Annali d'Italia, vol. 1 - 27
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dal mondo, e di esservi scritta ella stessa, i due prefetti del
pretorio, _Partenio_ mastro di camera, ed altri della corte. Ad ognun
di essi comunicato l'affare, fu determinato di non perder tempo ad
eseguire il disegno.
Venne il dì 18 di settembre, in cui, secondo gli astrologi, temeva
Domiziano di essere ucciso. L'ora quinta della mattina, quella
specialmente, era di cui paventava. Però, dopo aver atteso nel
tribunale alla spedizione di alcuni processi, nel ritirarsi alle sue
stanze dimandò che ora era. Da taluno de' congiurati maliziosamente
gli fu detto, che era la sesta: perlochè tutto lieto, come se avesse
passato il pericolo, si ritirò nella sua camera per riposare.
_Partenio_, mastro di camera, entrò da lì a poco per dirgli, che
_Stefano_ liberto e mastro di casa dell'ucciso Flavio Clemente,
desiderava di parlargli per affare di somma importanza. Costui siccome
uomo forte di corpo, e che odiava sopra gli altri Domiziano per la
morte data al suo padrone, era scelto dai congiurati per fare il
colpo. Ne' giorni addietro aveva egli finto di aver male al braccio
sinistro, e lo portava con fascia pendente dal collo. Entrato egli in
tal positura, presentò a Domiziano una carta, contenente l'ordine di
una congiura che si fingeva tramata contra di lui, col nome di tutti i
congiurati. Mentre era l'imperadore attentissimo a leggerla, Stefano
gli diede di un coltello nella pancia. Gridò Domiziano aiuto: un suo
paggio corse al capezzale del letto, per prendere il pugnale, oppure
la spada, nè vi trovò che il fodero, e tutti gli uscii erano
chiusi[663]. Ma perchè la ferita non era mortale, Domiziano s'avventò
a Stefano, si ferì le dita nel volergli prendere il coltello, ed
abbrancolatisi insieme caddero a terra. _Partenio_, temendo che
Domiziano la scappasse, aperta la porta, mandò dentro Clodiano
Corniculario, Massimo suo liberto, e Saturio capo de' camerieri, ed
altri che con sette ferite il finirono. Ma entrati altri, che nulla
sapeano della congiura, e trovato Stefano in terra, l'uccisero. In
questa maniera, cioè col fine ordinario dei tiranni terminò sua vita
Domiziano, in età di anni quarantacinque. Del suo corpo niuno si prese
cura, fuorchè Filide sua nutrice, che segretamente in una bara plebea
lo fece portare ad una sua casa di campagna, e dopo averlo fatto
bruciare, secondo l'uso d'allora, seppe farne mettere le ceneri, senza
che alcuno se ne avvedesse, nel tempio della casa Flavia, mischiandole
con quelle di _Giulia Sabina Augusta_, figliuola di Tito imperadore
suo fratello[664]. Fu questa Giulia maritata da esso Tito a _Flavio
Sabino_ suo cugino germano; ma invaghitosene, Domiziano, vivente
ancora Tito, l'ebbe alle sue voglie. Divenuto poi imperadore, dopo
aver fatto uccidere il di lei marito, pubblicamente la tenne presso di
sè, con darle il titolo di Augusta, e farle un tal trattamento che
alcuni la credettero sposata da lui[665]. Ma, perchè gravida del
marito egli volle farla abortire, cagion fu di sua morte. Non ho detto
fin qui, ma dico ora che Domiziano nella libidine non la cedette ad
alcuno de' più viziosi. Nè occorre dire di più.
Quanto al basso popolo di Roma[666], non mostrò egli nè gioia nè
dolore per la morte di sì micidial regnante, perchè sfogavasi di
ordinario il di lui furore solamente sopra i grandi, nè toccava i
piccoli. I soldati sì ne furono in grande affanno e rabbia, perchè
sempre ben trattati, e smoderatamente arricchiti da lui; però voleano
tosto correre a farne vendetta: ma i lor capitani ne frenarono que'
primi furiosi movimenti, benchè non potessero dipoi impedire quanto
soggiugnerò appresso. All'incontro il senato, contra di cui
specialmente era infierito Domiziano, ne fece gran festa, il caricò di
tutti i titoli più obbrobriosi, ed ordinò che si abbattessero la sue
statue, e i suoi archi trionfali[667]; si cancellasse il di lui nome
in tutte le iscrizioni, cassando anche generalmente ogni suo decreto.
Ancorchè Domiziano non si dilettasse delle lettere e delle arti
liberali, a solamente si conti ch'egli gran cura ebbe di rimettere in
piedi le biblioteche bruciate di Roma, con raccogliere[668] libri da
ogni parte, e farne copiare assaissimi da quella di Alessandria: pure
fiorirono a' suoi tempi vari insigni filosofi, fra' quali massimamente
risplendè _Epitteto_, i cui utili insegnamenti restano tuttavia, ed
_Apollonio Tianeo_, la cui vita, scritta da _Filostrato_, è piena di
favole. Fiorirono anche in Roma l'eccellente maestro della eloquenza
_Marco Fabio Quintiliano_, e _Marco Valerio Marziale_, poeta rinomato
per l'ingegno, infame per gli suoi troppo licenziosi epigrammi. Erano
amendue nativi di Spagna. Vissero parimente in que' tempi _Cajo
Valerio Flacco, Cajo Silio Italico_, de' quali abbiamo tuttavia i
poemi, ma di gusto cattivo; e _Decimo Giunio Giuvenale_, autor delle
satire, poco certamente modeste, ma assai ingegnose e degne di stima.
Terminata dunque la tragedia di Domiziano, cominciò Roma, e seco
l'imperio romano, liberato da questo mostro, a respirare, e tornarono
i buoni giorni per l'assunzione al trono imperiale di _Marco Coccejo
Nerva_. Era nato Nerva, per quanto ne scrive Dione[669], nell'anno 32
dell'era nostra, di nobilissimo casato. L'onestà dei suoi costumi, la
sua aria dolce e pacifica, la sua rara saviezza, prudenza ed
inclinazione al ben del pubblico, il faceano amare e rispettar da
chicchessia. Queste sue belle doti gli ottennero due volte il
consolato, cioè nell'anno 71 e nel 90. Mancava a lui solamente un
corpo robusto, e una buona sanità, essendo stato debolissimo lo
stomaco. Non si accordano gli storici in certe particolarità della sua
vita negli ultimi anni di Domiziano. Filostrato[670] vuole che venuto
a Roma Apollonio Tianeo, gl'insinuasse di liberar la patria dalla
tirannia di Domiziano, ma ch'egli non ebbe tanto coraggio. Aggiugne
che Domiziano il mandò in esilio a Taranto; ed Aurelio Vittore[671]
scrive, che Nerva si trovava ne' Sequani, cioè nella Franca Contea,
allorchè trucidato fu Domiziano, e che per consentimento delle legioni
prese l'imperio. Ben più credibile a noi sembrerà ciò che lasciò
scritto Dione, cioè, che Domiziano, giù da noi veduto persecutore di
chiunque o per le sue buone qualità, o per relazion degli astrologi,
era creduto potergli succedere nell'imperio, meditò ancora di levar
Nerva dal mondo, e l'avrebbe fatto, se uno strologo amico di lui non
avesse detto a Domiziano, che Nerva attempato e mal sano era per
morire fra pochi giorni. Nè Dione parla punto di esilio; anzi suppone
ch'egli si trovasse in Roma nel tempo dell'uccision di Domiziano, e
che passasse di concerto coi congiurati, consentendo che si togliesse
la vita a lui, giacchè senza di questo egli più non istimava sicura la
propria. Estinto dunque il tiranno, fu alzato al trono cesareo _Marco
Coccejo Nerva_, che certo non era lungi da Roma, per opera[672]
specialmente di _Petronio Secondo_ prefetto del pretorio, e di
_Partenio_ principal autore della morte di Domiziano, con approvazione
di tutto il senato e plauso del popolo. Ma eccoti alzarsi un rumore e
una voce, che Domiziano era vivo, e fra poco comparirebbe[673]. Nerva
di natural timido allora mutò colore, perdè la favella, nè più sapea
in qual mondo si fosse. Ma Partenio, che coi suoi occhi avea veduto le
ferite e gli ultimi respiri dell'estinto Domiziano, lo incoraggiò, e
rimise in sella. Andò pertanto Nerva a parlare ai soldati per
quietarli, e promise loro il donativo solito nell'assunzion de' nuovi
imperadori. Di là poscia passò al senato, dove ricevette gli
abbracciamenti gioviali, e i complimenti cordiali di cadauno de'
senatori. Non vi fu se non _Arrio Antonino_, avolo materno di Tito
Antonino poscia imperadore, suo sviscerato amico, il quale
abbracciatolo gli disse, che ben si rallegrava col senato e popolo
romano, e colle provincie per sì degna elezione, ma non già con lui;
perchè meglio per lui sarebbe stato il vivere paziente sotto principi
cattivi, che assumere un peso sì grave, ed esporsi a tanti pericoli ed
inquietudini, col mettersi fra i nemici, che mai non mancano, e fra
amici, i quali credendo di meritar tutto, se non ottengono quel che
vogliono, diventano più implacabili degli stessi nemici. Contuttociò
Nerva fattosi coraggio, prese le ridini del governo, e si accinse a
sostener con decoro la sua dignità, siccome ancora a restituire al
senato il primier suo decoro, e la quiete e l'allegria ai popoli.
Vivente ancora Domiziano, e non per anche cessata la persecuzione da
lui mossa a' Cristiani, _sant'Anacleto_ papa coronò la sua vita col
martirio o nel precedente, o piuttosto nel presente anno; ed ebbe per
successore nel pontificato romano _Evaristo_.
NOTE:
[656] Plinius, in Panegyrico, et lib. 7, Epist. 14.
[657] Tacitus, in Vita Agricolae, cap. 2.
[658] Sueton., in Domitiano, cap. 15.
[659] Dio, lib. 67.
[660] Sueton., in Domitiano, cap. 16.
[661] Dio, lib. 67.
[662] Dio, lib. 67.
[663] Dio, lib. 67. Sueton., in Domitiano, c. 17.
[664] Sueton., in Domitiano, cap. 22.
[665] Philostratus, in Apollon. Tyan., lib. 7.
[666] Sueton., in Domitiano, c. 23.
[667] Dio, lib. 67.
[668] Sueton., in Domitiano, cap. 24.
[669] Dio, lib. 68.
[670] Philostrat., in Vita Apollonii, lib. 7.
[671] Aurel. Vict., in Epit.
[672] Eutrop., in Brev. Dio, lib. 68.
[673] Aurel. Vict., in Epit.
Anno di CRISTO XCVII. Indiz. X.
EVARISTO papa 2.
NERVA imperadore 2.
_Consoli_
MARCO COCCEJO NERVA AUGUSTO per la terza volta, e LUCIO VIRGINIO RUFO
per la terza.
Vari altri consoli l'un dietro l'altro si credono dall'Almeloven
sostituiti in quest'anno, fra gli altri certo è che _Cornelio Tacito_
istorico, siccome osservò anche Giusto Lipsio, succedette a
_Virginio_, o sia _Verginio Rufo_. Tal notizia abbiamo da Plinio il
giovane[674]. Era Virginio Rufo quel medesimo che nell'anno 68 ricusò
più di una volta l'imperio, datogli in Germania dai soldati.
Gloriosamente avea egli menata fin qui la sua vita, senza incorrere in
alcuna disgrazia, rispettandolo ognuno, e fin quella bestia di
Domiziano, e serbando quell'animo grande, ch'era stato superiore
agl'imperi. Nerva anch'egli volle far conoscere a lui ed al pubblico,
quanta stima ne facesse con crearlo suo collega nel consolato. Abbiam
di certo da Plinio suddetto, che questo fu il _Terzo consolato_ di
esso Virginio: al che non fece riflessione il padre Stampa[675],
quantunque il cardinal Noris[676] ed altri lo avessero avvertito, e si
raccolga eziandio da Frontino e dai Fasti d'Idacio. Fu egli sotto
Nerone nell'anno 63 per la prima volta console ordinario. Credesi che
nell'anno 69 gli toccasse il secondo consolato, ma straordinario,
sotto Ottone Augusto. Intorno al prenome di Rufo s'è disputato. Chi
_Tito_, chi _Pubblio_ l'ha voluto. È più probabile _Lucio_. Ora per la
terza volta creato console nell'anno presente, siccome c'insegna
Plinio il giovane, mentre sul principio dell'anno si preparava a
recitare in senato il rendimento di grazie a Nerva per la dignità a
lui conferita, essendo in età di ottantatrè anni, colle mani tremanti,
e stando in piedi, gli cadde il libro di mano; e nel volerlo
raccogliere gli sdrucciolò il piede pel pavimento liscio e lubrico, in
maniera che si ruppe una coscia. Non essendosi questa ben ricomposta o
riunita, dopo qualche tempo se ne morì, e gli furono fatti solenni
funerali, mentre era console _Cornelio Tacito_, eloquentissimo oratore
e storico, il qual fece l'orazione funebre in sua lode. Scrive il
medesimo Plinio, che questo Virginio Rufo era nato in una città
confinante alla sua patria Como.
Dacchè l'Augusto Nerva si vide sufficientemente assodato sul trono,
fece tosto sentire il suo benefico genio a Roma e a tutto il romano
imperio[677]. Richiamò dall'esilio una copia grande di nobili, che
aveano patito naufragio sotto il precedente tirannico governo, ed
abolì tutti i processi di lesa maestà. E perciocchè questi erano
proceduti da mere calunnie, perseguitò i calunniatori, e fece morir
quanti servi e liberti si trovarono aver intentate accuse contra dei
loro padroni, proibendo con rigoroso editto a tal sorta di persone
l'accusare da lì innanzi i padroni. Vietò parimente l'accusar
chicchessia d'empietà, e di seguitare i riti giudaici: il che vuol
dire ch'egli estinse la persecuzione mossa de' Cristiani, che dai
Pagani venivano tuttavia confusi coi Giudei. Perciocchè per conto de'
Giudei era loro permesso l'osservar la lor legge. Quanti preziosi
mobili si trovarono nell'imperial palazzo, ingiustamente tolti da
Domiziano, furono da lui con tutta prontezza restituiti. Non volle
permettere che si facessero statue d'oro e d'argento (se pur non erano
dorate o inargentate) in onor suo, abuso dianzi assai gradito da
Domiziano. A que' cittadini romani che si trovavano in gran povertà,
assegnò terreni, ch'egli fece comperare, di valore di un milione e
mezzo di dramme, con deputare alcuni senatori che ne facessero la
divisione. Perchè trovò smunto affatto l'erario, vendè, a riserva
delle cose necessarie, tutti i vasi d'oro o d'argento ed altri mobili,
tanto suoi particolari, che della corte, e parecchi poderi e case, con
usar anche liberalità ai compratori. E ciò non per covare in cassa il
danaro, ma per dispensarlo al popolo romano, apparendo dalle
medaglie[678] che egli distribuì due volte nel breve corso del suo
governo danari e grano. Giurò che d'ordine suo non si farebbe mai
morire alcuno de' senatori; e quantunque un di essi fosse convinto di
aver congiurato contra di lui, pure altro mal non gli fece che di
cacciarlo in esilio. Fu da lui confermata la legge che non si
potessero far eunuchi; e proibito il prendere in moglie le nipoti.
Attese ancora al risparmio, dopo aver conosciuto il gran male
provenuto dallo scialacquamento esorbitante di Domiziano. Levò dunque
via molti sagrifizii, molti giuochi ed altri non pochi spettacoli, che
costavano somme immense[679]. Soppresse tutto ciò ch'era stato
aggiunto agli antichi tributi a titolo di pena contro quei ch'erano
morosi al pagamento; siccome ancora le vessazioni ed angarie
introdotte contro ai Giudei, nell'esigere le lor imposte. Le città
oppresse da troppe gravezze ebbero sollievo da lui; ed ordinò che per
tutte le città d'Italia si alimentassero alle spese del pubblico gli
orfani dell'uno e dell'altro sesso, nati da poveri genitori, ma
liberti: carità continuata anche dai susseguenti buoni imperadori,
anzi accresciuta, come apparisce dalle antiche iscrizioni. Ristrinse
ancora l'imposta della vigesima per le eredità e per gli legati,
introdotta da Augusto. Fra le lettere di Plinio il giovane[680] si
trova un editto di questo imperadore, che assai esprime quanta fosse
la di lui bontà, con dir egli _che ciascuno de' suoi concittadini
poteva assicurarsi, aver egli preferita la sicurezza di tutti alla
propria quiete, e non aver altro in animo che di far di buon cuore de'
nuovi benefizii, e di conservare i già fatti da altri. E però per
levar dal cuore d'ognuno la paura di perdere quel che aveano
conseguito sotto altri Augusti, o doverne cercar la conferma con delle
preghiere d'oro, dichiarava che senza bisogno di nuovi ricorsi,
chiunque godeva avesse da godere; perchè egli volea solamente
attendere a dispensar grazie e benefizii nuovi a chi non avea finora
goduto_.
E pure con un principe sì buono, il cui dolce e salutevol governo
tanto più dovea prezzarsi, quanto più si paragonava col barbarico
precedente, non mancarono nobili romani che tramarono una
congiura[681]. Capo di essi fu _Calpurnio_ senatore dell'illustre
famiglia de' _Crassi_: degli altri non si sa il nome. Con esorbitanti
promesse di danaro sollecitava egli alla rivolta i soldati. Scoperta
la mina, Nerva il fece sedere presso di sè assistendo ai giuochi de'
gladiatori, e nella stessa guisa che vedemmo operato da Tito, allorchè
gli furono presentate le spade di quei combattenti, le diede in mano a
Crasso, acciocchè osservasse, se erano ben affilate, mostrando in ciò
di non paventar la morte. Fu processato e convinto _Crasso_: tuttavia
Nerva per mantener la sua parola di non uccidere senatori, altro
gastigo non gli diede che di relegar lui e la moglie a Taranto. Fu
biasimata dal senato sì grande indulgenza in caso di tanta importanza,
e in altri ancora, perchè egli non sapea far male ai grandi, benchè
sel meritassero[682]. Trovavasi un dì alla sua tavola _Vejento_ o sia
_Vejentone_, già console, uomo scellerato, che sotto Domiziano era
stato la rovina di molti. Cadde il ragionamento sopra _Catullo
Messalino_, che nell'antecedente governo tutti avea assassinati colle
sue accuse e colla sua crudeltà, ed era già morto. _Se costui_, disse
allora Nerva, fosse _tuttavia vivo, che sarebbe di lui? Giunio
Maurico_, uomo di gran petto, di egual sincerità, e uno dei commensali
immantinente rispose: _Con esso noi sarebbe a questa tavola_. Ma
quello che maggiormente sconcertò Nerva, fu l'attentato d'_Eliano
Casperio_, creato non so se da lui, o pur da Domiziano, prefetto del
pretorio, cioè capitan delle guardie. O sia che costui movesse i
soldati, o che fosse incitato da loro, certo è, che un dì formata una
sollevazione andarono tutti al palazzo[683], chiedendo con alte grida
il capo di coloro che aveano ucciso Domiziano. A tal dimanda si trovò
in una somma costernazione Nerva; contuttociò parendogli che non fosse
mai da comportare il dar loro in mano chi avea liberata la patria da
un tiranno, ed era stato cagione del proprio suo innalzamento,
coraggiosamente negò loro tal soddisfazione, dicendo che se si voleano
sfogare, piuttosto colla sua testa cadesse il loro sdegno. Ma costoro
senza fermarsi per questo, e con disprezzo all'autorità imperiale,
corsero a prendere _Petronio Secondo_, già prefetto del pretorio, e lo
svenarono. Altrettanto fecero a _Partenio_ già maestro di camera di
Domiziano, trattandolo anche più ignominiosamente dell'altro. E
_Casperio_, divenuto più insolente, obbligò Nerva di lodar
quest'azione al popolo raunato, e di protestarsi obbligato ai soldati,
perchè avessero tolta la vita ai maggiori ribaldi che si avesse la
terra.
Una sì atroce insolenza de' pretoriani servì a far meglio conoscere a
Nerva, ch'egli, stante la sua vecchiaia e poca sanità, non potea
sperare l'ubbidienza ed il rispetto dovuto al suo grado, e piuttosto
dovea temerne degli altri oltraggi. Il perchè da uomo saggio pensò di
fortificar la sua autorità, con associare all'imperio una persona che
fosse non men forte d'animo, che vigorosa di corpo. E siccome egli non
avea la mira se non al pubblico bene, desiderava di scegliere il
migliore di tutti[684], così dopo maturo esame, e consigliato anche da
_Lucio Licino Sura_, senza punto badare ai molti parenti, che avea
(giacchè non si sa ch'egli avesse mai moglie) fermò i suoi pensieri
sopra Marco Ulpio Trajano, generale allora dell'armi romane nella
Germania. Era questi di nazione spagnuolo, perchè nato in Italica
città della Spagna, come si raccoglie da Dione[685] e da
Eutropio[686], benchè Aurelio Vittore[687] il dica venuto alla luce in
Todi; nè alcuno finora avea ottenuto l'imperio, che non fosse nato in
Roma o nel vicinato: contuttociò Nerva fu di sentimento, che per
iscegliere chi dovea governare un sì vasto imperio, si avea da
considerare più che la nazione, l'abilità e la virtù. Pertanto in
occasion di una vittoria riportata nella Pannonia, fatto raunare il
popolo nel Campidoglio nel dì 18 settembre, come alcuni vogliono[688],
o piuttosto nel dì 27 o 28 di ottobre, come pretendono altri, ad alta
voce dichiarò ch'egli adottava per suo figliuolo _Marco Ulpio Nerva
Trajano_, a cui il senato diede nel giorno stesso il titolo di
_Cesare_ e di _Germanico_, e scrisse di suo proprio pugno, avvisandolo
di tale elezione[689]. Fors'anche, secondo alcuni, non era pervenuta
questa nuova a Trajano, soggiornante allora in Colonia, che Nerva il
proclamò _Imperadore_[690], conferendogli la tribunizia podestà, ma
non già il titolo d'_Augusto_; cioè il creò suo collega nell'imperio.
Può essere che ciò avvenisse alquanto più tardi. Almen certo è che il
disegnò console per l'anno seguente. Il merito assai conosciuto di
Trajano, che era stato console nell'anno 94, ed avea avuto il padre,
stato anch'esso console (non si sa in qual anno) fece che ognuno
ricevesse con plauso una sì bella elezione, e cessasse ogni
sollevazione e tumulto in Roma. Si trovava allora Trajano nel maggior
vigore della virilità, perchè in età di circa quarantaquattro anni.
NOTE:
[674] Plinius, lib. 2, ep. 1.
[675] Stampa sul Fastos Consul. Sig.
[676] Noris, Epistol. Consul.
[677] Dio, lib. 68.
[678] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
[679] Aurel. Vict., in Epit.
[680] Plinius, lib. 10, Epist. 66.
[681] Dio, lib. 68. Aurelius Victor, in Epitome.
[682] Plinius, lib. 4, Ep. 22. Aur. Vict., in Epit.
[683] Plinius, in Panegyr.
[684] Aurelius Victor, in Epitome.
[685] Dio, lib 68.
[686] Eutr., in Brev.
[687] Aurel. Vict., in Epitome.
[688] Panvin., Petav., Pagius, Dodwellus, Fabrett., Tillem.
[689] Plinius, in Panegyrico.
[690] Euseb., in Chron.
Anno di CRISTO XCVIII. Indiz. XI.
EVARISTO papa 3.
TRAJANO imperadore 1.
_Consoli_
MARCO COCCEJO NERVA AUGUSTO per la quarta volta, e MARCO ULPIO TRAJANO
per la seconda.
Credesi che a questi consoli ne fossero sostituiti degli altri nelle
calende di luglio, ma quali noi possiamo sapere di certo. Poco
sopravvisse il buon imperadore Nerva, nè già sussiste, come taluno ha
pensato, ch'egli deponesse l'imperio. Riscaldossi egli un giorno forte
in gridando contra di un certo Regolo[691], che doveva aver commessa
qualche iniquità, di modo che, quantunque fosse di verno, sudò; e
questo raffreddatosegli addosso, gli cagionò una tal febbre, che fu
bastante a levarlo di vita. Aurelio Vittore gli dà sessantatre anni
d'età[692], Dione sessantacinque[693] Eutropio settantuno[694], ed
Eusebio settantadue[695]. Comunque sia, lasciò egli anche dopo sì
corto governo un glorioso nome a cagion delle sue lodevoli azioni di
bontà e saviezza; azioni tali, ch'egli ebbe a dire di non sapere
d'aver operata cosa, per cui, quando anch'egli avesse deposto
l'imperio, non avesse da vivere quieto e sicuro nella vita privata. Ma
nulla certo gli acquistò più credito e gloria, che l'aver voluto per
successore nell'imperio un _Trajano_, che poi divenne il modello de'
principi ottimi. Con funerale magnifico fu portato il suo corpo, o
vogliam dire le ceneri ed ossa sue, dal senato, nel mausoleo
d'Augusto. Intorno al giorno di sua morte disputano gli eruditi.
Inclinano i più a credere che questa avvenisse nel gennaio dell'anno
presente, e nel dì 27; Aurelio Vittore scrive che quel giorno, in cui
egli mancò di vita, fu un ecclissi del sole. Secondo i conti del
Calvisio si eclissò il sole nel dì 21 di marzo di quest'anno; ma non
s'accorda ciò con chi[696] gli dà sedici mesi e nove o dieci giorni
d'imperio. Sappiamo bensì da Eusebio[697], dalle medaglie[698], e
dalle iscrizioni[699], che Nerva per decreto del senato fu alzato
all'onore degli dii, e che Trajano non mai stanco di mostrar la sua
gratitudine a questo buon principe e padre, che l'avea alzato al
trono, alzò anch'egli a lui dei templi, secondo la cieca superstizione
e temerità del gentilesimo. Allorchè terminò Nerva i suoi giorni,
_Publio Elio Adriano_, che fu poi imperadore, giovane allora ed
amicissimo, anzi parente di Trajano, lasciato già da suo padre sotto
la tutela di lui[700], si trovava nella Germania superiore. Arrivata
colà la nuova della morte di Nerva, Adriano volle essere il primo a
portarla a Trajano, dimorante allora in Colonia; e tuttochè _Serviano_
di lui cognato cercasse d'impedirglielo, con fare segretamente rompere
il di lui calesse, per aver egli l'onore di far penetrar con sua
lettera il lieto avviso a Trajano: nondimeno Adriano camminando a
piedi, prevenne il messagger di Serviano. Ricevute poi che ebbe
Trajano[701] le lettere del senato, gli rispose di suo pugno, co'
dovuti ringraziamenti, fra l'altre cose promettendo, che nulla mai
farebbe contro la vita e l'onore delle persone dabbene; il che poscia
confermò con suo giuramento. Mentr'egli tuttavia si trovava in quelle
parti, o certo prima di tornarsene a Roma, chiamò a sè _Eliano
Casperio_ prefetto del pretorio e i soldati da lui dipendenti, facendo
vista di volersi valere di lui in servigio della repubblica. Nerva in
ragguagliarlo della elezione sua, l'avea particolarmente incaricato di
far le sue vendette contra d'esso Casperio, e di quelle milizie che
ammutinate gli aveano fatto, siccome dicemmo, un sì grave affronto.
Trajano l'ubbidì. Tolta fu a Casperio la vita e a quanti pretoriani si
trovò che avevano avuta parte in quella sedizione. Comandava allora ad
una possente armata Trajano, nè v'è apparenza ch'egli nell'anno
presente venisse a Roma, ma bensì che egli si trattenesse in quelle ed
anche in altre parti per dare un buon sesto ai confini dell'imperio e
alla quiete delle provincie[702]. Sparsasi nelle nazioni germaniche la
fama che Trajano era divenuto imperadore ed Augusto, tale già correa
la rinomanza e la stima del di lui valore e senno anche fra quelle
barbare genti, che ognun fece a gara per ispedirgli dei deputati e
chiedergli supplichevolmente la continuazion della pace. Erano soliti
i Tedeschi nel verno, allorchè il Danubio gelato si potea passare a
piedi, di venir ai danni dei Romani. Nel verno di quest'anno non si
lasciarono punto vedere. Trovavasi in quelle contrade Trajano, e
tuttochè le sue legioni facessero istanza di valicar quel fiume, per
dare addosso ai Tedeschi, tuttavia egli nol permise. Una delle sue
principali applicazioni era stata, e maggiormente fu in questi tempi,
di ristabilire l'antica disciplina, l'amor della fatica, e
l'ubbidienza nella milizia romana; ed egli stesso, con trattar
civilmente tutti gli uffiziali e soldati, si conciliò più che prima
l'amore e il rispetto d'ognuno.
NOTE:
[691] Aurel. Vict., in Epit. Tillem., Mém. Hist. Pagius, Crit. Bar.
[692] Aurel. Victor, in Epitome.
[693] Dio, lib 68.
[694] Eutrop., in Breviar.
[695] Eusebius, in Chron.
[696] Dio, lib. 68. Eutropius, in Brev.
[697] Eusebius, in Chron.
[698] Mediobarb., in Numism. imperator.
[699] Gruter., Thesaur. Insc.
[700] Spartianus, in Hadriano.
[701] Dio, lib. 67.
[702] Plinius, in Panegyr.
Anno di CRISTO XCIX. Indizione XII.
EVARISTO papa 4.
TRAJANO imperadore 2.
_Consoli_
AULO CORNELIO PALMA e CAJO SOSIO SENECIONE.
Erano questi consoli due de' migliori nobili che si avesse allora il
senato romano, e particolarmente godevano della stima ed amicizia di
Trajano. Aveano costumato alcuni de' precedenti Augusti di prender
essi il consolato nelle prime calende di gennaio, susseguenti alla
loro assunzione, cessando perciò i consoli disegnati[703]. Trajano,
tra perchè non si pasceva di fumo, e perchè gli affari non gli
permettevano di trovarsi all'apertura dell'anno nuovo in Roma, ricusò
nell'anno precedente l'onore del consolato offertogli dal senato,
secondo lo stile, e volle che entrassero i due consoli sopraddetti.
Verisimilmente venuta che fu la primavera, fu il tempo in cui egli
dalla Germania s'inviò a Roma. Ben diverso fu il suo passaggio da quel
di Domiziano. Quello era un saccheggio delle città, dovunque passava
egli colle sue truppe. Trajano, benchè scortato da più legioni, con
tal disciplina, con sì bel regolamento faceva marciare e riposar la
sua gente, che diventò lieve ai popoli quel militare aggravio. Abbiamo
ancora da Plinio l'entrata di Trajano in Roma. Fu ben lieto quel
giorno al veder venire un buon principe, non già orgoglioso sopra un
carro trionfale, o portato dagli uomini, come costumò alcuno de' suoi
antecessori, ma a piedi e in abito modesto; che non accoglieva con
fronte alta e superba, chi gli si presentava, per rallegrarsi con lui
e per ossequiarlo; ma bensì gli abbracciava e baciava tutti, come suoi
cari concittadini e fratelli. Andò al Campidoglio, e poscia al
pretorio, _Partenio_ mastro di camera, ed altri della corte. Ad ognun
di essi comunicato l'affare, fu determinato di non perder tempo ad
eseguire il disegno.
Venne il dì 18 di settembre, in cui, secondo gli astrologi, temeva
Domiziano di essere ucciso. L'ora quinta della mattina, quella
specialmente, era di cui paventava. Però, dopo aver atteso nel
tribunale alla spedizione di alcuni processi, nel ritirarsi alle sue
stanze dimandò che ora era. Da taluno de' congiurati maliziosamente
gli fu detto, che era la sesta: perlochè tutto lieto, come se avesse
passato il pericolo, si ritirò nella sua camera per riposare.
_Partenio_, mastro di camera, entrò da lì a poco per dirgli, che
_Stefano_ liberto e mastro di casa dell'ucciso Flavio Clemente,
desiderava di parlargli per affare di somma importanza. Costui siccome
uomo forte di corpo, e che odiava sopra gli altri Domiziano per la
morte data al suo padrone, era scelto dai congiurati per fare il
colpo. Ne' giorni addietro aveva egli finto di aver male al braccio
sinistro, e lo portava con fascia pendente dal collo. Entrato egli in
tal positura, presentò a Domiziano una carta, contenente l'ordine di
una congiura che si fingeva tramata contra di lui, col nome di tutti i
congiurati. Mentre era l'imperadore attentissimo a leggerla, Stefano
gli diede di un coltello nella pancia. Gridò Domiziano aiuto: un suo
paggio corse al capezzale del letto, per prendere il pugnale, oppure
la spada, nè vi trovò che il fodero, e tutti gli uscii erano
chiusi[663]. Ma perchè la ferita non era mortale, Domiziano s'avventò
a Stefano, si ferì le dita nel volergli prendere il coltello, ed
abbrancolatisi insieme caddero a terra. _Partenio_, temendo che
Domiziano la scappasse, aperta la porta, mandò dentro Clodiano
Corniculario, Massimo suo liberto, e Saturio capo de' camerieri, ed
altri che con sette ferite il finirono. Ma entrati altri, che nulla
sapeano della congiura, e trovato Stefano in terra, l'uccisero. In
questa maniera, cioè col fine ordinario dei tiranni terminò sua vita
Domiziano, in età di anni quarantacinque. Del suo corpo niuno si prese
cura, fuorchè Filide sua nutrice, che segretamente in una bara plebea
lo fece portare ad una sua casa di campagna, e dopo averlo fatto
bruciare, secondo l'uso d'allora, seppe farne mettere le ceneri, senza
che alcuno se ne avvedesse, nel tempio della casa Flavia, mischiandole
con quelle di _Giulia Sabina Augusta_, figliuola di Tito imperadore
suo fratello[664]. Fu questa Giulia maritata da esso Tito a _Flavio
Sabino_ suo cugino germano; ma invaghitosene, Domiziano, vivente
ancora Tito, l'ebbe alle sue voglie. Divenuto poi imperadore, dopo
aver fatto uccidere il di lei marito, pubblicamente la tenne presso di
sè, con darle il titolo di Augusta, e farle un tal trattamento che
alcuni la credettero sposata da lui[665]. Ma, perchè gravida del
marito egli volle farla abortire, cagion fu di sua morte. Non ho detto
fin qui, ma dico ora che Domiziano nella libidine non la cedette ad
alcuno de' più viziosi. Nè occorre dire di più.
Quanto al basso popolo di Roma[666], non mostrò egli nè gioia nè
dolore per la morte di sì micidial regnante, perchè sfogavasi di
ordinario il di lui furore solamente sopra i grandi, nè toccava i
piccoli. I soldati sì ne furono in grande affanno e rabbia, perchè
sempre ben trattati, e smoderatamente arricchiti da lui; però voleano
tosto correre a farne vendetta: ma i lor capitani ne frenarono que'
primi furiosi movimenti, benchè non potessero dipoi impedire quanto
soggiugnerò appresso. All'incontro il senato, contra di cui
specialmente era infierito Domiziano, ne fece gran festa, il caricò di
tutti i titoli più obbrobriosi, ed ordinò che si abbattessero la sue
statue, e i suoi archi trionfali[667]; si cancellasse il di lui nome
in tutte le iscrizioni, cassando anche generalmente ogni suo decreto.
Ancorchè Domiziano non si dilettasse delle lettere e delle arti
liberali, a solamente si conti ch'egli gran cura ebbe di rimettere in
piedi le biblioteche bruciate di Roma, con raccogliere[668] libri da
ogni parte, e farne copiare assaissimi da quella di Alessandria: pure
fiorirono a' suoi tempi vari insigni filosofi, fra' quali massimamente
risplendè _Epitteto_, i cui utili insegnamenti restano tuttavia, ed
_Apollonio Tianeo_, la cui vita, scritta da _Filostrato_, è piena di
favole. Fiorirono anche in Roma l'eccellente maestro della eloquenza
_Marco Fabio Quintiliano_, e _Marco Valerio Marziale_, poeta rinomato
per l'ingegno, infame per gli suoi troppo licenziosi epigrammi. Erano
amendue nativi di Spagna. Vissero parimente in que' tempi _Cajo
Valerio Flacco, Cajo Silio Italico_, de' quali abbiamo tuttavia i
poemi, ma di gusto cattivo; e _Decimo Giunio Giuvenale_, autor delle
satire, poco certamente modeste, ma assai ingegnose e degne di stima.
Terminata dunque la tragedia di Domiziano, cominciò Roma, e seco
l'imperio romano, liberato da questo mostro, a respirare, e tornarono
i buoni giorni per l'assunzione al trono imperiale di _Marco Coccejo
Nerva_. Era nato Nerva, per quanto ne scrive Dione[669], nell'anno 32
dell'era nostra, di nobilissimo casato. L'onestà dei suoi costumi, la
sua aria dolce e pacifica, la sua rara saviezza, prudenza ed
inclinazione al ben del pubblico, il faceano amare e rispettar da
chicchessia. Queste sue belle doti gli ottennero due volte il
consolato, cioè nell'anno 71 e nel 90. Mancava a lui solamente un
corpo robusto, e una buona sanità, essendo stato debolissimo lo
stomaco. Non si accordano gli storici in certe particolarità della sua
vita negli ultimi anni di Domiziano. Filostrato[670] vuole che venuto
a Roma Apollonio Tianeo, gl'insinuasse di liberar la patria dalla
tirannia di Domiziano, ma ch'egli non ebbe tanto coraggio. Aggiugne
che Domiziano il mandò in esilio a Taranto; ed Aurelio Vittore[671]
scrive, che Nerva si trovava ne' Sequani, cioè nella Franca Contea,
allorchè trucidato fu Domiziano, e che per consentimento delle legioni
prese l'imperio. Ben più credibile a noi sembrerà ciò che lasciò
scritto Dione, cioè, che Domiziano, giù da noi veduto persecutore di
chiunque o per le sue buone qualità, o per relazion degli astrologi,
era creduto potergli succedere nell'imperio, meditò ancora di levar
Nerva dal mondo, e l'avrebbe fatto, se uno strologo amico di lui non
avesse detto a Domiziano, che Nerva attempato e mal sano era per
morire fra pochi giorni. Nè Dione parla punto di esilio; anzi suppone
ch'egli si trovasse in Roma nel tempo dell'uccision di Domiziano, e
che passasse di concerto coi congiurati, consentendo che si togliesse
la vita a lui, giacchè senza di questo egli più non istimava sicura la
propria. Estinto dunque il tiranno, fu alzato al trono cesareo _Marco
Coccejo Nerva_, che certo non era lungi da Roma, per opera[672]
specialmente di _Petronio Secondo_ prefetto del pretorio, e di
_Partenio_ principal autore della morte di Domiziano, con approvazione
di tutto il senato e plauso del popolo. Ma eccoti alzarsi un rumore e
una voce, che Domiziano era vivo, e fra poco comparirebbe[673]. Nerva
di natural timido allora mutò colore, perdè la favella, nè più sapea
in qual mondo si fosse. Ma Partenio, che coi suoi occhi avea veduto le
ferite e gli ultimi respiri dell'estinto Domiziano, lo incoraggiò, e
rimise in sella. Andò pertanto Nerva a parlare ai soldati per
quietarli, e promise loro il donativo solito nell'assunzion de' nuovi
imperadori. Di là poscia passò al senato, dove ricevette gli
abbracciamenti gioviali, e i complimenti cordiali di cadauno de'
senatori. Non vi fu se non _Arrio Antonino_, avolo materno di Tito
Antonino poscia imperadore, suo sviscerato amico, il quale
abbracciatolo gli disse, che ben si rallegrava col senato e popolo
romano, e colle provincie per sì degna elezione, ma non già con lui;
perchè meglio per lui sarebbe stato il vivere paziente sotto principi
cattivi, che assumere un peso sì grave, ed esporsi a tanti pericoli ed
inquietudini, col mettersi fra i nemici, che mai non mancano, e fra
amici, i quali credendo di meritar tutto, se non ottengono quel che
vogliono, diventano più implacabili degli stessi nemici. Contuttociò
Nerva fattosi coraggio, prese le ridini del governo, e si accinse a
sostener con decoro la sua dignità, siccome ancora a restituire al
senato il primier suo decoro, e la quiete e l'allegria ai popoli.
Vivente ancora Domiziano, e non per anche cessata la persecuzione da
lui mossa a' Cristiani, _sant'Anacleto_ papa coronò la sua vita col
martirio o nel precedente, o piuttosto nel presente anno; ed ebbe per
successore nel pontificato romano _Evaristo_.
NOTE:
[656] Plinius, in Panegyrico, et lib. 7, Epist. 14.
[657] Tacitus, in Vita Agricolae, cap. 2.
[658] Sueton., in Domitiano, cap. 15.
[659] Dio, lib. 67.
[660] Sueton., in Domitiano, cap. 16.
[661] Dio, lib. 67.
[662] Dio, lib. 67.
[663] Dio, lib. 67. Sueton., in Domitiano, c. 17.
[664] Sueton., in Domitiano, cap. 22.
[665] Philostratus, in Apollon. Tyan., lib. 7.
[666] Sueton., in Domitiano, c. 23.
[667] Dio, lib. 67.
[668] Sueton., in Domitiano, cap. 24.
[669] Dio, lib. 68.
[670] Philostrat., in Vita Apollonii, lib. 7.
[671] Aurel. Vict., in Epit.
[672] Eutrop., in Brev. Dio, lib. 68.
[673] Aurel. Vict., in Epit.
Anno di CRISTO XCVII. Indiz. X.
EVARISTO papa 2.
NERVA imperadore 2.
_Consoli_
MARCO COCCEJO NERVA AUGUSTO per la terza volta, e LUCIO VIRGINIO RUFO
per la terza.
Vari altri consoli l'un dietro l'altro si credono dall'Almeloven
sostituiti in quest'anno, fra gli altri certo è che _Cornelio Tacito_
istorico, siccome osservò anche Giusto Lipsio, succedette a
_Virginio_, o sia _Verginio Rufo_. Tal notizia abbiamo da Plinio il
giovane[674]. Era Virginio Rufo quel medesimo che nell'anno 68 ricusò
più di una volta l'imperio, datogli in Germania dai soldati.
Gloriosamente avea egli menata fin qui la sua vita, senza incorrere in
alcuna disgrazia, rispettandolo ognuno, e fin quella bestia di
Domiziano, e serbando quell'animo grande, ch'era stato superiore
agl'imperi. Nerva anch'egli volle far conoscere a lui ed al pubblico,
quanta stima ne facesse con crearlo suo collega nel consolato. Abbiam
di certo da Plinio suddetto, che questo fu il _Terzo consolato_ di
esso Virginio: al che non fece riflessione il padre Stampa[675],
quantunque il cardinal Noris[676] ed altri lo avessero avvertito, e si
raccolga eziandio da Frontino e dai Fasti d'Idacio. Fu egli sotto
Nerone nell'anno 63 per la prima volta console ordinario. Credesi che
nell'anno 69 gli toccasse il secondo consolato, ma straordinario,
sotto Ottone Augusto. Intorno al prenome di Rufo s'è disputato. Chi
_Tito_, chi _Pubblio_ l'ha voluto. È più probabile _Lucio_. Ora per la
terza volta creato console nell'anno presente, siccome c'insegna
Plinio il giovane, mentre sul principio dell'anno si preparava a
recitare in senato il rendimento di grazie a Nerva per la dignità a
lui conferita, essendo in età di ottantatrè anni, colle mani tremanti,
e stando in piedi, gli cadde il libro di mano; e nel volerlo
raccogliere gli sdrucciolò il piede pel pavimento liscio e lubrico, in
maniera che si ruppe una coscia. Non essendosi questa ben ricomposta o
riunita, dopo qualche tempo se ne morì, e gli furono fatti solenni
funerali, mentre era console _Cornelio Tacito_, eloquentissimo oratore
e storico, il qual fece l'orazione funebre in sua lode. Scrive il
medesimo Plinio, che questo Virginio Rufo era nato in una città
confinante alla sua patria Como.
Dacchè l'Augusto Nerva si vide sufficientemente assodato sul trono,
fece tosto sentire il suo benefico genio a Roma e a tutto il romano
imperio[677]. Richiamò dall'esilio una copia grande di nobili, che
aveano patito naufragio sotto il precedente tirannico governo, ed
abolì tutti i processi di lesa maestà. E perciocchè questi erano
proceduti da mere calunnie, perseguitò i calunniatori, e fece morir
quanti servi e liberti si trovarono aver intentate accuse contra dei
loro padroni, proibendo con rigoroso editto a tal sorta di persone
l'accusare da lì innanzi i padroni. Vietò parimente l'accusar
chicchessia d'empietà, e di seguitare i riti giudaici: il che vuol
dire ch'egli estinse la persecuzione mossa de' Cristiani, che dai
Pagani venivano tuttavia confusi coi Giudei. Perciocchè per conto de'
Giudei era loro permesso l'osservar la lor legge. Quanti preziosi
mobili si trovarono nell'imperial palazzo, ingiustamente tolti da
Domiziano, furono da lui con tutta prontezza restituiti. Non volle
permettere che si facessero statue d'oro e d'argento (se pur non erano
dorate o inargentate) in onor suo, abuso dianzi assai gradito da
Domiziano. A que' cittadini romani che si trovavano in gran povertà,
assegnò terreni, ch'egli fece comperare, di valore di un milione e
mezzo di dramme, con deputare alcuni senatori che ne facessero la
divisione. Perchè trovò smunto affatto l'erario, vendè, a riserva
delle cose necessarie, tutti i vasi d'oro o d'argento ed altri mobili,
tanto suoi particolari, che della corte, e parecchi poderi e case, con
usar anche liberalità ai compratori. E ciò non per covare in cassa il
danaro, ma per dispensarlo al popolo romano, apparendo dalle
medaglie[678] che egli distribuì due volte nel breve corso del suo
governo danari e grano. Giurò che d'ordine suo non si farebbe mai
morire alcuno de' senatori; e quantunque un di essi fosse convinto di
aver congiurato contra di lui, pure altro mal non gli fece che di
cacciarlo in esilio. Fu da lui confermata la legge che non si
potessero far eunuchi; e proibito il prendere in moglie le nipoti.
Attese ancora al risparmio, dopo aver conosciuto il gran male
provenuto dallo scialacquamento esorbitante di Domiziano. Levò dunque
via molti sagrifizii, molti giuochi ed altri non pochi spettacoli, che
costavano somme immense[679]. Soppresse tutto ciò ch'era stato
aggiunto agli antichi tributi a titolo di pena contro quei ch'erano
morosi al pagamento; siccome ancora le vessazioni ed angarie
introdotte contro ai Giudei, nell'esigere le lor imposte. Le città
oppresse da troppe gravezze ebbero sollievo da lui; ed ordinò che per
tutte le città d'Italia si alimentassero alle spese del pubblico gli
orfani dell'uno e dell'altro sesso, nati da poveri genitori, ma
liberti: carità continuata anche dai susseguenti buoni imperadori,
anzi accresciuta, come apparisce dalle antiche iscrizioni. Ristrinse
ancora l'imposta della vigesima per le eredità e per gli legati,
introdotta da Augusto. Fra le lettere di Plinio il giovane[680] si
trova un editto di questo imperadore, che assai esprime quanta fosse
la di lui bontà, con dir egli _che ciascuno de' suoi concittadini
poteva assicurarsi, aver egli preferita la sicurezza di tutti alla
propria quiete, e non aver altro in animo che di far di buon cuore de'
nuovi benefizii, e di conservare i già fatti da altri. E però per
levar dal cuore d'ognuno la paura di perdere quel che aveano
conseguito sotto altri Augusti, o doverne cercar la conferma con delle
preghiere d'oro, dichiarava che senza bisogno di nuovi ricorsi,
chiunque godeva avesse da godere; perchè egli volea solamente
attendere a dispensar grazie e benefizii nuovi a chi non avea finora
goduto_.
E pure con un principe sì buono, il cui dolce e salutevol governo
tanto più dovea prezzarsi, quanto più si paragonava col barbarico
precedente, non mancarono nobili romani che tramarono una
congiura[681]. Capo di essi fu _Calpurnio_ senatore dell'illustre
famiglia de' _Crassi_: degli altri non si sa il nome. Con esorbitanti
promesse di danaro sollecitava egli alla rivolta i soldati. Scoperta
la mina, Nerva il fece sedere presso di sè assistendo ai giuochi de'
gladiatori, e nella stessa guisa che vedemmo operato da Tito, allorchè
gli furono presentate le spade di quei combattenti, le diede in mano a
Crasso, acciocchè osservasse, se erano ben affilate, mostrando in ciò
di non paventar la morte. Fu processato e convinto _Crasso_: tuttavia
Nerva per mantener la sua parola di non uccidere senatori, altro
gastigo non gli diede che di relegar lui e la moglie a Taranto. Fu
biasimata dal senato sì grande indulgenza in caso di tanta importanza,
e in altri ancora, perchè egli non sapea far male ai grandi, benchè
sel meritassero[682]. Trovavasi un dì alla sua tavola _Vejento_ o sia
_Vejentone_, già console, uomo scellerato, che sotto Domiziano era
stato la rovina di molti. Cadde il ragionamento sopra _Catullo
Messalino_, che nell'antecedente governo tutti avea assassinati colle
sue accuse e colla sua crudeltà, ed era già morto. _Se costui_, disse
allora Nerva, fosse _tuttavia vivo, che sarebbe di lui? Giunio
Maurico_, uomo di gran petto, di egual sincerità, e uno dei commensali
immantinente rispose: _Con esso noi sarebbe a questa tavola_. Ma
quello che maggiormente sconcertò Nerva, fu l'attentato d'_Eliano
Casperio_, creato non so se da lui, o pur da Domiziano, prefetto del
pretorio, cioè capitan delle guardie. O sia che costui movesse i
soldati, o che fosse incitato da loro, certo è, che un dì formata una
sollevazione andarono tutti al palazzo[683], chiedendo con alte grida
il capo di coloro che aveano ucciso Domiziano. A tal dimanda si trovò
in una somma costernazione Nerva; contuttociò parendogli che non fosse
mai da comportare il dar loro in mano chi avea liberata la patria da
un tiranno, ed era stato cagione del proprio suo innalzamento,
coraggiosamente negò loro tal soddisfazione, dicendo che se si voleano
sfogare, piuttosto colla sua testa cadesse il loro sdegno. Ma costoro
senza fermarsi per questo, e con disprezzo all'autorità imperiale,
corsero a prendere _Petronio Secondo_, già prefetto del pretorio, e lo
svenarono. Altrettanto fecero a _Partenio_ già maestro di camera di
Domiziano, trattandolo anche più ignominiosamente dell'altro. E
_Casperio_, divenuto più insolente, obbligò Nerva di lodar
quest'azione al popolo raunato, e di protestarsi obbligato ai soldati,
perchè avessero tolta la vita ai maggiori ribaldi che si avesse la
terra.
Una sì atroce insolenza de' pretoriani servì a far meglio conoscere a
Nerva, ch'egli, stante la sua vecchiaia e poca sanità, non potea
sperare l'ubbidienza ed il rispetto dovuto al suo grado, e piuttosto
dovea temerne degli altri oltraggi. Il perchè da uomo saggio pensò di
fortificar la sua autorità, con associare all'imperio una persona che
fosse non men forte d'animo, che vigorosa di corpo. E siccome egli non
avea la mira se non al pubblico bene, desiderava di scegliere il
migliore di tutti[684], così dopo maturo esame, e consigliato anche da
_Lucio Licino Sura_, senza punto badare ai molti parenti, che avea
(giacchè non si sa ch'egli avesse mai moglie) fermò i suoi pensieri
sopra Marco Ulpio Trajano, generale allora dell'armi romane nella
Germania. Era questi di nazione spagnuolo, perchè nato in Italica
città della Spagna, come si raccoglie da Dione[685] e da
Eutropio[686], benchè Aurelio Vittore[687] il dica venuto alla luce in
Todi; nè alcuno finora avea ottenuto l'imperio, che non fosse nato in
Roma o nel vicinato: contuttociò Nerva fu di sentimento, che per
iscegliere chi dovea governare un sì vasto imperio, si avea da
considerare più che la nazione, l'abilità e la virtù. Pertanto in
occasion di una vittoria riportata nella Pannonia, fatto raunare il
popolo nel Campidoglio nel dì 18 settembre, come alcuni vogliono[688],
o piuttosto nel dì 27 o 28 di ottobre, come pretendono altri, ad alta
voce dichiarò ch'egli adottava per suo figliuolo _Marco Ulpio Nerva
Trajano_, a cui il senato diede nel giorno stesso il titolo di
_Cesare_ e di _Germanico_, e scrisse di suo proprio pugno, avvisandolo
di tale elezione[689]. Fors'anche, secondo alcuni, non era pervenuta
questa nuova a Trajano, soggiornante allora in Colonia, che Nerva il
proclamò _Imperadore_[690], conferendogli la tribunizia podestà, ma
non già il titolo d'_Augusto_; cioè il creò suo collega nell'imperio.
Può essere che ciò avvenisse alquanto più tardi. Almen certo è che il
disegnò console per l'anno seguente. Il merito assai conosciuto di
Trajano, che era stato console nell'anno 94, ed avea avuto il padre,
stato anch'esso console (non si sa in qual anno) fece che ognuno
ricevesse con plauso una sì bella elezione, e cessasse ogni
sollevazione e tumulto in Roma. Si trovava allora Trajano nel maggior
vigore della virilità, perchè in età di circa quarantaquattro anni.
NOTE:
[674] Plinius, lib. 2, ep. 1.
[675] Stampa sul Fastos Consul. Sig.
[676] Noris, Epistol. Consul.
[677] Dio, lib. 68.
[678] Mediobarbus, in Numismat. Imperat.
[679] Aurel. Vict., in Epit.
[680] Plinius, lib. 10, Epist. 66.
[681] Dio, lib. 68. Aurelius Victor, in Epitome.
[682] Plinius, lib. 4, Ep. 22. Aur. Vict., in Epit.
[683] Plinius, in Panegyr.
[684] Aurelius Victor, in Epitome.
[685] Dio, lib 68.
[686] Eutr., in Brev.
[687] Aurel. Vict., in Epitome.
[688] Panvin., Petav., Pagius, Dodwellus, Fabrett., Tillem.
[689] Plinius, in Panegyrico.
[690] Euseb., in Chron.
Anno di CRISTO XCVIII. Indiz. XI.
EVARISTO papa 3.
TRAJANO imperadore 1.
_Consoli_
MARCO COCCEJO NERVA AUGUSTO per la quarta volta, e MARCO ULPIO TRAJANO
per la seconda.
Credesi che a questi consoli ne fossero sostituiti degli altri nelle
calende di luglio, ma quali noi possiamo sapere di certo. Poco
sopravvisse il buon imperadore Nerva, nè già sussiste, come taluno ha
pensato, ch'egli deponesse l'imperio. Riscaldossi egli un giorno forte
in gridando contra di un certo Regolo[691], che doveva aver commessa
qualche iniquità, di modo che, quantunque fosse di verno, sudò; e
questo raffreddatosegli addosso, gli cagionò una tal febbre, che fu
bastante a levarlo di vita. Aurelio Vittore gli dà sessantatre anni
d'età[692], Dione sessantacinque[693] Eutropio settantuno[694], ed
Eusebio settantadue[695]. Comunque sia, lasciò egli anche dopo sì
corto governo un glorioso nome a cagion delle sue lodevoli azioni di
bontà e saviezza; azioni tali, ch'egli ebbe a dire di non sapere
d'aver operata cosa, per cui, quando anch'egli avesse deposto
l'imperio, non avesse da vivere quieto e sicuro nella vita privata. Ma
nulla certo gli acquistò più credito e gloria, che l'aver voluto per
successore nell'imperio un _Trajano_, che poi divenne il modello de'
principi ottimi. Con funerale magnifico fu portato il suo corpo, o
vogliam dire le ceneri ed ossa sue, dal senato, nel mausoleo
d'Augusto. Intorno al giorno di sua morte disputano gli eruditi.
Inclinano i più a credere che questa avvenisse nel gennaio dell'anno
presente, e nel dì 27; Aurelio Vittore scrive che quel giorno, in cui
egli mancò di vita, fu un ecclissi del sole. Secondo i conti del
Calvisio si eclissò il sole nel dì 21 di marzo di quest'anno; ma non
s'accorda ciò con chi[696] gli dà sedici mesi e nove o dieci giorni
d'imperio. Sappiamo bensì da Eusebio[697], dalle medaglie[698], e
dalle iscrizioni[699], che Nerva per decreto del senato fu alzato
all'onore degli dii, e che Trajano non mai stanco di mostrar la sua
gratitudine a questo buon principe e padre, che l'avea alzato al
trono, alzò anch'egli a lui dei templi, secondo la cieca superstizione
e temerità del gentilesimo. Allorchè terminò Nerva i suoi giorni,
_Publio Elio Adriano_, che fu poi imperadore, giovane allora ed
amicissimo, anzi parente di Trajano, lasciato già da suo padre sotto
la tutela di lui[700], si trovava nella Germania superiore. Arrivata
colà la nuova della morte di Nerva, Adriano volle essere il primo a
portarla a Trajano, dimorante allora in Colonia; e tuttochè _Serviano_
di lui cognato cercasse d'impedirglielo, con fare segretamente rompere
il di lui calesse, per aver egli l'onore di far penetrar con sua
lettera il lieto avviso a Trajano: nondimeno Adriano camminando a
piedi, prevenne il messagger di Serviano. Ricevute poi che ebbe
Trajano[701] le lettere del senato, gli rispose di suo pugno, co'
dovuti ringraziamenti, fra l'altre cose promettendo, che nulla mai
farebbe contro la vita e l'onore delle persone dabbene; il che poscia
confermò con suo giuramento. Mentr'egli tuttavia si trovava in quelle
parti, o certo prima di tornarsene a Roma, chiamò a sè _Eliano
Casperio_ prefetto del pretorio e i soldati da lui dipendenti, facendo
vista di volersi valere di lui in servigio della repubblica. Nerva in
ragguagliarlo della elezione sua, l'avea particolarmente incaricato di
far le sue vendette contra d'esso Casperio, e di quelle milizie che
ammutinate gli aveano fatto, siccome dicemmo, un sì grave affronto.
Trajano l'ubbidì. Tolta fu a Casperio la vita e a quanti pretoriani si
trovò che avevano avuta parte in quella sedizione. Comandava allora ad
una possente armata Trajano, nè v'è apparenza ch'egli nell'anno
presente venisse a Roma, ma bensì che egli si trattenesse in quelle ed
anche in altre parti per dare un buon sesto ai confini dell'imperio e
alla quiete delle provincie[702]. Sparsasi nelle nazioni germaniche la
fama che Trajano era divenuto imperadore ed Augusto, tale già correa
la rinomanza e la stima del di lui valore e senno anche fra quelle
barbare genti, che ognun fece a gara per ispedirgli dei deputati e
chiedergli supplichevolmente la continuazion della pace. Erano soliti
i Tedeschi nel verno, allorchè il Danubio gelato si potea passare a
piedi, di venir ai danni dei Romani. Nel verno di quest'anno non si
lasciarono punto vedere. Trovavasi in quelle contrade Trajano, e
tuttochè le sue legioni facessero istanza di valicar quel fiume, per
dare addosso ai Tedeschi, tuttavia egli nol permise. Una delle sue
principali applicazioni era stata, e maggiormente fu in questi tempi,
di ristabilire l'antica disciplina, l'amor della fatica, e
l'ubbidienza nella milizia romana; ed egli stesso, con trattar
civilmente tutti gli uffiziali e soldati, si conciliò più che prima
l'amore e il rispetto d'ognuno.
NOTE:
[691] Aurel. Vict., in Epit. Tillem., Mém. Hist. Pagius, Crit. Bar.
[692] Aurel. Victor, in Epitome.
[693] Dio, lib 68.
[694] Eutrop., in Breviar.
[695] Eusebius, in Chron.
[696] Dio, lib. 68. Eutropius, in Brev.
[697] Eusebius, in Chron.
[698] Mediobarb., in Numism. imperator.
[699] Gruter., Thesaur. Insc.
[700] Spartianus, in Hadriano.
[701] Dio, lib. 67.
[702] Plinius, in Panegyr.
Anno di CRISTO XCIX. Indizione XII.
EVARISTO papa 4.
TRAJANO imperadore 2.
_Consoli_
AULO CORNELIO PALMA e CAJO SOSIO SENECIONE.
Erano questi consoli due de' migliori nobili che si avesse allora il
senato romano, e particolarmente godevano della stima ed amicizia di
Trajano. Aveano costumato alcuni de' precedenti Augusti di prender
essi il consolato nelle prime calende di gennaio, susseguenti alla
loro assunzione, cessando perciò i consoli disegnati[703]. Trajano,
tra perchè non si pasceva di fumo, e perchè gli affari non gli
permettevano di trovarsi all'apertura dell'anno nuovo in Roma, ricusò
nell'anno precedente l'onore del consolato offertogli dal senato,
secondo lo stile, e volle che entrassero i due consoli sopraddetti.
Verisimilmente venuta che fu la primavera, fu il tempo in cui egli
dalla Germania s'inviò a Roma. Ben diverso fu il suo passaggio da quel
di Domiziano. Quello era un saccheggio delle città, dovunque passava
egli colle sue truppe. Trajano, benchè scortato da più legioni, con
tal disciplina, con sì bel regolamento faceva marciare e riposar la
sua gente, che diventò lieve ai popoli quel militare aggravio. Abbiamo
ancora da Plinio l'entrata di Trajano in Roma. Fu ben lieto quel
giorno al veder venire un buon principe, non già orgoglioso sopra un
carro trionfale, o portato dagli uomini, come costumò alcuno de' suoi
antecessori, ma a piedi e in abito modesto; che non accoglieva con
fronte alta e superba, chi gli si presentava, per rallegrarsi con lui
e per ossequiarlo; ma bensì gli abbracciava e baciava tutti, come suoi
cari concittadini e fratelli. Andò al Campidoglio, e poscia al
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