Annali d'Italia, vol. 1 - 83
Costantino. Nientedimeno si può credere che di gran conseguenza non
fosse il favore goduto da costui; imperciocchè Costantino permise che
l'infuriata plebe il mettesse a pezzi, forse, come vuole Suida, per
far conoscere l'abborrimento suo al paganesimo. Si può anche riferire
a questi tempi ciò che lasciò scritto Eusebio[3127], cioè tanto essere
salito in riputazione l'Augusto Costantino, che da tutte le parti
della terra erano a lui spedite ambascerie. Ed egli stesso attesta
d'aver più volte osservato alle porte del palazzo imperiale le varie
generazioni di Barbari, fra' quali specialmente i Blemmii, gli
Indiani, gli Etiopi, tutti venuti per inchinare un così glorioso e
temuto monarca. Il vestir loro, la capigliatura, le barbe, tutte erano
diverse. Terribile il loro aspetto, e la statura quasi gigantesca.
Rosso il colore d'alcuni, candidissimo quello d'altri. Portavano tutti
costoro dei regali a Costantino, chi corone d'oro, chi diademi
gioiellati, cavalli, armi ed altre specie di donativi, per entrare in
lega con lui, e stabilir seco buona amicizia. Più era poi quello che
il generoso principe loro donava, rimandandoli perciò più ricchi di
prima, e contenti a casa. Oltre a ciò, i più nobili fra que' Barbari
soleva egli affezionarsegli, decorandoli con titoli ed ammettendoli
alle dignità romane: dal che veniva che la maggior parte d'essi, non
curando più ritornarsene alla patria, si fermava ai servigi del
medesimo Augusto. E tale era la politica di Costantino, il cui cuore
non si trovava inquietato dalla dannosa insaziabilità de'
conquistatori, ma bensì nobilmente bramava di far godere un'invidiabil
pace e tranquillità a tutti i sudditi del suo vasto imperio: lode non
intesa dal maledico Zosimo[3128], che quasi gli fa un reato, perchè
desistè dalle guerre. E di questa sua premura di far godere la pace ai
suoi popoli un bel segno diede, allorchè Sapore re della Persia (se
crediamo a Libanio[3129]), in occasione di inviargli una solenne
ambasciata, gli dimandò una gran quantità di ferro, di cui niuna
miniera si trovava in Persia, col pretesto di valersene per far guerra
ai lontani. Tuttochè Costantino conoscesse che questo ferro potea un
dì servire contro i Romani, pure, per non romperla con quel re, che
parea disposto a far guerra, ne permise l'estrazione, assicurandosi
coll'aiuto di Dio di vincere anche i Persiani armati, se l'occasion
veniva. Della stessa ambasciata fa menzione Eusebio[3130], siccome
ancora della suntuosità de' regali passati fra loro, e della pace di
nuovo assodata fra i due imperii. Aggiugne che un motivo particolare
ebbe il piissimo Costantino di mantener buona armonia con quel re,
perchè la religione di Cristo avea stese le radici fino in Persia; ed
egli, siccome protettor d'essa, non volea che i cristiani di quelle
contrade restassero esposti alla vendicativa barbarie del re persiano.
Anzi abbracciò egli questa congiuntura per iscrivere a quel regnante
una lettera, a noi conservata da Eusebio e da Teodoreto[3131], in cui,
dopo aver esaltata la religion de' cristiani, come sola ragionevole e
protetta da Dio, raccomanda a quel re i fedeli abitanti nel di lui
regno. Il Gotofredo[3132] e il padre Pagi[3133] mettono sotto
quest'anno lo studio di Costantino, affinchè si distruggessero i
templi e gl'idoli più famosi del gentilesimo, come si ricava da san
Girolamo[3134] e da altri antichi scrittori.
NOTE:
[3120] Thesaur. Novus Inscr., Class. XI.
[3121] Goltzius. Tristanus. Spanhemius et alii.
[3122] Cuspinianus. Panvinius. Bucher.
[3123] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[3124] Idacius, in Fastis. Hieron., in Chronico.
[3125] Theophanes, Chronogr.
[3126] Zosimus, lib. 2, cap. 40.
[3127] Euseb., in Vita Constantin., lib. 4, c. 7.
[3128] Zosimus, lib. 2, cap. 32.
[3129] Liban., Oration. 3.
[3130] Euseb., in Vita Const., lib. 4, cap. 8.
[3131] Theodoretus, Hist., lib. 1, cap. 24.
[3132] Gothofred., Chron. Cod. Theodos.
[3133] Pagius, Crit. Baron., ad hunc annum.
[3134] Hieron., in Chronico.
Anno di CRISTO CCCXXXIV. Indizione VII.
SILVESTRO papa 21.
COSTANTINO imperadore 28.
_Consoli_
LUCIO RANIO ACONZIO OPTATO e ANICIO PAOLINO juniore.
_Optato_ e _Paolino_ sono i cognomi indubitati di questi due consoli.
I loro nomi son presi da iscrizioni riferite dal Panvinio e Grutero,
le quali non è ugualmente certo che appartengano a questi personaggi.
Dal Catalogo del Cuspiniano e Bucherio[3135] abbiamo che nel dì 27
d'aprile del presente anno la prefettura di Roma fu raccomandata ad
_Anicio Paolino_: sicchè, se regge il suddetto supposto, egli fu nello
stesso tempo ornato delle due più illustri dignità di Roma.
Un'iscrizione del Panvinio[3136] parla di tutte e due queste dignità,
e il Tillemont[3137] l'adduce per pruova che Paolino le esercitò nel
medesimo tempo. Ma nelle iscrizioni si solevano annoverar tutte le
dignità e gl'impieghi onorevoli dei personaggi, loro addossati in
varii tempi; e però non è bastante quel marmo a togliere ogni dubbio
che Paolino in quest'anno fosse console e prefetto di Roma. Le leggi
del Codice Teodosiano[3138] ci fan vedere Costantino Augusto,
nell'anno presente, ora in Costantinopoli, ora in Singidone della
Mesia, ed ora in Naisso della Dacia. Diede egli nella prima d'esse
città una legge[3139] nel dì 26 di giugno in favor de' pupilli, delle
vedove, e d'altre miserabili persone, concedendo loro il privilegio di
non poter essere tratte fuori del loro foro e paese, quando abbiano
liti, per farle litigare nel tribunale supremo del principe; e di
poter esse all'incontro citare i loro avversarii a quel tribunale. Con
varie altre leggi promosse il medesimo Augusto l'ornamento della città
di Costantinopoli, col concedere dei privilegii agli architetti, e
l'abbondanza de' viveri con proporne degli altri ai mercatanti. Noi
vedemmo di sopra all'anno 332 che trovandosi i Sarmati in pericolo di
soccombere alla potenza de' Goti, ottennero aiuto da Costantino, dalle
cui armi entrate nella Sarmazia furono que' Barbari sonoramente
battuti e sconfitti. Due parole abbiamo dall'Anonimo Valesiano[3140],
le quali sembrano significare, che per aver egli dipoi trovati i
medesimi Sarmati di fede dubbiosa ed ingrati a' suoi benefizii, anche
contra di loro ebbe guerra, e li vinse. Socrate[3141] chiaramente
attesta le vittorie da lui riportate, non solo de' Goti, ma anche de'
Sarmati, senza che ne sappiamo di più, nè in qual anno ciò succedesse.
Truovansi perciò medaglie[3142] d'esso Augusto, dove egli è appellato
VICTOR OMNIVM GENTIVM; e in altre si legge: DEBELLATORI GENTIVM
BARBARARVM. Ora si vuol narrare uno stravagante fatto che appartiene
all'anno presente, per attestato d'Idacio[3143], Eusebio[3144] ed
altri[3145]. Ossia che i popoli suddetti della Sarmazia (oggidì
Polonia) avessero guerra solamente nell'anno 332 coi Goti, poi
debellati dalle armi di Costantino; o pure, come par più probabile,
che si riaccendesse un'altra volta quel fuoco; certo è che, sentendosi
eglino debili di forze contra di sì potenti avversarii, misero l'armi
in mano ai loro servi, cioè ai loro schiavi, e data coll'aiuto d'essi
una rotta ai nemici, rimasero liberi da quella vessazione e pericolo.
Ma che? Uno di gran lunga peggiore se ne suscitò in casa loro. Uso fu
de' Greci, Romani e Barbari stessi di non ammettere alla milizia se
non persone libere, e di non dar l'armi giammai agli schiavi, per
timore che costoro dipoi non insolentissero e scuotessero il giogo; e
tanto più perchè il numero degli schiavi ordinariamente era sterminato
negli antichi tempi presso d'ogni nazione. Se i Romani in qualche
gravissimo bisogno di gente si vollero valer degli schiavi, lor
diedero prima la libertà. Non dovettero i signori sarmati usar tutta
la convenevol precauzione in tal congiuntura. Insuperbiti i loro
servi, e conosciuta la propria forza, rivolsero in fatti da lì a non
molto l'armi contra de' proprii padroni; e questi, non potendo
resistere, furono astretti a prendere la fuga, ed a lasciar tutto in
potere di chi dianzi loro ubbidiva. San Girolamo[3146] ed
Ammiano[3147] danno il nome di Limiganti a quei servi, e a' lor
padroni quello di Arcaraganti. Ebbero questi ultimi ricorso allo
Augusto Costantino, il quale benignamente gli accolse ne' suoi Stati.
Per attestato dell'Anonimo Valesiano[3148], erano più di trecento mila
persone tra grandi e piccioli dell'uno e dell'altro sesso. Costantino
arrolò nella milizia i più robusti: il rimanente fu da lui compartito
per varii paesi, cioè per la Tracia, Scitia (cioè la Tartaria minore),
Macedonia ed Italia, con dar loro terreni da coltivare. Altri di que'
Sarmati liberi, per testimonianza d'Ammiano, si ricoverarono nel paese
dei Victobali; e solamente nell'anno 358 furono rimessi dai Romani in
possesso del loro paese.
NOTE:
[3135] Cuspinianus. Panvinius. Bucherius.
[3136] Panvinius, in Fast.
[3137] Tillemont, Mémoires des Emp.
[3138] Gothofred., Chron. Cod. Theod.
[3139] L. 2, de Offic. Judic. omn.
[3140] Anonymus Valesianus.
[3141] Socrat., lib. 1, cap. 18.
[3142] Mediobarb., Numism. Imper.
[3143] Idacius, in Fastis.
[3144] Euseb., in Vit. Const., lib. 4, cap. 6.
[3145] Hieron., in Chron.
[3146] Hieron., in Chronico.
[3147] Ammian., Histor., lib. 17 et 19.
[3148] Anonymus Valesianus.
Anno di CRISTO CCCXXXV. Indizione VIII.
SILVESTRO papa 22.
COSTANTINO imperadore 29.
_Consoli_
GIULIO COSTANZO e CEIONIO RUFIO ALBINO.
Fratello di Costantino Augusto, ma da altra madre nato, cioè da
Teodora figliastra di Massimiano Erculio, fu questo _Giulio Costanzo_
console. Oltre allo onore del consolato, ebbe egli anche la eminente
dignità di patrizio, il titolo di nobilissimo, e la facoltà di portar
la veste rossa orlata d'oro[3149]. La cognizion di questo personaggio
importa molto alla storia, perchè noi troveremo _Gallo Cesare_ a lui
nato dalla prima moglie, e _Giuliano_, a lui procreato da Basilina sua
seconda moglie, Giuliano, dissi, che arrivò poi ad essere imperadore,
ma d'infame memoria per la sua apostasia. Il secondo console, cioè
_Ceionio Rufio Albino_, era figliuolo di Rufio Volusiano, stato due
volte console, come apparisce da un'antica iscrizione[3150]. Dal
Catalogo[3151] del Cuspiniano e del Bucherio si ricava che a lui
stesso nel dì 30 di dicembre dell'anno presente fu conferita la
prefettura di Roma, nella quale egli continuò per tutto l'anno
seguente. Entrava l'Augusto Costantino nel dì 25 di luglio del
presente anno nell'anno trentesimo del suo regno, o imperio _cesareo_.
Il padre Pagi[3152] pretende che questi fossero i tricennali
dell'imperio _augustale_ di Costantino, e che da lui nell'anno
precedente fossero stati celebrati quei del cesareo. Ma, secondo i
miei conti, avendo egli veramente preso il titolo di Augusto nell'anno
di Cristo 307, non poteva aver principio nell'anno presente il
trentesimo dell'augustale imperio. Nè può stare che egli nel
precedente anno celebrasse i tricennali del regno cesareo, perchè
nell'anno 305 non fu, per quanto abbiam detto, dichiarato Cesare, ma
solamente nel 306. Comunque sia con grande magnificenza[3153] e con
una non minor divozione e pietà solennizzò Costantino questa festa,
giacchè, fuorchè a Cesare Augusto, a niun altro degli imperadori era
riuscito di giugnere così avanti nel godimento del regno. Perciò umili
azioni di grazie rendè all'Altissimo[3154]; ed in questo medesimo anno
fece la dedicazione dell'insigne chiesa della Resurrezione ch'egli
avea fatto fabbricare in Gerusalemme. Ma che? La stessa pietà di sì
glorioso Augusto incorse in questi medesimi tempi in una gravissima
macchia, di cui parla diffusamente la storia ecclesiastica, e che a me
basta di accennare in poche parole. Più che mai si trovava sconvolta
la Chiesa di Dio per l'eresia d'Ario, e per la prepotenza de' suoi
partigiani e protettori. Costantino, per mettere fine a tanti torbidi,
ordinò nel presente anno che si tenessero[3155] due concilii, l'uno in
Tiro, e l'altro in Gerusalemme. La intenzione sua si può credere che
fosse buona; ma non badò egli d'aver presso di sè lo scaltro Eusebio
vescovo di Nicomedia, ed altri o segreti o palesi campioni d'Ario, che
s'abusavano della di lui confidenza ed autorità in favore di
quell'eresiarca, e in pregiudizio della dottrina della Chiesa
cattolica e del santo concilio di Nicea. Avvenne dunque che nel
concilio di Tiro, Atanasio, insigne e santo vescovo d'Alessandria,
scudo de' cattolici, fu deposto, e in quello di Gerusalemme Ario ed i
suoi seguaci furono ammessi alla comunion della Chiesa cattolica;
tutti passi che offuscarono non poco la gloria di Costantino sulla
terra, e che abbisognarono della misericordia di Dio per lui
nell'altra vita. Portatosi a dimandargli giustizia sant'Atanasio, in
vece di ottenerla, fu relegato nelle Gallie. Altra novità nell'anno
presente, novità pregiudiziale alla sua politica, fece l'Augusto
Costantino; perchè, non contento di aver dichiarati _Cesari_ i suoi
tre figliuoli, cioè _Costantino_, _Costanzo_ e _Costante_[3156]: nel
settembre di quest'anno conferì il medesimo titolo di _Cesare_ e di
principe della gioventù a _Flavio Giulio Delmazio_ suo nipote, perchè
figliuolo di Delmazio suo fratello. Un altro nipote, nato dal medesimo
suo fratello, avea Costantino, per nome _Flavio Claudio Annibaliano_.
Il creò re del Ponto, della Cappadocia e dell'Armenia minore. Per
attestato ancora dell'Anonimo Valesiano[3157], gli diede in moglie
_Costantina_ o sia _Costanziana_ sua figlia, decorata del titolo
d'Augusta. Disavvedutamente con questi atti di munificenza, lodevoli
per altro in sè stessi, trattandosi di esaltare parenti suoi sì
stretti, non badò il saggio Augusto che egli seminava le discordie fra
i proprii figliuoli e i lor cugini. Non andrà molto che ce ne
accorgeremo. Benchè sia incerto il tempo, in cui ad un certo
_Calocero_, uomo vilissimo, saltò in capo la follia di farsi
imperadore, pure non è fuor di proposito il darne qui un barlume di
conoscenza (che di più egli non meritava), giacchè san Girolamo[3158]
e Teofane[3159] ne parlano all'anno 29 di Costantino. Costui pare che
occupasse l'isola di Cipri; ma un fuoco di paglia fu questo: dall'armi
imperiali egli restò in breve oppresso, e condannato ai supplizii
degli schiavi ed assassini. Recitò Eusebio vescovo di Cesarea nel
settembre di quest'anno in Costantinopoli quel panegirico[3160] che di
lui abbiamo in onore di Costantino Augusto. E nell'ultimo dì parimente
dell'anno presente passò a miglior vita san _Silvestro papa_[3161],
pontefice gloriosissimo, perchè a' suoi tempi, ed anche, siccome
possiam conghietturare, per cura sua, si vide trionfar la croce di
Cristo nel cuore di Costantino, ed alzar bandiera la religion
cristiana sopra l'antica superstizione di Roma pagana; di Roma, dico,
dove tanti insigni templi sotto di lui si cominciarono a dedicare al
vero Dio, siccome può vedersi nella storia ecclesiastica.
NOTE:
[3149] Zosimus, lib. 2, cap. 39.
[3150] Panvin., in Fast. Gruterus, in Thesaur. Inscript. Reland., in
Fast.
[3151] Cuspin. Bucher., de Cyclo.
[3152] Pagius, Crit. Baron.
[3153] Idacius, in Fastis. Chronic. Alexandr.
[3154] Euseb., in Vita Constantin., lib. 4, cap. 40.
[3155] Baron., Annal. Eccl. Collectio Concilior. Labbe, Fleury, et
alii.
[3156] Idacius, in Fastis. Chronicon Alexandr. Hieron., in Chron.
[3157] Anonymus Vales.
[3158] Hieronymus, in Chronico.
[3159] Theophan., Chronographia.
[3160] Euseb., in Vita Constant., lib. 4
[3161] Anastas. Bibliothec.
Anno di CRISTO CCCXXXVI. Indizione IX.
MARCO papa 1.
COSTANTINO imperadore 30.
_Consoli_
FLAVIO POPILIO NEPOZIANO e FACONDO.
Benchè i fasti e le leggi non ci porgano se non il cognome del primo
console, cioè _Nepoziano_, pure difficilmente si fallerà in credere
ch'egli fosse quel _Flavio Popilio Nepoziano_, a cui fu madre
_Eutropia_ sorella di Costantino Augusto. Noi torneremo a vedere
questo personaggio, all'anno 350, proclamato imperadore, ma imperadore
di poca durata. Seguitò ancora in quest'anno _Rufio Albino_ ad
esercitare la prefettura di Roma. In luogo del defunto s. Silvestro fu
creato romano pontefice[3162] _Marco_ nel gennaio dell'anno presente.
Cosa alquanto pellegrina può parere a talun il vederlo appellato
solamente _Marco_, perchè questo era un solo prenome; e non già un
nome o cognome de' Romani. Ma s. Marco evangelista avea fatto divenir
nome questo prenome, per tacere altri esempli. Non durò più di otto
mesi e venti giorni la vita di esso pontefice, registrato dipoi nel
catalogo de' santi. Fu di parere il cardinal Baronio[3163] che
_Giulio_ a lui succedesse nella cattedra di san Pietro sul fine
d'ottobre; ma il padre Pagi[3164], fondato nella Cronica di Damaso,
differisce la di lui esaltazione sino al febbraio del susseguente
anno, senza apparire il perchè in questi pacifici tempi restasse
vacante per tanto tempo la sedia di san Pietro. Appartengono a
quest'anno le prime nozze di _Costanzo Cesare_, secondo figliuolo
dell'imperadore[3165], celebrate con gran pompa dalla corte: nella
qual congiuntura l'Augusto suo padre distribuì ai popoli e alle città
moltissimi doni. Il Du-Cange[3166] inclinò a credere che questa prima
moglie di Costanzo (perchè n'ebbe più d'una) fosse figliuola di Giulio
Costanzo, cioè d'un fratello di esso Costantino Augusto e di Galla; ma
resta tuttavia scuro questo punto. Una solenne ambasciata dall'India
circa questi medesimi tempi venne a trovar Costantino, portandogli in
dono delle gemme preziose, e delle stravaganti bestie di que' paesi
sconosciute presso i Romani. Aggiugne Eusebio, che i re e i popoli
dell'India in certa maniera si suggettarono alla signoria di
Costantino, con riconoscerlo per loro imperadore e re, alzando in
onore di lui statue ed immagini. Si potrebbe dubitare se Eusebio in
questo sito la facesse più da oratore o poeta, che da storico. Volle
dopo le nozze di Costanzo, e conseguentemente nel presente anno, e non
già nel precedente, come fu d'avviso il Tillemont[3167], l'Augusto
Costantino provvedere alla succession de' figliuoli, forse perchè
qualche incomodo della sanità gli faceva già presentire non lontano il
fin de' suoi giorni; nè i saggi aspettano a regolar le loro faccende
allorchè la morte picchia alla porta. Divise dunque l'imperio fra i
suoi tre figliuoli e due nipoti nella seguente maniera. Al primogenito
suo _Costantino_, già ammogliato, ma senza sapersi con chi, lasciò
tutto il paese che è di là dalle Alpi, ed era stato della giurisdizion
di suo padre, cioè tutte le Gallie coll'Alpi Cozie, le Spagne colla
Mauritania Tingitana e la Bretagna, porzione che oggidì forma tre
potenti e fioriti regni. A questo principe, abitante allora in
Treveri, fece ricorso l'esiliato sant'Atanasio, e ne fu ben ricevuto.
A _Costanzo_ secondogenito assegnò il padre tutto l'Oriente
coll'Egitto, a riserva della porzione che già dissi data ad
_Annibaliano_ suo nipote. Pretese l'Apostata Giuliano[3168] che per
favore particolare Costantino concedesse le provincie d'Oriente a
Costanzo, perchè più degli altri l'amava a cagion della sua
sommessione e compiacenza. A _Costante_ terzogenito fu assegnata[3169]
l'Italia, l'Africa e l'Illirico: vasta porzione anche essa, perchè si
stendeva per tutta la Pannonia, per le Mesie, Dacia, Grecia,
Macedonia, ed altri paesi già attinenti all'Illirico, e verisimilmente
abbracciava anche il Norico e le Rezie. Il Valesio e il Tillemont,
correggendo un passo di Aurelio Vittore, con leggere _Delmatio_ in
vece di _Delmatiam_, pretendono che Costantino lasciasse la Tracia, la
Macedonia e l'Acaia, cioè la Grecia, a _Delmazio_ suo nipote. Ma non è
da credere che Costantino della sua diletta città di Costantinopoli
volesse privare i suoi figliuoli, e darla al nipote con dote tanto
inferiore di paese annesso. O non s'ha dunque da emendare il passo di
Vittore che attribuisce a _Costante_ l'Illirico, la Italia, la Tracia,
la Macedonia e la Grecia; o, quando pur si voglia fallato il suo
testo, si dee stare con Zonara[3170], il quale chiaramente scrive che
a _Costante_ toccò, oltre all'Oriente, anche la Tracia colla città del
padre, cioè con Costantinopoli. E a farci credere che così fosse,
concorre quanto poco fa dicemmo della parzialità a lui mostrata dal
padre Augusto. Quanto a _Delmazio_, altra parte, a mio credere, non fu
assegnata che la _Ripa Gotica_, come ha l'Anonimo Valesiano[3171],
cioè verisimilmente la Dacia nuova, o pur la Mesia inferiore. Di qual
parte divenisse o restasse signore _Annibaliano_ con titolo di re, già
s'è detto all'anno precedente. Ed ecco il romano imperio trinciato in
tante parti, e con tal divisione infievolito in maniera da prepararsi
alla rovina; ma Diocleziano avea già somministrato a Costantino questo
modello, e Costantino dovette anch'egli figurarsi meglio assicurata la
sussistenza di questi regni con provvederli di principi, de' quali
cadauno dal suo canto gareggerebbe per difendere dai Barbari la sua
porzione, senza prevedere o sospettar egli che l'ambizione e gelosia
potesse poi con tutta facilità attizzar la discordia fra tanti
principi, ed anche fra gli stessi fratelli.
NOTE:
[3162] Anastas., in Bibl. sive Chron. Damasi.
[3163] Baron., in Annal.
[3164] Pagius, Crit. Baron.
[3165] Euseb., in Vita Constant., lib. 4, cap. 49.
[3166] Du-Cange, Hist. Byz.
[3167] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[3168] Julian., Orat. III.
[3169] Anonym. Valesianus. Zonaras, in Ann. Aurelius Victor, in
Epitome.
[3170] Zonaras, in Annal.
[3171] Anonym. Vales.
Anno di CRISTO CCCXXXVII. Indizione X.
GIULIO papa 1.
COSTANTINO juniore }
COSTANZO e } imp. 1.
COSTANTE }
_Consoli_
FELICIANO e TIBERIO FABIO TIZIANO.
Certo è il cognome del secondo console, cioè di _Tiziano_, non
egualmente è sembrato tale il suo nome e prenome a cagion dei dubbii
mossi al consolato dell'anno 391, siccome vedremo. Nel dì 10 di marzo
a Rufio Albino succedette nella dignità di prefetto di Roma _Valerio
Procolo_. La saviezza con cui Costantino reggeva i suoi popoli, la
sterminata sua potenza, e il credito con tante vittorie acquistato,
aveano per più anni tenuto in dovere i Barbari e fatta godere a tutte
le parti del romano imperio un'invidiabil pace: quando eccoli dare
all'armi i Persiani, e muover guerra al romano imperio. Un racconto di
Cedreno[3172], a cui il Valesio[3173] prestò fede, fa originata questa
rottura de' Persiani coi Romani dopo una pace per circa quaranta anni
durata fra loro, da un certo _Metrodoro_, filosofo persiano, il quale,
adunata gran copia di pietre preziose nell'India, parte da lui rubate
e parte a lui consegnate da un re indiano da portare in suo nome
all'Augusto Costantino, venne veramente a trovar l'imperadore, a cui
diede le gioie, ma senza far parola del re donatore, con aggiugnere
ancora di avergliene consegnata quel re un'altra gran quantità, ma
che, in passando per la Persia, erano state occupate da quel re Sapore
II. Perchè Costantino ne fece delle istanze ad esso re con assai
altura, e non ne ricevè risposta, si allumò la guerra fra loro. Altre
particolarità aggiunte da esso Cedreno a una tal relazione da niuno
degli antichi conosciute, han ciera di favole, delle quali per altro è
fecondo quello scrittore troppo lontano dai tempi di Costantino.
Tuttavia Ammiano[3174] ha qualche cosa di questo Metrodoro, con dire
che Costanzo, e non già Costantino, badando alle bugie di Metrodoro,
fu istigato a far guerra ai Persiani. Intanto a noi gioverà
l'attenerci ad autori più classici, cioè ad Eusebio[3175],
Libanio[3176] ed Aurelio Vittore[3177]. Vanno essi d'accordo in dire
che il re di Persia, Sapore, da gran tempo faceva de' preparamenti per
muovere guerra al romano imperio. Allorchè ebbe disposto tutto, inviò
ambasciatori a Costantino, ridomandando gli Stati che una volta
appartenevano alla corona persiana. La risposta di Costantino fu che
verrebbe egli in persona ad informarlo de' suoi sentimenti; ed in
fatti allestite armi e milizie, chiamate in gran copia da tutte le
parti del suo imperio, con vigore si preparò per questa importante
spedizione. Un così potente armamento d'un imperadore avvezzo alle
vittorie fece calar ben tosto gli orgogliosi spiriti del re persiano,
le cui armate aveano già dato principio alle scorrerie nella
Mesopotamia, di modo che spedì nuovi ambasciatori a Costantino per
trattar di pace. Eusebio[3178] qui più degli altri merita fede, e ci
assicura che l'ottennero; laddove Rufo Festo[3179] e l'Anonimo
Valesiano[3180], Libanio e Giuliano l'Apostata pretendono che
Costantino continuasse i preparamenti militari per la guerra; e noi
vedremo che Costanzo suo figliuolo fu da lì a non molto alle mani col
re di Persia. Tuttavia Ammiano è di parere che Costanzo, e non già i
Persiani, quegli fu che volle rompere, sedotto, siccome già
accennammo, dal suddetto Metrodoro.
Avea l'Augusto Costantino goduta in addietro una prosperosa sanità,
accompagnata con gran vigore di corpo e d'animo[3181], ed era già
pervenuto al principio dell'anno sessantesimo terzo di sua età. Ma
convien credere che anche nel precedente anno qualche interna
debolezza o malore più vivamente che mai il facesse accorto
dell'inevitabile nostra mortalità. Però, siccome dicemmo, assettò
gl'interessi domestici; più che mai si applicò alle opere di pietà;
fece fabbricare il sepolcro suo presso il magnifico tempio degli
Apostoli, eretto e dedicato da lui in Costantinopoli, e spesso
trattava dell'immortalità dell'anima, insegnata dalla religion di
Cristo e dalla migliore filosofia. Ora, dopo aver egli con gran
divozione celebrato il giorno santo della Pasqua, cominciò a sentir
de' più gravi sconcerti nella sanità, e si portò ai bagni, ma senza
provarne profitto. Venuto che fu ad Elenopoli, si aggravò il suo male;
ed allora, conoscendo approssimarsi ormai il fine dei suoi
giorni[3182], con tutta umiltà confessò i suoi peccati in quella
chiesa, e fece istanza ai vescovi dimoranti nella sua corte di
ricevere il sacro battesimo, differito da lui fin qui, secondo l'uso
od abuso d'alcuni in que' tempi, per cancellare e purgare prima di
morire in un punto solo tutti i peccati della vita passata
coll'efficacia di quel sacramento. Questa funzione fu celebrata poco
appresso, essendo egli passato da una sua villa presso di
Nicomedia[3183]; e chi il battezzò, fu Eusebio vescovo di quella
città, uomo per altro screditato per la sua aderenza agli errori
d'Ario. Non v'ha oggidì persona alquanto applicata all'erudizione che
non conosca essere stato conferito il battesimo a questo celebre
imperadore, e primo fra gl'imperadori cristiani, non già in Roma per
mano di san Silvestro papa nell'anno 324, come ne' secoli
dell'ignoranza le leggende favolose fecero credere, ma bensì nell'anno
presente in Nicomedia sul fine della di lui vita. Se altro testimonio
che Eusebio Cesariense non avessimo di questo fatto, potrebbesi forse
dubitare della di lui fede, perchè vescovo almen sospetto di aver
favorito il partito dell'eresiarca Ario, contuttochè non sia mai
probabile che scrittore sì riguardevole volesse e potesse spacciare un
fatto, che così agevolmente si sarebbe potuto con sua vergogna
smentire, qualora fosse pubblicamente seguito in Roma tanti anni prima
il battesimo d'esso Augusto. Ma il punto sta, che con Eusebio, in
raccontar questo fatto, s'accordano il santo vescovo[3184] Ambrosio,
san Girolamo e tanti vescovi del concilio di Rimini nell'anno di
Cristo 359; e Socrate, Sozomeno, Teodoreto, Evagrio e la Cronica
Alessandrina. Non ne cito i passi, potendo il lettore informarsi
meglio di questo da chi _ex professo_ ha ventilata cotal quistione.
Posto poi il battesimo così tardi ricevuto da Costantino, per cui egli
cominciò veramente a chiamarsi cristiano, e ad essere partecipe dei
divini misteri[3185]; s'è cercato se Costantino fosse almeno in
addietro nel numero de' catecumeni, nè si son trovati bastanti lumi
fosse il favore goduto da costui; imperciocchè Costantino permise che
l'infuriata plebe il mettesse a pezzi, forse, come vuole Suida, per
far conoscere l'abborrimento suo al paganesimo. Si può anche riferire
a questi tempi ciò che lasciò scritto Eusebio[3127], cioè tanto essere
salito in riputazione l'Augusto Costantino, che da tutte le parti
della terra erano a lui spedite ambascerie. Ed egli stesso attesta
d'aver più volte osservato alle porte del palazzo imperiale le varie
generazioni di Barbari, fra' quali specialmente i Blemmii, gli
Indiani, gli Etiopi, tutti venuti per inchinare un così glorioso e
temuto monarca. Il vestir loro, la capigliatura, le barbe, tutte erano
diverse. Terribile il loro aspetto, e la statura quasi gigantesca.
Rosso il colore d'alcuni, candidissimo quello d'altri. Portavano tutti
costoro dei regali a Costantino, chi corone d'oro, chi diademi
gioiellati, cavalli, armi ed altre specie di donativi, per entrare in
lega con lui, e stabilir seco buona amicizia. Più era poi quello che
il generoso principe loro donava, rimandandoli perciò più ricchi di
prima, e contenti a casa. Oltre a ciò, i più nobili fra que' Barbari
soleva egli affezionarsegli, decorandoli con titoli ed ammettendoli
alle dignità romane: dal che veniva che la maggior parte d'essi, non
curando più ritornarsene alla patria, si fermava ai servigi del
medesimo Augusto. E tale era la politica di Costantino, il cui cuore
non si trovava inquietato dalla dannosa insaziabilità de'
conquistatori, ma bensì nobilmente bramava di far godere un'invidiabil
pace e tranquillità a tutti i sudditi del suo vasto imperio: lode non
intesa dal maledico Zosimo[3128], che quasi gli fa un reato, perchè
desistè dalle guerre. E di questa sua premura di far godere la pace ai
suoi popoli un bel segno diede, allorchè Sapore re della Persia (se
crediamo a Libanio[3129]), in occasione di inviargli una solenne
ambasciata, gli dimandò una gran quantità di ferro, di cui niuna
miniera si trovava in Persia, col pretesto di valersene per far guerra
ai lontani. Tuttochè Costantino conoscesse che questo ferro potea un
dì servire contro i Romani, pure, per non romperla con quel re, che
parea disposto a far guerra, ne permise l'estrazione, assicurandosi
coll'aiuto di Dio di vincere anche i Persiani armati, se l'occasion
veniva. Della stessa ambasciata fa menzione Eusebio[3130], siccome
ancora della suntuosità de' regali passati fra loro, e della pace di
nuovo assodata fra i due imperii. Aggiugne che un motivo particolare
ebbe il piissimo Costantino di mantener buona armonia con quel re,
perchè la religione di Cristo avea stese le radici fino in Persia; ed
egli, siccome protettor d'essa, non volea che i cristiani di quelle
contrade restassero esposti alla vendicativa barbarie del re persiano.
Anzi abbracciò egli questa congiuntura per iscrivere a quel regnante
una lettera, a noi conservata da Eusebio e da Teodoreto[3131], in cui,
dopo aver esaltata la religion de' cristiani, come sola ragionevole e
protetta da Dio, raccomanda a quel re i fedeli abitanti nel di lui
regno. Il Gotofredo[3132] e il padre Pagi[3133] mettono sotto
quest'anno lo studio di Costantino, affinchè si distruggessero i
templi e gl'idoli più famosi del gentilesimo, come si ricava da san
Girolamo[3134] e da altri antichi scrittori.
NOTE:
[3120] Thesaur. Novus Inscr., Class. XI.
[3121] Goltzius. Tristanus. Spanhemius et alii.
[3122] Cuspinianus. Panvinius. Bucher.
[3123] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[3124] Idacius, in Fastis. Hieron., in Chronico.
[3125] Theophanes, Chronogr.
[3126] Zosimus, lib. 2, cap. 40.
[3127] Euseb., in Vita Constantin., lib. 4, c. 7.
[3128] Zosimus, lib. 2, cap. 32.
[3129] Liban., Oration. 3.
[3130] Euseb., in Vita Const., lib. 4, cap. 8.
[3131] Theodoretus, Hist., lib. 1, cap. 24.
[3132] Gothofred., Chron. Cod. Theodos.
[3133] Pagius, Crit. Baron., ad hunc annum.
[3134] Hieron., in Chronico.
Anno di CRISTO CCCXXXIV. Indizione VII.
SILVESTRO papa 21.
COSTANTINO imperadore 28.
_Consoli_
LUCIO RANIO ACONZIO OPTATO e ANICIO PAOLINO juniore.
_Optato_ e _Paolino_ sono i cognomi indubitati di questi due consoli.
I loro nomi son presi da iscrizioni riferite dal Panvinio e Grutero,
le quali non è ugualmente certo che appartengano a questi personaggi.
Dal Catalogo del Cuspiniano e Bucherio[3135] abbiamo che nel dì 27
d'aprile del presente anno la prefettura di Roma fu raccomandata ad
_Anicio Paolino_: sicchè, se regge il suddetto supposto, egli fu nello
stesso tempo ornato delle due più illustri dignità di Roma.
Un'iscrizione del Panvinio[3136] parla di tutte e due queste dignità,
e il Tillemont[3137] l'adduce per pruova che Paolino le esercitò nel
medesimo tempo. Ma nelle iscrizioni si solevano annoverar tutte le
dignità e gl'impieghi onorevoli dei personaggi, loro addossati in
varii tempi; e però non è bastante quel marmo a togliere ogni dubbio
che Paolino in quest'anno fosse console e prefetto di Roma. Le leggi
del Codice Teodosiano[3138] ci fan vedere Costantino Augusto,
nell'anno presente, ora in Costantinopoli, ora in Singidone della
Mesia, ed ora in Naisso della Dacia. Diede egli nella prima d'esse
città una legge[3139] nel dì 26 di giugno in favor de' pupilli, delle
vedove, e d'altre miserabili persone, concedendo loro il privilegio di
non poter essere tratte fuori del loro foro e paese, quando abbiano
liti, per farle litigare nel tribunale supremo del principe; e di
poter esse all'incontro citare i loro avversarii a quel tribunale. Con
varie altre leggi promosse il medesimo Augusto l'ornamento della città
di Costantinopoli, col concedere dei privilegii agli architetti, e
l'abbondanza de' viveri con proporne degli altri ai mercatanti. Noi
vedemmo di sopra all'anno 332 che trovandosi i Sarmati in pericolo di
soccombere alla potenza de' Goti, ottennero aiuto da Costantino, dalle
cui armi entrate nella Sarmazia furono que' Barbari sonoramente
battuti e sconfitti. Due parole abbiamo dall'Anonimo Valesiano[3140],
le quali sembrano significare, che per aver egli dipoi trovati i
medesimi Sarmati di fede dubbiosa ed ingrati a' suoi benefizii, anche
contra di loro ebbe guerra, e li vinse. Socrate[3141] chiaramente
attesta le vittorie da lui riportate, non solo de' Goti, ma anche de'
Sarmati, senza che ne sappiamo di più, nè in qual anno ciò succedesse.
Truovansi perciò medaglie[3142] d'esso Augusto, dove egli è appellato
VICTOR OMNIVM GENTIVM; e in altre si legge: DEBELLATORI GENTIVM
BARBARARVM. Ora si vuol narrare uno stravagante fatto che appartiene
all'anno presente, per attestato d'Idacio[3143], Eusebio[3144] ed
altri[3145]. Ossia che i popoli suddetti della Sarmazia (oggidì
Polonia) avessero guerra solamente nell'anno 332 coi Goti, poi
debellati dalle armi di Costantino; o pure, come par più probabile,
che si riaccendesse un'altra volta quel fuoco; certo è che, sentendosi
eglino debili di forze contra di sì potenti avversarii, misero l'armi
in mano ai loro servi, cioè ai loro schiavi, e data coll'aiuto d'essi
una rotta ai nemici, rimasero liberi da quella vessazione e pericolo.
Ma che? Uno di gran lunga peggiore se ne suscitò in casa loro. Uso fu
de' Greci, Romani e Barbari stessi di non ammettere alla milizia se
non persone libere, e di non dar l'armi giammai agli schiavi, per
timore che costoro dipoi non insolentissero e scuotessero il giogo; e
tanto più perchè il numero degli schiavi ordinariamente era sterminato
negli antichi tempi presso d'ogni nazione. Se i Romani in qualche
gravissimo bisogno di gente si vollero valer degli schiavi, lor
diedero prima la libertà. Non dovettero i signori sarmati usar tutta
la convenevol precauzione in tal congiuntura. Insuperbiti i loro
servi, e conosciuta la propria forza, rivolsero in fatti da lì a non
molto l'armi contra de' proprii padroni; e questi, non potendo
resistere, furono astretti a prendere la fuga, ed a lasciar tutto in
potere di chi dianzi loro ubbidiva. San Girolamo[3146] ed
Ammiano[3147] danno il nome di Limiganti a quei servi, e a' lor
padroni quello di Arcaraganti. Ebbero questi ultimi ricorso allo
Augusto Costantino, il quale benignamente gli accolse ne' suoi Stati.
Per attestato dell'Anonimo Valesiano[3148], erano più di trecento mila
persone tra grandi e piccioli dell'uno e dell'altro sesso. Costantino
arrolò nella milizia i più robusti: il rimanente fu da lui compartito
per varii paesi, cioè per la Tracia, Scitia (cioè la Tartaria minore),
Macedonia ed Italia, con dar loro terreni da coltivare. Altri di que'
Sarmati liberi, per testimonianza d'Ammiano, si ricoverarono nel paese
dei Victobali; e solamente nell'anno 358 furono rimessi dai Romani in
possesso del loro paese.
NOTE:
[3135] Cuspinianus. Panvinius. Bucherius.
[3136] Panvinius, in Fast.
[3137] Tillemont, Mémoires des Emp.
[3138] Gothofred., Chron. Cod. Theod.
[3139] L. 2, de Offic. Judic. omn.
[3140] Anonymus Valesianus.
[3141] Socrat., lib. 1, cap. 18.
[3142] Mediobarb., Numism. Imper.
[3143] Idacius, in Fastis.
[3144] Euseb., in Vit. Const., lib. 4, cap. 6.
[3145] Hieron., in Chron.
[3146] Hieron., in Chronico.
[3147] Ammian., Histor., lib. 17 et 19.
[3148] Anonymus Valesianus.
Anno di CRISTO CCCXXXV. Indizione VIII.
SILVESTRO papa 22.
COSTANTINO imperadore 29.
_Consoli_
GIULIO COSTANZO e CEIONIO RUFIO ALBINO.
Fratello di Costantino Augusto, ma da altra madre nato, cioè da
Teodora figliastra di Massimiano Erculio, fu questo _Giulio Costanzo_
console. Oltre allo onore del consolato, ebbe egli anche la eminente
dignità di patrizio, il titolo di nobilissimo, e la facoltà di portar
la veste rossa orlata d'oro[3149]. La cognizion di questo personaggio
importa molto alla storia, perchè noi troveremo _Gallo Cesare_ a lui
nato dalla prima moglie, e _Giuliano_, a lui procreato da Basilina sua
seconda moglie, Giuliano, dissi, che arrivò poi ad essere imperadore,
ma d'infame memoria per la sua apostasia. Il secondo console, cioè
_Ceionio Rufio Albino_, era figliuolo di Rufio Volusiano, stato due
volte console, come apparisce da un'antica iscrizione[3150]. Dal
Catalogo[3151] del Cuspiniano e del Bucherio si ricava che a lui
stesso nel dì 30 di dicembre dell'anno presente fu conferita la
prefettura di Roma, nella quale egli continuò per tutto l'anno
seguente. Entrava l'Augusto Costantino nel dì 25 di luglio del
presente anno nell'anno trentesimo del suo regno, o imperio _cesareo_.
Il padre Pagi[3152] pretende che questi fossero i tricennali
dell'imperio _augustale_ di Costantino, e che da lui nell'anno
precedente fossero stati celebrati quei del cesareo. Ma, secondo i
miei conti, avendo egli veramente preso il titolo di Augusto nell'anno
di Cristo 307, non poteva aver principio nell'anno presente il
trentesimo dell'augustale imperio. Nè può stare che egli nel
precedente anno celebrasse i tricennali del regno cesareo, perchè
nell'anno 305 non fu, per quanto abbiam detto, dichiarato Cesare, ma
solamente nel 306. Comunque sia con grande magnificenza[3153] e con
una non minor divozione e pietà solennizzò Costantino questa festa,
giacchè, fuorchè a Cesare Augusto, a niun altro degli imperadori era
riuscito di giugnere così avanti nel godimento del regno. Perciò umili
azioni di grazie rendè all'Altissimo[3154]; ed in questo medesimo anno
fece la dedicazione dell'insigne chiesa della Resurrezione ch'egli
avea fatto fabbricare in Gerusalemme. Ma che? La stessa pietà di sì
glorioso Augusto incorse in questi medesimi tempi in una gravissima
macchia, di cui parla diffusamente la storia ecclesiastica, e che a me
basta di accennare in poche parole. Più che mai si trovava sconvolta
la Chiesa di Dio per l'eresia d'Ario, e per la prepotenza de' suoi
partigiani e protettori. Costantino, per mettere fine a tanti torbidi,
ordinò nel presente anno che si tenessero[3155] due concilii, l'uno in
Tiro, e l'altro in Gerusalemme. La intenzione sua si può credere che
fosse buona; ma non badò egli d'aver presso di sè lo scaltro Eusebio
vescovo di Nicomedia, ed altri o segreti o palesi campioni d'Ario, che
s'abusavano della di lui confidenza ed autorità in favore di
quell'eresiarca, e in pregiudizio della dottrina della Chiesa
cattolica e del santo concilio di Nicea. Avvenne dunque che nel
concilio di Tiro, Atanasio, insigne e santo vescovo d'Alessandria,
scudo de' cattolici, fu deposto, e in quello di Gerusalemme Ario ed i
suoi seguaci furono ammessi alla comunion della Chiesa cattolica;
tutti passi che offuscarono non poco la gloria di Costantino sulla
terra, e che abbisognarono della misericordia di Dio per lui
nell'altra vita. Portatosi a dimandargli giustizia sant'Atanasio, in
vece di ottenerla, fu relegato nelle Gallie. Altra novità nell'anno
presente, novità pregiudiziale alla sua politica, fece l'Augusto
Costantino; perchè, non contento di aver dichiarati _Cesari_ i suoi
tre figliuoli, cioè _Costantino_, _Costanzo_ e _Costante_[3156]: nel
settembre di quest'anno conferì il medesimo titolo di _Cesare_ e di
principe della gioventù a _Flavio Giulio Delmazio_ suo nipote, perchè
figliuolo di Delmazio suo fratello. Un altro nipote, nato dal medesimo
suo fratello, avea Costantino, per nome _Flavio Claudio Annibaliano_.
Il creò re del Ponto, della Cappadocia e dell'Armenia minore. Per
attestato ancora dell'Anonimo Valesiano[3157], gli diede in moglie
_Costantina_ o sia _Costanziana_ sua figlia, decorata del titolo
d'Augusta. Disavvedutamente con questi atti di munificenza, lodevoli
per altro in sè stessi, trattandosi di esaltare parenti suoi sì
stretti, non badò il saggio Augusto che egli seminava le discordie fra
i proprii figliuoli e i lor cugini. Non andrà molto che ce ne
accorgeremo. Benchè sia incerto il tempo, in cui ad un certo
_Calocero_, uomo vilissimo, saltò in capo la follia di farsi
imperadore, pure non è fuor di proposito il darne qui un barlume di
conoscenza (che di più egli non meritava), giacchè san Girolamo[3158]
e Teofane[3159] ne parlano all'anno 29 di Costantino. Costui pare che
occupasse l'isola di Cipri; ma un fuoco di paglia fu questo: dall'armi
imperiali egli restò in breve oppresso, e condannato ai supplizii
degli schiavi ed assassini. Recitò Eusebio vescovo di Cesarea nel
settembre di quest'anno in Costantinopoli quel panegirico[3160] che di
lui abbiamo in onore di Costantino Augusto. E nell'ultimo dì parimente
dell'anno presente passò a miglior vita san _Silvestro papa_[3161],
pontefice gloriosissimo, perchè a' suoi tempi, ed anche, siccome
possiam conghietturare, per cura sua, si vide trionfar la croce di
Cristo nel cuore di Costantino, ed alzar bandiera la religion
cristiana sopra l'antica superstizione di Roma pagana; di Roma, dico,
dove tanti insigni templi sotto di lui si cominciarono a dedicare al
vero Dio, siccome può vedersi nella storia ecclesiastica.
NOTE:
[3149] Zosimus, lib. 2, cap. 39.
[3150] Panvin., in Fast. Gruterus, in Thesaur. Inscript. Reland., in
Fast.
[3151] Cuspin. Bucher., de Cyclo.
[3152] Pagius, Crit. Baron.
[3153] Idacius, in Fastis. Chronic. Alexandr.
[3154] Euseb., in Vita Constantin., lib. 4, cap. 40.
[3155] Baron., Annal. Eccl. Collectio Concilior. Labbe, Fleury, et
alii.
[3156] Idacius, in Fastis. Chronicon Alexandr. Hieron., in Chron.
[3157] Anonymus Vales.
[3158] Hieronymus, in Chronico.
[3159] Theophan., Chronographia.
[3160] Euseb., in Vita Constant., lib. 4
[3161] Anastas. Bibliothec.
Anno di CRISTO CCCXXXVI. Indizione IX.
MARCO papa 1.
COSTANTINO imperadore 30.
_Consoli_
FLAVIO POPILIO NEPOZIANO e FACONDO.
Benchè i fasti e le leggi non ci porgano se non il cognome del primo
console, cioè _Nepoziano_, pure difficilmente si fallerà in credere
ch'egli fosse quel _Flavio Popilio Nepoziano_, a cui fu madre
_Eutropia_ sorella di Costantino Augusto. Noi torneremo a vedere
questo personaggio, all'anno 350, proclamato imperadore, ma imperadore
di poca durata. Seguitò ancora in quest'anno _Rufio Albino_ ad
esercitare la prefettura di Roma. In luogo del defunto s. Silvestro fu
creato romano pontefice[3162] _Marco_ nel gennaio dell'anno presente.
Cosa alquanto pellegrina può parere a talun il vederlo appellato
solamente _Marco_, perchè questo era un solo prenome; e non già un
nome o cognome de' Romani. Ma s. Marco evangelista avea fatto divenir
nome questo prenome, per tacere altri esempli. Non durò più di otto
mesi e venti giorni la vita di esso pontefice, registrato dipoi nel
catalogo de' santi. Fu di parere il cardinal Baronio[3163] che
_Giulio_ a lui succedesse nella cattedra di san Pietro sul fine
d'ottobre; ma il padre Pagi[3164], fondato nella Cronica di Damaso,
differisce la di lui esaltazione sino al febbraio del susseguente
anno, senza apparire il perchè in questi pacifici tempi restasse
vacante per tanto tempo la sedia di san Pietro. Appartengono a
quest'anno le prime nozze di _Costanzo Cesare_, secondo figliuolo
dell'imperadore[3165], celebrate con gran pompa dalla corte: nella
qual congiuntura l'Augusto suo padre distribuì ai popoli e alle città
moltissimi doni. Il Du-Cange[3166] inclinò a credere che questa prima
moglie di Costanzo (perchè n'ebbe più d'una) fosse figliuola di Giulio
Costanzo, cioè d'un fratello di esso Costantino Augusto e di Galla; ma
resta tuttavia scuro questo punto. Una solenne ambasciata dall'India
circa questi medesimi tempi venne a trovar Costantino, portandogli in
dono delle gemme preziose, e delle stravaganti bestie di que' paesi
sconosciute presso i Romani. Aggiugne Eusebio, che i re e i popoli
dell'India in certa maniera si suggettarono alla signoria di
Costantino, con riconoscerlo per loro imperadore e re, alzando in
onore di lui statue ed immagini. Si potrebbe dubitare se Eusebio in
questo sito la facesse più da oratore o poeta, che da storico. Volle
dopo le nozze di Costanzo, e conseguentemente nel presente anno, e non
già nel precedente, come fu d'avviso il Tillemont[3167], l'Augusto
Costantino provvedere alla succession de' figliuoli, forse perchè
qualche incomodo della sanità gli faceva già presentire non lontano il
fin de' suoi giorni; nè i saggi aspettano a regolar le loro faccende
allorchè la morte picchia alla porta. Divise dunque l'imperio fra i
suoi tre figliuoli e due nipoti nella seguente maniera. Al primogenito
suo _Costantino_, già ammogliato, ma senza sapersi con chi, lasciò
tutto il paese che è di là dalle Alpi, ed era stato della giurisdizion
di suo padre, cioè tutte le Gallie coll'Alpi Cozie, le Spagne colla
Mauritania Tingitana e la Bretagna, porzione che oggidì forma tre
potenti e fioriti regni. A questo principe, abitante allora in
Treveri, fece ricorso l'esiliato sant'Atanasio, e ne fu ben ricevuto.
A _Costanzo_ secondogenito assegnò il padre tutto l'Oriente
coll'Egitto, a riserva della porzione che già dissi data ad
_Annibaliano_ suo nipote. Pretese l'Apostata Giuliano[3168] che per
favore particolare Costantino concedesse le provincie d'Oriente a
Costanzo, perchè più degli altri l'amava a cagion della sua
sommessione e compiacenza. A _Costante_ terzogenito fu assegnata[3169]
l'Italia, l'Africa e l'Illirico: vasta porzione anche essa, perchè si
stendeva per tutta la Pannonia, per le Mesie, Dacia, Grecia,
Macedonia, ed altri paesi già attinenti all'Illirico, e verisimilmente
abbracciava anche il Norico e le Rezie. Il Valesio e il Tillemont,
correggendo un passo di Aurelio Vittore, con leggere _Delmatio_ in
vece di _Delmatiam_, pretendono che Costantino lasciasse la Tracia, la
Macedonia e l'Acaia, cioè la Grecia, a _Delmazio_ suo nipote. Ma non è
da credere che Costantino della sua diletta città di Costantinopoli
volesse privare i suoi figliuoli, e darla al nipote con dote tanto
inferiore di paese annesso. O non s'ha dunque da emendare il passo di
Vittore che attribuisce a _Costante_ l'Illirico, la Italia, la Tracia,
la Macedonia e la Grecia; o, quando pur si voglia fallato il suo
testo, si dee stare con Zonara[3170], il quale chiaramente scrive che
a _Costante_ toccò, oltre all'Oriente, anche la Tracia colla città del
padre, cioè con Costantinopoli. E a farci credere che così fosse,
concorre quanto poco fa dicemmo della parzialità a lui mostrata dal
padre Augusto. Quanto a _Delmazio_, altra parte, a mio credere, non fu
assegnata che la _Ripa Gotica_, come ha l'Anonimo Valesiano[3171],
cioè verisimilmente la Dacia nuova, o pur la Mesia inferiore. Di qual
parte divenisse o restasse signore _Annibaliano_ con titolo di re, già
s'è detto all'anno precedente. Ed ecco il romano imperio trinciato in
tante parti, e con tal divisione infievolito in maniera da prepararsi
alla rovina; ma Diocleziano avea già somministrato a Costantino questo
modello, e Costantino dovette anch'egli figurarsi meglio assicurata la
sussistenza di questi regni con provvederli di principi, de' quali
cadauno dal suo canto gareggerebbe per difendere dai Barbari la sua
porzione, senza prevedere o sospettar egli che l'ambizione e gelosia
potesse poi con tutta facilità attizzar la discordia fra tanti
principi, ed anche fra gli stessi fratelli.
NOTE:
[3162] Anastas., in Bibl. sive Chron. Damasi.
[3163] Baron., in Annal.
[3164] Pagius, Crit. Baron.
[3165] Euseb., in Vita Constant., lib. 4, cap. 49.
[3166] Du-Cange, Hist. Byz.
[3167] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[3168] Julian., Orat. III.
[3169] Anonym. Valesianus. Zonaras, in Ann. Aurelius Victor, in
Epitome.
[3170] Zonaras, in Annal.
[3171] Anonym. Vales.
Anno di CRISTO CCCXXXVII. Indizione X.
GIULIO papa 1.
COSTANTINO juniore }
COSTANZO e } imp. 1.
COSTANTE }
_Consoli_
FELICIANO e TIBERIO FABIO TIZIANO.
Certo è il cognome del secondo console, cioè di _Tiziano_, non
egualmente è sembrato tale il suo nome e prenome a cagion dei dubbii
mossi al consolato dell'anno 391, siccome vedremo. Nel dì 10 di marzo
a Rufio Albino succedette nella dignità di prefetto di Roma _Valerio
Procolo_. La saviezza con cui Costantino reggeva i suoi popoli, la
sterminata sua potenza, e il credito con tante vittorie acquistato,
aveano per più anni tenuto in dovere i Barbari e fatta godere a tutte
le parti del romano imperio un'invidiabil pace: quando eccoli dare
all'armi i Persiani, e muover guerra al romano imperio. Un racconto di
Cedreno[3172], a cui il Valesio[3173] prestò fede, fa originata questa
rottura de' Persiani coi Romani dopo una pace per circa quaranta anni
durata fra loro, da un certo _Metrodoro_, filosofo persiano, il quale,
adunata gran copia di pietre preziose nell'India, parte da lui rubate
e parte a lui consegnate da un re indiano da portare in suo nome
all'Augusto Costantino, venne veramente a trovar l'imperadore, a cui
diede le gioie, ma senza far parola del re donatore, con aggiugnere
ancora di avergliene consegnata quel re un'altra gran quantità, ma
che, in passando per la Persia, erano state occupate da quel re Sapore
II. Perchè Costantino ne fece delle istanze ad esso re con assai
altura, e non ne ricevè risposta, si allumò la guerra fra loro. Altre
particolarità aggiunte da esso Cedreno a una tal relazione da niuno
degli antichi conosciute, han ciera di favole, delle quali per altro è
fecondo quello scrittore troppo lontano dai tempi di Costantino.
Tuttavia Ammiano[3174] ha qualche cosa di questo Metrodoro, con dire
che Costanzo, e non già Costantino, badando alle bugie di Metrodoro,
fu istigato a far guerra ai Persiani. Intanto a noi gioverà
l'attenerci ad autori più classici, cioè ad Eusebio[3175],
Libanio[3176] ed Aurelio Vittore[3177]. Vanno essi d'accordo in dire
che il re di Persia, Sapore, da gran tempo faceva de' preparamenti per
muovere guerra al romano imperio. Allorchè ebbe disposto tutto, inviò
ambasciatori a Costantino, ridomandando gli Stati che una volta
appartenevano alla corona persiana. La risposta di Costantino fu che
verrebbe egli in persona ad informarlo de' suoi sentimenti; ed in
fatti allestite armi e milizie, chiamate in gran copia da tutte le
parti del suo imperio, con vigore si preparò per questa importante
spedizione. Un così potente armamento d'un imperadore avvezzo alle
vittorie fece calar ben tosto gli orgogliosi spiriti del re persiano,
le cui armate aveano già dato principio alle scorrerie nella
Mesopotamia, di modo che spedì nuovi ambasciatori a Costantino per
trattar di pace. Eusebio[3178] qui più degli altri merita fede, e ci
assicura che l'ottennero; laddove Rufo Festo[3179] e l'Anonimo
Valesiano[3180], Libanio e Giuliano l'Apostata pretendono che
Costantino continuasse i preparamenti militari per la guerra; e noi
vedremo che Costanzo suo figliuolo fu da lì a non molto alle mani col
re di Persia. Tuttavia Ammiano è di parere che Costanzo, e non già i
Persiani, quegli fu che volle rompere, sedotto, siccome già
accennammo, dal suddetto Metrodoro.
Avea l'Augusto Costantino goduta in addietro una prosperosa sanità,
accompagnata con gran vigore di corpo e d'animo[3181], ed era già
pervenuto al principio dell'anno sessantesimo terzo di sua età. Ma
convien credere che anche nel precedente anno qualche interna
debolezza o malore più vivamente che mai il facesse accorto
dell'inevitabile nostra mortalità. Però, siccome dicemmo, assettò
gl'interessi domestici; più che mai si applicò alle opere di pietà;
fece fabbricare il sepolcro suo presso il magnifico tempio degli
Apostoli, eretto e dedicato da lui in Costantinopoli, e spesso
trattava dell'immortalità dell'anima, insegnata dalla religion di
Cristo e dalla migliore filosofia. Ora, dopo aver egli con gran
divozione celebrato il giorno santo della Pasqua, cominciò a sentir
de' più gravi sconcerti nella sanità, e si portò ai bagni, ma senza
provarne profitto. Venuto che fu ad Elenopoli, si aggravò il suo male;
ed allora, conoscendo approssimarsi ormai il fine dei suoi
giorni[3182], con tutta umiltà confessò i suoi peccati in quella
chiesa, e fece istanza ai vescovi dimoranti nella sua corte di
ricevere il sacro battesimo, differito da lui fin qui, secondo l'uso
od abuso d'alcuni in que' tempi, per cancellare e purgare prima di
morire in un punto solo tutti i peccati della vita passata
coll'efficacia di quel sacramento. Questa funzione fu celebrata poco
appresso, essendo egli passato da una sua villa presso di
Nicomedia[3183]; e chi il battezzò, fu Eusebio vescovo di quella
città, uomo per altro screditato per la sua aderenza agli errori
d'Ario. Non v'ha oggidì persona alquanto applicata all'erudizione che
non conosca essere stato conferito il battesimo a questo celebre
imperadore, e primo fra gl'imperadori cristiani, non già in Roma per
mano di san Silvestro papa nell'anno 324, come ne' secoli
dell'ignoranza le leggende favolose fecero credere, ma bensì nell'anno
presente in Nicomedia sul fine della di lui vita. Se altro testimonio
che Eusebio Cesariense non avessimo di questo fatto, potrebbesi forse
dubitare della di lui fede, perchè vescovo almen sospetto di aver
favorito il partito dell'eresiarca Ario, contuttochè non sia mai
probabile che scrittore sì riguardevole volesse e potesse spacciare un
fatto, che così agevolmente si sarebbe potuto con sua vergogna
smentire, qualora fosse pubblicamente seguito in Roma tanti anni prima
il battesimo d'esso Augusto. Ma il punto sta, che con Eusebio, in
raccontar questo fatto, s'accordano il santo vescovo[3184] Ambrosio,
san Girolamo e tanti vescovi del concilio di Rimini nell'anno di
Cristo 359; e Socrate, Sozomeno, Teodoreto, Evagrio e la Cronica
Alessandrina. Non ne cito i passi, potendo il lettore informarsi
meglio di questo da chi _ex professo_ ha ventilata cotal quistione.
Posto poi il battesimo così tardi ricevuto da Costantino, per cui egli
cominciò veramente a chiamarsi cristiano, e ad essere partecipe dei
divini misteri[3185]; s'è cercato se Costantino fosse almeno in
addietro nel numero de' catecumeni, nè si son trovati bastanti lumi
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