Annali d'Italia, vol. 1 - 49

pericolo della vita, per essere stati adulatori dell'estinto ministro,
ed alcuni ancora perirono per questo. Fra gli altri _Cocrano_, che più
degli altri affettava di comparir confidente di Plauziano, benchè in
fatti tale non fosse, convinto d'avergli, colla ridicola
interpretazione d'un sogno, predetto l'imperio, fu mandato in esilio.
Ma ritornato dopo sette anni, ottenne il grado senatorio, ed arrivò
anche ad esser console. Furono allora premiati _Saturnino_ ed _Evodo_,
autori della morte di Plauziano; ma col tempo Caracalla non li lasciò
vivere; nè Severo permise che il senato lodasse Evodo, dicendo _che
non conveniva far insuperbire i liberti della corte_. Suo costume
veramente fu di tenerli bassi. _Plautilla Augusta_ e _Plauto_, o
_Plauzio_, figli di esso Plauziano, relegati nell'isola di Lipari,
quivi per qualche anno mangiarono il pan del dolore, privi anche delle
cose necessarie, e sempre colla morte davanti agli occhi. Erodiano
scrive ch'erano ben trattati. Caracalla poi quando arrivò alla
signoria, li liberò appunto da quei guai con fargli uccidere. E tale
fu il fine di Plauziano, che sel comperò a danari contanti colla sua
incredibil avarizia, non meno che colla crudeltà e coll'alterigia.
Abbiamo da Censorino[1589] e da Zosimo[1590], che furono in quest'anno
celebrati con gran suntuosità i giuochi secolari in Roma e di ciò è
fatta anche menzione nelle medaglie[1591]. La descrizion d'essi si può
vedere nella Storia di Zosimo.
NOTE:
[1583] Panvin., in Fast. Cons.
[1584] Dio, lib. 75.
[1585] Herodianus, lib. 3.
[1586] Dio, lib. 75.
[1587] Herodianus, lib. 3.
[1588] Ammianus Marcellinus, lib. 29.
[1589] Censorinus, de Die Natali, cap. 17.
[1590] Zosimus, Histor., lib. 2.
[1591] Mediobarbus, in Numism. Imperat.


Anno di CRISTO CCV. Indizione XIII.
ZEFIRINO papa 9.
SETTIMIO SEVERO imperad. 13.
CARACALLA imperadore 8.
_Consoli_
MARCO AURELIO ANTONINO CARACALLA AUGUSTO per la seconda volta, e
PUBLIO SETTIMIO GETA CESARE.

Sbrigato Severo del pessimo suo ministro Plauziano, regolò ne' tempi
susseguenti con bell'ordine la vita sua, giacchè si godeva gran quiete
in Roma, e da niuna guerra in questi tempi era molestato l'imperio
romano[1592]. Andava egli spesso a villeggiar nella Campania; ma o
fosse quivi, o pure in Roma, soleva levarsi di buon mattino, e tosto
ascoltava i processi delle cause, poi faceva una buona passeggiata a
piedi, ascoltando e dicendo intanto quello che riguardava l'utilità
del pubblico. Andava appresso al senato e al consiglio, per udire i
contraddittorii, e decidere le cause, concedendo il tempo prescritto
agli avvocati per dedurre le ragioni delle parti litiganti, e
lasciando una piena libertà ai senatori di esporre il lor sentimento.
Venuto il mezzodì, montava a cavallo, per far di nuovo quello
esercizio di corpo, e dipoi andava al bagno. Pranzava solo o pur co'
suoi figliuoli, e con lentezza, ma senza invitarvi senatori, come in
addietro costumarono di far vari imperadori. Vi intervenivano essi
solamente in certe feste solenni dell'anno, ed allora ne' di lui
conviti non si desiderava punto la magnificenza. Dopo il pranzo
dormiva, e non poco. Svegliato, passeggiava, dilettandosi in quel
mentre di studiar lettere, o sia l'erudizion latina e greca. Tornava
al bagno verso la sera, e poi cenava coi suoi domestici. Le
applicazioni sue pel buon governo di Roma si stendevano anche nelle
provincie, sapendo egli scegliere le persone più abili a ben reggere i
popoli[1593]; e più volentieri dava quei governi a chi vi era stato
dianzi luogotenente, e s'era acquistato credito, siccome persone più
pratiche di quei paesi; nè permetteva che si vendessero le cariche.
Per l'amministrazione della giustizia si serviva egli di eccellenti
giurisconsulti. Uno di essi fu _Papiniano_, celebre anche oggidì pel
suo profondo saper nelle leggi, che giunse ad essere prefetto del
pretorio. Questi prese per suoi assessori o consiglieri _Paolo_ ed
_Ulpiano_, personaggi anch'essi rinomatissimi nella scienza legale.
Però molte leggi utili di esso Severo si leggono nei testi di
Giustiniano. Una ve n'ha, in cui permette ai Giudei di poter essere
promossi agli uffizii ed onori[1594]. Sotto questo nome si pensò il
cardinal Baronio, dopo l'Alciato, che fossero compresi anche i
Cristiani: il che, quantunque cosa dubbiosa, non è però inverisimile.
Ben certo è che quella legge non venne da Marco Aurelio e Lucio Vero,
come fu creduto, ma bensì da _Severo_ ed _Antonino_, cioè Caracalla,
Augusti. Odiava Severo sopra tutto i ladri ed assassini, e li
perseguitava dappertutto. La libertà della lascivia era giunta
all'eccesso in Roma. Severo non solamente ci vien descritto per uomo
continente, ma che abborriva in altrui gli adulterii. Però abbiamo
leggi da lui pubblicate contro questo vizio. E Dione[1595] confessa di
aver trovato nei registri criminali d'allora, che furono accusate di
adulterio tremila persone; ma perchè non si proseguivano poi i
processi, si ridussero a nulla le provvisioni fatte per questo
dall'imperadore. E, a ben conoscere quanto fossero in ciò depravati i
costumi de' Romani gentili, servirà una risposta data dalla moglie di
un nobile della Bretagna, probabilmente allorchè Severo Augusto,
siccome diremo, fu in quelle parti. _Giulia Augusta_ l'andava
motteggiando pel libertinaggio che praticavano allora le femmine
britanne con gli uomini: _Almeno_, disse quella gentildonna, _se noi
trapassiamo i limiti dell'onestà, lo facciamo con persone nobili; ma
voi altre romane segretamente vi valete della canaglia per soddisfare
alle vostre voglie._ Starei a vedere che persona ci fosse a' tempi
nostri, la qual credesse con così magra scusa difendere l'intemperanza
sua. Forse non fu la stessa _Giulia_ imperatrice esente da sì fatto
discredito. Anzi, se crediamo a Sparziano[1596], anch'ella si rendè
famosa per l'impudicizia: vizio troppo facile a chi non conosce o non
teme il vero Dio, amatore della sola virtù, e punitore de' vizii, o
pure troppo lascia la libertà del conversare all'uno e all'altro
sesso. Ma perchè Dione ed Erodiano non riconoscono in lei questo
vizio, e vedremo che Sparziano altre favole raccontò di questa
imperatrice, possiam credere, rapportar egli qui piuttosto le dicerie
del volgo che la verità della storia.
NOTE:
[1592] Dio, lib. 76. Herodianus, lib. 3.
[1593] Aurelius Victor, in Epitome. Spartianus, in Severo.
[1594] Lib. 3, ff. de Decur.
[1595] Dio, lib. 76.
[1596] Spartianus, in Severo.


Anno di CRISTO CCVI. Indizione XIV.
ZEFIRINO papa 10.
SETTIMIO SEVERO imperad. 14.
CARACALLA imperadore 9.
_Consoli_
LUCIO FULVIO RUSTICO EMILIANO e MARCO NUMMIO PRIMO SENECIONE ALBINO.

Tali nomi ho io dato a questi consoli, fondato sulle iscrizioni che si
leggono nella mia raccolta[1597]. Quei del secondo console ci fanno
abbastanza intendere che non dovea punto passar parentela fra lui e
_Clodio Albino_, da noi veduto imperadore, ma di poco tempo. Ora da
che tolto fu dal mondo Plauziano, cioè il superbo favorito di Severo
Augusto, _Caracalla_ e _Geta_ figliuoli di esso imperadore, come se
allora fossero rimasti liberi dal timore di quell'aguzzino, lasciarono
la briglia ai loro giovanili appetiti. Tanto Dione[1598] che
Erodiano[1599] confessano che amendue si diedero in preda alla
libidine, con isvergognar le case de' nobili, e senza guardarsi da ciò
ch'è più infame in quel vizio. Se loro mancava danaro, non mancavano
già delle inique vie per raccoglierne. I lor principali impieghi e
divertimenti consistevano in assistere a tutt'i combattimenti e a
tutte le corse dei cavalli, ed anch'essi in carrette gareggiavano
insieme a chi correa più forte. E sì male un dì terminò la lor
carriera, che Caracalla, caduto dal carro, si ruppe una gamba. Ma
questa gara da gran tempo dava a conoscere qual grave antipatia ed
invidia bollisse fra loro, perchè passava sempre in discordia. Ancora
quando erano in minore età, o vedessero i combattimenti delle
coturnici o dei galli, o pur le battagliuole de' fanciulli, o si
trovassero ai pubblici giuochi, si scoprivano sempre differenti di
genio; e quel che piaceva all'uno, dispiaceva all'altro.
S'introdussero anche fra loro degli adulatori e mali arnesi che, in
vece di metter acqua al fuoco, lo fomentavano, aggiugnendovi anche
dell'olio. Quanto più crescevano in età, tanto più sbrigliati
correvano dietro ai piaceri ed alle iniquità, e la loro vicendevole
avversione prendeva sempre più piede. Non avea già lasciato l'Augusto
Severo lor padre di provvederli di eccellenti governatori e maestri, e
scorgendoli poi sì discordi fra loro, or colle dolci, or colle brusche
si studiava di correggere questa lor malnata passione, mostrando loro
i beni della concordia, e il felice stato, in cui era per lasciarli, e
in cui si manterrebbono, se sapessero andar ben uniti. Tolse anche di
vita alcuni che seminavano zizzanie fra loro. Ma indarno era tutto.
_Geta_, siccome di umor più mansueto ed umile, dal suo canto ubbidiva;
ma _Caracalla_, divenuto dopo la morte del suocero più orgoglioso e
fiero che mai, ascoltava le parole del padre, ma fremendo in suo
cuore, e poi seguitava ad operar come prima. Accadde probabilmente in
questi tempi ciò che narra Dione[1600] della crudeltà di Severo, non
soddisfatta peranche. Il perchè non si sa, ma egli fece morir varie
persone, e fra l'altre _Quintillo Plauziano_, senator nobilissimo:
morte che fu creduta ingiustissima. Altri senatori[1601] da lui tolti
dal mondo erano stati convinti di reità; ma questi in età assai
decrepita, standosene da gran tempo ritirato in villa, pensando non
già a far delle novità, ma bensì alla morte vicina, per soli sospetti
e per mere calunnie fu condannato a morte. Recatagli la funesta nuova,
si fece portare gli arredi che avea molti anni prima preparati pel suo
funerale, e trovatili guasti dalle tignuole, disse: _Ho anche tardato
troppo a morire._ E fatto venir del fuoco, sopra di esso sparse
l'incenso in segno di sagrifizio a' suoi falsi dii, pregandoli che
avvenisse a Severo quel tanto che Severiano in simil congiuntura
augurò ad Adriano. Era in questi tempi proconsole dell'Asia
_Aproniano_. Contro ancora di lui fu proferita la sentenza di morte,
perchè avendo la sua nudrice sognato ch'egli dovea regnare un giorno,
si pretendeva che Aproniano avesse intorno a ciò consultato i maghi.
Ed ecco un amaro frutto della sciocchezza di que' tempi, che
prestavano tanta fede ai sogni, agli augurii e alle arti vane piene
d'imposture. Nel leggersi in senato il processo, si trovò avere un
testimonio deposto, che mentre si facea quella consultazione da
Aproniano, un senator calvo, veduto così di passaggio da esso
testimonio, v'era presente. Corse allora un ghiaccio per le vene di
chiunque in senato era, o cominciava a divenir calvo; Dione confessa
che egli e tanti altri, che avevano buona capigliatura, restarono sì
turbati, che non seppero ritenersi dal tastar colla mano se avevano
tuttora i lor capelli in capo. Il sospetto cadde principalmente sopra
_Bebio Marcellino_, il qual fece istanza che fosse introdotto il
testimonio, acciocchè costui, se gli dava l'animo, riconoscesse il
senatore calvo. Entrato costui, andò girando un pezzo con gli occhi
senza parlare. Verisimilmente gli fece un cenno _Pollenio Sebennio_
senatore, uomo di lingua mordace, da me rammentato di sopra, perchè
Dione a lui attribuisce la disgrazia dell'infelice Marcellino, il
quale fu mostrato a dito dal testimonio suddetto e condotto
immediatamente al patibolo. Quando fu in piazza, diede l'ultimo addio
a quattro suoi figliuoli con un discorso patetico, conchiudendo, che
_solamente gli dispiaceva di lasciarli in vita in tempi così cattivi_.
Gli fu mozzato il capo, prima ancora che Severo Augusto sapesse la di
lui condanna; tanto era allora avvilito il senato, e tanta era la
paura che si avea dello sdegno di Severo. Gran disgrazia di dover
vivere sotto principi tali! e pur se ne trovarono tanti altri di lunga
mano più fieri e crudeli di questo!
NOTE:
[1597] Thesaurus Novus Inscription., p. 352.
[1598] Dio, lib. 76.
[1599] Herodianus, lib. 3.
[1600] Dio, lib. 76.
[1601] Dio, in Excerpt. Valesianis.


Anno di CRISTO CCVII. Indizione XV.
ZEFIRINO papa 11.
SETTIMIO SEVERO imper. 15.
CARACALLA imperadore 10.
_Consoli_
APRO e MASSIMO.

Altro non sappiamo dei nomi di questi consoli fin ora. Al presente
anno sembra che si possa riferire un avvenimento raccontato da
Dione[1602]. Era divenuto un certo Bulla, cognominato Felice, capo dei
ladri e banditi nelle parti di quel che ora è regno di Napoli. Secento
uomini teneva egli al suo servigio, parte dei quali erano schiavi
dell'imperadore fuggiti; ed infestava tutte quelle contrade. Non gli
mancavano spie in Roma stessa ed altrove, che l'andavano avvisando di
chiunque si metteva in viaggio, e con qual compagnia, con quali robe.
Della gente che prendeva, molti lasciava andare, contentandosi di
qualche parte delle lor sostanze; gli artefici li riteneva alcun tempo
per farli lavorare, e li rimandava poi regalati. Per due anni continuò
costui il suo detestabil mestiere, e tanta era la sua accortezza, che
quantunque perseguitato da molti e con pressanti ordini da Severo
Augusto cercato dappertutto, pure quasi sugli occhi di lui e di tanti
suoi soldati commetteva quelle ruberie; niuno il vedeva, benchè
l'avessero davanti; niuno il prendeva, benchè potessero averlo in
mano: tutto per industria sua, perchè giocava di grosso con regali.
Presi furono due de' suoi masnadieri, e si stava per condannarli ad
essere il pascolo delle fiere. Bulla, fingendosi governatore del
paese, fu a trovare il carceriere, e mostrando di aver bisogno di
quegli uomini, li liberò e condusse via. Quindi in persona andò a
trovare il centurione posto alla guardia di quei contorni, e si esibì
di dargli in mano quell'infame di Bulla, se voleva seguitarlo. Il
seguitò con alcuni de' suoi il centurione; ma allorchè fu in una valle
attorniata da dirupi, Bulla, dopo averlo preso, gli fece radere il
capo a guisa degli schiavi, e il lasciò andare, dicendogli che facesse
sapere ai suoi padroni nudrir meglio i loro schiavi, affinchè non
fossero obbligati a fare gli assassini da strada. All'udir queste
insolenze Severo Augusto andava nelle smanie, dolendosi, che mentre i
suoi nella Bretagna riportavano vittorie e tenevano in freno popoli
intieri, egli non fosse da tanto da potersi liberar da un ladrone che,
in faccia sua commettendo tante iniquità, si rideva di lui. Finalmente
spedì in traccia di costui un tribuno con un corpo di fanteria e
cavalleria, minacciando forte quest'uffiziale, se non gliel conduceva
morto e vivo. Andò il tribuno, e per mezzo di una donna, con cui Bulla
avea commercio, il colse in una grotta, e menollo vivo a Roma.
Interrogato Bulla dal celebre giurisconsulto Papiniano, prefetto
allora del pretorio, perchè si fosse dato al mestier del rubare: _E
tu_, rispose, _perchè fai il mestier di prefetto?_ volendo dire, che
anche quell'uffizio era per rubare. Fu egli condannato alle bestie, e
si dissipò tutta la ciurma de' suoi seguaci. Dione[1603] ci ha detto
che in questi tempi Severo ebbe qualche vittoria nella Bretagna.
Trovasi in fatti circa questi tempi ch'egli è chiamato in qualche
medaglia[1604] _Imperadore per la dodicesima volta_. Il padre
Pagi[1605], pieno sempre delle sue idee di quinquennali, decennali,
ec., sospettò ch'egli prendesse questo nome per cagion de' suoi
quindecennali; ma con opinione da non abbracciare, certo essendo, che
solamente per cagion di qualche vera o finta vittoria gli Augusti
replicavano il titolo d'_Imperadore_. Abbiamo assai lume da Dione per
credere che avendo i generali di Severo riportato qualche considerabil
vantaggio nella Bretagna, dove si era risvegliata la guerra, gli
accrescesse il suo titolario. Anche suo figliuolo Caracalla Augusto si
comincia a vedere _Imperadore per la seconda volta_.
NOTE:
[1602] Dio, lib. 76.
[1603] Dio, lib. 76.
[1604] Mediobarbus, in Numism. Imperat.
[1605] Pagius, in Critic. Baron.


Anno di CRISTO CCVIII. Indizione I.
ZEFIRINO papa 12.
SETTIMIO SEVERO imper. 16.
CARACALLA imperadore 11.
SETTIMIO GETA imperad. 1.
_Consoli_
MARCO AURELIO ANTONINO CARACALLA AUGUSTO per la terza volta e PUBLIO
SETTIMIO GETA CESARE per la seconda.

Allorchè _Geta_ entrò console nell'anno presente, egli non era
fregiato di altro titolo che di quello di _Cesare_. Che a lui in
quest'anno fosse conferita dal padre Augusto la _podestà tribunizia_,
sufficientemente si raccoglie delle medaglie[1606]. Che anche
ricevesse il titolo e l'autorità d'_Imperadore Augusto_, l'ho io bene
scritto nel titolo dall'anno presente, per conformarmi al Pagi e ad
altri che tengono tale opinione, ma con crederla nondimeno non esente
da dubbi, perchè qui compariscono imbrogli nelle medaglie. E il volere
il Pagi[1607] dedur ciò dai decennali di Caracalla Augusto celebrati
in quest'anno, sembrerà un lavorare sopra fondamenti non riconosciuti
finora stabili. Potrebbe nondimeno essere ch'egli fosse nell'anno
presente promosso a così eccelsa dignità; e certamente noi il troviamo
Augusto nel seguente. Erasi, come accennai, riaccesa la guerra nella
Bretagna, dove nondimeno niuna pace almen durevole era stata negli
anni addietro[1608]. Vennero lettere a Severo Augusto da quel cesareo
governatore, che i Britanni non sudditi faceano grande massa di armati
e scorrerie e saccheggi pel paese romano, e ch'egli abbisognava di
rinforzi e soccorsi, e parergli anche necessaria la presenza dello
stesso regnante. Già toccava l'imperador Severo gli anni della
vecchiaia, stava anche male ne' piedi o per la podagra, o per doglie
d'altra fatta. Contuttociò, a guisa di un baldanzoso e fresco
giovinetto, accolse con piacere questo invito, e determinò di portarsi
a quel ballo. Troppo di forza in lui avea l'appetito della gloria.
Avea trionfato de' popoli dell'Oriente, sospirava di poter anche
trionfare di quei dell'Occidente, e di procacciarsi il titolo di
_Britannico_. Oltre a ciò gli premeva forte di levare i figliuoli dal
lusso pericoloso di Roma, e dai soverchi divertimenti, per avvezzarli
alla frugalità e temperanza usata nelle armate, siccome di non lasciar
più lungamente marcir nell'ozio le milizie, le quali, al pari dei
cavalli, se non son tenute in esercizio, diventano rozze. Però in
quest'anno egli imprese il viaggio coi figliuoli, colla moglie
_Giulia_ e coll'esercito a quella volta. Per lo più si fece condurre
in lettiga, e volle far posate, perchè la sollecitudine nelle marcie
fu un suo ordinario costume, corrispondente al natural focoso, che in
tutte le azioni sue dava a conoscere. Dione[1609], secondo il suo
stile, anzi secondo l'uso universale degli storici di allora, vien
dicendo ch'egli andò, benchè con sicurezza di non dover tornare; e qui
sfodera una mano di augurii, e la di lui genitura che prediceva quanto
dipoi avvenne. Possiamo ben credere ch'egli, prima che terminasse il
corrente anno, passato felicemente il mare, arrivasse nella Bretagna,
dove cominciò a far dei preparamenti grandiosi, per far pentire quei
Barbari della loro insolenza.
NOTE:
[1606] Mediobarbus, in Numism. Imp.
[1607] Pagius, in Crit. Baron.
[1608] Herodianus, lib. 3.
[1609] Dio, lib. 76.


Anno di CRISTO CCIX. Indizione II.
ZEFIRINO papa 13.
SETTIMIO SEVERO imperad. 17.
CARACALLA imperadore 12.
SETTIMIO GETA imperad. 2.
_Consoli_
POMPEJANO ed AVITO.

Il Relando[1610] e il padre Stampa[1611] chiamano questi consoli
_Civica Pompejano_ e _Lolliano Avito_, fondati sopra una iscrizione
rapportata dal Gudio. Ma io, che non so fidarmi delle merci gudiane,
meglio ho riputato di mettere solamente i loro indubitati cognomi. Nè
serve il dire che Capitolino[1612] fa menzione di _Lolliano Avito
consolare_, in parlando di Pertinace. Quell'_Avito_, se di lui si
parlasse qui, il mireremmo appellato console _per la seconda volta_.
Arrivato[1613] che fu Severo Augusto nell'Isola Britannica, la sua
presenza e le poderose forze ch'egli avea condotto seco, misero lo
spavento in cuor di que' Barbari; e però non tardarono a spedirgli
degli ambasciatori, per giustificarsi e per chiedergli pace. Ma
Severo, che tanto s'era scomodato per andargli a trovare affin di
conseguire la gloria d'essere intitolato _Britannico_, non volea già
pace, ed unicamente cercava la guerra; perciò li rimandò colle mani
vuote, ed attese a mettersi in ordine con tutti gli attrezzi militari,
con ponti ed altri ordigni, per sottomettere il loro paese[1614].
Possedevano allora i Romani più della metà della Bretagna presa nella
sua lunghezza, che vuoi dire, tutta la parte meridionale, cioè il più
e il meglio di quella che oggidì appelliamo Inghilterra e Scozia,
giugnendo il dominio loro almen sino allo stretto di Edemburgo. Dione
ed Erodiano ci lasciarono una descrizione de' popoli che restavano
tuttavia esenti dal giogo romano, i principali de' quali erano i Meati
e i Calidonii, gente di costumi barbari, feroce e bellicosa, nudi
dalla cintura in su, col corpo dipinto, andando alla guerra armati
solamente d'una corta lancia, d'uno scudo e di spada da punta. Le loro
abitazioni erano sotto le tende fra aspre montagne e fra paludi,
perchè niuna città o borgo si trovava fra essi. Lasciò Severo il minor
suo figlino lo Geta per governatore del paese romano, con formargli un
consiglio di alcune savie persone; ed egli col figliuolo maggiore
Caracalla marciò alla guerra. Delle imprese sue dirò quel poco che
sappiamo all'anno seguente.
NOTE:
[1610] Reland., in Consul.
[1611] Stampa, Fast. Consul.
[1612] Capitolin., in Pertinace.
[1613] Herodian., lib. 5.
[1614] Dio, lib. 76.


Anno di CRISTO CCX. Indizione III.
ZEFIRINO papa 14.
SETTIMIO SEVERO imperad. 18.
CARACALLA imperad. 13.
SETTIMIO GETA imperad. 3.
_Consoli_
MANIO ACILIO FAUSTINO e TRIARIO RUFINO.

Intorno alla guerra fatta dall'Augusto Severo nella Bretagna, altro
non abbiamo da Erodiano[1615], se non che seguirono varie scaramucce
con quei Barbari, sfavorevoli per lo più ai Romani, perchè quella
gente non si univa giammai per venire ad una regolata battaglia, e
lavorava solamente d'insidie, ritirandosi ben tosto in salvo ne' folti
boschi e nelle frequenti paludi. Lo stesso viene attestato da
Dione[1616], scrivendo che Severo non diede in quelle parti battaglia
alcuna, nè vide mai schierati nemici, per far fatto d'armi: laonde non
si sa vedere, come il padre Pagi[1617] parli di molte vittorie da lui
riportate in questa spedizione. La maniera tenuta da quei Barbari
consisteva in esporre buoi o pecore, per tirare i soldati romani alla
preda, ed opprimerli all'improvviso; e guai se alcuno di essi Romani
si dilungava punto dal corpo dell'armata o restava indietro: era tosto
dai nemici ucciso o preso. Tra per questa guerra, e per le acque
malsane di quelle contrade, e le tante fatiche, ci assicura esso Dione
che vi perirono circa cinquantamila soldati romani. Nulladimeno
l'indefesso Severo volea andare innanzi. Le selve, che si opponevano,
le faceva tagliare; per le paludi apriva passaggi con terra portata; e
gittando ponti sui fiumi, li valicava, facendosi portar sempre in
lettiga a cagion della debolezza del corpo. Così arrivò sino al fine
della parte settentrionale di quella grand'isola, con osservar ivi la
diversità di quel clima dal nostro. Ma quivi le campagne erano
incolte[1618]; niuna fortezza, niuna città si trovava per via; sicchè
gli convenne tornar indietro alla fine con poco piacere. Pur queste
sue bravure cagion furono che i Britanni barbari tornarono a dimandar
pace, e l'ottennero con cedere una certa parte del paese ai Romani.
Allora fu che Severo[1619] tirò un nuovo muro, o pur rifece il vecchio
al confine del dominio romano, disputando tuttavia gli eruditi
Inglesi, per assegnare il sito d'esso muro e d'essi confini. Nulla di
ciò dice Dione, e neppur Erodiano. Per questi felici avvenimenti tanto
lo imperador Severo, quanto i suoi due figliuoli presero il titolo di
_Britannici_, ma senza ch'eglino fossero di nuovo _imperadori_, perchè
in fatti alcuna vittoria in battaglia campale non riportarono.
Ma queste felicità esteriori di Severo Augusto erano di soverchio
amareggiate da vari suoi interni disgusti ed affanni. Mirava egli nel
maggior de' suoi figli, cioè in _Caracalla_, che sempre più i vizii
gli toglievano la mano; imperciocchè anche in mezzo alle fatiche della
guerra egli si dava in preda alla libidine, e cresceva ogni dì più la
sua insolenza e petulanza. Quel che più l'affliggeva, si era potersi
oramai prevedere che il bisbetico umore di questo suo maggior
figliuolo avrebbe tolta la vita al minore, subito che avesse potuto. E
tanto più se ne persuase, da che s'avvide che Caracalla nudriva dei
neri pensieri contra la persona dello stesso suo padre, e se n'erano
anche veduti due brutti cenni. Un dì uscì Caracalla dalla tenda del
padre, gridando che _Castore_ l'avea ingiuriato. Era Castore il
migliore dei liberti di corte, mastro di camera del medesimo imperador
Severo, che in lui depositava tutti i suoi segreti. Stavano appostati
alcuni soldati al di fuori, che cominciarono anch'essi ad alzar la
voce contra di Castore, e a chiamar altri. Forse aveano qualche mal
animo, quando Severo, creduto da essi obbligato al letto, uscì fuori,
e fattili prendere, fece morire i più sediziosi. Ma questo fu un nulla
rispetto a ciò che avvenne nell'andar Caracalla col padre a trattar
coi nemici caledonii, già disposti a cedere e capitolare. Benchè
malconcio ne' piedi, marciava a cavallo Severo; e già si trovava quasi
in faccia ai nemici, quando Caracalla, che cavalcava a lato del padre,
fermò il cavallo, e sguainò la spada, per quanto fu creduto, con
disegno di cacciarla nelle reni al padre. Chi veniva dietro alzò
allora un grido, da cui atterrito Caracalla rimise tosto la spada nel
fodero: e Severo, che si voltò indietro a quel grido, ebbe tempo di
vedergliela in mano, ma allora non disse nè pure una parola. Fatto
ch'ebbe l'accordo coi Barbari, se ne tornò al campo, e chiamato
Caracalla nel suo padiglione, alla presenza di Papiniano prefetto del
pretorio, e del suddetto Castore, fece portar una spada nuda; e poi
cominciò a sgridare il figliuolo dell'orrido misfatto ch'egli avea
tentato, e in faccia de' nemici; aggiugnendo in fine, che se tale era
l'animo suo, se ne cavasse allora la voglia, giacchè egli era vecchio
ed infermo, e vivuto abbastanza. Che se non ardiva di ammazzarlo di
sua mano, lo ordinasse, siccome imperadore, a Papiniano prefetto, che
l'ubbidirebbe. Dovette Caracalla palliare, come potè, l'iniquo
attentato, e se la passò senza che il padre gli torcesse un capello. E
pur, soggiugne lo storico Dione, Severo più volte fu udito dir male di
Marco Aurelio, perchè non avea tolto dal mondo quella mala bestia di
Commodo; ed egli stesso talvolta si lasciò scappar di bocca, che
farebbe a Caracalla ciò che non volle far Marco Aurelio a Commodo. Ma
queste minacce gli uscivano dai denti, allorchè era in collera; e
passata questa, si trovava ch'egli volea più bene ai suoi figliuoli
che a tutta la repubblica romana. Con tuttociò neppur Severo amò i
suoi figliuoli come dovea, perchè assassinò il men cattivo figliuolo,
lasciandolo alla discrezion dello altro cattivissimo, tuttochè si
credesse ch'egli prevedesse di certo la di lui rovina.
NOTE:
[1615] Herodian., lib. 3.
[1616] Dio, lib. 76.
[1617] Pagius, in Crit. Baron.
[1618] Dio, lib. 76.
[1619] Spartianus, in Severo.


Anno di CRISTO CCXI. Indizione IV.
ZEFIRINO papa 15.
CARACALLA imperad. 14 e 1.
SETTIMIO GETA imperad. 4.
_Consoli_
GENZIANO e BASSO.

Abbiamo veramente una iscrizione presso il Panvinio[1620], riferita
anche dal Grutero[1621], che ci fa vedere _Quinto Epidio Rufo Lolliano