Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 43
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giorni nostri, se lo inchiodino bene nella mente gli uomini di tutte
le condizioni e di tutti i Partiti, _colui che cammina con maggiore
probità riporterà vittoria su gli altri_. — Allora io sorsi, e dissi:
«Poichè lo avete voluto, io intendo, al contrario, che abbiano intera
pubblicità; e questo per due motivi del pari importanti: primieramente
perchè non si concede sopprimere nel ragguaglio della Seduta una parte,
che il Pubblico ha diritto di sapere; secondariamente perchè tutti i
Toscani sieno informati per loro governo dello stato del Paese.»[584]
La mia proposta fu vinta.
«L'Assemblea Costituente Toscana
«Decreta:
«1º Doversi nel momento attuale sospendere ogni deliberazione intorno
alla forma del Governo ed alla Unificazione della Toscana con Roma.
«2º Doversi prorogare, siccome proroga, la prossima futura di lei
Tornata al dì 15 aprile corrente.
«3º I Deputati non pertanto dovranno restare in Firenze.
«4º Il Capo del Potere Esecutivo non potrà risolvere intorno alle
sorti della Toscana senza il soccorso e l'annuenza dell'Assemblea,
non solo a pena di nullità, ma di essere punito come traditore della
Patria. Potrà bensì provvedere alle necessità dello Stato con la
emissione di tanti Buoni del Tesoro, fino alla concorrenza di 2,000,000
di lire, ipotecando i medesimi unitamente all'imprestito volontario
decretato con la legge del 5 aprile 1848 per sostenere la guerra della
Indipendenza, sopra i Beni dello Scrittoio delle Rendite.
«Li 3 aprile 1849.»
Fu vinta, ma combattuta dalla diffidenza. La proroga era concessa per
soli dodici giorni; ed anche a me piacque che fosse così; e m'imposero,
sotto solenne religione, l'obbligo di non risolvere intorno alle sorti
della Toscana; e due milioni assegnarono per limitare le facoltà che
aborrivano, e pur si dovevano, in tanta urgenza, lasciare liberissime.
Però gli Avversarii non rifinivano di sussurrare menzognero ed
esagerato il rapporto; i fatti non veri; vero soltanto l'accordo del
Potere Esecutivo col Principe a Gaeta.
Avrei potuto allora chiudere violentemente l'Assemblea, e operare
qualche giorno innanzi quanto successe il 12 aprile. _Nol feci, e
non lo volli fare_. Considerai, che avventurandomi a cotesto passo
avrei potuto incontrare resistenze di città, di provincie, od anche
d'individui; e questo verosimilmente accadendo, bisognava ricorrere
alla forza. Simile partito poi non era sicuro che riuscisse, con
le milizie che possedevamo allora: dato che riuscisse, era mestieri
venire a contesa; ed io diligentemente procurava, che non insorgesse
dissidio di sorta da nessuna parte, perchè lo universale consenso
rallegrasse la Corona, e la persuadesse, che i casi passati dovessero
ritenersi come que' brevi scompigli, che pur talvolta si levano anche
fra persone dilette, e da obbliarsi facilmente; nessuno nella solennità
del reintegrato Statuto avesse a piangere: dall'altra perchè non fosse
somministrato _pretesto_ agli stranieri d'intervenire nelle faccende
nostre con la loro diplomazia, e peggio con le loro armi. — Inoltre,
dal partito violento mi dissuadeva _la mala compagnia reazionaria od
anarchica_, che in queste occasioni sempre ribolle, e ti spinge fuori
dei limiti del tuo disegno. Nè _anarchici_, nè _reazionarii_; estremi
entrambi. _Siffatta maniera di gente servendo piuttosto alle passioni
proprie, che al bene dello Stato, sono fastidio sempre, vergogna
spesso, qualche volta rovina della parte a cui si attaccano; sozzi in
vista, nè meno in effetto dannosi de' serpenti di Laocoonte_.
Io intesi fare così. Ottenuta la proroga dell'Assemblea mandai
Deputati di qualunque Partito, purchè probi, nelle Provincie, affinchè,
investigato lo spirito e le tendenze delle Popolazioni, sopra l'anima
e coscienza loro ne riferissero dentro breve spazio di tempo. Al punto
stesso, io con ogni conato, e sinceramente, mi adoperai nel negozio
dello adunare milizie. Mi volsi a tutti i Partiti, parlai a tutti
gl'interessi, eccitai tutte le passioni. Feci comprendere agli amici
della Restaurazione correre loro dovere di conservare intero lo Stato
alla Corona; non prendessero il desiderio del richiamo del Principe
a _pretesto di codardia_, imperciocchè io non indicassi loro nemici
nuovi, sibbene antichi, tali dichiarati dallo stesso Sovrano, già
combattuti, e certamente acerbi per le recenti offese sopra i campi
lombardi. Serbare lo Stato intero, e respingere, s'era possibile, ogni
aggressione straniera, formava il dovere primo di ogni cittadino; o
almeno tentarlo. Altra causa ad operare lealmente consisteva per me
nella promessa solenne data dalla Toscana ai Popoli Lunensi e della
Garfagnana di difenderli, per quanto forza umana bastasse; e delle
altre ragioni altrove indicate non parlo, avvegnadio quando ti lega la
religione della promessa tra gente onesta più lungo discorso non abbia
luogo.
Però io devo confessare, che da tutti questi sforzi sperava potesse
ottenersi tanto da provvedere all'_onore_ prima, e poi al benefizio
delle sorti della Patria, non però quanto bastasse a giusta _difesa_,
se l'Austria si fosse avventata con grosso sforzo di gente contro di
noi. Onde era ordine al Generale D'Apice, che dove i nemici si fossero
affacciati _grossi così da non poterli per qualsivoglia estremo di
virtù impedire_, anzichè sprecare senza prò sangue umano, si ritirasse
protestando: in ogni altro evento proteggesse la Garfagnana, e Massa e
Carrara. La disperata difesa, che andavano immaginando i Repubblicani,
_non poteva farsi_, e quel seppellirci sotto le rovine delle città
è partito che il Paese civile repudia. Queste deliberazioni, è vero,
salvano all'ultimo i paesi, ma sul momento li guastano, e noi non li
possiamo patire sciupati. Quando le palle nemiche avessero a bucherare
i nostri palazzi, ohimè! non vi parrebbero eglino malconci dal vaiolo?
Ed a chi mai di noi basterebbe il cuore di vedere il suo palazzo col
vaiolo? Siffatte enormezze si hanno da lasciare ai Barbari, che non
vogliono sopportare dominio straniero in casa, come sarebbero il russo
Rostopchin a Mosca, o il vescovo Germanos a Missolungi; una volta
avemmo ancora noi un Biagio del Melano.... ma, come Barbaro, lo abbiamo
dato all'oblio, così che io giocherei Roma contro uno scudo che neanche
venti dei miei civilissimi lettori ne conoscono il nome.[585] Chè se
i Toscani un giorno, per volontà dei cieli, e per virtù propria mi
chiariranno bugiardo, pensino che io faccio _capo saldo_ a tutto _12
Aprile 1849_; e se non vorranno pensare a questo, io domanderò perdono,
se pure i miei occhi saranno aperti, e sarà incerto se con maggiore
esultanza me lo concederanno essi, o lo domanderò io. Fino a quel
giorno la evidenza mi dà la ragione e l'angoscia di averla.
La frontiera toscana, com'era allora, a giudizio degl'Ingegneri, non
si presta agevolmente alle scarse difese: lunga si sprolunga la linea,
ed abbisogna copia di gente, e apparecchio immenso. Le milizie nostre,
poche a tanto uopo, e in condizione di disciplina deplorabile; e ciò
sia detto, salvo il debito onore di quelli che mostrarono cuore ed
ingegno per sostenere le difese estreme. La gente raccogliticcia, e
giova qui rammentarlo anche una volta, non fa frutto: di questo non
vogliono persuadersi gli Entusiasti, ed è verità vecchia, e lo abbiamo
sperimentato a nostre spese di nuovo.
Oltrechè poi anche di gente siffatta non era il novero grandissimo, o
almeno corrispondente allo assorgere di Popolo come un uomo solo che
intende difendere disperatamente i suoi lari; avvegnachè, per lungo
disuso e per mansuetudine antica, i Toscani repugnassero dalle zuffe;
e sebbene abbiamo visto, come condotti una volta al campo riescano
soldati a nessuna milizia secondi, pure sradicare dall'animo dei
Popoli la infame repugnanza tutto a un tratto non puossi. Nel Ducato
di Lucca, per concessione della Principessa Elisa, i Lucchesi si
reputavano immuni dalla milizia. Privilegio esercitato con ragione,
quando si trattava andare in remote contrade a combattere guerre di
conquista; stolto, empio, iniquamente preteso, quando chiama la Patria.
Per la qual cosa vedemmo, maraviglioso a dirsi! nel contado lucchese i
rustici armati a sostenere la guerra per non andare alla guerra.... Le
campagne toscane poi poco alla milizia disposte per le cause referite,
e per altre, che sarà bello tacere. La gioventù cittadina, diversa, ma
meno adatta alla sobrietà e alle fatiche, alla virtù insomma, — senza
la quale armati si hanno, soldati non già, — difficile a governarsi,
apportatrice nelle armi delle scapigliature di piazza, non osservatrice
di altri ordini che dei suoi, e questi ogni ora mutati; non obbediente
ad altri capi che agli eletti da lei, impedimento sempre, difesa nulla
o scarsissima.
Da Firenze dopo molte istanze ottenemmo 80, credo, soldati civici, i
quali ancora non partirono per la Frontiera, ma rilevarono il presidio
di Orbetello.
Più tardi partirono mille, e generosissimi tutti, senza badare a
Repubblica o non Repubblica; chè nei cuori accesi di carità patria
davvero, quando si tratta di difendere il suolo natio, si guarda dove
e perchè si va, non a chi ci manda.
I padri empivano di querele il Palazzo, perchè il Ministro della Guerra
rendesse loro i figli.
«Firenze 2 aprile. — Il Ministro della Guerra è assediato da continue
dimande di molti cittadini, i quali reclamano perchè i loro figli
siensi arruolati Volontarii. — Non può egli fare a meno di rammaricarsi
nello scorgere nei genitori dei coscritti tanto dolore per atto così
eminentemente patriottico, e che onora la Gioventù toscana. La Patria
versa in sommo periglio, nè mai ha avuto tanto bisogno quant'oggi
dell'opera dei suoi figli: essa attende però, ed esige da tutti
quelli che nudrono in seno amore del proprio Paese, sagrifizio di
ciò ch'è più caro all'uomo. Senza di che mai Italia si affrancherà
dal dominio straniero, sorgente dei nostri mali. Il Ministro della
Guerra, al tempo medesimo che si congratula co' giovani soldati, non
può non rammentare ai loro genitori il dovere sacrosanto, che ad ogni
cittadino incombe di rispondere allo appello della Patria: che, in
luogo di lamenti, egli si attende dai genitori un incitamento ai figli
ad essere buoni e virtuosi soldati; non può infine non richiamare
alla loro memoria lo esempio delle madri spartane, le quali non solo
volonterose consentivano ai figli di prendere le armi, ma eziandio
con le loro mani ne gli rivestivano, e gli accompagnavano al luogo del
generale convegno, e prima di lasciarli gli ammonivano a combattere da
eroi, o gli consigliavano a volere perdere meglio la vita che serbare
un contegno del quale la patria dovesse arrossire. Nudre pertanto
fiducia il Ministro della Guerra, che tutti i Toscani i quali abbiano
figli ricovreranno più generosi sentimenti, e che, invece di muliebri
lagnanze, verranno ad allegrargli le orecchie parole di patria carità.
«MANGANARO.»
Credono eglino i Repubblicani, che, gridando dentro coteste leprine
orecchie: _Repubblica!_ avrebbero camminato i padri più accesi nelle
cose della guerra? Immaginino come vogliono, noi vediamo com'è. Nè
meglio Livorno di Firenze, anzi peggio; e Toscana tutta alla medesima
stregua. Se questa dolente pagina fosse scritta per mia difesa
soltanto, ci verserei sopra tutto lo inchiostro del calamaio, e ci
strofinerei sopra lo stoppaccio settantasette volte sette; ma la
lascio, perchè leggendola si abbiano a vergognare i miei conterranei.
E perchè le madri slave non piangono quando i loro figli vanno a
combattere, ma esultano, riesce ai Croati vincere noi, che ci vantiamo
così civili, e presumiamo tanto!...
Udii, che gli Ufficiali (intendo i pessimi) sotto pretesti varii
sollecitavano congedi, o allegavano infermità per non andare alle
frontiere: infermità che in taluni forse erano vere, ma dedotte
insieme, e in mal punto, erano da sospettarsi tutte false!
Pertanto prevedevo sicurissimo, che i Deputati i quali percorrevano
le provincie, muniti di mie facoltà per eccitare la milizia civica
alla patria difesa, sarebbero tornati, non dirò senza costrutto, —
chè tanto non credevo allora, nè credo abbia maledetto il Signore
la nostra contrada, — ma con rapporti capaci a fare mettere giù la
speranza di vedere le moltitudini correre armate alla frontiera, molto
più per opinioni politiche allora invise allo universale. Io aspettava
il ritorno di questi Deputati, e mi consigliava a parlare in questo
modo nell'Assemblea, indirizzando il discorso ai Partigiani della
Repubblica:
«Voi non avete creduto alle mie parole mai: ecco persone di fiducia
vi riferiscono, come nelle provincie non ferva lo entusiasmo di
combattere, che voi immaginaste. Se pertanto non comparisce universale
il moto di correre alla difesa delle frontiere per amore della Patria,
la quale contiene le cose che per modi diversi tornano a tutto uomo
più care, come vorreste voi che vi si precipitassero i Popoli per
una forma di governo, che molti ignorano, moltissimi aborriscono? Se
non si levano per cagioni, che tutti i cuori sentono, come presumete
eccitarli per via di astrattezze che la mente non comprende o
rigetta? Voi mi avete rampognato di avere omesso i mezzi capaci a
tenere desti gli spiriti del Popolo. Se intendete degli _onesti_,
io gli ho praticati tutti; se mai (lo che io non voglio credere)
accennaste ai modi della Rivoluzione di Francia del 1793, sappiate
ch'essi fecero paurosa la libertà ed infame; sicchè vi volle mezzo
secolo a riassicurare gli animi sbigottiti. I sacri argenti tolti
alle Chiese avrebbero gittato forse 15 o 20 mila scudi, sussidio
insufficiente a tanto uopo, e avrebbero partorito esecrazione infinita
contro il Governo. Il tôrre a forza fa sparire la moneta, e dare al
capestro il collo dei repugnanti vi farà ricchi di delitti, non di
moneta.[586] Spingere uomini incontro al cannone con la scure dietro,
nè lo potevate domandare voi, nè lo potevo eseguire io. Solo posso
precederli, e questo, se mi è dato, farò. Voi vi ingannate intorno
alla virtù dello entusiasmo; egli esalta, non crea le forze. Con lo
entusiasmo voi non formate la scienza degli artiglieri, la disciplina
negli eserciti, gli esercizii della cavalleria, non gli apparecchi
di guerra, e per di più da un punto all'altro, di faccia al nemico.
Non invocate gli antichi esempii di Francia, perchè l'anima trema
rammentando le necessità dei pochi, che vogliono dominare su i molti.
Queste necessità sono i _Settembrizzatori_ a Parigi, le _Mitragliate_
a Lione, gli _Annegamenti_ a Nantes. — La Libertà non si nudrisce,
si avvelena, col sangue; nè ho mai sentito dire, che rovistando pei
sepolcri si trovino argomenti al prospero vivere degli uomini, bensì
vermi; ed io per me non voglio prendere gli esempii da altro Paese, che
da quello che mi citate. Dove mise capo la convulsione dei Francesi
così atrocemente eccitata? Dove andarono a terminare le quattordici
armate rivoluzionarie? Nella perdita di tutta la Italia, nel confine
del Reno minacciato. Dove si quietarono gli esaltati spiriti della
Libertà? Nelle turpitudini del Direttorio. Se lo ingegno, e la fortuna
di un uomo, cui si piegarono tutti ad adorare despota, non erano, — la
Francia sarebbe stata invasa, e divisa. Ecco quali immensi abbattimenti
succedono a immensi furori. Ora la fortuna vi para davanti due vie
da seguitare: la prima sta nel precipitarvi con grandissimo pericolo,
anzi con esizio certo, nella Unificazione con Roma e nella Repubblica,
contro gl'interessi e il sentimento universali; la seconda, compiacendo
al genio e alle necessità della Patria, nel restaurare lo Statuto
Costituzionale. Il primo partito, oltrechè voi non potrete sostenere,
vi divide dentro, chiama certamente il nemico di fuori, ed apparecchia
sventure, che nemmeno potranno sostenersi con onore: il secondo vi
unisce in pace; chiude il campo alle contese tra partiti nemici, nelle
quali essi sempre trasmodano, e, se per impeto di passione, feroci, —
se per ingordigia di comodi, ferocissimi e spietati; toglie adito ai
pravi disegni _dei reazionarii_, e _pretesto_ agli stranieri d'invadere
le nostre terre. Il suffragio universale del Popolo torrà via ogni
amarezza dall'animo del Principe, per indole facilmente oblioso; il
quale, considerato la qualità dei tempi, gli eccitamenti straordinarii
e la potenza di uomini repubblicani qui da ogni parte convenuti, e gli
errori in cui tutti di leggieri trascorriamo quando la mente è commossa
da súbita passione, o turbata da inopinate vicende, troverà più che
non bisognano motivi per l'animo suo a dimenticare il successo come
un sogno di febbre. Preservate la Patria dalla occupazione straniera,
e mantenete le libertà costituzionali, che dirittamente esercitate
bastano ai Toscani. Frattanto permettete, che io mi congratuli meco, e
con voi, che il sentiero a questo partito non sia stato mai chiuso, e
che la nostra Patria in così impetuoso turbinío non abbia a deplorare
fatti scellerati, nè perduta la fama della sua vera civiltà. Questo
consiglio io vi do di coscienza, non per fine di privato interesse,
non per obbligo d'impegno assunto, non per patto convenuto, non per
altro meno onesto motivo; ma sì, come a dabbene uomo si addice, mosso
unicamente dallo amore di Patria, e di voi; e perchè voi ne andiate
nel profondo dell'animo persuasi vi confermo, che nessuna pratica
fu da me iniziata in proposito col Principe assente, — veruna. Se io
abbia operato con lealtà quanto mi parve che fosse bene della Patria
e non per basso intento, voi vel conoscete a prova. Voi trovate il
terreno delle trattative vergine; provvedete voi. Brevi le condizioni,
e facili. Lo Statuto si mantenga, duri indipendente il Paese. _La
Inghilterra da me consultata si profferisce mediatrice di questo: farà
lo stesso la Francia._ Di oblio non parlo; conciossiachè, se male io
non conobbi, mi paia più agevole al Principe nostro concederlo, che a
voi domandarlo; e a me giammai, quante volte per altri lo chiesi, disse
di no. Se ho commesso errori (e ne avrò commessi di certo) perdonateli
alla bontà della intenzione, alla infermità del giudizio.[587] E quando
non mi sia meritata alcuna lode, deh! concedetemi almeno che senza
detrimento di buona fama io _vada a riposare in terra lontana, ma
sempre italiana, l'animo e il corpo affaticati_.»
Io per me non dubito punto affermare, e ritenere per certissimo,
che le parole aperte, i modi schietti e legali, la lealtà, ed anche
(non mi sia conteso dirlo) la generosità del procedere, la urgenza
finalmente dei casi, avrebbero sciolto la durezza dei più pervicaci,
e (lo soffrano in pace gl'interessati a negarlo) partorito assai più
prosperevoli sorti alla Patria comune, di quelle che le vennero, dal
costoro operato, nel 12 aprile 1849. Il consenso universale di tutta
la Toscana sarebbe stato istantaneo come lo spandersi della luce
al sorgere del Sole; dopo quindici e più giorni non avremmo veduto
condotti ad aderire al Municipio di Firenze alcuni Municipii toscani
nella guisa stessa con la quale i Romani traevano i testimonii in
giudizio, dando ai malevoli argomento per calunniarli avversi alla
cosa, mentre erano offesi del modo. La livornese resistenza non
sarebbe accaduta, e con essa, se non la volontà, veniva almeno tolta
la occasione alle armi straniere di scendere quaggiù, del pari che
il motivo a chiamarle; donde poi era dato campo larghissimo alle
potenze mediatrici a interporsi con frutto. E forse oggi anche noi
ci consoleremmo della non acquistata indipendenza italiana con la
indipendenza toscana mantenuta, con lo esercizio effettuale delle
libertà sanzionate nello Statuto, di cui la conservazione fra noi mi
pare che assai si rassomigli alla mostra del diamante _Koh-i-noor_
(montagna di luce) nella Esposizione di Londra, dove tutti lo
possono vedere in gabbia, ma sparirebbe con la gabbia, lo zoccolo, il
guanciale, _et reliqua_, se qualcheduno si attentasse a toccarlo.
A questo punto io mi rinnuovo l'obietto, che per deliberarmi io
aspettassi la occasione. Se si dirà che la occasione mi facilitasse il
cammino a mandare a compimento il concetto prestabilito, si parlerà con
rettitudine; se poi all'opposto si sosterrà che l'occasione generasse
il concetto, questo ormai fu dimostrato falso da quanto sono venuto
esponendo in questa scrittura fin qui, ed aggiungerò in breve per
conclusione. — Nè penso che alcuno vorrà appuntarmi per avere colto il
destro propizio, avvegnachè l'uomo non possa creare gli eventi: questi
sono di Dio. L'uomo può qualche volta impadronirsene, e indirizzarli
per forza o per ingegno a fine determinato. Ricordo che Madama Staël
per istudio di scemare la fama a Napoleone soleva chiamarlo _homme
des circonstances_, della quale sentenza punto ei si offendeva, per i
motivi che ho poco anzi discorsi. Sicchè su questo particolare penso,
che sarà savio arrestarmi.
Però io voglio esporre quello che avessi considerato nello evento di
fortuna prosperevole alle armi piemontesi. Vinta una battaglia, non
sempre si vince la guerra. Poniamo vinta la guerra con una battaglia
sola, come accadde a Marengo nel 1800, e ultimamente a Novara; allora
si presentavano subito al pensiero molte e gravi contingenze, così
nello interno, come di fuori. Incomincio dalle ultime. Il re Carlo
Alberto sarebbe cresciuto di reputazione e di forza, per virtù sua e
per decadenza della Fazione repubblicana. — Bisogna ritenere che la
massima parte dei Lombardi procedeva sviscerata della Repubblica, non
già per fine politico, quanto per riputarla mezzo sicuro a ricuperare
la patria. Una fatale persuasione, che durò anche dopo lo infortunio
novarese, e compose il martirio doloroso di Carlo Alberto (principe,
il quale se trova molti superiori in grandezza, nessuno, a parer mio,
lo uguaglia nella sventura), si radicò nella mente dei Lombardi e di
parecchi fra gli altri Italiani, che il Re non camminasse sicuro in
questa bisogna, ed in segreto se la intendesse co' nemici d'Italia.
Assurdità, e peggio; ma la disgrazia è persuaditrice tristissima
degli uomini, e chi da lontano conosce per relazione le cose udendo
il veemente narrare, e i giuramenti smaniosi, e i pianti, e tutto
quanto insomma ha maggiore virtù di commuovere l'animo umano, si
trova conturbato nello intelletto e nella fede. In questo travedimento
gli esuli tennero per fermo, che ormai non più il Principato, ma la
Repubblica avrebbe loro riaperte le porte della patria: di qui il
correre a sollevare Italia tutta a parte repubblicana; di qui l'opera
ardente e indefessa, impresa a danno della Monarchia Piemontese, che
fu parte non piccola fra le cause della disfatta di Novara. Della
verità del mio concetto porge argomento il considerare che prima
degl'infortunii di Custoza i Repubblicani si fossero sottomessi,
dichiarando non volere con importune contese disturbare la opera
della Indipendenza italiana. — Ora, se la sorte delle armi, arridendo
al Re, avesse non pure quietati, ma distrutti, i fatali sospetti;
se al Re fosse stato concesso di schiudere ai Lombardi il varco
pel ritorno in patria, mentre la Repubblica non si era mai mostrata
capace di tanto, non veniva tolto ad un tratto il motivo negli esuli
di parteggiare per la Repubblica? Certo che sì. Cresciuta l'autorità
del Principato, non poteva supporsi che Piemonte consentisse tenere
quello stecco su gli occhi di una Repubblica della Italia Centrale,
e l'avrebbe avversata con tutti i modi: dalla parte di Napoli, non
importa dimostrarlo. Conquista da Torino non temevo, chè se di volere
non avesse patito difetto, gli mancava il potere. La Francia, la quale
come abbiamo letto dichiarato da Lamartine, non avrebbe sofferto
che il Regno Sardo si ampliasse col Lombardo-Veneto e co' Ducati,
pensiamo un po' se gli avrebbe consentito stendere la mano anche sopra
Toscana! Dalla conquista in fuori, la Repubblica della Italia Centrale
doveva aspettarsi dal Piemonte pessimi ufficii. La vittoria delle
armi italiane avrebbe richiamato l'attenzione della Francia e della
Inghilterra, rimaste quasi arbitre dei destini d'Italia, ad assettare
le cose nostre; diversamente invero da quello che appaiono adesso, ma
pure in modo contrario alla Repubblica. La Inghilterra, tenerissima
della sua Costituzione, non ama le Repubbliche, e la Francia
repubblicana le odia. Però Napoli sarebbe stato costretto a procedere
dirittamente nelle vie costituzionali, e ad accogliere con onore gli
esuli cittadini. Dal quale successo erano a prevedersi verosimili due
conseguenze: la prima, che anche in questa parte l'autorità regia
costituzionale acquisterebbe aumento; la seconda, che i napolitani
esuli, reduci in patria, sarebbero rimasti di affaticarsi per la
Repubblica nel modo stesso, e per le medesime ragioni che ho esposto
testè discorrendo degli esuli lombardi. La Toscana e Roma pertanto
si vuotavano di questi arnesi potentissimi di Rivoluzione. Così tra
le cause scemate per desiderare la Repubblica, la cresciuta autorità
costituzionale, le pratiche di Potenze primarie, la pressura da due
lati, la debolezza comparativa dello Stato, il difetto di frontiere
validissime, e la necessità di non isconcordare per costituirsi con
solidità, avrebbero costretto questi due Stati a piegarsi alla forma
costituzionale. Cosa sarebbe avvenuto del potere temporale del Papa,
non è facile prevedersi: solo lo evento è bastato a persuadere che
lo avrebbero restaurato le armi repubblicane di Francia: ad ogni modo
faceva mestieri accomodare anche il Papa degnamente, come a Capo della
Chiesa Cattolica si addice.
E questo per ciò che riguarda di fuori. Nello interno poi, a cagione
di quanto venne dichiarato superiormente, opera perduta sarebbe
mettere parole intorno al successo della aggiunzione al Piemonte, come
quella che pareva ad accadere impossibile. Consideriamo piuttosto la
Unificazione con gli Stati Romani.
_Trovavo_ dentro (e fu sovente materia delle mie conferenze col Capo
del Municipio fiorentino, e con altri precipui cittadini così di
Firenze come delle Provincie, delle libertà costituzionali fidatissimi
amici) _repugnanza infinita_ di lasciare uno stato certo e provato
sufficiente, per avventurarci in condizioni ignote, piene di pericolo,
allo universale per nulla necessarie, dalla maggiorità rigettate.
_Trovavo_ che i Toscani, ed in singolare modo i Fiorentini, sentivano
inestimabile molestia a ridursi in grado di provincia romana, mentre
_ab antiquo_ avevano formato florido stato, copioso di commercii e
pieno di gloriose memorie.
_Trovavo_ che i Toscani aborrivano di rendersi solidali al fallimento
della finanza romana, e ostinatissimi contrastavano per non essere
tratti in cotesto vortice di debito.
_Trovavo_ che Firenze non si adattava a restare priva della sede del
Governo, fonte per lei non pure di decoro, ma di vantaggi notabili,
sia per la stanza degl'impiegati, sia pel concorso di quanti muovono
dalle Provincie quaggiù pei loro negozii col Governo; sia finalmente
pel soggiorno dei forestieri, i quali sogliono fermarsi nelle Capitali.
_Trovavo_ la classe commerciante di Livorno paurosa di scapitare in pro
di Civitavecchia, il quale porto, come prossimo alla metropoli della
Italia Centrale, non ha dubbio che si sarebbe ampliato con danno di
Livorno.
_Trovavo_ costumi diversi, diversi i gradi di civiltà, diverse le
maniere del vivere, l'economie ed altre più cose, che non consentono
che Unificazione piena e assoluta ad un tratto si faccia, o fatta non
abbia poi a dolere. Toscana mutata in provincia sopportava sagrificio
troppo duro, come grande sarebbe riuscito il vantaggio, se qualche
parte dello Stato Romano si fosse aggiunta a lei in condizione di
provincia. Queste _unificazioni_ o _fusioni_, come dicevano allora, si
operano di consenso o di forza. A effettuarle con la forza vuolsi una
potenza grande, che raccolga nella mano di ferro le varie generazioni
abitatrici di una contrada della medesima lingua, e le costringa tutte
a portare la impronta delle sue dita. Ma da Napoleone imperatore e re
in fuori, nei tempi moderni, non discerno altri che potesse essere
stato capace da tanto. A volerle condurre per via di consenso, si
richiedono uguali, o molto simili, le condizioni disposte dalla natura,
e secondate dalla operosa volontà degli uomini.
le condizioni e di tutti i Partiti, _colui che cammina con maggiore
probità riporterà vittoria su gli altri_. — Allora io sorsi, e dissi:
«Poichè lo avete voluto, io intendo, al contrario, che abbiano intera
pubblicità; e questo per due motivi del pari importanti: primieramente
perchè non si concede sopprimere nel ragguaglio della Seduta una parte,
che il Pubblico ha diritto di sapere; secondariamente perchè tutti i
Toscani sieno informati per loro governo dello stato del Paese.»[584]
La mia proposta fu vinta.
«L'Assemblea Costituente Toscana
«Decreta:
«1º Doversi nel momento attuale sospendere ogni deliberazione intorno
alla forma del Governo ed alla Unificazione della Toscana con Roma.
«2º Doversi prorogare, siccome proroga, la prossima futura di lei
Tornata al dì 15 aprile corrente.
«3º I Deputati non pertanto dovranno restare in Firenze.
«4º Il Capo del Potere Esecutivo non potrà risolvere intorno alle
sorti della Toscana senza il soccorso e l'annuenza dell'Assemblea,
non solo a pena di nullità, ma di essere punito come traditore della
Patria. Potrà bensì provvedere alle necessità dello Stato con la
emissione di tanti Buoni del Tesoro, fino alla concorrenza di 2,000,000
di lire, ipotecando i medesimi unitamente all'imprestito volontario
decretato con la legge del 5 aprile 1848 per sostenere la guerra della
Indipendenza, sopra i Beni dello Scrittoio delle Rendite.
«Li 3 aprile 1849.»
Fu vinta, ma combattuta dalla diffidenza. La proroga era concessa per
soli dodici giorni; ed anche a me piacque che fosse così; e m'imposero,
sotto solenne religione, l'obbligo di non risolvere intorno alle sorti
della Toscana; e due milioni assegnarono per limitare le facoltà che
aborrivano, e pur si dovevano, in tanta urgenza, lasciare liberissime.
Però gli Avversarii non rifinivano di sussurrare menzognero ed
esagerato il rapporto; i fatti non veri; vero soltanto l'accordo del
Potere Esecutivo col Principe a Gaeta.
Avrei potuto allora chiudere violentemente l'Assemblea, e operare
qualche giorno innanzi quanto successe il 12 aprile. _Nol feci, e
non lo volli fare_. Considerai, che avventurandomi a cotesto passo
avrei potuto incontrare resistenze di città, di provincie, od anche
d'individui; e questo verosimilmente accadendo, bisognava ricorrere
alla forza. Simile partito poi non era sicuro che riuscisse, con
le milizie che possedevamo allora: dato che riuscisse, era mestieri
venire a contesa; ed io diligentemente procurava, che non insorgesse
dissidio di sorta da nessuna parte, perchè lo universale consenso
rallegrasse la Corona, e la persuadesse, che i casi passati dovessero
ritenersi come que' brevi scompigli, che pur talvolta si levano anche
fra persone dilette, e da obbliarsi facilmente; nessuno nella solennità
del reintegrato Statuto avesse a piangere: dall'altra perchè non fosse
somministrato _pretesto_ agli stranieri d'intervenire nelle faccende
nostre con la loro diplomazia, e peggio con le loro armi. — Inoltre,
dal partito violento mi dissuadeva _la mala compagnia reazionaria od
anarchica_, che in queste occasioni sempre ribolle, e ti spinge fuori
dei limiti del tuo disegno. Nè _anarchici_, nè _reazionarii_; estremi
entrambi. _Siffatta maniera di gente servendo piuttosto alle passioni
proprie, che al bene dello Stato, sono fastidio sempre, vergogna
spesso, qualche volta rovina della parte a cui si attaccano; sozzi in
vista, nè meno in effetto dannosi de' serpenti di Laocoonte_.
Io intesi fare così. Ottenuta la proroga dell'Assemblea mandai
Deputati di qualunque Partito, purchè probi, nelle Provincie, affinchè,
investigato lo spirito e le tendenze delle Popolazioni, sopra l'anima
e coscienza loro ne riferissero dentro breve spazio di tempo. Al punto
stesso, io con ogni conato, e sinceramente, mi adoperai nel negozio
dello adunare milizie. Mi volsi a tutti i Partiti, parlai a tutti
gl'interessi, eccitai tutte le passioni. Feci comprendere agli amici
della Restaurazione correre loro dovere di conservare intero lo Stato
alla Corona; non prendessero il desiderio del richiamo del Principe
a _pretesto di codardia_, imperciocchè io non indicassi loro nemici
nuovi, sibbene antichi, tali dichiarati dallo stesso Sovrano, già
combattuti, e certamente acerbi per le recenti offese sopra i campi
lombardi. Serbare lo Stato intero, e respingere, s'era possibile, ogni
aggressione straniera, formava il dovere primo di ogni cittadino; o
almeno tentarlo. Altra causa ad operare lealmente consisteva per me
nella promessa solenne data dalla Toscana ai Popoli Lunensi e della
Garfagnana di difenderli, per quanto forza umana bastasse; e delle
altre ragioni altrove indicate non parlo, avvegnadio quando ti lega la
religione della promessa tra gente onesta più lungo discorso non abbia
luogo.
Però io devo confessare, che da tutti questi sforzi sperava potesse
ottenersi tanto da provvedere all'_onore_ prima, e poi al benefizio
delle sorti della Patria, non però quanto bastasse a giusta _difesa_,
se l'Austria si fosse avventata con grosso sforzo di gente contro di
noi. Onde era ordine al Generale D'Apice, che dove i nemici si fossero
affacciati _grossi così da non poterli per qualsivoglia estremo di
virtù impedire_, anzichè sprecare senza prò sangue umano, si ritirasse
protestando: in ogni altro evento proteggesse la Garfagnana, e Massa e
Carrara. La disperata difesa, che andavano immaginando i Repubblicani,
_non poteva farsi_, e quel seppellirci sotto le rovine delle città
è partito che il Paese civile repudia. Queste deliberazioni, è vero,
salvano all'ultimo i paesi, ma sul momento li guastano, e noi non li
possiamo patire sciupati. Quando le palle nemiche avessero a bucherare
i nostri palazzi, ohimè! non vi parrebbero eglino malconci dal vaiolo?
Ed a chi mai di noi basterebbe il cuore di vedere il suo palazzo col
vaiolo? Siffatte enormezze si hanno da lasciare ai Barbari, che non
vogliono sopportare dominio straniero in casa, come sarebbero il russo
Rostopchin a Mosca, o il vescovo Germanos a Missolungi; una volta
avemmo ancora noi un Biagio del Melano.... ma, come Barbaro, lo abbiamo
dato all'oblio, così che io giocherei Roma contro uno scudo che neanche
venti dei miei civilissimi lettori ne conoscono il nome.[585] Chè se
i Toscani un giorno, per volontà dei cieli, e per virtù propria mi
chiariranno bugiardo, pensino che io faccio _capo saldo_ a tutto _12
Aprile 1849_; e se non vorranno pensare a questo, io domanderò perdono,
se pure i miei occhi saranno aperti, e sarà incerto se con maggiore
esultanza me lo concederanno essi, o lo domanderò io. Fino a quel
giorno la evidenza mi dà la ragione e l'angoscia di averla.
La frontiera toscana, com'era allora, a giudizio degl'Ingegneri, non
si presta agevolmente alle scarse difese: lunga si sprolunga la linea,
ed abbisogna copia di gente, e apparecchio immenso. Le milizie nostre,
poche a tanto uopo, e in condizione di disciplina deplorabile; e ciò
sia detto, salvo il debito onore di quelli che mostrarono cuore ed
ingegno per sostenere le difese estreme. La gente raccogliticcia, e
giova qui rammentarlo anche una volta, non fa frutto: di questo non
vogliono persuadersi gli Entusiasti, ed è verità vecchia, e lo abbiamo
sperimentato a nostre spese di nuovo.
Oltrechè poi anche di gente siffatta non era il novero grandissimo, o
almeno corrispondente allo assorgere di Popolo come un uomo solo che
intende difendere disperatamente i suoi lari; avvegnachè, per lungo
disuso e per mansuetudine antica, i Toscani repugnassero dalle zuffe;
e sebbene abbiamo visto, come condotti una volta al campo riescano
soldati a nessuna milizia secondi, pure sradicare dall'animo dei
Popoli la infame repugnanza tutto a un tratto non puossi. Nel Ducato
di Lucca, per concessione della Principessa Elisa, i Lucchesi si
reputavano immuni dalla milizia. Privilegio esercitato con ragione,
quando si trattava andare in remote contrade a combattere guerre di
conquista; stolto, empio, iniquamente preteso, quando chiama la Patria.
Per la qual cosa vedemmo, maraviglioso a dirsi! nel contado lucchese i
rustici armati a sostenere la guerra per non andare alla guerra.... Le
campagne toscane poi poco alla milizia disposte per le cause referite,
e per altre, che sarà bello tacere. La gioventù cittadina, diversa, ma
meno adatta alla sobrietà e alle fatiche, alla virtù insomma, — senza
la quale armati si hanno, soldati non già, — difficile a governarsi,
apportatrice nelle armi delle scapigliature di piazza, non osservatrice
di altri ordini che dei suoi, e questi ogni ora mutati; non obbediente
ad altri capi che agli eletti da lei, impedimento sempre, difesa nulla
o scarsissima.
Da Firenze dopo molte istanze ottenemmo 80, credo, soldati civici, i
quali ancora non partirono per la Frontiera, ma rilevarono il presidio
di Orbetello.
Più tardi partirono mille, e generosissimi tutti, senza badare a
Repubblica o non Repubblica; chè nei cuori accesi di carità patria
davvero, quando si tratta di difendere il suolo natio, si guarda dove
e perchè si va, non a chi ci manda.
I padri empivano di querele il Palazzo, perchè il Ministro della Guerra
rendesse loro i figli.
«Firenze 2 aprile. — Il Ministro della Guerra è assediato da continue
dimande di molti cittadini, i quali reclamano perchè i loro figli
siensi arruolati Volontarii. — Non può egli fare a meno di rammaricarsi
nello scorgere nei genitori dei coscritti tanto dolore per atto così
eminentemente patriottico, e che onora la Gioventù toscana. La Patria
versa in sommo periglio, nè mai ha avuto tanto bisogno quant'oggi
dell'opera dei suoi figli: essa attende però, ed esige da tutti
quelli che nudrono in seno amore del proprio Paese, sagrifizio di
ciò ch'è più caro all'uomo. Senza di che mai Italia si affrancherà
dal dominio straniero, sorgente dei nostri mali. Il Ministro della
Guerra, al tempo medesimo che si congratula co' giovani soldati, non
può non rammentare ai loro genitori il dovere sacrosanto, che ad ogni
cittadino incombe di rispondere allo appello della Patria: che, in
luogo di lamenti, egli si attende dai genitori un incitamento ai figli
ad essere buoni e virtuosi soldati; non può infine non richiamare
alla loro memoria lo esempio delle madri spartane, le quali non solo
volonterose consentivano ai figli di prendere le armi, ma eziandio
con le loro mani ne gli rivestivano, e gli accompagnavano al luogo del
generale convegno, e prima di lasciarli gli ammonivano a combattere da
eroi, o gli consigliavano a volere perdere meglio la vita che serbare
un contegno del quale la patria dovesse arrossire. Nudre pertanto
fiducia il Ministro della Guerra, che tutti i Toscani i quali abbiano
figli ricovreranno più generosi sentimenti, e che, invece di muliebri
lagnanze, verranno ad allegrargli le orecchie parole di patria carità.
«MANGANARO.»
Credono eglino i Repubblicani, che, gridando dentro coteste leprine
orecchie: _Repubblica!_ avrebbero camminato i padri più accesi nelle
cose della guerra? Immaginino come vogliono, noi vediamo com'è. Nè
meglio Livorno di Firenze, anzi peggio; e Toscana tutta alla medesima
stregua. Se questa dolente pagina fosse scritta per mia difesa
soltanto, ci verserei sopra tutto lo inchiostro del calamaio, e ci
strofinerei sopra lo stoppaccio settantasette volte sette; ma la
lascio, perchè leggendola si abbiano a vergognare i miei conterranei.
E perchè le madri slave non piangono quando i loro figli vanno a
combattere, ma esultano, riesce ai Croati vincere noi, che ci vantiamo
così civili, e presumiamo tanto!...
Udii, che gli Ufficiali (intendo i pessimi) sotto pretesti varii
sollecitavano congedi, o allegavano infermità per non andare alle
frontiere: infermità che in taluni forse erano vere, ma dedotte
insieme, e in mal punto, erano da sospettarsi tutte false!
Pertanto prevedevo sicurissimo, che i Deputati i quali percorrevano
le provincie, muniti di mie facoltà per eccitare la milizia civica
alla patria difesa, sarebbero tornati, non dirò senza costrutto, —
chè tanto non credevo allora, nè credo abbia maledetto il Signore
la nostra contrada, — ma con rapporti capaci a fare mettere giù la
speranza di vedere le moltitudini correre armate alla frontiera, molto
più per opinioni politiche allora invise allo universale. Io aspettava
il ritorno di questi Deputati, e mi consigliava a parlare in questo
modo nell'Assemblea, indirizzando il discorso ai Partigiani della
Repubblica:
«Voi non avete creduto alle mie parole mai: ecco persone di fiducia
vi riferiscono, come nelle provincie non ferva lo entusiasmo di
combattere, che voi immaginaste. Se pertanto non comparisce universale
il moto di correre alla difesa delle frontiere per amore della Patria,
la quale contiene le cose che per modi diversi tornano a tutto uomo
più care, come vorreste voi che vi si precipitassero i Popoli per
una forma di governo, che molti ignorano, moltissimi aborriscono? Se
non si levano per cagioni, che tutti i cuori sentono, come presumete
eccitarli per via di astrattezze che la mente non comprende o
rigetta? Voi mi avete rampognato di avere omesso i mezzi capaci a
tenere desti gli spiriti del Popolo. Se intendete degli _onesti_,
io gli ho praticati tutti; se mai (lo che io non voglio credere)
accennaste ai modi della Rivoluzione di Francia del 1793, sappiate
ch'essi fecero paurosa la libertà ed infame; sicchè vi volle mezzo
secolo a riassicurare gli animi sbigottiti. I sacri argenti tolti
alle Chiese avrebbero gittato forse 15 o 20 mila scudi, sussidio
insufficiente a tanto uopo, e avrebbero partorito esecrazione infinita
contro il Governo. Il tôrre a forza fa sparire la moneta, e dare al
capestro il collo dei repugnanti vi farà ricchi di delitti, non di
moneta.[586] Spingere uomini incontro al cannone con la scure dietro,
nè lo potevate domandare voi, nè lo potevo eseguire io. Solo posso
precederli, e questo, se mi è dato, farò. Voi vi ingannate intorno
alla virtù dello entusiasmo; egli esalta, non crea le forze. Con lo
entusiasmo voi non formate la scienza degli artiglieri, la disciplina
negli eserciti, gli esercizii della cavalleria, non gli apparecchi
di guerra, e per di più da un punto all'altro, di faccia al nemico.
Non invocate gli antichi esempii di Francia, perchè l'anima trema
rammentando le necessità dei pochi, che vogliono dominare su i molti.
Queste necessità sono i _Settembrizzatori_ a Parigi, le _Mitragliate_
a Lione, gli _Annegamenti_ a Nantes. — La Libertà non si nudrisce,
si avvelena, col sangue; nè ho mai sentito dire, che rovistando pei
sepolcri si trovino argomenti al prospero vivere degli uomini, bensì
vermi; ed io per me non voglio prendere gli esempii da altro Paese, che
da quello che mi citate. Dove mise capo la convulsione dei Francesi
così atrocemente eccitata? Dove andarono a terminare le quattordici
armate rivoluzionarie? Nella perdita di tutta la Italia, nel confine
del Reno minacciato. Dove si quietarono gli esaltati spiriti della
Libertà? Nelle turpitudini del Direttorio. Se lo ingegno, e la fortuna
di un uomo, cui si piegarono tutti ad adorare despota, non erano, — la
Francia sarebbe stata invasa, e divisa. Ecco quali immensi abbattimenti
succedono a immensi furori. Ora la fortuna vi para davanti due vie
da seguitare: la prima sta nel precipitarvi con grandissimo pericolo,
anzi con esizio certo, nella Unificazione con Roma e nella Repubblica,
contro gl'interessi e il sentimento universali; la seconda, compiacendo
al genio e alle necessità della Patria, nel restaurare lo Statuto
Costituzionale. Il primo partito, oltrechè voi non potrete sostenere,
vi divide dentro, chiama certamente il nemico di fuori, ed apparecchia
sventure, che nemmeno potranno sostenersi con onore: il secondo vi
unisce in pace; chiude il campo alle contese tra partiti nemici, nelle
quali essi sempre trasmodano, e, se per impeto di passione, feroci, —
se per ingordigia di comodi, ferocissimi e spietati; toglie adito ai
pravi disegni _dei reazionarii_, e _pretesto_ agli stranieri d'invadere
le nostre terre. Il suffragio universale del Popolo torrà via ogni
amarezza dall'animo del Principe, per indole facilmente oblioso; il
quale, considerato la qualità dei tempi, gli eccitamenti straordinarii
e la potenza di uomini repubblicani qui da ogni parte convenuti, e gli
errori in cui tutti di leggieri trascorriamo quando la mente è commossa
da súbita passione, o turbata da inopinate vicende, troverà più che
non bisognano motivi per l'animo suo a dimenticare il successo come
un sogno di febbre. Preservate la Patria dalla occupazione straniera,
e mantenete le libertà costituzionali, che dirittamente esercitate
bastano ai Toscani. Frattanto permettete, che io mi congratuli meco, e
con voi, che il sentiero a questo partito non sia stato mai chiuso, e
che la nostra Patria in così impetuoso turbinío non abbia a deplorare
fatti scellerati, nè perduta la fama della sua vera civiltà. Questo
consiglio io vi do di coscienza, non per fine di privato interesse,
non per obbligo d'impegno assunto, non per patto convenuto, non per
altro meno onesto motivo; ma sì, come a dabbene uomo si addice, mosso
unicamente dallo amore di Patria, e di voi; e perchè voi ne andiate
nel profondo dell'animo persuasi vi confermo, che nessuna pratica
fu da me iniziata in proposito col Principe assente, — veruna. Se io
abbia operato con lealtà quanto mi parve che fosse bene della Patria
e non per basso intento, voi vel conoscete a prova. Voi trovate il
terreno delle trattative vergine; provvedete voi. Brevi le condizioni,
e facili. Lo Statuto si mantenga, duri indipendente il Paese. _La
Inghilterra da me consultata si profferisce mediatrice di questo: farà
lo stesso la Francia._ Di oblio non parlo; conciossiachè, se male io
non conobbi, mi paia più agevole al Principe nostro concederlo, che a
voi domandarlo; e a me giammai, quante volte per altri lo chiesi, disse
di no. Se ho commesso errori (e ne avrò commessi di certo) perdonateli
alla bontà della intenzione, alla infermità del giudizio.[587] E quando
non mi sia meritata alcuna lode, deh! concedetemi almeno che senza
detrimento di buona fama io _vada a riposare in terra lontana, ma
sempre italiana, l'animo e il corpo affaticati_.»
Io per me non dubito punto affermare, e ritenere per certissimo,
che le parole aperte, i modi schietti e legali, la lealtà, ed anche
(non mi sia conteso dirlo) la generosità del procedere, la urgenza
finalmente dei casi, avrebbero sciolto la durezza dei più pervicaci,
e (lo soffrano in pace gl'interessati a negarlo) partorito assai più
prosperevoli sorti alla Patria comune, di quelle che le vennero, dal
costoro operato, nel 12 aprile 1849. Il consenso universale di tutta
la Toscana sarebbe stato istantaneo come lo spandersi della luce
al sorgere del Sole; dopo quindici e più giorni non avremmo veduto
condotti ad aderire al Municipio di Firenze alcuni Municipii toscani
nella guisa stessa con la quale i Romani traevano i testimonii in
giudizio, dando ai malevoli argomento per calunniarli avversi alla
cosa, mentre erano offesi del modo. La livornese resistenza non
sarebbe accaduta, e con essa, se non la volontà, veniva almeno tolta
la occasione alle armi straniere di scendere quaggiù, del pari che
il motivo a chiamarle; donde poi era dato campo larghissimo alle
potenze mediatrici a interporsi con frutto. E forse oggi anche noi
ci consoleremmo della non acquistata indipendenza italiana con la
indipendenza toscana mantenuta, con lo esercizio effettuale delle
libertà sanzionate nello Statuto, di cui la conservazione fra noi mi
pare che assai si rassomigli alla mostra del diamante _Koh-i-noor_
(montagna di luce) nella Esposizione di Londra, dove tutti lo
possono vedere in gabbia, ma sparirebbe con la gabbia, lo zoccolo, il
guanciale, _et reliqua_, se qualcheduno si attentasse a toccarlo.
A questo punto io mi rinnuovo l'obietto, che per deliberarmi io
aspettassi la occasione. Se si dirà che la occasione mi facilitasse il
cammino a mandare a compimento il concetto prestabilito, si parlerà con
rettitudine; se poi all'opposto si sosterrà che l'occasione generasse
il concetto, questo ormai fu dimostrato falso da quanto sono venuto
esponendo in questa scrittura fin qui, ed aggiungerò in breve per
conclusione. — Nè penso che alcuno vorrà appuntarmi per avere colto il
destro propizio, avvegnachè l'uomo non possa creare gli eventi: questi
sono di Dio. L'uomo può qualche volta impadronirsene, e indirizzarli
per forza o per ingegno a fine determinato. Ricordo che Madama Staël
per istudio di scemare la fama a Napoleone soleva chiamarlo _homme
des circonstances_, della quale sentenza punto ei si offendeva, per i
motivi che ho poco anzi discorsi. Sicchè su questo particolare penso,
che sarà savio arrestarmi.
Però io voglio esporre quello che avessi considerato nello evento di
fortuna prosperevole alle armi piemontesi. Vinta una battaglia, non
sempre si vince la guerra. Poniamo vinta la guerra con una battaglia
sola, come accadde a Marengo nel 1800, e ultimamente a Novara; allora
si presentavano subito al pensiero molte e gravi contingenze, così
nello interno, come di fuori. Incomincio dalle ultime. Il re Carlo
Alberto sarebbe cresciuto di reputazione e di forza, per virtù sua e
per decadenza della Fazione repubblicana. — Bisogna ritenere che la
massima parte dei Lombardi procedeva sviscerata della Repubblica, non
già per fine politico, quanto per riputarla mezzo sicuro a ricuperare
la patria. Una fatale persuasione, che durò anche dopo lo infortunio
novarese, e compose il martirio doloroso di Carlo Alberto (principe,
il quale se trova molti superiori in grandezza, nessuno, a parer mio,
lo uguaglia nella sventura), si radicò nella mente dei Lombardi e di
parecchi fra gli altri Italiani, che il Re non camminasse sicuro in
questa bisogna, ed in segreto se la intendesse co' nemici d'Italia.
Assurdità, e peggio; ma la disgrazia è persuaditrice tristissima
degli uomini, e chi da lontano conosce per relazione le cose udendo
il veemente narrare, e i giuramenti smaniosi, e i pianti, e tutto
quanto insomma ha maggiore virtù di commuovere l'animo umano, si
trova conturbato nello intelletto e nella fede. In questo travedimento
gli esuli tennero per fermo, che ormai non più il Principato, ma la
Repubblica avrebbe loro riaperte le porte della patria: di qui il
correre a sollevare Italia tutta a parte repubblicana; di qui l'opera
ardente e indefessa, impresa a danno della Monarchia Piemontese, che
fu parte non piccola fra le cause della disfatta di Novara. Della
verità del mio concetto porge argomento il considerare che prima
degl'infortunii di Custoza i Repubblicani si fossero sottomessi,
dichiarando non volere con importune contese disturbare la opera
della Indipendenza italiana. — Ora, se la sorte delle armi, arridendo
al Re, avesse non pure quietati, ma distrutti, i fatali sospetti;
se al Re fosse stato concesso di schiudere ai Lombardi il varco
pel ritorno in patria, mentre la Repubblica non si era mai mostrata
capace di tanto, non veniva tolto ad un tratto il motivo negli esuli
di parteggiare per la Repubblica? Certo che sì. Cresciuta l'autorità
del Principato, non poteva supporsi che Piemonte consentisse tenere
quello stecco su gli occhi di una Repubblica della Italia Centrale,
e l'avrebbe avversata con tutti i modi: dalla parte di Napoli, non
importa dimostrarlo. Conquista da Torino non temevo, chè se di volere
non avesse patito difetto, gli mancava il potere. La Francia, la quale
come abbiamo letto dichiarato da Lamartine, non avrebbe sofferto
che il Regno Sardo si ampliasse col Lombardo-Veneto e co' Ducati,
pensiamo un po' se gli avrebbe consentito stendere la mano anche sopra
Toscana! Dalla conquista in fuori, la Repubblica della Italia Centrale
doveva aspettarsi dal Piemonte pessimi ufficii. La vittoria delle
armi italiane avrebbe richiamato l'attenzione della Francia e della
Inghilterra, rimaste quasi arbitre dei destini d'Italia, ad assettare
le cose nostre; diversamente invero da quello che appaiono adesso, ma
pure in modo contrario alla Repubblica. La Inghilterra, tenerissima
della sua Costituzione, non ama le Repubbliche, e la Francia
repubblicana le odia. Però Napoli sarebbe stato costretto a procedere
dirittamente nelle vie costituzionali, e ad accogliere con onore gli
esuli cittadini. Dal quale successo erano a prevedersi verosimili due
conseguenze: la prima, che anche in questa parte l'autorità regia
costituzionale acquisterebbe aumento; la seconda, che i napolitani
esuli, reduci in patria, sarebbero rimasti di affaticarsi per la
Repubblica nel modo stesso, e per le medesime ragioni che ho esposto
testè discorrendo degli esuli lombardi. La Toscana e Roma pertanto
si vuotavano di questi arnesi potentissimi di Rivoluzione. Così tra
le cause scemate per desiderare la Repubblica, la cresciuta autorità
costituzionale, le pratiche di Potenze primarie, la pressura da due
lati, la debolezza comparativa dello Stato, il difetto di frontiere
validissime, e la necessità di non isconcordare per costituirsi con
solidità, avrebbero costretto questi due Stati a piegarsi alla forma
costituzionale. Cosa sarebbe avvenuto del potere temporale del Papa,
non è facile prevedersi: solo lo evento è bastato a persuadere che
lo avrebbero restaurato le armi repubblicane di Francia: ad ogni modo
faceva mestieri accomodare anche il Papa degnamente, come a Capo della
Chiesa Cattolica si addice.
E questo per ciò che riguarda di fuori. Nello interno poi, a cagione
di quanto venne dichiarato superiormente, opera perduta sarebbe
mettere parole intorno al successo della aggiunzione al Piemonte, come
quella che pareva ad accadere impossibile. Consideriamo piuttosto la
Unificazione con gli Stati Romani.
_Trovavo_ dentro (e fu sovente materia delle mie conferenze col Capo
del Municipio fiorentino, e con altri precipui cittadini così di
Firenze come delle Provincie, delle libertà costituzionali fidatissimi
amici) _repugnanza infinita_ di lasciare uno stato certo e provato
sufficiente, per avventurarci in condizioni ignote, piene di pericolo,
allo universale per nulla necessarie, dalla maggiorità rigettate.
_Trovavo_ che i Toscani, ed in singolare modo i Fiorentini, sentivano
inestimabile molestia a ridursi in grado di provincia romana, mentre
_ab antiquo_ avevano formato florido stato, copioso di commercii e
pieno di gloriose memorie.
_Trovavo_ che i Toscani aborrivano di rendersi solidali al fallimento
della finanza romana, e ostinatissimi contrastavano per non essere
tratti in cotesto vortice di debito.
_Trovavo_ che Firenze non si adattava a restare priva della sede del
Governo, fonte per lei non pure di decoro, ma di vantaggi notabili,
sia per la stanza degl'impiegati, sia pel concorso di quanti muovono
dalle Provincie quaggiù pei loro negozii col Governo; sia finalmente
pel soggiorno dei forestieri, i quali sogliono fermarsi nelle Capitali.
_Trovavo_ la classe commerciante di Livorno paurosa di scapitare in pro
di Civitavecchia, il quale porto, come prossimo alla metropoli della
Italia Centrale, non ha dubbio che si sarebbe ampliato con danno di
Livorno.
_Trovavo_ costumi diversi, diversi i gradi di civiltà, diverse le
maniere del vivere, l'economie ed altre più cose, che non consentono
che Unificazione piena e assoluta ad un tratto si faccia, o fatta non
abbia poi a dolere. Toscana mutata in provincia sopportava sagrificio
troppo duro, come grande sarebbe riuscito il vantaggio, se qualche
parte dello Stato Romano si fosse aggiunta a lei in condizione di
provincia. Queste _unificazioni_ o _fusioni_, come dicevano allora, si
operano di consenso o di forza. A effettuarle con la forza vuolsi una
potenza grande, che raccolga nella mano di ferro le varie generazioni
abitatrici di una contrada della medesima lingua, e le costringa tutte
a portare la impronta delle sue dita. Ma da Napoleone imperatore e re
in fuori, nei tempi moderni, non discerno altri che potesse essere
stato capace da tanto. A volerle condurre per via di consenso, si
richiedono uguali, o molto simili, le condizioni disposte dalla natura,
e secondate dalla operosa volontà degli uomini.
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