Annali d'Italia, vol. 1 - 33

varie _Liberalità_ di Adriano, e ne contano fin sette. Secondochè
scrive Sparziano[911], si rimise poi in viaggio il non mai stanco
Augusto, per visitare un'altra volta la Grecia e l'Asia,
verisimilmente bramoso di conoscere, se le fabbriche già da lui
ordinate in varie città, fossero compiute. Tali trovò quelle che egli
avea disegnato in Atene, e celebrò la festa della lor dedicazione. Fra
gli altri suntuosi edifizii, ch'egli fece fabbricare in Atene, si
contò quello di Giove Olimpio, il quale sembra, siccome dirò, compiuto
solamente nell'anno 134. In alcune iscrizioni[912] da me date alla
luce, egli è chiamato _Adriano Olimpio_. Sembra ancora che
l'adulazione greca arrivasse a dare a lui il titolo di _Giove
Olimpio_: il che, se fosse, sarebbe da cercare chi più meritasse il
nome di pazzo, o chi lo dava o chi lo riceveva. Oltre a ciò si osserva
nelle iscrizioni suddette, che dimorando Adriano in Atene, varie città
gli spedirono ambasciatori, per rallegrarsi del di lui felice ritorno
in quelle parti. Pare anche verisimile, ch'egli innamorato di Atene,
si fermasse ivi tutto il seguente verno. Troppo si compiaceva egli di
trovarsi tra i filosofi e le persone letterate. Di queste tuttavia era
doviziosa la scuola d'Atene; e sopra gli altri furono in gran credito
alla corte di Adriano _Epitteto_, insigne filosofo stoico, di cui ci
restano il manuale, operetta aurea, e molti suoi documenti nel libro
di Arriano suo discepolo; e _Favorino_ sofista, o sia oratore,
dottissimo tanto nella latina che nella greca lingua, di cui molto
parla Aulo Gellio[913]. Di lui si racconta[914] che avendogli un
giorno Adriano, principe uso di fare l'arcifanfano nelle lettere,
riprovata una parola, adoperata da esso oratore in qualche scritto,
dopo breve contrasto Favorino gliela diede vinta. Rimproverandolo
poscia di codardia gli amici suoi, perchè quella era parola buona,
autenticata dall'uso fattone da alcuni accreditati scrittori, egli
saporitamente ridendo, loro rispose: _Trattandosi di uno che ha trenta
legioni al suo comando, non volete voi ch'io il creda più dotto di
me?_ Ma cadde egli in fine dalla grazia di Adriano, perchè non sapea
questo capriccioso e volubile Augusto sofferir lungamente chi potea
far ombra al preteso suo universal sapere. E se n'avvide Favorino,
allorchè fu per trattare una sua causa davanti a lui, pretendendo
l'esenzione dal sostenere le cariche della sua patria Arles nella
Gallia. Conobbe assai, che Adriano era per dargli la sentenza contro;
e però quando si credea ch'egli venuto al contradditorio perorasse per
la sua pretensione, altro non disse, se non che apparitogli la notte
in sogno il suo maestro (forse Dione Grisostomo) l'avea esortato a non
lasciarsi increscere di far quello che faceano gli altri suoi
concittadini. Aveano gli Ateniesi eretta a quel filosofo una statua.
Inteso ch'egli era decaduto dal favore di Adriano, corsero ad
abbatterla[915]. Ne fu portata la nuova a Favorino, ed egli senza
punto scomporsi, rispose: _Avrebbe ben voluto Socrate essere trattato
dagli Ateniesi a così buon mercato._ Anche _Dionisio da Mileto_,
eccellente sofista, godè un tempo della grazia di Adriano; ma perchè
un giorno gli scappò detto ad Eliodoro segretario delle lettere di
esso imperadore; _Cesare ti può ben caricar di onori e di ricchezze,
ma non ti può far divenire oratore_, Adriano l'ebbe da lì innanzi in
odio. Per altro questo imperadore, siccome ho detto di sopra,
s'intendeva di tutte le arti e scienze, e lasciò scritti vari libri,
di dicitura per lo più scura ed affettata, ed uno massimamente della
sua vita. Ma usava di pubblicarli sotto nome de' suoi liberti, uno de'
quali fu _Flegonte_, di cui tuttavia resta un'operetta degli
Avvenimenti maravigliosi, e che compose molti altri libri.
NOTE:
[910] Idem, ibid.
[911] Spartianus, in Hadriano.
[912] Thesaurus Novus Inscript., p. 235.
[913] Spartianus, in Hadriano.
[914] Aulus Gellius, Noct. Attic.
[915] Philostratus, in Sophistis.


Anno di CRISTO CXXVIII. Indizione XI>.
TELESFORO papa 2.
ADRIANO imperadore 12.
_Consoli_
LUCIO NONIO ASPRENATE TORQUATO per la seconda volta, e MARCO ANNIO
LIBONE.

Fu quest'_Annio Libone_ zio paterno di _Marco Aurelio_, poscia
imperadore, come si ricava da Giulio Capitolino[916]. Seguitando
quella poca traccia che dei viaggi di Adriano ci ha lasciato
Sparziano[917], possiam credere ch'esso Augusto nell'anno presente da
Atene ripassasse nell'Asia, per osservare se ivi ancora erano stati
eseguiti gli ordini suoi, e perfezionate le fabbriche e i lavori da
lui nel primo suo viaggio disegnati. In fatti vi fece la consecrazione
di molti templi, appellati di Adriano. Andò nella Cappadocia, e quivi
raunò gran copia di servi o sia schiavi per servigio delle armate, e
non già per farli soldati. A tutti i re e principi barbari di quelle
vicinanze fece sapere il suo arrivo, per confermar la buona amicizia
con tutti. Molti di essi vennero ad attestargli il loro ossequio, e
Adriano li trattò e regalò così generosamente, che si trovarono ben
pentiti coloro i quali ebbero difficoltà di venire ad inchinarlo. Più
degli altri se ne pentì _Farasmane_, probabilmente re dell'Iberia, che
con insolente alterigia avea ricusato di comparire davanti a lui.
Tuttavia Sparziano più di sotto scrive, che Adriano fece dei gran
donativi a molti di quei re, comperando la pace dalla maggior parte di
essi; ma verso niuno fu così liberale, come verso il re dell'Iberia,
al quale, oltre ad altri magnifici regali, donò un lionfante e una
coorte di cinquecento uomini d'armi. _Farasmane_ anch'egli dal canto
suo gl'inviò de' superbi donativi, e fra essi delle vesti di tela
d'oro. Ma Adriano, per deridere i di lui regali, ordinò che trecento
uomini condannati a morte andassero a combattere nell'anfiteatro,
vestiti di tela d'oro. Invitò anche _Cosroe re de' Parti_, con
rimandargli la figliuola, già presa da Trajano, e con promettergli la
restituzione del trono d'oro, ma senza mantenergli poi la parola. Era
la vanità principal compagna di Adriano in tutti questi viaggi.
Abbiamo da Arriano[918], che questo imperadore diede dei re ai popoli
de' Lazii, degli Abasgi, de' Sanigi e degli Zughi, tutti situati verso
le parti del mar Nero. Continuando egli poscia a girar per le
provincie romane, poste nell'Asia, quanti uffiziali ritrovò che si
erano abusati delle loro autorità in pregiudizio de' popoli,
severamente li gastigò, e a molti tolse la vita. Venuto nella Soria,
ebbe sopra tutto in odio il popolo di Antiochia, senza che ne
apparisca il motivo: di modo che pensò di separar la Fenicia dalla
Soria, acciocchè Antiochia non fosse in avvenire capo di tanto paese.
E che in fatti la separasse, e ch'egli veramente venisse in quest'anno
nella Soria, lo prova il padre Pagi[919] colle antiche medaglie. Certo
è, che gli Antiocheni si pregiavano di una lingua tagliente. Forse li
guardò di mal occhio per questo. Volle poi visitare il monte Casio,
dove situato era un rinomato tempio di Giove, e salì colà di notte,
per veder la mattina nascere il sole; ma insorse un temporale, la cui
pioggia il bagnò, e un fulmine cadde sopra la vittima, mentre egli
preparava il sagrifizio. Passò in appresso Adriano dalla Soria
nell'Egitto.
NOTE:
[916] Capitolinus, in Marco Aurelio
[917] Spartianus, in Hadriano.
[918] Arrianus, de Pont.
[919] Pagius, in Critic. Baron.


Anno di CRISTO CXXIX. Indizione XII.
TELESFORO papa 3.
ADRIANO imperadore 13.
_Consoli_
QUINTO GIULIO BALBO e PUBLIO GIUVENZIO CELSO per la seconda volta.

_Celso_ fu un insigne giurisconsulto di questi tempi. Ad essi ordinari
consoli furono sostituiti _Cajo Nerasio Marcello_ e _Gneo Lollio
Gallo_, siccome osservò il Panvinio[920], con produrre un'iscrizione
antica. Un'altra data alla luce dal canonico Gorio[921], ci fa vedere
consoli insieme _Giuvenzio per la seconda volta, e Marcello_ anch'esso
_per la seconda_: laonde si può dubitare che _Balbo_ fosse mancato di
vita prima di compiere i mesi del suo consolato, o ch'egli prima del
collega scendesse. Scrisse Sparziano[922] che essendo stato Adriano
tre volte console promosse molti altri al terzo consolato, ed infiniti
al secondo; il che sembra da lui detto con troppa esagerazione. Che
nell'anno precedente venisse Adriano nell'Egitto, e viaggiasse nel
presente infaticabilmente per quei paesi, lo provò il padre Pagi[923]
colle medaglie battute da varie città egiziane nell'anno 11 di esso
Adriano. Ora in quest'anno egli fece il viaggio per l'Arabia, e di là
tornò a Pelusio, dove fece con maggior magnificenza rifare il sepolcro
di Pompeo il Grande. Mentr'egli navigava pel Nilo, perdè _Antinoo_,
giovinetto nato in Bitinia, di rara bellezza, suo gran favorito, ma
come si credeva per motivi degni della detestazione di tutti. Nella
cronica di Eusebio appunto sotto quest'anno è riferita la di lui
morte. Fece correre voce Adriano, che Antinoo caduto nel Nilo si fosse
affogato. Ma per testimonianza di Sparziano[924] e di Dione[925],
opinion comune fu che Antinoo offerisse ai falsi dii la volontaria sua
morte, per soddisfare a una bestial curiosità o empia superstizione di
Adriano, il quale vago della magia, o credulo alle imposture del
gentilesimo[926], si figurò di prolungar la sua vita coll'iniquo
sacrifizio di questo giovine; oppure, come pensò il Salmasio, volle
cercar nelle viscere di lui l'augurio dei fatti avvenire. Comunque
sia, certo è, per attestato di Sparziano, che Adriano pianse la morte
di Antinoo, come fan le donnicciuole; poscia per consolar sè stesso, e
ricompensare il defunto giovinetto, il fece deificare dai Greci; pazza
e ridicola risoluzione, per tale riconosciuta anche dagli stessi
Gentili, ma specialmente dai Cristiani d'allora, che si servirono di
questa empia buffonata per maggiormente screditare la stolta religion
de' Pagani, come si può vedere ne' libri di san Giustino, di
Tertulliano, di Origene e d'altri difensori della santa religione di
Cristo. Ma che non sa far l'adulazione? Per guadagnarsi merito con
Adriano, i popoli accettarono questo novello dio, gli alzarono statue
per tutto l'imperio romano; più templi furono fabbricati in onore di
lui, con sacerdoti apposta, i quali incominciarono anche a fingere
ch'egli dava le risposte come un oracolo. E gli strologhi, osservata
in cielo una nuova stella, non ebbero vergogna di dire che quell'era
Antinoo trasportato in cielo. Lo stesso Adriano, con dire di vederlo
colà, dava occasion di ridere alla gente savia. Fece egli dipoi
fabbricare una città nel luogo dove morì, e fu seppellito Antinoo,
alla quale pose il nome di Antinopoli, di cui poche vestigia oggidì
restano nell'Egitto.
NOTE:
[920] Panvinius, in Fastis Consul.
[921] Gorius, in Inscript. Etrur.
[922] Spartianus, in Hadriano.
[923] Pagius, in Critic. Baron.
[924] Spartianus, in Hadriano.
[925] Dio, lib. 69.
[926] Aurelius, in Epitome.


Anno di CRISTO CXXX. Indizione XIII.
TELESFORO papa 4.
ADRIANO imperadore 14.
_Consoli_
QUINTO FABIO CATULLINO e MARCO FLAVIO ASPRO.

Non è inverisimile che Adriano stoltamente impegnato ad eternar la
memoria del suo Antinoo, passasse il verno di quest'anno nell'Egitto.
Siccome egli stendeva il guardo a tutte le provincie del romano
imperio per beneficarle, così non avea lasciato indietro la Giudea. Ha
creduto il padre Petavio[927], ch'egli in quest'anno e non prima
rifabbricasse l'abbattuta città di Gerusalemme, e le desse il nome suo
proprio, chiamandola Elia Capitolina, deducendolo da Sparziano, che
nulla dice di questo. Solamente scrive egli[928], che trovandosi
Adriano in Antiochia (probabilmente, siccome abbiam supposto,
nell'anno 128) i Giudei si sollevarono per cagion di un editto, in cui
veniva loro vietato il castrarsi; il che, per quanto si può credere,
vuol dire che loro fu proibita la circoncisione. Non potendo essi
sofferire un divieto cotanto opposto alla lor legge, si mossero a
ribellione. Abbiamo all'incontro da Dione[929], che Adriano fatta
fabbricare Gerusalemme, e mutatole il nome, nel luogo, dove dinanzi
era il tempio dedicato al vero Dio, ne edificò uno in onore di Giove,
e pose in quella città una colonia di gentili romani. Perderono la
pazienza i Giudei al vedere in casa loro venir a piantare una stabile
abitazione gente straniera, e in faccia loro alzato un tempio
all'idolatria; e però non seppero contenersi da' movimenti di
ribellione. Ma finchè Adriano Augusto si fermò in quelle vicinanze,
cioè nell'Egitto e nella Soria, non ardirono di venire all'armi, ed
attesero a covar l'ira loro, aspettando tempo più opportuno per dar
fuoco alla mina. Il padre Pagi, che crede riedificata Gerusalemme
nell'anno 119, differisce sino all'anno 155 la nuova nominazion di
Gerusalemme, e non va certo d'accordo con Dione. Santo Epifanio[930]
scrive, che Adriano passò nella Palestina, e visitò quel paese, dopo
essere stato nell'Egitto. Nulla è più verisimile, che andando egli
dalla Soria in Egitto, oppur nel ritorno, visitasse quella provincia.
Ci ha conservata Vopisco[931] nella vita di Saturnino una lettera,
scritta da Adriano a _Serviano_ suo cognato, nell'anno 134, in cui
descrive i costumi degli Egiziani, come aveva egli stesso osservato,
allorchè fu in quelle contrade, cioè dipinge il popolo specialmente di
Alessandria, come gente volubile, inquieta, pronta sempre alle
sedizioni e alle ingiurie. Se vogliamo prestar fede a lui, i _Gentili
vi adoravano Cristo, i Cristiani vi adoravano Serapide, essendo amanti
solo di novità. Non vi era Giudeo, Samaritano, Cristiano, che non
attendesse alla strologia, agli augurii_: benchè il Salmasio stimi
doversi altrimente spiegar quelle parole: _I Cristiani, i Giudei, i
Gentili non vi conoscevano che un Dio_, probabilmente l'interesse.
_Alessandria era piena di popolo, di ricchezze; niuno vi stava in
ozio; si facevano lavorare fino i ciechi, e quei che pativano di
podagra e chiragra. Loro aveva Adriano confermati gli antichi
privilegii, aggiuntine de' nuovi. Tuttavia appena fu egli partito, che
dissero un mondo di male di lui e dei suoi più cari_. Così Adriano. Ma
che i Giudei e i Cristiani tutti adorassero Serapide, e che fossero
tutti gente superstiziosa e cattiva, non siam tenuti a stare al
giudizio di un Adriano gentile. Di qua bensì intendiamo, quanto in
quella città fosse cresciuto il numero de' Cristiani, e che Adriano li
lasciava vivere in pace. Scrive poi Lampridio[932], aver avuto in
animo questo imperadore di ricevere _Cristo Signor nostro per Dio_, al
qual fine avea fabbricati molti templi senza statue. Ma il Casaubono e
il Pagi credono ciò una diceria popolare. Nè questo s'accorda col
dirsi da Sparziano[933], che Adriano gran diligenza e zelo mostrò per
le cose sacre di Roma, e sprezzò le forestiere.
NOTE:
[927] Petavius, in Chronol.
[928] Spart., in Hadriano.
[929] Dio, lib. 69.
[930] Epiphanius, de Mensuris.
[931] Vopiscus, in Saturn.
[932] Lampridius, in Alexandro Severo.
[933] Spartianus, in Vita Hadriani.


Anno di CRISTO CXXXI. Indizione XIV.
TELESFORO papa 5.
ADRIANO imperadore 15.
_Consoli_
SERVIO OTTAVIO LENATE PONZIANO e MARCO ANTONIO RUFINO.

In un'iscrizione riferita dal Grutero[934] il secondo console vien
chiamato _Annio Rufino_. Quello è un errore. _Antonio Rufino_ ho io
trovato in più di un'antica copia di quel marmo. Secondo la Cronica
d'Eusebio, fu circa questi tempi compiuta in Roma, per ordine di
Adriano, la fabbrica del tempio di Venere e di Roma, e se ne fece la
dedicazione. Era questo uno de' più sontuosi edifizii dell'augusta
città, per la gran quantità e bellezza dei marmi, coi quali era
fabbricato o incrostato, e col tetto coperto di tegole di bronzo, che
poi servirono, a' tempi di Onorio I per coprire la basilica di san
Pietro. Altri riferiscono all'anno seguente la dedicazione del tempio
suddetto, che fu la morte dell'architetto _Apollodoro_, come di sopra
accennai all'anno 120. Per attestato ancora del medesimo Eusebio[935]
fu pubblicato in quest'anno l'editto perpetuo, composto dall'insigne
giurisconsulto _Salvio Giuliano_, che fu uno de' principali
consiglieri di Adriano. Imperciocchè[936] questo imperadore ebbe il
lodevol costume, allorchè andava a giudicare e a decidere le
controversie, di avere per assistenti non solamente i suoi amici e
cortigiani, ma anche i migliori giurisconsulti, approvati prima dal
senato; ed egli principalmente si serviva del suddetto _Salvio
Giuliano_, di _Giulio Celso_ e di _Nerazio Prisco_. Gran diversità era
allora nei giudizii per le provincie; chi decideva a una maniera e chi
all'altra. Adriano, affinchè si camminasse con uniformità dappertutto,
volle che Giuliano formasse una raccolta di leggi ed editti, creduta
bastevole a terminar con giustizia tutte le cause. Di questo editto
perpetuo si veggono raccolti i frammenti nell'edizion dei Digesti
fatta da Dionisio Gotofredo. Le apparenze sono, che Adriano
abbandonasse in quest'anno l'Egitto, e passando per la Soria e per
l'Asia, tornasse alla sua diletta città di Atene, dove, per
testimonianza di Eusebio, egli stette tutto il verno seguente. Giacchè
non abbiamo storico migliore, che ci somministri un buon filo per
seguitare i passi di questo imperadore, non è temerità l'attenersi ad
Eusebio.
NOTE:
[934] Gruterus, Thesaurus Inscription., p. 337.
[935] Euseb., in Chron.
[936] Spartianus, in vita Hadriani.


Anno di CRISTO CXXXII. Indizione XV.
TELESFORO papa 6.
ADRIANO imperadore 16.
_Consoli_
SENTIO AUGURINO ed ARRIO SEVERIANO per la seconda volta.

Non _Severiano_, ma _Sergiano_ è chiamato in vari Fasti il secondo di
questi consoli, e però resta indecisa la lite intorno al di lui vero
cognome. Dimorò[937] Adriano tutto questo verno, e forse il resto
dell'anno presente, in Atene, dove celebrò i suoi quindecennali, cioè
l'anno quindicesimo compiuto del suo imperio[938]. Per attestato di
Eusebio, tornò a visitar le misteriose imposture di Cerere Eleusina;
compiè molte fabbriche in Atene; vi fece de' suntuosi giuochi, fra'
quali una caccia di mille fiere. Sopra tutto quivi formò una
biblioteca delle più copiose e belle che fossero nell'universo. Per
tutto il tempo che si fermò Adriano[939] nelle vicinanze della Giudea,
cioè nella Soria e in Egitto, i Giudei, benchè pieni di rabbia a
cagione del tempio di Giove fabbricato in Gerusalemme, si tenner per
paura quieti. Ma intanto andavano disponendo tutto per ribellarsi a
suo tempo. Fecero preparamenti d'armi, fortificarono vari siti,
formarono cammini sotterranei per ricoverarvisi in caso di bisogno; e
sopra tutto spedirono segreti messi per le varie città dell'imperio,
acciocchè quei della lor nazione accorressero in lor aiuto, o
formassero delle sedizioni. Nè lasciarono di commuovere anche altre
nazioni a prendere l'armi, facendo loro sperare non pochi vantaggi e
guadagni. Dacchè dunque videro Adriano molto allontanato dalle loro
contrade, cominciarono apertamente a non voler ubbidire ai magistrati
romani; ma non osando di venire a combattimenti, attendevano solamente
a premunirsi contro la forza de' Romani. Però Eusebio mette all'anno
presente il principio di questa guerra.
NOTE:
[937] Euseb., in Chron.
[938] Blanchinius, in Anastasium.
[939] Dio, lib. 69.


Anno di CRISTO CXXXIII. Indizione I.
TELESFORO papa 7.
ADRIANO imperadore 17.
_Consoli_
MARCO ANTONIO IBERO e NUMMIO SISENA.

Un'iscrizione rapportata dal Doni[940] ci ha scoperto il prenome del
console Ibero. Dove soggiornasse Adriano nell'anno presente, io nol so
dire. Che fosse ritornato a Roma, non apparisce da alcuna memoria. Il
dire col Tillemont[941], ch'egli fu in questi tempi in Egitto e
nell'anno seguente nella Soria, non si accorda con Dione[942], che fa
ribellati i Giudei, dappoichè Adriano si fu ben allontanato dai lor
paesi: il che dovette succedere nell'anno precedente. Ma o fosse egli
tuttavia in Atene, come io vo' sospettando, o fosse ripassato in Asia,
si può credere che egli non istesse fermo in un sol luogo: tanta era
la sua vaghezza di viaggiare, e di acquistarsi credito colle sue
maniere popolari fra tutt'i popoli. Abbiamo da Sparziano[943], ch'egli
in Atene volle essere uno degli Arconti. Nella Toscana, benchè
divenuto imperadore, esercitò la pretura; e per le città del Lazio si
compiacque degli uffizii municipali di Dittatore, Edile e Duumviro. In
Napoli volle essere Demarco, o capo del popolo; in Italica, sua
patria, in Ispagna, quinquennale; e in Adria, da cui ebbero origine i
suoi maggiori, ebbe il medesimo uffizio di quinquennale. A tutta prima
non fecero i magistrati romani[944] gran caso dei movimenti degli
Ebrei; ma dappoichè si avvidero che si accendeva il fuoco per tutta la
Giudea, e che per l'altre parti dell'imperio romano la nazion giudaica
facea delle adunanze, delle minacce e peggio ancora: Adriano pensò
allora daddovero a reprimere il loro ardire e disegno. Perciò spedì
rinforzi di gente a _Tenio Rufo_, governatore della Giudea, ed ordinò
che i migliori suoi generali passassero in quelle parti. Uno di questi
fu _Giulio Severo_. Abbiamo da Eusebio[945], che i Giudei aveano
saccheggiata la Palestina. Lor capitano era un certo Cochebas o
Barcochebas, uomo sommamente crudele. Fece costui quanto potè per
indurre i Cristiani a prendere anch'essi l'armi contra de' Romani; ma
i cristiani istruiti dalla lor santa legge, che s'ha da osservare la
fedeltà anche ai principi cattivi, non ne vollero far altro; e però lo
spietato Giudeo non solamente contra de' Romani, ma anche contra di
quanti cristiani gli caddero nelle mani, andò sfogando il suo sdegno,
con fargli aspramente tormentare e morire. Ma sopraggiunti gli
eserciti romani, poco potè far fronte alla superiore lor forza.
NOTE:
[940] Donius, Inscription. Antiquar.
[941] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[942] Dio, lib. 69.
[943] Spartianus, in Vita Hadriani.
[944] Dio, lib. 69.
[945] Eusebius, in Chron.


Anno di CRISTO CXXXIV. Indizione II.
TELESFORO papa 8.
ADRIANO imperadore 18.
_Consoli_
CAJO GIULIO SERVIANO per la terza volta, e CAJO VIBIO VARO.

_Serviano_ console ordinario dell'anno presente era il cognato di
Adriano, perchè marito di _Paolina_, sorella di lui. Però a quest'anno
appartiene la lettera, che di sopra all'anno 230 dicemmo a lui scritta
da Adriano intorno ai costumi degli Alessandrini ed Egiziani, e a noi
conservata da Vopisco[946]. Fa conoscere quella lettera, che Adriano
era stato in Egitto, e tuttavia dimorava ne' primi mesi di quest'anno
lungi da Roma. Non è improbabile ch'egli andasse visitando le città e
le isole della Grecia. Avea nel precedente anno cominciata _Giulio
Severo_ la guerra contro ai Giudei; nel presente la terminò, se
sussiste la cronologia di Eusebio[947], che ne riferisce il fine sotto
quest'anno. Così gran fatti ne racconta Dione[948], che parrebbe non
essersi potuto smorzar quell'incendio in poco tempo. Scrive egli
adunque, che Giulio Severo, valoroso ed accorto generale di Adriano,
non si attentò mai di venire con quella gente disperata, ed ascendente
ad un numero eccessivo, ad una battaglia campale. Ma assalendoli in
corpi separati, impedendo loro i viveri, e rinserrandoli a poco a
poco, e senza azzardare, ne fece un terribil macello, sì fattamente,
che pochissimi salvarono la vita. È da credere ch'egli non la
perdonasse nè pure alle donne, a' fanciulli e ai vecchi; imperocchè vi
perirono, se dobbiamo stare in ciò all'asserzione di quello storico,
cinquecento ottantamila persone di nazione giudaica, tagliate a pezzi,
senza contare i morti di fame, fuoco e malattia, che fu una
moltitudine incredibile. Cinquanta buone loro fortezze vennero in
poter de' Romani: e novecento ottantacinque belle terre, castella e
borghi furono tutti spianati, di modo che quasi tutta la Palestina
rimase un paese deserto. Costò nondimeno assai caro anche ai Romani
quella impresa, perchè ve ne perirono parecchie migliaia; e perciò in
occasione che Adriano scrivendo al senato in questi tempi (segno
ch'egli era lungi da Roma) non si servì dell'usato esordio secondo il
formolario, cioè di quelle parole: _Se voi e i vostri figliuoli siete
sani, me ne rallegro. Quanto a me e all'esercito, noi siam tutti
sani._ Terminata secondo i giusti giudizii di Dio questa gran rovina
del popolo giudaico[949], Adriano pubblicò un editto, che sotto pena
della vita niun Giudeo potesse più entrare in Gerusalemme, e nè pure
appressarvisi. Ma non si mantenne questo gran rigore sotto i
susseguenti Augusti. Diede lo stesso Adriano in ricompensa del buon
servigio a _Giulio Severo_ il governo della Bitinia, esercitato poscia
da lui con tal giustizia, prudenza e nobil contegno, e con sì fatta
cura non men de' pubblici che de' privati affari di quel paese, che
Dione, nativo di lì, attesta essere stata anche ai suoi dì in
venerazione la di lui memoria. Insorse poco appresso un altro torbido
in Levante, perchè gli Alani, appellati anche Massageti, mossi da
_Farasmane re_ loro, diedero il sacco alla Media e all'Armenia,
scorrendo fin sulle terre della Cappadocia, dove era governatore
_Flavio Arriano_, forse quel medesimo, di cui ci restano alcuni libri.
I regali fatti da _Vologeso_ (probabilmente re dell'Armenia) a que'
Barbari, e la paura dell'esercito romano raunato da Arriano, fecero da
lì a non molto cessare le loro ostilità e i saccheggi. Si può ricavar
da Dione, che in questi tempi l'Augusto Adriano stanziasse in Atene,
dove dedicò il tempio di Giove Olimpico, in cui fu anche posto la
statua di lui col suo altare, e un drago fatto venire dall'India.
Solennizzò ivi Adriano con gran magnificenza le feste di Bacco, e vi
fece la sua comparsa, vestito in abito di Arconte. Diede inoltre
licenza ai Greci adulatori di fabbricar in quella città a nome di
tutta la Grecia un tempio alla sua persona, come ad un dio; e per far
onore a questo insigne edifizio, istituì de' combattimenti e giuochi,
e donò agli Ateniesi non solo una grossa somma di danaro e del grano,
ma anche l'isola di Cefalonia. In somma di tante beneficenze colmò
egli Atene, che quasi divenne essa una città nuova. Il che fatto,
finalmente abbandonò quel caro paese, e se ne ritornò in Italia nel
presente anno, o almeno nei primi mesi del seguente.
NOTE:
[946] Vopisc., in Saturn.
[947] Euseb., in Chron. et lib. 4, cap. 6 Historiae Ecclesiasticae.
[948] Dio, lib. 69.
[949] Euseb., lib. 4, cap. 6 Histor. Hieronymus in Isaiam, cap. 6.


Anno di CRISTO CXXXV. Indizione III.
TELESFORO papa 9.
ADRIANO imperadore 19.
_Consoli_
PONZIANO ed ATILIANO.

Il prenome e nome di questi consoli non si sono finora scoperti; v'ha
chi in vece di _Atiliano_ scrive _Atelano_. Da un'iscrizione atletica,
che si legge presso il Grutero e presso il Falconieri, ricavò il padre
Pagi[950], che Adriano Augusto prima del dì 3 di maggio era ritornato
a Roma, perchè un suo rescritto dato in quel giorno e nella stessa
città, appartiene alla di lui _Podestà Tribunizia XVIII_ corrente
allora. Rallegrò tosto il popolo con degli spettacoli. Nel corso delle
carrette si acquistò gran plauso uno di quei cocchieri, servo di
qualche nobile romano[951]. Il popolo con alte grida fece istanza
all'imperadore che gli desse la libertà. Addano in iscritto rispose,
_non essere cosa decente per li Romani il dimandare, che l'imperadore
dia la libertà ad un servo altrui, o forzi il padrone a dargliela_.
Ripigliò Adriano in Roma le sue solite maniere di vivere. Fra gli
altri suoi usi, andava spesso ai pubblici bagni, e si lavava con gli
altri del popolo[952]. Gli venne un dì osservato un veterano, molto
ben noto a lui, che fregava la schiena e le altre parti del corpo ai
marmi del bagno. Gliene dimandò il perchè: _Perchè non ho un servo,
rispose il soldato, che mi possa fregare._ Adriano gliene donò alcuni,