Annali d'Italia, vol. 1 - 35
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Faustina si chiamassero Antoniano, Faustiniano; ma ricusò Antonino un
sì fatto onore. Trovavansi delle persone non poche condannate o
esiliate da Adriano. Dimandò Antonino grazia per loro nel senato, con
dire che Adriano l'avrebbe chiesta anch'egli. A niun di coloro, che lo
stesso Adriano avea dato dei posti, li levò; anzi suo costume fu
lasciar continuare ne' governi delle provincie per fin sette e nove
anni coloro ch'erano in concetto di governare con illibatezza e
prudenza.
Ebbe Antonino Pio da Faustina sua moglie due figliuoli[982] maschi,
uno appellato _Marco Aurelio Fulvo Antonino_, e l'altro _Marco Galerio
Aurelio Antonino_. Amendue giovani erano a lui premorti. Due figliuole
ancora gli nacquero. La maggiore, maritata con _Lamia Sillano_, mancò
di vita, allorchè il marito andava al governo dell'Asia. Restavagli la
seconda, cioè _Annia Faustina_. Avea ordinato Adriano, ch'egli la
desse in moglie a _Lucio Vero_, cioè a quel medesimo che insieme con
_Marco Aurelio_ per comandamento di Adriano egli avea adottato per suo
figliuolo. Ma Antonino, dacchè cessò Adriano di vivere, riflettendo
all'età troppo tenera di Lucio Vero, e che miglior testa era quella di
Marco Aurelio, cangiata massima[983], s'invogliò di dar la figliuola
ad esso Marco Aurelio, contuttochè egli avesse contratti gli sponsali
con _Fabia_ figliuola di _Lucio Cejonio Commodo_, e sorella del
suddetto _Lucio Vero_. Gliene fece far la proposizione per Giulia
Faustina sua moglie, con dargli tempo di pensarvi. Si credette in fine
Marco Aurelio di assicurar meglio la sua fortuna con questo
matrimonio; e però disciolti gli sponsali suddetti, s'indusse ad
isposare Annia Faustina. Non si sa bene se seguissero tali nozze
nell'anno presente. Prima anche d'esse Antonino, per maggiormente
comprovare al destinato genero il suo compiacimento ed affetto, gli
conferì il titolo di _Cesare_, e il disegnò, ad istanza del senato,
console seco per l'anno seguente, contuttochè egli non fosse se non
questore, nè avesse esercitate altre cariche pubbliche. Il fece anche
accettare ne' Collegi de' sacerdoti, e passare nel palazzo di Tiberio,
con formargli una corte da par suo, benchè egli ripugnasse. Assegnò
anche Antonino[984] in dote alla figliuola tutti i suoi beni
patrimoniali, con riserbarsene nondimeno l'usufrutto sua vita natural
durante per gli bisogni dello stato. Servono le medaglie[985], coniate
nel secondo consolato di Antonino Pio, cioè nell'anno presente, per
farci conoscere che egli diede un re ai Quadi, e un altro ai popoli
dell'Armenia.
NOTE:
[973] Thesaur. Nov. Inscript., pag. 326, n. 4.
[974] Fabrettus, Inscription, pag. 726.
[975] Capitolinus, in Antonino Pio.
[976] Spartianus, in Hadriano.
[977] Capitolinus, in Antonino Pio.
[978] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
[979] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[980] Pausanias, lib. 8. Dio, l. 70. Lampridius in Elagabalo.
[981] Mediobarbus, in Numismat. Imperator.
[982] Capitolinus, in Antonino Pio.
[983] Capitolinus, in Marco Aurel.
[984] Capitolinus, in Antonino Pio.
[985] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
Anno di CRISTO CXL. Indizione VIII.
IGINO papa 3.
ANTONINO PIO imperadore 3.
_Consoli_
TITO ELIO ADRIANO ANTONINO PIO AUGUSTO per la terza volta e MARCO ELIO
AURELIO VERO CESARE.
Siccome il regno di Antonino Pio fu regno tutto di pace, perchè
quest'ottimo principe, privo d'ambizione e nulla sitibondo della
gloria vana, unicamente attese a rendere felici i suoi popoli:
mestiere che dovrebbe essere quello di tutti i regnanti: così la di
lui vita non ci somministra varietà d'azioni da poter empiere gli anni
del suo lungo imperio. Oltre di che son perite le antiche storie, che
parlavano de' fatti di lui, nè altro ci resta, che la breve sua vita
scritta da Giulio Capitolino, mancante di quel filo ch'è necessario
per riferir cronologicamente anno per anno le di lui imprese. Sia
pertanto ora a me lecito di riportar qui il ritratto di questo insigne
Augusto, che anche il Tillemont[986] raccolse da esso Capitolino[987],
dai libri di Marco Aurelio[988] suo figliuolo adottivo, da Dione[989],
e da altri pochi rimasugli dell'antichità. Fu Antonino Pio provveduto
dalla natura di un corpo di alta statura e ben fatto, con volto
maestoso e insieme dolce, con voce grata ad udirla; allegro nella
conversazione, ma senza eccesso; buon economo del suo, e insieme
liberale e magnifico alle occorrenze, con dilettarsi molto di stare
alla campagna, dove facea fruttare i suoi beni, e solea divertirsi
colla caccia e colla pesca, e in città coll'intervenire alle commedie
e buffonerie degl'istrioni. Studioso della sobrietà, anche giunto
all'imperio, sempre la conservò, contento de' cibi ordinari, senza
cercarne de' rari e senza lusso: con che visse molto, senza bisogno di
medici nè di rimedi. I suoi conviti o pubblici, o privati erano per lo
più conditi dai discorsi de' suoi commensali amici, andando anch'egli
talvolta a pranzare in casa loro con tutta confidenza. Usava[990] la
mattina di ammettere alcuno all'udienza, di mangiare un tozzo di pan
secco, per aver lena agli affari, nei quali sempre si dimostrò
applicato e indefesso. Compiacevasi ancora di andar come persona
privata alle vendemmie co' suoi amici; divertimento carissimo agli
antichi Romani. Anche imperadore usò abiti dimessi, senza curarsi di
ornar molto il corpo, ma neppur mostrandosi dimentico della polizia e
del decoro. Era, dissi, indefesso negli affari e tuttochè patisse di
quando in quando delle micranie, pure appena le avea scrollate, che
tornava più vigoroso di prima alle applicazioni. Quotidiane erano
queste, perchè non meno de' saggi padri di famiglia, che continuamente
studiano il bene della lor casa, anch'egli, come se la repubblica
fosse la casa di lui propria, senza mai darsi posa, ne procurava i
vantaggi, vegliava alla sua difesa, e rimediava ai disordini e
bisogni. Esatto anche nelle minime cose (del che fu deriso da alcuni,
e spezialmente nella sua satira da Giuliano Apostata), con gran
calma[991], e senza fermarsi alle apparenze, esaminava a fondo le
cose, i costumi degli uomini e le ragioni; ma nulla spediva degli
affari, senza aver prima raccolti i pareri di saggi amici e di dotti
consiglieri. Presa poi con maturità una risoluzione, costante e fermo
era nel volerne l'esecuzione. Tanto nel rallegrare il popolo con degli
spettacoli e con de' congiari, quanto nelle fabbriche e in altre
azioni di piacere e d'ornamento del pubblico, non cercava punto con
vanità gli applausi del popolo, siccome nè pur si metteva pensiero dei
di lui sregolati giudizii. Facea del bene per far del bene, e non per
sete di lode; e però gli adulatori alla di lui presenza perdeano la
voce. Nè, come Adriano, avea egli gelosia di chi più di lui compariva
eccellente nell'eloquenza, nella conoscenza delle leggi, o in altre
arti e scienze, anzi tanto più onorava questi tali e cedeva loro con
piacere. Trovasi sopra tutto lodato in lui l'amore della religione:
falsa religione bensì, ma in cui per sua disavventura egli era nato.
Al contrario ancora di Adriano, si provò sempre in lui stabilità nelle
amicizie: frutto nondimeno del non aver egli ammesso al grado di suoi
confidenti ed amici, se non persone di gran merito per l'ingegno e per
la virtù. E bastino per ora queste poche pennellate del ritratto
d'Antonino Pio. Da un'iscrizione riferita dal Grutero[992] ricaviamo
che in questi tempi erano prefetti del pretorio _Petronio Mamertino_ e
_Gavio Massimo_. Questo Gavio, uomo severissimo, durò in quella carica
per venti anni, ed ebbe per successore _Tazio Massimo_. Certo è, che
sotto l'imperio di quest'Augusto seguì un'inondazione del Tevere in
Roma, attestandolo Capitolino[993]; e il padre Pagi[994] pretende ciò
avvenuto nell'anno presente, per trovarsi una medaglia, in cui si
legge TIBERIS. Non ha sufficiente fondamento una tale opinione.
Potrebbe ben esser vero ciò che egli aggiugne, cioè che in quest'anno
riuscisse ad Antonino Pio di riportare una vittoria de' Britanni per
mezzo di _Lollio Urbico_ suo legato, con aver poi maggiormente
ristretti que' popoli con un altro muro più in là che quel di Adriano.
Da altri vien riferita questa vittoria all'anno 144.
NOTE:
[986] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[987] Capitolinus, in Antonio Pio.
[988] Marcus Aurelius, de rebus suis.
[989] Dio, lib. 70.
[990] Aurelius Victor, in Epitome.
[991] Zonaras, in Annalibus.
[992] Gruterus, Thesaur. Inscript., p. 268, n. 8.
[993] Capitolinus, in Antonino Pio.
[994] Pagius, in Crit. Baron.
Anno di CRISTO CXLI. Indizione IX.
IGINO papa 4.
ANTONINO PIO imperadore 4.
_Consoli_
MARCO PEDUCEO SILOGA PRISCINO e TITO HOENIO SEVERO.
Abbiamo da Capitolino[995] che nell'_anno terzo_ dell'imperio di
Antonino Pio mancò di vita _Annia Galeria Faustina_ Augusta sua
moglie. Però han creduto alcuni avvenuta la sua morte nell'anno
precedente. Ma il padre Pagi, in vigore di un'iscrizione, pubblicata
dal padre Mabillone, e da me ancora riferita[996], in cui è nominata
la DIVA, cioè la defunta _Faustina_, moglie d'Antonino Angusto console
per la terza volta, ornato della _Quarta Podestà Tribunizia_, ha
sostenuto che Faustina terminasse la vita dopo il dì 25 di febbraio
dell'anno presente, e prima del dì 10 di luglio; nel qual tempo
correva la quarta podestà tribunizia, e il terzo anno dell'imperio di
Antonino. Forte è questa ragione, ma non toglie affatto il sospetto
che Faustina potesse essere morta nell'anno precedente, e
quell'iscrizione fosse a lei posta nel presente. Per ordine del senato
fu deificata questa imperatrice; alzato a lei un tempio; deputate
delle donne flaminiche; poste delle statue d'oro e d'argento, o sia
dorate e inargentate. Furono anche in onor suo celebrati i giuochi
circensi. Tutto ciò fu fatto dalla cieca gentilità per onorare una
donna, la quale, per testimonianza di Capitolino, diede da parlare
molto di sè, per la troppa libertà e facilità di vivere; il che
Antonino mirava con dolore e con somma pazienza dissimulava. Che nè
pure lo stesso Antonino fosse esente da simil difetto, il Platino, il
Tillemont, ed altri l'hanno creduto e dedotto dalla satira
ingegnosamente composta da Giuliano apostata[997]. Ma non è assai
chiaro quel passo, e il padre Petavio lo pretende una calunnia.
Abbiamo solamente di certo da Capitolino, che essendo mancato di vita,
molti anni dopo, _Tazio Massimo_ prefetto del pretorio, rammentato di
sopra, in suo luogo ne furono sostituiti due da Antonino, cioè _Fabio
Repentino_ e _Cornelio Vittorino_: ed essere allora corsa una
pasquinata, in cui si dicea che _Repentino_ era giunto a quella
dignità per raccomandazione di una concubina dell'imperadore. Di
questo si può anche dubitare, perchè Antonino Pio mancò di vita in età
di sessantaquattr'anni, ed essendo l'elezion di Repentino succeduta
negli ultimi tempi suoi, non par credibile che un sì saggio principe
si lasciasse vincere da sregolate passioni in quell'età. Oltre di che,
secondo la falsa morale de' Gentili, non erano biasimevoli certi usi
od abusi d'allora. Dalla vita di Avidio Cassio, scritta da Vulcazio
Gallicano[998], abbiamo un barlume, che vivente ancora Faustina, si
ribellò uno non so qual _Celso_ contra di Antonino, però nel
precedente, o nel presente anno, Faustina, sapendo quanto fosse
inclinato il consorte Augusto alla clemenza, gli scrisse che s'egli
avesse compassion di costui, non mostrerebbe d'averla per sua moglie
nè per gli suoi, perchè se andasse ben fatta ai ribelli, essi non
avrebbono pietà nè dell'imperadore nè di chi è congiunto con lui. Ma
niun'altra memoria di questo Celso ci ha conservata la storia.
NOTE:
[995] Capitolinus, in Antonino Pio.
[996] Thesaurus Novus Inscription., p. 239, n. 3.
[997] Julian., de Caesarib.
[998] Vulcat. Gallicanus, in Avidio Cassio.
Anno di CRISTO CXLII. Indizione X.
PIO papa 1.
ANTONINO PIO imperad. 3.
_Consoli_
LUCIO CUSPIO RUFINO e LUCIO STATIO QUADRATO.
È di parere monsignor Bianchini[999], che in quest'anno, e non già nel
precedente, come pensò il padre Pagi[1000], _santo Igino_ romano
pontefice terminasse la sua vita con una più gloriosa morte, perchè
martire della Fede di Gesù Cristo. Certo è bensì, che a lui succedette
_Pio_ papa. Sappiamo del pari, che anche sotto Antonino Pio continuò
la persecuzion de' Cristiani, non già per editto, non già per colpa di
questo clementissimo imperadore e principe assai conoscente che la
cristiana religione ed i seguaci di essa, per la maggior parte
professori della virtù, non meritavano gastighi; ma per gli precedenti
non aboliti editti, e per la malvagità de' presidenti e de' giudici,
adoratori degl'idoli, a' quali non era vietato il procedere contro ai
cristiani. Però circa questi tempi _san Giustino_, poscia glorioso
martire, scrisse un'apologia in favore de' fedeli, e la presentò ad
esso imperadore Antonino, dimostrandogli la falsità dei delitti
attribuiti ai cristiani, e l'ingiustizia de' supplizii, a' quali erano
condannati. L'anno preciso, in cui san Giustino compose e presentò
all'imperadore questa prima sua apologia (perchè egli due ne compose)
nol sappiamo. Fuor di dubbio è, per attestato di Eusebio[1001], aver
non meno essa, che varie favorevoli lettere dei governatori Gentili
dell'Asia, prodotto buon effetto, avendo Antonino dipoi, cioè
nell'anno 152, spediti ordini che niuno fosse condannato perchè fosse
cristiano. Nè si potea aspettar meno da un imperador tale, ch'era la
stessa bontà, e che nulla più desiderava che di far fiorire la pace e
la contentezza per tutte le provincie del romano imperio. Tanto il
portava alla mansuetudine, alla clemenza la sua ben radicata virtù,
che nè pur volea punire le offese fatte a lui stesso. Di due sole
congiure tramate contra di lui parla Capitolino[1002]. L'una di
_Attilo Taziano_. Fu questi processato e convinto dal senato; ma per
ordine di Antonino, gastigato col solo esilio. Nè volle il buon
Angusto, che si ricercassero i complici, e verso il di lui figliuolo
si mostrò in tutte le occorrenze sempre mai favorevole. L'altra fu di
_Prisciano_. Da che costui si vide scoperto, prevenne la clemenza di
Antonino con darsi la morte da sè stesso. Faceva istanza il
senato[1003], che si procedesse oltre per iscoprire gli altri
congiurati: vietollo Antonino, dicendo, _che non era bene il far di
più, non amando egli di sapere a quante persone fosse in odio la sua
persona_. Anche un dì per sospetto, che mancasse in Roma il grano,
l'insolente popolo arrivò a tirargli de' sassi. Ma egli in vece di
punire il pazzo loro ammutinamento, si studiò di placarli con buone ed
amorevoli ragioni. Perciò sotto di lui niuno de' senatori si vide
privato di vita. Un solo convinto di parricidio, fu condannato ad
essere portato e lasciato in un'isola deserta.
NOTE:
[999] Blanchin., ad Anastas. Bibliothecar.
[1000] Pagius, in Crit. Baron.
[1001] Euseb., in Chron. et Hist. Eccl., lib. 4.
[1002] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1003] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CXLIII. Indizione XI.
PIO papa 2.
ANTONINO PIO imperadore 6.
_Consoli_
CAJO BELLICIO TORQUATO e TIBERIO CLAUDIO ATTICO ERODE.
Il secondo console, cioè _Attico Erode_, fu uno dei celebri personaggi
del suo tempo, e trovasi commendato assaissimo da Aulo Gellio[1004] e
da Filostrato[1005]. Si racconta di Attico suo padre, cittadino di
Atene, che avendo trovato un gran tesoro, ne scrisse al buon
imperadore Nerva, per sapere che ne avesse da fare. La risposta fu,
che ne usasse come voleva. Tuttavia temendo egli un dì qualche avania
dal fisco, gli tornò a scrivere, come non osando di valersi di tal
grazia; e Nerva gli replicò che si servisse di ciò che la fortuna gli
avea donato, perchè era cosa sua. Divenne molto più ricco il figliuolo
Erode, ma con impiegar in bene le sue ricchezze, con aiutare un gran
numero di persone bisognose. La eccellenza sua consisteva
nell'eloquenza, in cui forse allora non ebbe pari. Avea esercitati
vari governi, e poi fu scelto da Antonino per maestro de' suoi due
figliuoli adottivi, cioè di _Marco Aurelio_ e di _Lucio Vero_,
affinchè loro insegnasse la eloquenza greca. Accomodando il padre Pagi
le azioni degli Augusti[1006] alle regole da sè stabilite, immagina
che in quest'anno Antonino Pio celebrasse i quinquennali del suo
imperio. Ma di ciò niun vestigio ci somministra la storia, e nè pur le
medaglie, le quali, perchè non esprimono i diversi anni della podestà
tribunizia, non ci conducono a discernere i precisi tempi delle opere
e degli avvenimenti di questi tempi. Per altro nè pure Antonino Pio
lasciò privo il popolo romano de' tanto sospirati spettacoli. Abbiamo
da Capitolino[1007], ch'egli ne diede più volte, facendo comparire in
essi degli elefanti, delle corocotte, delle tigri, e insin de'
coccodrilli, e de' cavalli marini ed altri ammali stranieri, fatti
venire da tutte le parti della terra. E in un dì solo cento lioni si
fecero entrar nell'anfiteatro, e se ne fece la caccia.
NOTE:
[1004] Aulus Gell., Noct. Attic.
[1005] Philost., de Sophist.
[1006] Pagius, in Crit. Baron.
[1007] Capitolin., in Antonino Pio.
Anno di CRISTO CXLIV. Indizione XII.
PIO papa 3.
ANTONINO PIO imperadore 7.
_Consoli_
PUBLIO LOLLIANO AVITO e MASSIMO.
Perchè non è sicuro il nome del secondo console, cioè di _Massimo_,
chiamato da alcuni _Cajo Gavio Massimo_, io l'ho lasciato andare. Il
cardinal Noris[1008] e il padre Pagi[1009] portarono opinione, che
egli si chiamasse _Claudio Massimo_, e fosse quel medesimo che fu uno
de' maestri di Marco Aurelio, poscia imperadore, mentovato da
Capitolino[1010], e che da Apulejo[1011] vien riconosciuto proconsole
dell'Africa, con chiaro indicio, che dianzi egli era stato console.
Pensa all'incontro il Panvinio[1012], seguitato in ciò da altri,
ch'egli fosse quel _Gavio Massimo_, che di sopra dicemmo avere
esercitata la carica di prefetto del pretorio per venti anni, con
citare un'iscrizione, in cui si legge: C. GAVIVS C. F. STRABO MAXIMVS
COS. Ma cotale iscrizione nulla conchiude, perchè non si sa di certo
che appartenga a lui. All'incontro si dee osservare detto da
Capitolino[1013], avere Antonino pio arricchiti _i suoi prefetti_, e
donati loro _gli ornamenti consolari_. Suol significar questa frase,
l'aver solamente ottenuto il privilegio di portar la veste palmata, di
aver la sedia d'avorio, ed altri onorevoli segni, conceduti ai veri
consoli, ma senza essere stato console. Però più probabile sembra
l'opinione del Noris e del Pagi. Tuttavia comparendo essa non esente
da ogni dubbio, meglio ho creduto di nominar solamente _Massimo_ il
console suddetto. Circa questi tempi, siccome abbiamo dagli antichi
scrittori cristiani[1014], sboccarono dall'inferno Valentino, Cerdone
e Marcione, eresiarchi e maestri d'altri non meno empii discepoli, che
si studiarono d'infettar la nostra santa religione con istravaganti
immaginazioni, ed opinioni esecrande, contra de' quali poi aguzzarono
le lor penne varii santi e dottissimi scrittori cattolici. Scrivono
all'incontro san Giustino ed Arnobio, che Antonino Pio, portato dallo
zelo dell'erronea religione pagana, vietasse il leggere i versi dello
Sibille, e le opere di Cicerone della Natura degli dii, e della
Divinazione, ed altri simili, perchè atti a distruggere le imposture e
lo stolto culto de' falsi numi. Di ciò nulla dicono gli autori della
sua vita. Per conto de' libri sibillini, finti negli antichi tempi, è
da vedere il Du-Pin[1015], che dottamente esamina questo argomento,
senza ch'io ne dica una parola di più. Sembra poi inverisimile questo
divieto delle opere di Cicerone, il quale se fosse succeduto, tanta
era la stima di quello presso i Romani, che non avrebbono taciuta sì
importante particolarità gli scrittori della vita di Antonino Pio,
giacchè derisero Adriano solamente perchè egli apprezzava più lo stile
di Catone che quello di Cicerone.
NOTE:
[1008] Noris, Epistola Consulari.
[1009] Pagius, in Critic. Baron.
[1010] Capitol., in Marco Aurel.
[1011] Apulejus, in Apolog. secund.
[1012] Panvin., in Fast. Consular.
[1013] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1014] Justin., in Apolog. Eusebius. Tertull., Philastrius et alii.
[1015] Du-Pin, Dissertat. Préliminair. aux Auteurs Ecclésiastiq.
Anno di CRISTO CXLV. Indizione XIII.
PIO papa 4.
ANTONINO PIO imperadore 8.
_Consoli_
TITO ELIO ADRIANO ANTONINO PIO AUGUSTO per la quarta volta, e MARCO
ELIO AURELIO VERO CESARE per la seconda.
Si figura il padre Pagi[1016], che _Antonino Augusto_ prendesse questo
consolato per solennizzare i quinquennali del suo imperio, avendo
differita questa festa all'anno presente, che dovea farsi nel
precedente. Ma cotal dilazione è immaginata da lui, nè fondata se non
sopra le regole da esso ideate, che patiscono molte difficoltà. Credè
egli parimente, che in quest'anno _Lucio Vero_ suo figliuolo adottivo,
per attestato di Capitolino[1017], essendo in età di quindici anni,
prendesse la toga virile: nella qual occasione solevano i Romani far
festa. Credono altri, che Antonino in fatti la facesse con dedicare il
tempio d'Augusto, da lui ristorato, siccome consta dalle
medaglie[1018]. Ma Capitolino[1019] scrive diversamente, con dire
ch'egli in tal congiuntura dedicò il _Tempio del Padre_, cioè di
Adriano, e non già di Augusto. Dal medesimo autore abbiamo, che
Antonino Pio lasciò di belle memorie, tanto in Roma che altrove, con
fabbriche sontuose, o fatte di pianta o ristorate durante il suo
imperio. Cioè il tempio dedicato in onore di esso Adriano suo padre;
il Grecostadio, o sia la Grecostasi, edificio, in cui si fermavano gli
ambasciadori delle nazioni prima di essere introdotti nel senato.
Questo, già rovinato da un incendio, fu da lui rifatto. Ristorò
similmente l'anfiteatro di Tito, per quanto si crede; il sepolcro di
Adriano; il tempio d'Agrippa, cioè oggidì la Rotonda; il ponte
Sulpicio di legno sul Tevere; il Faro, forse di Pozzuolo o di Gaeta.
Vedesi in Pozzuolo una iscrizione, testimonio di questo[1020].
Racconciò i porti di essa Gaeta e di Terracina. Lo stesso benefizio
prestò alle Terme d'Ostia, all'acquidotto d'Anzio, e al tempio di
Lanuvio, o sia di Lavinia. Del tempio d'Augusto, da lui risarcito, non
parla Capitolino. Soggiugne bensì, aver egli aiutate con danaro molte
città, acciocchè o facessero delle nuove fabbriche, o ristorassero le
vecchie, ed aver contribuito molto del suo, affinchè i senatori ed
altri magistrati potessero con decoro esercitar i loro impieghi.
Pausania[1021] fa menzione di varii altri edifizii attribuiti nella
Grecia al medesimo Antonino Augusto. E da un'iscrizione rapportata dal
marchese Maffei[1022] si raccoglie ch'egli ristorò le Terme di Narbona
nella Gallia. Anche di diverse pubbliche strade per ordin suo
riselciate parlano altre iscrizioni.
NOTE:
[1016] Pagius, in Critic. Baron.
[1017] Capitolinus, in Lucio Vero.
[1018] Mediobarb., in Numism. Imperat.
[1019] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1020] Thesaurus Novus Inscript., pag. 543, n. 5.
[1021] Pausanias, lib. 8.
[1022] Maffejus, Antiquit. Galliae.
Anno di CRISTO CXLVI. Indizione XIV.
PIO papa 5.
ANTONINO PIO imperadore 9.
_Consoli_
SESTO ERUCIO CLARO per la seconda volta, e GNEO CLAUDIO SEVERO.
Intanto si provava una mirabil tranquillità e un delizioso vivere,
tanto in Roma che in tutto il romano imperio, pel savio governo di
Antonino Pio, che si facea conoscere buon principe, e maggiormente
padre a tutti i sudditi suoi. Marco Aurelio, imperador dopo lui, nello
scrivere la vita propria[1023], confessa d'aver molto imparato dagli
esempli e dalla voce d'esso Antonino, padre suo per adozione, e ci dà
un bel saggio della maniera da lui tenuta di vivere. Capitolino[1024]
anch'esso ce ne lasciò qualche memoria. L'altezza del grado, a cui era
pervenuto Antonino, non gli fece punto mutare, se non in meglio, i
costumi, perchè mai non gli andò il fumo alla testa. Vivuto da privato
con gran moderazione, saviezza ed affabilità[1025], maggiormente
continuò ad esser tale divenuto Augusto, con ritener lo stesso
abborrimento al fasto e alla matta superbia, e con istudiare, tanto
superiore come era, di farsi eguale agli altri nobili cittadini: il
che, invece di sminuire, accresceva negli altri la stima e l'amore
della maestà imperiale. Si faceva egli servire da' suoi schiavi, come
usavano anche i privati; andava alle case degli amici; famigliarmente
passeggiava con loro, come se non fosse imperadore; e voleva che
cadauno di essi godesse la sua libertà, senza formalizzarsi, se
invitati non venivano alla cena, se, andando egli in viaggio, non
l'accompagnavano. Costantissimo fu il suo rispetto verso il senato, e
trattava coi senatori in quella stessa guisa e colla medesima bontà
ch'egli, allorchè era senatore, desiderava d'essere trattato dagli
imperatori. Ritenne sempre il costume di render conto di tutto quel
che faceva al senato ed anche al popolo, allorchè avea da pubblicar
degli editti. E qualor voleva il consolato, o qualche altra carica per
sè o per gli figliuoli, la domandava al senato al pari degli altri
particolari. Scrive lo stesso Marco Aurelio, suo figliuolo adottivo,
d'aver fra l'altre avuta a lui l'obbligazione d'essere spogliato della
vanità, appunto dappoichè fu adottato e alzato da lui; perchè Antonino
gli andava insinuando, che si potea vivere anche in corte quasi come
persona privata: cosa appunto praticata da lui, con altre virtù
commemorate da Marco Aurelio.
Grave nell'aspetto, nel medesimo tempo era cortese, gioviale e dolce
verso tutti, infin verso i cattivi, ai quali levava il poter più
nuocere, ma senza punirli quasi mai col rigor delle leggi. Quanto egli
fosse mansueto, tollerante delle ingiurie, e nemico del vendicarsi,
già si è accennato di sopra. Serviranno nondimeno alcuni avvenimenti a
maggiormente comprovarlo. In concetto di uno dei più famosi sofisti
greci[1026] fu in questi tempi _Polemone_. La più bella casa che fosse
nella città di Smirne era la sua. Si era abbattuto a passar di là
Antonino, mentre esercitava la carica di proconsole dell'Asia, e vi
andò ad alloggiare. Polemone, che si trovava fuor di città, venuto una
notte, ed osservando in sua casa tanta foresteria entratavi senza
licenza sua, ne fece tal rumore e tanti lamenti, che il buon Antonino
di mezza notte stimò meglio di uscirne, e di cercarsi un altro
albergo. Creato ch'egli fu poi imperadore, Polemone venne a Roma, ed
ebbe tanto animo di andargli a fare riverenza. Antonino l'accolse
colla solita sua cortesia senza che gli turbasse l'animo la memoria
del passato, e solamente con galante maniera gli ricordò la sua
scortesia, con ordinare _che gli fosse data una stanza nel palazzo, e
che persona nol facesse sloggiare_. Accadde ancora che un commediante
andò a lamentarsi ad Antonino, e a chiedere giustizia, perchè il
suddetto Polemone l'avea cacciato dal teatro nel bel mezzodì: E me,
rispose allora l'imperadore, _egli ha cacciato fuor di casa in tempo
di mezza notte, e non ne ho fatta querela_. Bisogna ben credere che
l'alterigia e l'albagia fossero il quinto elemento della maggior parte
di que' decantati sofisti greci di allora. Antonino, a cui premeva
forte la buona educazion di Marco Aurelio suo figliuolo adottivo fece
venir dalla Grecia _Apollonio_, non già il Tianeo, ma bensì un
filosofo stoico[1027], ch'era in gran riputazion di sapere allora.
Venne costui a Roma, menando seco molti dei suoi discepoli, che
graziosamente, per attestato di Luciano[1028], furono chiamati da
Demonatte filosofo cinico _Argonauti nuovi_, perchè tutti in viaggio
menati dalla speranza di divenir tutti ricconi in Roma. Mandò a dirgli
Antonino che venisse al palazzo, per consegnargli il figliuolo; e
sì fatto onore. Trovavansi delle persone non poche condannate o
esiliate da Adriano. Dimandò Antonino grazia per loro nel senato, con
dire che Adriano l'avrebbe chiesta anch'egli. A niun di coloro, che lo
stesso Adriano avea dato dei posti, li levò; anzi suo costume fu
lasciar continuare ne' governi delle provincie per fin sette e nove
anni coloro ch'erano in concetto di governare con illibatezza e
prudenza.
Ebbe Antonino Pio da Faustina sua moglie due figliuoli[982] maschi,
uno appellato _Marco Aurelio Fulvo Antonino_, e l'altro _Marco Galerio
Aurelio Antonino_. Amendue giovani erano a lui premorti. Due figliuole
ancora gli nacquero. La maggiore, maritata con _Lamia Sillano_, mancò
di vita, allorchè il marito andava al governo dell'Asia. Restavagli la
seconda, cioè _Annia Faustina_. Avea ordinato Adriano, ch'egli la
desse in moglie a _Lucio Vero_, cioè a quel medesimo che insieme con
_Marco Aurelio_ per comandamento di Adriano egli avea adottato per suo
figliuolo. Ma Antonino, dacchè cessò Adriano di vivere, riflettendo
all'età troppo tenera di Lucio Vero, e che miglior testa era quella di
Marco Aurelio, cangiata massima[983], s'invogliò di dar la figliuola
ad esso Marco Aurelio, contuttochè egli avesse contratti gli sponsali
con _Fabia_ figliuola di _Lucio Cejonio Commodo_, e sorella del
suddetto _Lucio Vero_. Gliene fece far la proposizione per Giulia
Faustina sua moglie, con dargli tempo di pensarvi. Si credette in fine
Marco Aurelio di assicurar meglio la sua fortuna con questo
matrimonio; e però disciolti gli sponsali suddetti, s'indusse ad
isposare Annia Faustina. Non si sa bene se seguissero tali nozze
nell'anno presente. Prima anche d'esse Antonino, per maggiormente
comprovare al destinato genero il suo compiacimento ed affetto, gli
conferì il titolo di _Cesare_, e il disegnò, ad istanza del senato,
console seco per l'anno seguente, contuttochè egli non fosse se non
questore, nè avesse esercitate altre cariche pubbliche. Il fece anche
accettare ne' Collegi de' sacerdoti, e passare nel palazzo di Tiberio,
con formargli una corte da par suo, benchè egli ripugnasse. Assegnò
anche Antonino[984] in dote alla figliuola tutti i suoi beni
patrimoniali, con riserbarsene nondimeno l'usufrutto sua vita natural
durante per gli bisogni dello stato. Servono le medaglie[985], coniate
nel secondo consolato di Antonino Pio, cioè nell'anno presente, per
farci conoscere che egli diede un re ai Quadi, e un altro ai popoli
dell'Armenia.
NOTE:
[973] Thesaur. Nov. Inscript., pag. 326, n. 4.
[974] Fabrettus, Inscription, pag. 726.
[975] Capitolinus, in Antonino Pio.
[976] Spartianus, in Hadriano.
[977] Capitolinus, in Antonino Pio.
[978] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
[979] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[980] Pausanias, lib. 8. Dio, l. 70. Lampridius in Elagabalo.
[981] Mediobarbus, in Numismat. Imperator.
[982] Capitolinus, in Antonino Pio.
[983] Capitolinus, in Marco Aurel.
[984] Capitolinus, in Antonino Pio.
[985] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
Anno di CRISTO CXL. Indizione VIII.
IGINO papa 3.
ANTONINO PIO imperadore 3.
_Consoli_
TITO ELIO ADRIANO ANTONINO PIO AUGUSTO per la terza volta e MARCO ELIO
AURELIO VERO CESARE.
Siccome il regno di Antonino Pio fu regno tutto di pace, perchè
quest'ottimo principe, privo d'ambizione e nulla sitibondo della
gloria vana, unicamente attese a rendere felici i suoi popoli:
mestiere che dovrebbe essere quello di tutti i regnanti: così la di
lui vita non ci somministra varietà d'azioni da poter empiere gli anni
del suo lungo imperio. Oltre di che son perite le antiche storie, che
parlavano de' fatti di lui, nè altro ci resta, che la breve sua vita
scritta da Giulio Capitolino, mancante di quel filo ch'è necessario
per riferir cronologicamente anno per anno le di lui imprese. Sia
pertanto ora a me lecito di riportar qui il ritratto di questo insigne
Augusto, che anche il Tillemont[986] raccolse da esso Capitolino[987],
dai libri di Marco Aurelio[988] suo figliuolo adottivo, da Dione[989],
e da altri pochi rimasugli dell'antichità. Fu Antonino Pio provveduto
dalla natura di un corpo di alta statura e ben fatto, con volto
maestoso e insieme dolce, con voce grata ad udirla; allegro nella
conversazione, ma senza eccesso; buon economo del suo, e insieme
liberale e magnifico alle occorrenze, con dilettarsi molto di stare
alla campagna, dove facea fruttare i suoi beni, e solea divertirsi
colla caccia e colla pesca, e in città coll'intervenire alle commedie
e buffonerie degl'istrioni. Studioso della sobrietà, anche giunto
all'imperio, sempre la conservò, contento de' cibi ordinari, senza
cercarne de' rari e senza lusso: con che visse molto, senza bisogno di
medici nè di rimedi. I suoi conviti o pubblici, o privati erano per lo
più conditi dai discorsi de' suoi commensali amici, andando anch'egli
talvolta a pranzare in casa loro con tutta confidenza. Usava[990] la
mattina di ammettere alcuno all'udienza, di mangiare un tozzo di pan
secco, per aver lena agli affari, nei quali sempre si dimostrò
applicato e indefesso. Compiacevasi ancora di andar come persona
privata alle vendemmie co' suoi amici; divertimento carissimo agli
antichi Romani. Anche imperadore usò abiti dimessi, senza curarsi di
ornar molto il corpo, ma neppur mostrandosi dimentico della polizia e
del decoro. Era, dissi, indefesso negli affari e tuttochè patisse di
quando in quando delle micranie, pure appena le avea scrollate, che
tornava più vigoroso di prima alle applicazioni. Quotidiane erano
queste, perchè non meno de' saggi padri di famiglia, che continuamente
studiano il bene della lor casa, anch'egli, come se la repubblica
fosse la casa di lui propria, senza mai darsi posa, ne procurava i
vantaggi, vegliava alla sua difesa, e rimediava ai disordini e
bisogni. Esatto anche nelle minime cose (del che fu deriso da alcuni,
e spezialmente nella sua satira da Giuliano Apostata), con gran
calma[991], e senza fermarsi alle apparenze, esaminava a fondo le
cose, i costumi degli uomini e le ragioni; ma nulla spediva degli
affari, senza aver prima raccolti i pareri di saggi amici e di dotti
consiglieri. Presa poi con maturità una risoluzione, costante e fermo
era nel volerne l'esecuzione. Tanto nel rallegrare il popolo con degli
spettacoli e con de' congiari, quanto nelle fabbriche e in altre
azioni di piacere e d'ornamento del pubblico, non cercava punto con
vanità gli applausi del popolo, siccome nè pur si metteva pensiero dei
di lui sregolati giudizii. Facea del bene per far del bene, e non per
sete di lode; e però gli adulatori alla di lui presenza perdeano la
voce. Nè, come Adriano, avea egli gelosia di chi più di lui compariva
eccellente nell'eloquenza, nella conoscenza delle leggi, o in altre
arti e scienze, anzi tanto più onorava questi tali e cedeva loro con
piacere. Trovasi sopra tutto lodato in lui l'amore della religione:
falsa religione bensì, ma in cui per sua disavventura egli era nato.
Al contrario ancora di Adriano, si provò sempre in lui stabilità nelle
amicizie: frutto nondimeno del non aver egli ammesso al grado di suoi
confidenti ed amici, se non persone di gran merito per l'ingegno e per
la virtù. E bastino per ora queste poche pennellate del ritratto
d'Antonino Pio. Da un'iscrizione riferita dal Grutero[992] ricaviamo
che in questi tempi erano prefetti del pretorio _Petronio Mamertino_ e
_Gavio Massimo_. Questo Gavio, uomo severissimo, durò in quella carica
per venti anni, ed ebbe per successore _Tazio Massimo_. Certo è, che
sotto l'imperio di quest'Augusto seguì un'inondazione del Tevere in
Roma, attestandolo Capitolino[993]; e il padre Pagi[994] pretende ciò
avvenuto nell'anno presente, per trovarsi una medaglia, in cui si
legge TIBERIS. Non ha sufficiente fondamento una tale opinione.
Potrebbe ben esser vero ciò che egli aggiugne, cioè che in quest'anno
riuscisse ad Antonino Pio di riportare una vittoria de' Britanni per
mezzo di _Lollio Urbico_ suo legato, con aver poi maggiormente
ristretti que' popoli con un altro muro più in là che quel di Adriano.
Da altri vien riferita questa vittoria all'anno 144.
NOTE:
[986] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[987] Capitolinus, in Antonio Pio.
[988] Marcus Aurelius, de rebus suis.
[989] Dio, lib. 70.
[990] Aurelius Victor, in Epitome.
[991] Zonaras, in Annalibus.
[992] Gruterus, Thesaur. Inscript., p. 268, n. 8.
[993] Capitolinus, in Antonino Pio.
[994] Pagius, in Crit. Baron.
Anno di CRISTO CXLI. Indizione IX.
IGINO papa 4.
ANTONINO PIO imperadore 4.
_Consoli_
MARCO PEDUCEO SILOGA PRISCINO e TITO HOENIO SEVERO.
Abbiamo da Capitolino[995] che nell'_anno terzo_ dell'imperio di
Antonino Pio mancò di vita _Annia Galeria Faustina_ Augusta sua
moglie. Però han creduto alcuni avvenuta la sua morte nell'anno
precedente. Ma il padre Pagi, in vigore di un'iscrizione, pubblicata
dal padre Mabillone, e da me ancora riferita[996], in cui è nominata
la DIVA, cioè la defunta _Faustina_, moglie d'Antonino Angusto console
per la terza volta, ornato della _Quarta Podestà Tribunizia_, ha
sostenuto che Faustina terminasse la vita dopo il dì 25 di febbraio
dell'anno presente, e prima del dì 10 di luglio; nel qual tempo
correva la quarta podestà tribunizia, e il terzo anno dell'imperio di
Antonino. Forte è questa ragione, ma non toglie affatto il sospetto
che Faustina potesse essere morta nell'anno precedente, e
quell'iscrizione fosse a lei posta nel presente. Per ordine del senato
fu deificata questa imperatrice; alzato a lei un tempio; deputate
delle donne flaminiche; poste delle statue d'oro e d'argento, o sia
dorate e inargentate. Furono anche in onor suo celebrati i giuochi
circensi. Tutto ciò fu fatto dalla cieca gentilità per onorare una
donna, la quale, per testimonianza di Capitolino, diede da parlare
molto di sè, per la troppa libertà e facilità di vivere; il che
Antonino mirava con dolore e con somma pazienza dissimulava. Che nè
pure lo stesso Antonino fosse esente da simil difetto, il Platino, il
Tillemont, ed altri l'hanno creduto e dedotto dalla satira
ingegnosamente composta da Giuliano apostata[997]. Ma non è assai
chiaro quel passo, e il padre Petavio lo pretende una calunnia.
Abbiamo solamente di certo da Capitolino, che essendo mancato di vita,
molti anni dopo, _Tazio Massimo_ prefetto del pretorio, rammentato di
sopra, in suo luogo ne furono sostituiti due da Antonino, cioè _Fabio
Repentino_ e _Cornelio Vittorino_: ed essere allora corsa una
pasquinata, in cui si dicea che _Repentino_ era giunto a quella
dignità per raccomandazione di una concubina dell'imperadore. Di
questo si può anche dubitare, perchè Antonino Pio mancò di vita in età
di sessantaquattr'anni, ed essendo l'elezion di Repentino succeduta
negli ultimi tempi suoi, non par credibile che un sì saggio principe
si lasciasse vincere da sregolate passioni in quell'età. Oltre di che,
secondo la falsa morale de' Gentili, non erano biasimevoli certi usi
od abusi d'allora. Dalla vita di Avidio Cassio, scritta da Vulcazio
Gallicano[998], abbiamo un barlume, che vivente ancora Faustina, si
ribellò uno non so qual _Celso_ contra di Antonino, però nel
precedente, o nel presente anno, Faustina, sapendo quanto fosse
inclinato il consorte Augusto alla clemenza, gli scrisse che s'egli
avesse compassion di costui, non mostrerebbe d'averla per sua moglie
nè per gli suoi, perchè se andasse ben fatta ai ribelli, essi non
avrebbono pietà nè dell'imperadore nè di chi è congiunto con lui. Ma
niun'altra memoria di questo Celso ci ha conservata la storia.
NOTE:
[995] Capitolinus, in Antonino Pio.
[996] Thesaurus Novus Inscription., p. 239, n. 3.
[997] Julian., de Caesarib.
[998] Vulcat. Gallicanus, in Avidio Cassio.
Anno di CRISTO CXLII. Indizione X.
PIO papa 1.
ANTONINO PIO imperad. 3.
_Consoli_
LUCIO CUSPIO RUFINO e LUCIO STATIO QUADRATO.
È di parere monsignor Bianchini[999], che in quest'anno, e non già nel
precedente, come pensò il padre Pagi[1000], _santo Igino_ romano
pontefice terminasse la sua vita con una più gloriosa morte, perchè
martire della Fede di Gesù Cristo. Certo è bensì, che a lui succedette
_Pio_ papa. Sappiamo del pari, che anche sotto Antonino Pio continuò
la persecuzion de' Cristiani, non già per editto, non già per colpa di
questo clementissimo imperadore e principe assai conoscente che la
cristiana religione ed i seguaci di essa, per la maggior parte
professori della virtù, non meritavano gastighi; ma per gli precedenti
non aboliti editti, e per la malvagità de' presidenti e de' giudici,
adoratori degl'idoli, a' quali non era vietato il procedere contro ai
cristiani. Però circa questi tempi _san Giustino_, poscia glorioso
martire, scrisse un'apologia in favore de' fedeli, e la presentò ad
esso imperadore Antonino, dimostrandogli la falsità dei delitti
attribuiti ai cristiani, e l'ingiustizia de' supplizii, a' quali erano
condannati. L'anno preciso, in cui san Giustino compose e presentò
all'imperadore questa prima sua apologia (perchè egli due ne compose)
nol sappiamo. Fuor di dubbio è, per attestato di Eusebio[1001], aver
non meno essa, che varie favorevoli lettere dei governatori Gentili
dell'Asia, prodotto buon effetto, avendo Antonino dipoi, cioè
nell'anno 152, spediti ordini che niuno fosse condannato perchè fosse
cristiano. Nè si potea aspettar meno da un imperador tale, ch'era la
stessa bontà, e che nulla più desiderava che di far fiorire la pace e
la contentezza per tutte le provincie del romano imperio. Tanto il
portava alla mansuetudine, alla clemenza la sua ben radicata virtù,
che nè pur volea punire le offese fatte a lui stesso. Di due sole
congiure tramate contra di lui parla Capitolino[1002]. L'una di
_Attilo Taziano_. Fu questi processato e convinto dal senato; ma per
ordine di Antonino, gastigato col solo esilio. Nè volle il buon
Angusto, che si ricercassero i complici, e verso il di lui figliuolo
si mostrò in tutte le occorrenze sempre mai favorevole. L'altra fu di
_Prisciano_. Da che costui si vide scoperto, prevenne la clemenza di
Antonino con darsi la morte da sè stesso. Faceva istanza il
senato[1003], che si procedesse oltre per iscoprire gli altri
congiurati: vietollo Antonino, dicendo, _che non era bene il far di
più, non amando egli di sapere a quante persone fosse in odio la sua
persona_. Anche un dì per sospetto, che mancasse in Roma il grano,
l'insolente popolo arrivò a tirargli de' sassi. Ma egli in vece di
punire il pazzo loro ammutinamento, si studiò di placarli con buone ed
amorevoli ragioni. Perciò sotto di lui niuno de' senatori si vide
privato di vita. Un solo convinto di parricidio, fu condannato ad
essere portato e lasciato in un'isola deserta.
NOTE:
[999] Blanchin., ad Anastas. Bibliothecar.
[1000] Pagius, in Crit. Baron.
[1001] Euseb., in Chron. et Hist. Eccl., lib. 4.
[1002] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1003] Aurelius Victor, in Epitome.
Anno di CRISTO CXLIII. Indizione XI.
PIO papa 2.
ANTONINO PIO imperadore 6.
_Consoli_
CAJO BELLICIO TORQUATO e TIBERIO CLAUDIO ATTICO ERODE.
Il secondo console, cioè _Attico Erode_, fu uno dei celebri personaggi
del suo tempo, e trovasi commendato assaissimo da Aulo Gellio[1004] e
da Filostrato[1005]. Si racconta di Attico suo padre, cittadino di
Atene, che avendo trovato un gran tesoro, ne scrisse al buon
imperadore Nerva, per sapere che ne avesse da fare. La risposta fu,
che ne usasse come voleva. Tuttavia temendo egli un dì qualche avania
dal fisco, gli tornò a scrivere, come non osando di valersi di tal
grazia; e Nerva gli replicò che si servisse di ciò che la fortuna gli
avea donato, perchè era cosa sua. Divenne molto più ricco il figliuolo
Erode, ma con impiegar in bene le sue ricchezze, con aiutare un gran
numero di persone bisognose. La eccellenza sua consisteva
nell'eloquenza, in cui forse allora non ebbe pari. Avea esercitati
vari governi, e poi fu scelto da Antonino per maestro de' suoi due
figliuoli adottivi, cioè di _Marco Aurelio_ e di _Lucio Vero_,
affinchè loro insegnasse la eloquenza greca. Accomodando il padre Pagi
le azioni degli Augusti[1006] alle regole da sè stabilite, immagina
che in quest'anno Antonino Pio celebrasse i quinquennali del suo
imperio. Ma di ciò niun vestigio ci somministra la storia, e nè pur le
medaglie, le quali, perchè non esprimono i diversi anni della podestà
tribunizia, non ci conducono a discernere i precisi tempi delle opere
e degli avvenimenti di questi tempi. Per altro nè pure Antonino Pio
lasciò privo il popolo romano de' tanto sospirati spettacoli. Abbiamo
da Capitolino[1007], ch'egli ne diede più volte, facendo comparire in
essi degli elefanti, delle corocotte, delle tigri, e insin de'
coccodrilli, e de' cavalli marini ed altri ammali stranieri, fatti
venire da tutte le parti della terra. E in un dì solo cento lioni si
fecero entrar nell'anfiteatro, e se ne fece la caccia.
NOTE:
[1004] Aulus Gell., Noct. Attic.
[1005] Philost., de Sophist.
[1006] Pagius, in Crit. Baron.
[1007] Capitolin., in Antonino Pio.
Anno di CRISTO CXLIV. Indizione XII.
PIO papa 3.
ANTONINO PIO imperadore 7.
_Consoli_
PUBLIO LOLLIANO AVITO e MASSIMO.
Perchè non è sicuro il nome del secondo console, cioè di _Massimo_,
chiamato da alcuni _Cajo Gavio Massimo_, io l'ho lasciato andare. Il
cardinal Noris[1008] e il padre Pagi[1009] portarono opinione, che
egli si chiamasse _Claudio Massimo_, e fosse quel medesimo che fu uno
de' maestri di Marco Aurelio, poscia imperadore, mentovato da
Capitolino[1010], e che da Apulejo[1011] vien riconosciuto proconsole
dell'Africa, con chiaro indicio, che dianzi egli era stato console.
Pensa all'incontro il Panvinio[1012], seguitato in ciò da altri,
ch'egli fosse quel _Gavio Massimo_, che di sopra dicemmo avere
esercitata la carica di prefetto del pretorio per venti anni, con
citare un'iscrizione, in cui si legge: C. GAVIVS C. F. STRABO MAXIMVS
COS. Ma cotale iscrizione nulla conchiude, perchè non si sa di certo
che appartenga a lui. All'incontro si dee osservare detto da
Capitolino[1013], avere Antonino pio arricchiti _i suoi prefetti_, e
donati loro _gli ornamenti consolari_. Suol significar questa frase,
l'aver solamente ottenuto il privilegio di portar la veste palmata, di
aver la sedia d'avorio, ed altri onorevoli segni, conceduti ai veri
consoli, ma senza essere stato console. Però più probabile sembra
l'opinione del Noris e del Pagi. Tuttavia comparendo essa non esente
da ogni dubbio, meglio ho creduto di nominar solamente _Massimo_ il
console suddetto. Circa questi tempi, siccome abbiamo dagli antichi
scrittori cristiani[1014], sboccarono dall'inferno Valentino, Cerdone
e Marcione, eresiarchi e maestri d'altri non meno empii discepoli, che
si studiarono d'infettar la nostra santa religione con istravaganti
immaginazioni, ed opinioni esecrande, contra de' quali poi aguzzarono
le lor penne varii santi e dottissimi scrittori cattolici. Scrivono
all'incontro san Giustino ed Arnobio, che Antonino Pio, portato dallo
zelo dell'erronea religione pagana, vietasse il leggere i versi dello
Sibille, e le opere di Cicerone della Natura degli dii, e della
Divinazione, ed altri simili, perchè atti a distruggere le imposture e
lo stolto culto de' falsi numi. Di ciò nulla dicono gli autori della
sua vita. Per conto de' libri sibillini, finti negli antichi tempi, è
da vedere il Du-Pin[1015], che dottamente esamina questo argomento,
senza ch'io ne dica una parola di più. Sembra poi inverisimile questo
divieto delle opere di Cicerone, il quale se fosse succeduto, tanta
era la stima di quello presso i Romani, che non avrebbono taciuta sì
importante particolarità gli scrittori della vita di Antonino Pio,
giacchè derisero Adriano solamente perchè egli apprezzava più lo stile
di Catone che quello di Cicerone.
NOTE:
[1008] Noris, Epistola Consulari.
[1009] Pagius, in Critic. Baron.
[1010] Capitol., in Marco Aurel.
[1011] Apulejus, in Apolog. secund.
[1012] Panvin., in Fast. Consular.
[1013] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1014] Justin., in Apolog. Eusebius. Tertull., Philastrius et alii.
[1015] Du-Pin, Dissertat. Préliminair. aux Auteurs Ecclésiastiq.
Anno di CRISTO CXLV. Indizione XIII.
PIO papa 4.
ANTONINO PIO imperadore 8.
_Consoli_
TITO ELIO ADRIANO ANTONINO PIO AUGUSTO per la quarta volta, e MARCO
ELIO AURELIO VERO CESARE per la seconda.
Si figura il padre Pagi[1016], che _Antonino Augusto_ prendesse questo
consolato per solennizzare i quinquennali del suo imperio, avendo
differita questa festa all'anno presente, che dovea farsi nel
precedente. Ma cotal dilazione è immaginata da lui, nè fondata se non
sopra le regole da esso ideate, che patiscono molte difficoltà. Credè
egli parimente, che in quest'anno _Lucio Vero_ suo figliuolo adottivo,
per attestato di Capitolino[1017], essendo in età di quindici anni,
prendesse la toga virile: nella qual occasione solevano i Romani far
festa. Credono altri, che Antonino in fatti la facesse con dedicare il
tempio d'Augusto, da lui ristorato, siccome consta dalle
medaglie[1018]. Ma Capitolino[1019] scrive diversamente, con dire
ch'egli in tal congiuntura dedicò il _Tempio del Padre_, cioè di
Adriano, e non già di Augusto. Dal medesimo autore abbiamo, che
Antonino Pio lasciò di belle memorie, tanto in Roma che altrove, con
fabbriche sontuose, o fatte di pianta o ristorate durante il suo
imperio. Cioè il tempio dedicato in onore di esso Adriano suo padre;
il Grecostadio, o sia la Grecostasi, edificio, in cui si fermavano gli
ambasciadori delle nazioni prima di essere introdotti nel senato.
Questo, già rovinato da un incendio, fu da lui rifatto. Ristorò
similmente l'anfiteatro di Tito, per quanto si crede; il sepolcro di
Adriano; il tempio d'Agrippa, cioè oggidì la Rotonda; il ponte
Sulpicio di legno sul Tevere; il Faro, forse di Pozzuolo o di Gaeta.
Vedesi in Pozzuolo una iscrizione, testimonio di questo[1020].
Racconciò i porti di essa Gaeta e di Terracina. Lo stesso benefizio
prestò alle Terme d'Ostia, all'acquidotto d'Anzio, e al tempio di
Lanuvio, o sia di Lavinia. Del tempio d'Augusto, da lui risarcito, non
parla Capitolino. Soggiugne bensì, aver egli aiutate con danaro molte
città, acciocchè o facessero delle nuove fabbriche, o ristorassero le
vecchie, ed aver contribuito molto del suo, affinchè i senatori ed
altri magistrati potessero con decoro esercitar i loro impieghi.
Pausania[1021] fa menzione di varii altri edifizii attribuiti nella
Grecia al medesimo Antonino Augusto. E da un'iscrizione rapportata dal
marchese Maffei[1022] si raccoglie ch'egli ristorò le Terme di Narbona
nella Gallia. Anche di diverse pubbliche strade per ordin suo
riselciate parlano altre iscrizioni.
NOTE:
[1016] Pagius, in Critic. Baron.
[1017] Capitolinus, in Lucio Vero.
[1018] Mediobarb., in Numism. Imperat.
[1019] Capitolinus, in Antonino Pio.
[1020] Thesaurus Novus Inscript., pag. 543, n. 5.
[1021] Pausanias, lib. 8.
[1022] Maffejus, Antiquit. Galliae.
Anno di CRISTO CXLVI. Indizione XIV.
PIO papa 5.
ANTONINO PIO imperadore 9.
_Consoli_
SESTO ERUCIO CLARO per la seconda volta, e GNEO CLAUDIO SEVERO.
Intanto si provava una mirabil tranquillità e un delizioso vivere,
tanto in Roma che in tutto il romano imperio, pel savio governo di
Antonino Pio, che si facea conoscere buon principe, e maggiormente
padre a tutti i sudditi suoi. Marco Aurelio, imperador dopo lui, nello
scrivere la vita propria[1023], confessa d'aver molto imparato dagli
esempli e dalla voce d'esso Antonino, padre suo per adozione, e ci dà
un bel saggio della maniera da lui tenuta di vivere. Capitolino[1024]
anch'esso ce ne lasciò qualche memoria. L'altezza del grado, a cui era
pervenuto Antonino, non gli fece punto mutare, se non in meglio, i
costumi, perchè mai non gli andò il fumo alla testa. Vivuto da privato
con gran moderazione, saviezza ed affabilità[1025], maggiormente
continuò ad esser tale divenuto Augusto, con ritener lo stesso
abborrimento al fasto e alla matta superbia, e con istudiare, tanto
superiore come era, di farsi eguale agli altri nobili cittadini: il
che, invece di sminuire, accresceva negli altri la stima e l'amore
della maestà imperiale. Si faceva egli servire da' suoi schiavi, come
usavano anche i privati; andava alle case degli amici; famigliarmente
passeggiava con loro, come se non fosse imperadore; e voleva che
cadauno di essi godesse la sua libertà, senza formalizzarsi, se
invitati non venivano alla cena, se, andando egli in viaggio, non
l'accompagnavano. Costantissimo fu il suo rispetto verso il senato, e
trattava coi senatori in quella stessa guisa e colla medesima bontà
ch'egli, allorchè era senatore, desiderava d'essere trattato dagli
imperatori. Ritenne sempre il costume di render conto di tutto quel
che faceva al senato ed anche al popolo, allorchè avea da pubblicar
degli editti. E qualor voleva il consolato, o qualche altra carica per
sè o per gli figliuoli, la domandava al senato al pari degli altri
particolari. Scrive lo stesso Marco Aurelio, suo figliuolo adottivo,
d'aver fra l'altre avuta a lui l'obbligazione d'essere spogliato della
vanità, appunto dappoichè fu adottato e alzato da lui; perchè Antonino
gli andava insinuando, che si potea vivere anche in corte quasi come
persona privata: cosa appunto praticata da lui, con altre virtù
commemorate da Marco Aurelio.
Grave nell'aspetto, nel medesimo tempo era cortese, gioviale e dolce
verso tutti, infin verso i cattivi, ai quali levava il poter più
nuocere, ma senza punirli quasi mai col rigor delle leggi. Quanto egli
fosse mansueto, tollerante delle ingiurie, e nemico del vendicarsi,
già si è accennato di sopra. Serviranno nondimeno alcuni avvenimenti a
maggiormente comprovarlo. In concetto di uno dei più famosi sofisti
greci[1026] fu in questi tempi _Polemone_. La più bella casa che fosse
nella città di Smirne era la sua. Si era abbattuto a passar di là
Antonino, mentre esercitava la carica di proconsole dell'Asia, e vi
andò ad alloggiare. Polemone, che si trovava fuor di città, venuto una
notte, ed osservando in sua casa tanta foresteria entratavi senza
licenza sua, ne fece tal rumore e tanti lamenti, che il buon Antonino
di mezza notte stimò meglio di uscirne, e di cercarsi un altro
albergo. Creato ch'egli fu poi imperadore, Polemone venne a Roma, ed
ebbe tanto animo di andargli a fare riverenza. Antonino l'accolse
colla solita sua cortesia senza che gli turbasse l'animo la memoria
del passato, e solamente con galante maniera gli ricordò la sua
scortesia, con ordinare _che gli fosse data una stanza nel palazzo, e
che persona nol facesse sloggiare_. Accadde ancora che un commediante
andò a lamentarsi ad Antonino, e a chiedere giustizia, perchè il
suddetto Polemone l'avea cacciato dal teatro nel bel mezzodì: E me,
rispose allora l'imperadore, _egli ha cacciato fuor di casa in tempo
di mezza notte, e non ne ho fatta querela_. Bisogna ben credere che
l'alterigia e l'albagia fossero il quinto elemento della maggior parte
di que' decantati sofisti greci di allora. Antonino, a cui premeva
forte la buona educazion di Marco Aurelio suo figliuolo adottivo fece
venir dalla Grecia _Apollonio_, non già il Tianeo, ma bensì un
filosofo stoico[1027], ch'era in gran riputazion di sapere allora.
Venne costui a Roma, menando seco molti dei suoi discepoli, che
graziosamente, per attestato di Luciano[1028], furono chiamati da
Demonatte filosofo cinico _Argonauti nuovi_, perchè tutti in viaggio
menati dalla speranza di divenir tutti ricconi in Roma. Mandò a dirgli
Antonino che venisse al palazzo, per consegnargli il figliuolo; e
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