente, Pompeo Urbico, ed
altri nobili, tutti macchiati nelle impudicizie di Messalina. Mnestore
il commediante, con ricordare a Claudio d'aver ubbidito ai di lui
comandamenti, intenerì sì fattamente il buon Claudio, che fu vicino a
perdonargli; ma i liberti gli fecero mutar sentimento. Solamente
Suilio Cesonino e Plautio Laterano la scapparono netta, l'ultimo per
gli meriti di Aulo Plautio suo zio. Intanto Messalina, ritiratasi
negli orti di Lucullo, fra la speranza e l'ira, si pensava pure di
poter superare la burrasca; e non ne fu lontana. Claudio arrivato al
palazzo con gran quiete si mise a tavola, ed allorchè si sentì ben
riscaldato dal vino, diede ordine che s'avvisasse Messalina di venire
nel seguente dì, che l'avrebbe ascoltata. Si credette allora perduto
Narciso; però fatto coraggio, e levatosi da tavola, come per dar
l'ordine suddetto, da disperato ne diede un tutto diverso al
centurione e al tribuno di guardia, dicendo loro, che immediatamente
si portassero ad uccidere Messalina, perchè tale era la volontà
dell'imperadore. La trovarono eglino stesa in terra, ed assistita da
Lepida sua madre, che l'andava esortando a prevenir colle sue mani gli
esecutori della giustizia. All'arrivo di essi si diede ella in fatti
alcuni colpi, ma con mano tremante; più sicura fu quella del tribuno,
che la finì. Portata incontanente la nuova a Claudio, che Messalina
era morta, lo stupido senza informarsi, se per mano propria o
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