Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 51
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Assemblea a ritirarsi. Però hassi a notare, per rendere _unicuique
suum_, che l'attributo di _sedicente_ non appartiene proprio al
Visconte D'Arlincourt, ma al Brocchi, il quale se ne compiace così,
che per bene due volte nel corso del suo esame lo viene ripetendo. Ed
è poi strana a considerarsi quest'altra cosa, che il Conte Digny ha
protestato contro la qualificazione di nobile e fedele realista, che a
parere mio non fa torto, allorchè nasca da convincimento coscienzioso,
o da personale affetto, mentre contro il pubblico grido, che lui accusa
di fede tradita, è stato cheto come olio. E di vero, l'apparizione del
Conte era tutto altro che nobile, conciossiachè versasse in questo:
il Municipio volere rompere i patti, anzi averli rotti; l'accordo
_invocato prima_ con l'Assemblea _adesso respingere_; aborrirla
compagna, dichiararla nemica; si disperdesse, lasciasse operare da sè
solo il Municipio. A tanta slealtà, non è da dire se si levassero, e a
ragione, amari richiami. E prima di ogni altro il Presidente Taddei, a
cui pareva, com'era vero, che di lui e della sua onoratezza si fosse
fatto bindolissimo giuoco. — Accesi, e meritamente, sopra gli altri
si mostravano i Deputati signori Ciampi e Cipriani, i quali (sempre
si abbia presente questa avvertenza) non offesi già dalla proposta di
Restaurazione da operarsi d'accordo col Municipio, che annunziata testè
dal Professore Taddei era stata da loro accettata, bensì dalla brutta
mancanza di fede, esclamarono, che bisognava arrestare il Municipio
fedifrago. E poichè il Conte rispondeva con petulanza molta e senno
poco, io mi posi in mezzo alla disputa favellando in questo concetto:
«Voi fate una Rivoluzione;[716] onde non partorisca le conseguenze
che le sono ordinarie, procurate unire a voi quanti maggiori consensi
potete; non rigettate quelli che vi si offrono.» E siccome il Conte
rispondeva con petulanza molta e senno poco, aggiunsi: «Voi meritereste
essere arrestato!»
L'Accusa, come vedemmo, sostiene che io mi opposi alla incoata
Restaurazione, minacciando prima e intimando poi l'arresto dei
signori Digny, Brocchi e Martelli, che venivano ad ammonirmi di
non volere opporre ostacoli alla iniziata opera loro. Il più lieve
rimprovero che possa farsi all'Accusa, è ch'_ella non sa quello che
si dice_. E la ragione apparisce evidente: suppongasi vero tutto
quanto afferma l'Accusa; concedasi per un momento la minaccia e
la intimazione dell'arresto; sembra che, per accusare l'uno atto e
l'altro come avversi alla Restaurazione, dovesse ricercarsi la causa
che gli motivarono. Ora è provato per dichiarazione di coloro che di
queste minaccie depongono, come non muovessero già da opposizione;
al contrario, dal volere l'Assemblea esclusa da cooperare al
ristabilimento della Monarchia Costituzionale, e più poi dalla tradita
fede, dopo essere stata a questo fine ricercata dal Municipio, e dopo
essersi posto secolei pienamente d'accordo.
In qual guisa i Commissionati del Municipio potevano condursi a
intimare l'Assemblea di non opporsi alla incoata Restaurazione, se,
ricercata poco anzi, aveva consentito? Se a questo fine aveva stampato
un Proclama? Se anche sul tenore del Proclama avevano convenuto?
Onde il tribunale della Coscienza Pubblica giudichi fra me e i miei
Giudici, è di mestieri esporre le prove che l'Accusa ha raccolto, e
certo non in benefizio di me. Il Professore Taddei così depone: «Gli
stessi Deputati (che come Commissionati del Municipio avevano letta e
approvata la Notificazione dell'Assemblea, Digny, Brocchi e Martelli)
ritornarono a dire che la _fusione dell'Assemblea col Municipio non
era compatibile_ (dopo averla ricercata!). Questa risposta non poteva a
meno di dispiacere — oltre a _mancare di lealtà verso di me, e verso
gli altri_.»[717] L'Avvocato Panattoni dichiara, che udì _lamenti....
sopra un malinteso, che pareva nato a motivo di non avere il Municipio
secondati certi accordi che dicevansi passati col signor Presidente
Taddei, e che resultavano ancora da un Manifesto stampato_. — Il
signor Venturucci (avvertasi, che sopra questo testimone l'Accusa
fonda la incolpazione dello intimato arresto ai Municipali) depone
come i signori Conte Digny, Brocchi e Martelli, _si scusavano di
avere pubblicato il Manifesto del Municipio_ (ed era ragione che si
scusassero), _e promettevano di andare d'accordo con l'Assemblea,
e combinare_. E Guglielmo Conte Digny, che tanto poco e tanto male
le più volte rammenta, nondimeno su questo proposito dichiara: «È
un fatto, che tanto _lui_ (_sic_) che tutti quelli, che volevano
indurre il Municipio a concertarsi coll'Assemblea, _si appoggiavano_
specialmente sulla osservazione, che il Municipio di Firenze aveva
bisogno di _appoggio_ dei Rappresentanti di tutte le Popolazioni
toscane per essere riconosciuto da esse. E fu dietro questa idea che
furono _redatti_ (_sic_) i progetti di Proclama di cui ho parlato.
Anzi uno di questi progetti era _redatto_ fino dalla mattina da _uno_
dell'Assemblea.»
Non è pertanto vero, anzi è turpemente falso, che alla restaurazione
del Principato Costituzionale mi opponessi, quando facevo sentire la
necessità di riunire il consenso universale, e per atto immediato al
partito preso dal Municipio fiorentino; è vero, all'opposto, che la
breve disputa nacque dal rifiuto dell'adesione dell'Assemblea, che il
Municipio faceva, dopo averla richiesta, e accettata. Ed ho creduto
allora, e fermamente credo adesso, che in cotesto modo operando bene
meritassi della Patria. Con l'adesione dell'Assemblea si sarebbe
tolto al partito la indole di municipale che mostrò negli esordii,
indirizzandosi perfino col primo Proclama il Municipio Fiorentino ai
soli Fiorentini. Con l'adesione dell'Assemblea, i fattori del 12 Aprile
non avrebbero avuto a deplorare nel giorno 16 aprile la esitanza di
alcuni Municipii,[718] nè nel giorno 24 la resistenza di taluni alla
manifestazione dello spirito pubblico, e si sarebbe per essi ottenuto
veramente quel voto universale che avrebbe blandito gli animi e
consolate le memorie.[719] Con l'adesione dell'Assemblea, Livorno si
sarebbe sottomessa, e quindi tolto via il pretesto come la necessità
di chiamare armi straniere. Con l'adesione dell'Assemblea, non era
mestieri appoggiarsi su le forze che somministrava la Reazione, le
quali trassero il Municipio e la Commissione aggiunta, repugnanti
certo, ma obbedienti allo impulso della necessità, oltre ai confini
stabiliti. Con l'adesione dell'Assemblea, non veniva nel Municipio e
nella Commissione aggiunta la paura, e con essa la infelice compagnia
di esilii, di carcerazioni, di famiglie disfatte, e di sventure che
ormai mano di uomo non può riparare, e quella di Dio può consolare
soltanto. Con l'adesione dell'Assemblea, il Municipio e la Commissione
molte morti che ci hanno contristato potevano evitare. Con l'adesione
dell'Assemblea, voi non avreste avuto bisogno di giostrare meco con la
lancia di Giuda.
Voi, usurpando il mio disegno, voi, ritorcendo contro me ingratamente
gli apparecchi con tanta fatica e tanto pericolo condotti a termine,
quasi finale, avete guasto il presente e l'avvenire; poichè avvertite,
che qui considerato e qui fu scritto, come le commozioni popolari
fossero di augumento a Roma, avvegnadio colà con una legge si
concludessero, mentre partorirono la perdizione di Firenze, terminando
quaggiù con offesa nelle persone e negli averi.[720] Quando, falliti
i vostri disegni, gittaste un grido, voi nol voleste confondere col
gemito universale; anche in quello voleste lasciare una memoria di
superbia e di odio: «Se gli avvenimenti del 12 aprile dovevano avere
questa conchiusione, meglio era che non fossero accaduti, _e che
coloro, che condussero la Toscana a questa dura necessità, fossero gli
attori di questa ultima parte del Dramma ignominioso_.»[721] I Parti
ferivano fuggendo; voi mordete spirando: e pure, invece di mordere me,
offendete voi stessi: infatti qui sta appunto la condanna vostra; se
voi non eravate certi di fare meglio di me, se l'opera di Parte non
vi ha procurato meno triste sorti di quelle che andavate predicando
sarebbero uscite dalle mie mani, dovevate lasciarmi fare. Però io non
dimentico, nè tampoco voi stessi dovete obliare, che me giudicaste
degno di salvare _quel più si potesse dell'onore e della indipendenza
nazionale_; me animaste ad usare _per la salute della Patria i mezzi
che la esperienza mi avrebbe saputo consigliare più opportuni ed
efficaci_; me confortaste a perdurare nella impresa, offrendo il
soccorso e il _concorso dei poteri municipali_.[722] Sono questi essi
i concorsi vostri? È questo il sapore dei vostri soccorsi? Perchè dopo
avermi tradito mi avete oltraggiato? E perchè dopo avermi onorato mi
avete detto obbrobrio? — Ma poco importa essere rigettato da voi; a me
basta, che non mi repudii il Paese, e mi conservi la benevolenza che io
spero non essermi demeritata.[723]
Ma non è da voi che mi tocca adesso a difendermi; bensì dall'Accusa,
a cui mi avete consegnato nell'orto.... voleva dire nella Fortezza di
San Giorgio. Ora che ho dimostrato come la minaccia e la intimazione
dell'arresto, quando pure fossero avvenute, avevano lo scopo
diametralmente opposto a quello finto dall'Accusa, io dimostrerò che
non sono, e non possono essere vere.
Tre sono (e pare impossibile!) i deposti sopra i quali fonda questa
incolpazione l'Accusa. Primo è Digny, succede Brocchi, viene ultimo
Venturucci. Io non dirò come i due primi, così facendo, tentano
onestare il tradimento di cui mi dolgo; non osserverò che mendaci
sempre con gli altri, e il primo lo è quattro volte con sè stesso sopra
un medesimo punto; non dirò nemmeno che ambedue confusi, perplessi,
contradittorii, sono costretti (per paura di sentirsi rimproverare
dallo stesso Ministro processante) a ripetere, — il primo fino a
quattro volte, — che non sa, non ricorda, ha perduto la memoria dei
particolari, — forse egli, forse altri s'inganna, — e tali altri
rifugii per cui si rendono da per sè stessi spregevoli assai più
che altri non potesse fare; — tutto questo, e non è poco, passeremo;
confrontiamo i deposti:
«_Digny_. — Nacque fra noi e _parecchi di loro_ una discussione viva
e confusa intorno al Proclama già pubblicato dal Municipio, col quale
annunziava assumere a nome del Principe la direzione dei pubblici
affari. _Io non rammento con sufficiente precisione i dettagli (sic)
di cotesta discussione; — solo mi sovviene_ che il signor Guerrazzi
rivolgendosi agli adunati diceva: — Voi avete fatta una Rivoluzione,
— _e per poco che le cose sostassero_, e che piacesse agli adunati,
egli ne avrebbe fatto arrestare i Componenti, i quali designava con
le parole: _questi Signori_; per il che io non posso asserire s'egli
volesse intendere tutti i Componenti del Municipio, o la Deputazione
quivi presente. A queste parole sollevavasi una _certa confusione_
fra i presenti, ma, domandata la parola da me e dal Brocchi, facemmo
successivamente intendere, che le conseguenze di un passo simile
sarebbero state gravissime, e ricadute su le persone di chi _le avesse
ordinate_ (_sic_), per cui sorsero proposizioni di conciliazione, e una
deputazione si formò che ci accompagnò al Municipio.»
«_Brocchi. — Rapporto_ (_sic_) al primo incontro, noto la circostanza
che l'Avvocato Guerrazzi, rimproverando al Municipio di andare a
promuovere la guerra civile, disse: — _che sarebbe stato capace di
fare arrestare tutti i componenti del Municipio_. Il Dottore Oreste
Ciampi e il Professore Emilio Cipriani, presenti, _insistevano che si
arrestassero quei Componenti del Municipio_, che allora nella Sala si
trovavano, ed io ed il Conte Digny replicammo, che ponessero mente a
tale arresto.» E più oltre da capo: «questa proposizione volevano si
portasse all'atto il Dottore Ciampi, e il Professore Cipriani.»
«_Venturucci_. — Mi rammento _benissimo_ che Guerrazzi alzatosi in
piede, e con veemenza, disse queste parole: — Signori, voi avete fatta
una Rivoluzione; voi vi rendete _responsabili_ delle conseguenze che
ne possono derivare. Sì, voi avete fatto una Rivoluzione, ed io sarei
capace di farvi arrestare tutti: _anzi, siete tutti in arresto_.
Cui Digny replicò: _Signori, pensino a quella che fanno_: — faceva
riflettere di più all'Assemblea non essere in numero sufficiente per
deliberare, che ormai era evidente qual piega prendevano le cose.
— Il signor Guerrazzi mutò tono, e con voce calma parlò con quelli
del Municipio, _che si scusavano di avere pubblicato un Manifesto, e
dichiaravano essere pronti a mettersi d'accordo con l'Assemblea, e di
concertare le cose_.»
Ora questa _intimazione_ di arresto non può essere vera, perchè me ne
mancava l'autorità, e me ne mancava il potere. Mi mancava l'autorità
per queste ragioni: il fatto del Presidente dell'Assemblea, confermato
dai Deputati presenti, di unirsi al Municipio per provvedere alla
salute della Patria, mi aveva tolto il mandato di Capo del Potere
Esecutivo; e così ritenni, e così dissi; vedremo più tardi quando
il Municipio andava in cerca di un pretesto per onestare la sua
brutta azione, e non l'aveva ancora trovato, fare annunziare che a me
repugnante aveva svelto di mano il potere: ma poi, considerando ch'ella
era questa troppo grossa bugia, variò con l'_arresto_; la verità è, che
io con animo lietissimo appresi la novella di essere esonerato da tanto
carico, e che fino dalla sera precedente aveva dettato una renunzia
spontanea, la quale deve essersi trovata nella stanza che occupavo in
Palazzo Vecchio.
Mancavo di potere immediato, perocchè, verun corpo di guardie
stanziando alla Camera, dove io non avessi preteso stringere con una
mano sola i tre colli dei Municipali, non si sa davvero comprendere
come gli avrei potuti arrestare; e se non avevo armi allora, peggio
era da aspettarmi nel seguito, dacchè, trovato modo in mezzo a cotesto
trambusto d'interpellare il Generale Zannetti intorno alle disposizioni
della Civica, n'ebbi in risposta: _nella massima parte sembrargli
decisa ad appoggiare il Municipio_.
Da siffatta scienza, in quel punto e non prima di allora acquistata,
— insieme alla ignoranza di cotesto caso, espressa parlando al
Maggiore Diana, e scrivendo al Maggiore Basetti, — non meno che dalla
contemporanea notizia del convenuto fra l'Assemblea e il Municipio
di concertare le provvidenze per la salute della Patria, imparai
che mi era stato ritirato il potere, e che ormai poteva sperarsi che
ladronecci non sarebbero successi, _omicidii non rinnuovati_; insomma
il motivo, temuto reazionario ed anarchico, diventava politico, e
tendente al fine, che fra _tre_ giorni ancora, in virtù di solenne
deliberazione dell'Assemblea Costituente, avrebbe conseguíto
pacificamente il Paese.
Esaminiamo i tre deposti. — Quello del Conte accenna a cosa non
presente, bensì da farsi in futuro, e sotto due condizioni: la prima,
che le cose sostassero; la seconda, che agli adunati piacesse. Quello
del Brocchi spiega una propensione, non volontà determinata, a operare
cose presenti, o future. Quello del Venturucci dichiara: volontà
portata all'atto. Tutto questo che monta? Importa: che un deposto per
necessità esclude l'altro; — importa: che da un uomo comecchè versato
mediocremente, non dirò nelle regole della ermeneutica forense, ma
in quelle della Logica e del senso comune, dovrebbersi rigettare
tutti i deposti. Invece l'Accusa, che sta insieme con la Logica come
gennaio con le more, gli allega tutti, comecchè si contradicano, e si
elidano, in prova del medesimo fatto! — Oltre il contrasto fra loro,
che gli rende inattendibili, per poco che tu rifletta su quello del
Digny, tu vedi correre i vermini della bugia su tutte le sue parole;
infatti, come poteva egli prendersi travaglio di un partito che doveva
effettuarsi in avvenire impossibile? Come richiamare l'attenzione
degli adunati su le conseguenze di cosa non avvenuta, e che non
poteva accadere? Come ammonire le _persone_ dei pericoli a cui si
avventuravano per colpa di una minaccia partita unicamente da me? Il
Brocchi almeno si mostra meno stolido, se non più verace, poichè, le
minaccie da lui si affermano di arresto immediato, e veramente furono
per la parte dei signori Ciampi e Cipriani, ma nel senso di rammarico
di mancata parola; e poichè da più era mossa la minaccia, sta bene
eziandio che a più lo ammonimento si dirigesse. L'Accusa pertanto,
comecchè alleghi tre deposti discordi, tuttavolta si fonda sopra uno
solo (altra prova di senno nell'Accusa!), ed è quello del Dottore
Venturucci. Conoscendo la lealtà dell'uomo onorandissimo, io viveva
sgomento e dubitava della mia memoria, quando venne a confortarmi la
lettura del suo esame, dove dichiara: «Rispetto alla prima domanda,
cioè se il Guerrazzi accogliesse benignamente la proposta della
Deputazione _nella Sala delle Conferenze_, ripeto quello che ho
annunziato — e _presso a poco disse le parole che ho riferito_, —
ma tardò poco a calmarsi e a convenire con i signori Municipali; ed
è da notarsi eziandio che il Guerrazzi era già alterato per alcuni
rimproveri che gli avevano fatto di non essere comparso, secondo il
convenuto, la sera antecedente nella ora stabilita all'Assemblea.»
Non deponendo pertanto il Dottore Venturucci assolutamente, ma _a
un dipresso_, non è da dubitarsi neppure un momento, che non sia per
trovare esatta la mia narrativa, molto più che stando egli dal lato
opposto, in fondo della tavola lunghissima, e lontano dal gruppo
dei disputanti, non distinse da cui si partisse la intimazione dello
arresto, la quale in vero fu fatta, come ho avvertito, per la parte
dei signori Cipriani e Ciampi, e secondo che per bene due volte
dall'avvocato Brocchi ancora si dichiara. — Nè già si creda che io qui
arresti la dimostrazione: io vo' perseguitare l'Accusa con la verità,
com'ella mi ha perseguitato con la fallacia. Il Cavaliere Martelli,
uno dei tre Municipali, interrogato, depone: che, quando egli venne
col Conte Digny e col Brocchi per la seconda volta all'Assemblea, vi
trovò anche me, e che a lui rivolgendo la parola mostrai: «propensione
grandissima per conciliare le cose, e gli dissi: farmi paura i
Partiti, e dichiararmi parato a tutto per metterli d'accordo;» inoltre,
contestatogli il deposto del Conte Digny su le _minaccie_, risponde
francamente: «Io non intesi cotesto discorso _di certo_; può essere
che l'abbia fatto quando non vi ero io» (e questo non poteva darsi,
perchè si presentò con gli altri, e la disputa avvenne alle prime
parole). «_Al Municipio in cotesto giorno sentii parlare delle minaccie
di arresto state fatte contro il Municipio da alcuni Deputati, ma
non intesi includere fra essi il Guerrazzi_.» Ed è questo il secondo
riscontro della verità della mia narrativa, e della fallacia del
supposto dell'Accusa. — Terzo riscontro: Panattoni, Avvocato, attesta
che dai colloquii uditi rilevò che minaccie veramente non accaddero,
ma rammarichi _per la parte di alcuni Deputati_, e _forse_ anche
del Capo del Potere Esecutivo, a cagione che il Municipio non avesse
secondato gli accordi che si dicevano passati col signor Professore
Taddei, e resultanti ancora dal Manifesto stampato, ecc.[724] Quarto
riscontro: Panattoni, Avvocato, condottosi al Municipio per proporre
temperamenti conciliatorii, ascolta urli di gente tumultuante che
dice: essersi deliberato arrestare il Municipio; ond'egli esce ad
arringare cotesta turba per ismentire la _voce calunniosa, non si sa
come diffusa fra il Popolo, e Digny conferma la verità della buona
intelligenza che passa fra l'Assemblea e il Municipio_.[725] Quinto
riscontro: Panattoni, Avvocato, espone, che fu detto, e gli pare anche
da qualche Deputato, che il Dottore Venturucci narrasse poco dopo
questo fatto, ma che fu giudicato un suo male inteso. Sesto riscontro:
Se le minaccie in discorso fossero state profferite da me, e ritenute
temibili dai Municipali, non è da credersi ch'eglino si sarebbero
per un'altra volta, come fecero, commessi in mia potestà. Settimo
riscontro: Se io avessi bruscamente intimato l'arresto al Conte,
breve ora dopo trattenendosi col Chiarini non gli avrebbe dimostrato
dispiacenza per non essere io stato accettato, com'egli ne faceva
istanza, a parte della Commissione Governativa.[726] Ottavo riscontro:
Nel giorno 14 aprile il Conte trova il Chiarini Segretario al
Ministero dello Interno, e gli dice: «Giusto, aveva bisogno di vederti;
insomma, tentano fare una Reazione?» Interrogato da cui, risponde:
«Dagli esagerati.» Ed ingegnandosi il Chiarini di provargli cotesto
suo concetto fallace, il Conte soggiunge: «Ma intanto volevano ieri
l'altro arrestare il Municipio.» Chiarini di nuovo: «Non ho sentito
dire niente di questo, e non lo credo.» E il Conte: «_Eppure mi viene
assicurato che lo dicesse il Guerrazzi_.» — «Io» obiettava Chiarini
«non lo crederei nè anche se glielo avessi sentito dire.»[727] Digny
tacque; Chiarini fu dispensato prima, poi dimesso dallo impiego. Io
ho notato come il proverbio, che corre fra noi, dice: chi il suo can
vuole ammazzare, un pretesto sa trovare; — ma Digny non seppe trovare
neanche il pretesto, dacchè il _Conciliatore_ del 13 aprile annunzia
un motivo per giustificare la trama ordita a mio danno, ma, parendogli
che non potesse reggere in confronto degli atti miei, va in cerca di un
altro, e, come vediamo, non è più felice adesso. E quale il pretesto
affermato nel 13 aprile dal _Conciliatore_? Eccolo, e somministra il
nono riscontro della verità delle mie parole:
«Il Dittatore Guerrazzi _ostinavasi_ nel ritenere nelle mani un potere
rimasto senza valore. _Alcuni Deputati_ ostinavansi a _rivaleggiare_
(_sic_) di forza col Municipio. _Non mancò tra loro chi chiedesse fosse
posto in istato di accusa il Municipio e la Commissione aggiunta_.»
— Pretesto alla iniqua guerra nel 13 aprile era la mia renitenza
a lasciare il Potere; la proposta di porre in istato di accusa il
Municipio e la Commissione annunziavasi sì, ma ad alcuni Deputati
attribuivasi; trovata debole la prima calunnia, estendono anche a me,
anzi unicamente a me, la seconda; però che nella musica della calunnia
s'impari maravigliosamente presto a trapassare da una nota all'altra.
Dunque è chiarito: non essermi opposto alla Restaurazione, ma invece
adoperato onde riuscisse subitamente universale e felice; — avere
rampognato i Municipali, non già della iniziata Restaurazione, bensì
di slealtà per mancata parola, e di periglioso consiglio, convertente
a vittoria meschina di Partito quella deliberazione, che per essere
dentro e fuori proficua doveva e poteva presentare i caratteri che
ho qui avanti notati: — non avere minacciato, molto meno intimato
l'arresto di persona.
Con tale e siffatto _lusso_ di prove in contrario, la imperterrita
Accusa scrive, senza che la mano le tremi, come io nello intento
di oppormi alla Restaurazione un po' _compita_, un po' _incoata_,
minacciassi prima, intimassi poi l'arresto ai Municipali. Le mie parole
dovrebbero suonare severe a carico di quanti nei Documenti dell'Accusa
parteciparono, ma taccio, e raccomando al Paese Civile, ai Governanti
nostri, al Principe nostro temperantissimo, considerare se per questa
via si renda rispettabile l'Autorità, e veneranda la Giustizia, salute
estrema di società commosse.
Riprendo la mia narrazione. I motivi che mi persuadevano a insistere,
perchè il Municipio deponesse il pensiero di camminare disgiunto
dall'Assemblea, erano di due sorte: i primi di onestà, e fu dimostrato;
i secondi di politica convenienza, e gli esposi ai Commissionati
Municipali che ne rimasero percossi così, che, condannato lo
intempestivo Manifesto, promisero correggerlo. «Il Municipio» io
diceva «si propone due fini parimente ottimi, e necessarii: preservare
il Paese dalla invasione straniera, mantenere incolumi le libertà
costituzionali; in quanto a me, avevo disposto le cose in modo, che
la Restaurazione in guisa diversa, che mi sembrava più onorevole, e
ad un punto più sicura, si operasse; ma l'uomo trama e la fortuna
tesse. Quello ch'è stato è stato, ed ormai tutto lo studio nostro
si ha da riporre in questo, che ciò che ebbe mal principio riesca
a prospero fine. Importa massimamente che non si manifesti dissenso
in veruna parte delle Provincie, e che il moto si dilati universale
e spontaneo. A conseguire un tanto scopo, parmi, non che utile,
necessaria l'adesione dell'Assemblea, per rimuovere l'obietto che
taluno potesse fare, questo essere un partito imposto da Firenze,
non consentito da Toscana tutta.[728] Versiamo in cosa di pericolo
grandissimo, procuriamo con sommo studio evitare ogni accidente capace
a fornire appiglio o pretesto di offenderci. Quando anche l'adesione
dell'Assemblea non vi paresse necessaria, e forse nemmeno utile,
accettatela tuttavolta per misura di cautela, che negli eventi dubbiosi
non è mai troppa. Se nel rifiuto ostinandovi ne venisse a nascere
danno, pensate, a qual carico voi vi esporreste? Di faccia al Paese voi
sareste tenuti a rendere conto di qualunque sventura potesse succedere.
Comprendo voi andare orgogliosi della presa iniziativa; voi non volete
dividere con altri la gloria delle durate fatiche, per infrenare
l'anarchia e la parte repubblicana; voi non consentite partecipare con
nessuno l'onore dei pericoli corsi, per apparecchiare questo evento;
e sia così; la sua parte ad ognuno:[729] ma adesso, dato bando ai
consigli della vanità, vediamo insieme quali rimedii possiamo apportare
alle fortune afflitte della Patria.» Piacquero i consigli e le parole;
suonavano uguali a quelle che adoperò più tardi il _Conciliatore_,
Giornale di cotesto Partito, — con una differenza però: che io le
diceva di cuore, egli per finzione;[730] — e fu risoluto che una
Deputazione dell'Assemblea si conducesse al Municipio per confortarlo
di non operare scissura, e starsi unito per carità di Patria. Affermano
testimoni degni di fede, che per me in questa occasione si dettasse
una carta,[731] dove erano indicate le guise dell'operare congiunto
dell'Assemblea col Municipio; e questo dimostrerebbe quale e quanto
studio da me si ponesse, onde la bene iniziata alleanza non si
disfacesse, e a fine fruttuoso s'incamminasse. Questi consigli e queste
profferte andavano a presentare al Municipio il Generale Zannetti
e l'Avvocato Panattoni, accompagnati dal Dottore Venturucci, e dai
tre Municipali, Digny, Brocchi e Martelli. Quivi giunti esposero la
commissione, la sostennero con buoni argomenti, sicchè fu _di nuovo
statuito solennemente che, in tanta opera, Municipio e Assemblea
avrebbero proceduto congiunti_.
Tardando le risposte, fu avviso di condurre l'Assemblea nel Palazzo
Vecchio, però che la Camera, non avendo chi la guardasse, poteva di
leggieri, siccome già minacciavano, essere forzata; e così fu fatto.
Tornarono alla perfine i Municipali, Digny, Brocchi e Martelli, e
poichè, secondo quello che _Panattoni_ racconta, le profferte nostre
erano state con lieta fronte accolte dal Municipio, vuolsi credere che
per accordarsi con noi intorno alle ulteriori operazioni venissero;
— tutto al contrario: essi venivano ad accertarci, che il Municipio,
rigettata ogni proposta di conciliazione, aveva deliberato di fare da
sè solo. — Commosso da questo partito, di cui prevedevo e sentivo gli
effetti perniciosi, con quelle parole che la profonda convinzione sa
suggerire meglio persuasive, io supplicava a considerare i mali a cui
stavano per esporre la Patria. Livorno alle ordinanze del Municipio
Fiorentino non era da credersi si volesse sottomettere, e la ragione
non importava che si dicesse; e il suo dissenso solo guasterebbe
l'armonia del disegno, e metterebbe in repentaglio tutto il bene che
si auguravano ricavare da quello. «Ma che cosa è mai» io domandava
«questa durezza? Qual tristo genio v'insinua nell'animo i fatali
consigli?» Mi avvertirono come i loro Dottori avessero considerato,
che l'unione dell'Assemblea col Municipio veniva a contaminare la
origine governativa di questo, e forse a metterlo in imbarazzo co'
Rappresentanti delle Potenze Estere da cui speravano protezione.
Alle quali ragioni io fervidamente rispondeva: «Ed è prudenza questa,
per guardare fuori di casa, trascurarla dentro, e per una protezione
dubbia, che non verrà forse mai, non attendere a pericolo sicuro che
accadrà di certo? — E poi anche a questo vi ha rimedio, e pronto;
suum_, che l'attributo di _sedicente_ non appartiene proprio al
Visconte D'Arlincourt, ma al Brocchi, il quale se ne compiace così,
che per bene due volte nel corso del suo esame lo viene ripetendo. Ed
è poi strana a considerarsi quest'altra cosa, che il Conte Digny ha
protestato contro la qualificazione di nobile e fedele realista, che a
parere mio non fa torto, allorchè nasca da convincimento coscienzioso,
o da personale affetto, mentre contro il pubblico grido, che lui accusa
di fede tradita, è stato cheto come olio. E di vero, l'apparizione del
Conte era tutto altro che nobile, conciossiachè versasse in questo:
il Municipio volere rompere i patti, anzi averli rotti; l'accordo
_invocato prima_ con l'Assemblea _adesso respingere_; aborrirla
compagna, dichiararla nemica; si disperdesse, lasciasse operare da sè
solo il Municipio. A tanta slealtà, non è da dire se si levassero, e a
ragione, amari richiami. E prima di ogni altro il Presidente Taddei, a
cui pareva, com'era vero, che di lui e della sua onoratezza si fosse
fatto bindolissimo giuoco. — Accesi, e meritamente, sopra gli altri
si mostravano i Deputati signori Ciampi e Cipriani, i quali (sempre
si abbia presente questa avvertenza) non offesi già dalla proposta di
Restaurazione da operarsi d'accordo col Municipio, che annunziata testè
dal Professore Taddei era stata da loro accettata, bensì dalla brutta
mancanza di fede, esclamarono, che bisognava arrestare il Municipio
fedifrago. E poichè il Conte rispondeva con petulanza molta e senno
poco, io mi posi in mezzo alla disputa favellando in questo concetto:
«Voi fate una Rivoluzione;[716] onde non partorisca le conseguenze
che le sono ordinarie, procurate unire a voi quanti maggiori consensi
potete; non rigettate quelli che vi si offrono.» E siccome il Conte
rispondeva con petulanza molta e senno poco, aggiunsi: «Voi meritereste
essere arrestato!»
L'Accusa, come vedemmo, sostiene che io mi opposi alla incoata
Restaurazione, minacciando prima e intimando poi l'arresto dei
signori Digny, Brocchi e Martelli, che venivano ad ammonirmi di
non volere opporre ostacoli alla iniziata opera loro. Il più lieve
rimprovero che possa farsi all'Accusa, è ch'_ella non sa quello che
si dice_. E la ragione apparisce evidente: suppongasi vero tutto
quanto afferma l'Accusa; concedasi per un momento la minaccia e
la intimazione dell'arresto; sembra che, per accusare l'uno atto e
l'altro come avversi alla Restaurazione, dovesse ricercarsi la causa
che gli motivarono. Ora è provato per dichiarazione di coloro che di
queste minaccie depongono, come non muovessero già da opposizione;
al contrario, dal volere l'Assemblea esclusa da cooperare al
ristabilimento della Monarchia Costituzionale, e più poi dalla tradita
fede, dopo essere stata a questo fine ricercata dal Municipio, e dopo
essersi posto secolei pienamente d'accordo.
In qual guisa i Commissionati del Municipio potevano condursi a
intimare l'Assemblea di non opporsi alla incoata Restaurazione, se,
ricercata poco anzi, aveva consentito? Se a questo fine aveva stampato
un Proclama? Se anche sul tenore del Proclama avevano convenuto?
Onde il tribunale della Coscienza Pubblica giudichi fra me e i miei
Giudici, è di mestieri esporre le prove che l'Accusa ha raccolto, e
certo non in benefizio di me. Il Professore Taddei così depone: «Gli
stessi Deputati (che come Commissionati del Municipio avevano letta e
approvata la Notificazione dell'Assemblea, Digny, Brocchi e Martelli)
ritornarono a dire che la _fusione dell'Assemblea col Municipio non
era compatibile_ (dopo averla ricercata!). Questa risposta non poteva a
meno di dispiacere — oltre a _mancare di lealtà verso di me, e verso
gli altri_.»[717] L'Avvocato Panattoni dichiara, che udì _lamenti....
sopra un malinteso, che pareva nato a motivo di non avere il Municipio
secondati certi accordi che dicevansi passati col signor Presidente
Taddei, e che resultavano ancora da un Manifesto stampato_. — Il
signor Venturucci (avvertasi, che sopra questo testimone l'Accusa
fonda la incolpazione dello intimato arresto ai Municipali) depone
come i signori Conte Digny, Brocchi e Martelli, _si scusavano di
avere pubblicato il Manifesto del Municipio_ (ed era ragione che si
scusassero), _e promettevano di andare d'accordo con l'Assemblea,
e combinare_. E Guglielmo Conte Digny, che tanto poco e tanto male
le più volte rammenta, nondimeno su questo proposito dichiara: «È
un fatto, che tanto _lui_ (_sic_) che tutti quelli, che volevano
indurre il Municipio a concertarsi coll'Assemblea, _si appoggiavano_
specialmente sulla osservazione, che il Municipio di Firenze aveva
bisogno di _appoggio_ dei Rappresentanti di tutte le Popolazioni
toscane per essere riconosciuto da esse. E fu dietro questa idea che
furono _redatti_ (_sic_) i progetti di Proclama di cui ho parlato.
Anzi uno di questi progetti era _redatto_ fino dalla mattina da _uno_
dell'Assemblea.»
Non è pertanto vero, anzi è turpemente falso, che alla restaurazione
del Principato Costituzionale mi opponessi, quando facevo sentire la
necessità di riunire il consenso universale, e per atto immediato al
partito preso dal Municipio fiorentino; è vero, all'opposto, che la
breve disputa nacque dal rifiuto dell'adesione dell'Assemblea, che il
Municipio faceva, dopo averla richiesta, e accettata. Ed ho creduto
allora, e fermamente credo adesso, che in cotesto modo operando bene
meritassi della Patria. Con l'adesione dell'Assemblea si sarebbe
tolto al partito la indole di municipale che mostrò negli esordii,
indirizzandosi perfino col primo Proclama il Municipio Fiorentino ai
soli Fiorentini. Con l'adesione dell'Assemblea, i fattori del 12 Aprile
non avrebbero avuto a deplorare nel giorno 16 aprile la esitanza di
alcuni Municipii,[718] nè nel giorno 24 la resistenza di taluni alla
manifestazione dello spirito pubblico, e si sarebbe per essi ottenuto
veramente quel voto universale che avrebbe blandito gli animi e
consolate le memorie.[719] Con l'adesione dell'Assemblea, Livorno si
sarebbe sottomessa, e quindi tolto via il pretesto come la necessità
di chiamare armi straniere. Con l'adesione dell'Assemblea, non era
mestieri appoggiarsi su le forze che somministrava la Reazione, le
quali trassero il Municipio e la Commissione aggiunta, repugnanti
certo, ma obbedienti allo impulso della necessità, oltre ai confini
stabiliti. Con l'adesione dell'Assemblea, non veniva nel Municipio e
nella Commissione aggiunta la paura, e con essa la infelice compagnia
di esilii, di carcerazioni, di famiglie disfatte, e di sventure che
ormai mano di uomo non può riparare, e quella di Dio può consolare
soltanto. Con l'adesione dell'Assemblea, il Municipio e la Commissione
molte morti che ci hanno contristato potevano evitare. Con l'adesione
dell'Assemblea, voi non avreste avuto bisogno di giostrare meco con la
lancia di Giuda.
Voi, usurpando il mio disegno, voi, ritorcendo contro me ingratamente
gli apparecchi con tanta fatica e tanto pericolo condotti a termine,
quasi finale, avete guasto il presente e l'avvenire; poichè avvertite,
che qui considerato e qui fu scritto, come le commozioni popolari
fossero di augumento a Roma, avvegnadio colà con una legge si
concludessero, mentre partorirono la perdizione di Firenze, terminando
quaggiù con offesa nelle persone e negli averi.[720] Quando, falliti
i vostri disegni, gittaste un grido, voi nol voleste confondere col
gemito universale; anche in quello voleste lasciare una memoria di
superbia e di odio: «Se gli avvenimenti del 12 aprile dovevano avere
questa conchiusione, meglio era che non fossero accaduti, _e che
coloro, che condussero la Toscana a questa dura necessità, fossero gli
attori di questa ultima parte del Dramma ignominioso_.»[721] I Parti
ferivano fuggendo; voi mordete spirando: e pure, invece di mordere me,
offendete voi stessi: infatti qui sta appunto la condanna vostra; se
voi non eravate certi di fare meglio di me, se l'opera di Parte non
vi ha procurato meno triste sorti di quelle che andavate predicando
sarebbero uscite dalle mie mani, dovevate lasciarmi fare. Però io non
dimentico, nè tampoco voi stessi dovete obliare, che me giudicaste
degno di salvare _quel più si potesse dell'onore e della indipendenza
nazionale_; me animaste ad usare _per la salute della Patria i mezzi
che la esperienza mi avrebbe saputo consigliare più opportuni ed
efficaci_; me confortaste a perdurare nella impresa, offrendo il
soccorso e il _concorso dei poteri municipali_.[722] Sono questi essi
i concorsi vostri? È questo il sapore dei vostri soccorsi? Perchè dopo
avermi tradito mi avete oltraggiato? E perchè dopo avermi onorato mi
avete detto obbrobrio? — Ma poco importa essere rigettato da voi; a me
basta, che non mi repudii il Paese, e mi conservi la benevolenza che io
spero non essermi demeritata.[723]
Ma non è da voi che mi tocca adesso a difendermi; bensì dall'Accusa,
a cui mi avete consegnato nell'orto.... voleva dire nella Fortezza di
San Giorgio. Ora che ho dimostrato come la minaccia e la intimazione
dell'arresto, quando pure fossero avvenute, avevano lo scopo
diametralmente opposto a quello finto dall'Accusa, io dimostrerò che
non sono, e non possono essere vere.
Tre sono (e pare impossibile!) i deposti sopra i quali fonda questa
incolpazione l'Accusa. Primo è Digny, succede Brocchi, viene ultimo
Venturucci. Io non dirò come i due primi, così facendo, tentano
onestare il tradimento di cui mi dolgo; non osserverò che mendaci
sempre con gli altri, e il primo lo è quattro volte con sè stesso sopra
un medesimo punto; non dirò nemmeno che ambedue confusi, perplessi,
contradittorii, sono costretti (per paura di sentirsi rimproverare
dallo stesso Ministro processante) a ripetere, — il primo fino a
quattro volte, — che non sa, non ricorda, ha perduto la memoria dei
particolari, — forse egli, forse altri s'inganna, — e tali altri
rifugii per cui si rendono da per sè stessi spregevoli assai più
che altri non potesse fare; — tutto questo, e non è poco, passeremo;
confrontiamo i deposti:
«_Digny_. — Nacque fra noi e _parecchi di loro_ una discussione viva
e confusa intorno al Proclama già pubblicato dal Municipio, col quale
annunziava assumere a nome del Principe la direzione dei pubblici
affari. _Io non rammento con sufficiente precisione i dettagli (sic)
di cotesta discussione; — solo mi sovviene_ che il signor Guerrazzi
rivolgendosi agli adunati diceva: — Voi avete fatta una Rivoluzione,
— _e per poco che le cose sostassero_, e che piacesse agli adunati,
egli ne avrebbe fatto arrestare i Componenti, i quali designava con
le parole: _questi Signori_; per il che io non posso asserire s'egli
volesse intendere tutti i Componenti del Municipio, o la Deputazione
quivi presente. A queste parole sollevavasi una _certa confusione_
fra i presenti, ma, domandata la parola da me e dal Brocchi, facemmo
successivamente intendere, che le conseguenze di un passo simile
sarebbero state gravissime, e ricadute su le persone di chi _le avesse
ordinate_ (_sic_), per cui sorsero proposizioni di conciliazione, e una
deputazione si formò che ci accompagnò al Municipio.»
«_Brocchi. — Rapporto_ (_sic_) al primo incontro, noto la circostanza
che l'Avvocato Guerrazzi, rimproverando al Municipio di andare a
promuovere la guerra civile, disse: — _che sarebbe stato capace di
fare arrestare tutti i componenti del Municipio_. Il Dottore Oreste
Ciampi e il Professore Emilio Cipriani, presenti, _insistevano che si
arrestassero quei Componenti del Municipio_, che allora nella Sala si
trovavano, ed io ed il Conte Digny replicammo, che ponessero mente a
tale arresto.» E più oltre da capo: «questa proposizione volevano si
portasse all'atto il Dottore Ciampi, e il Professore Cipriani.»
«_Venturucci_. — Mi rammento _benissimo_ che Guerrazzi alzatosi in
piede, e con veemenza, disse queste parole: — Signori, voi avete fatta
una Rivoluzione; voi vi rendete _responsabili_ delle conseguenze che
ne possono derivare. Sì, voi avete fatto una Rivoluzione, ed io sarei
capace di farvi arrestare tutti: _anzi, siete tutti in arresto_.
Cui Digny replicò: _Signori, pensino a quella che fanno_: — faceva
riflettere di più all'Assemblea non essere in numero sufficiente per
deliberare, che ormai era evidente qual piega prendevano le cose.
— Il signor Guerrazzi mutò tono, e con voce calma parlò con quelli
del Municipio, _che si scusavano di avere pubblicato un Manifesto, e
dichiaravano essere pronti a mettersi d'accordo con l'Assemblea, e di
concertare le cose_.»
Ora questa _intimazione_ di arresto non può essere vera, perchè me ne
mancava l'autorità, e me ne mancava il potere. Mi mancava l'autorità
per queste ragioni: il fatto del Presidente dell'Assemblea, confermato
dai Deputati presenti, di unirsi al Municipio per provvedere alla
salute della Patria, mi aveva tolto il mandato di Capo del Potere
Esecutivo; e così ritenni, e così dissi; vedremo più tardi quando
il Municipio andava in cerca di un pretesto per onestare la sua
brutta azione, e non l'aveva ancora trovato, fare annunziare che a me
repugnante aveva svelto di mano il potere: ma poi, considerando ch'ella
era questa troppo grossa bugia, variò con l'_arresto_; la verità è, che
io con animo lietissimo appresi la novella di essere esonerato da tanto
carico, e che fino dalla sera precedente aveva dettato una renunzia
spontanea, la quale deve essersi trovata nella stanza che occupavo in
Palazzo Vecchio.
Mancavo di potere immediato, perocchè, verun corpo di guardie
stanziando alla Camera, dove io non avessi preteso stringere con una
mano sola i tre colli dei Municipali, non si sa davvero comprendere
come gli avrei potuti arrestare; e se non avevo armi allora, peggio
era da aspettarmi nel seguito, dacchè, trovato modo in mezzo a cotesto
trambusto d'interpellare il Generale Zannetti intorno alle disposizioni
della Civica, n'ebbi in risposta: _nella massima parte sembrargli
decisa ad appoggiare il Municipio_.
Da siffatta scienza, in quel punto e non prima di allora acquistata,
— insieme alla ignoranza di cotesto caso, espressa parlando al
Maggiore Diana, e scrivendo al Maggiore Basetti, — non meno che dalla
contemporanea notizia del convenuto fra l'Assemblea e il Municipio
di concertare le provvidenze per la salute della Patria, imparai
che mi era stato ritirato il potere, e che ormai poteva sperarsi che
ladronecci non sarebbero successi, _omicidii non rinnuovati_; insomma
il motivo, temuto reazionario ed anarchico, diventava politico, e
tendente al fine, che fra _tre_ giorni ancora, in virtù di solenne
deliberazione dell'Assemblea Costituente, avrebbe conseguíto
pacificamente il Paese.
Esaminiamo i tre deposti. — Quello del Conte accenna a cosa non
presente, bensì da farsi in futuro, e sotto due condizioni: la prima,
che le cose sostassero; la seconda, che agli adunati piacesse. Quello
del Brocchi spiega una propensione, non volontà determinata, a operare
cose presenti, o future. Quello del Venturucci dichiara: volontà
portata all'atto. Tutto questo che monta? Importa: che un deposto per
necessità esclude l'altro; — importa: che da un uomo comecchè versato
mediocremente, non dirò nelle regole della ermeneutica forense, ma
in quelle della Logica e del senso comune, dovrebbersi rigettare
tutti i deposti. Invece l'Accusa, che sta insieme con la Logica come
gennaio con le more, gli allega tutti, comecchè si contradicano, e si
elidano, in prova del medesimo fatto! — Oltre il contrasto fra loro,
che gli rende inattendibili, per poco che tu rifletta su quello del
Digny, tu vedi correre i vermini della bugia su tutte le sue parole;
infatti, come poteva egli prendersi travaglio di un partito che doveva
effettuarsi in avvenire impossibile? Come richiamare l'attenzione
degli adunati su le conseguenze di cosa non avvenuta, e che non
poteva accadere? Come ammonire le _persone_ dei pericoli a cui si
avventuravano per colpa di una minaccia partita unicamente da me? Il
Brocchi almeno si mostra meno stolido, se non più verace, poichè, le
minaccie da lui si affermano di arresto immediato, e veramente furono
per la parte dei signori Ciampi e Cipriani, ma nel senso di rammarico
di mancata parola; e poichè da più era mossa la minaccia, sta bene
eziandio che a più lo ammonimento si dirigesse. L'Accusa pertanto,
comecchè alleghi tre deposti discordi, tuttavolta si fonda sopra uno
solo (altra prova di senno nell'Accusa!), ed è quello del Dottore
Venturucci. Conoscendo la lealtà dell'uomo onorandissimo, io viveva
sgomento e dubitava della mia memoria, quando venne a confortarmi la
lettura del suo esame, dove dichiara: «Rispetto alla prima domanda,
cioè se il Guerrazzi accogliesse benignamente la proposta della
Deputazione _nella Sala delle Conferenze_, ripeto quello che ho
annunziato — e _presso a poco disse le parole che ho riferito_, —
ma tardò poco a calmarsi e a convenire con i signori Municipali; ed
è da notarsi eziandio che il Guerrazzi era già alterato per alcuni
rimproveri che gli avevano fatto di non essere comparso, secondo il
convenuto, la sera antecedente nella ora stabilita all'Assemblea.»
Non deponendo pertanto il Dottore Venturucci assolutamente, ma _a
un dipresso_, non è da dubitarsi neppure un momento, che non sia per
trovare esatta la mia narrativa, molto più che stando egli dal lato
opposto, in fondo della tavola lunghissima, e lontano dal gruppo
dei disputanti, non distinse da cui si partisse la intimazione dello
arresto, la quale in vero fu fatta, come ho avvertito, per la parte
dei signori Cipriani e Ciampi, e secondo che per bene due volte
dall'avvocato Brocchi ancora si dichiara. — Nè già si creda che io qui
arresti la dimostrazione: io vo' perseguitare l'Accusa con la verità,
com'ella mi ha perseguitato con la fallacia. Il Cavaliere Martelli,
uno dei tre Municipali, interrogato, depone: che, quando egli venne
col Conte Digny e col Brocchi per la seconda volta all'Assemblea, vi
trovò anche me, e che a lui rivolgendo la parola mostrai: «propensione
grandissima per conciliare le cose, e gli dissi: farmi paura i
Partiti, e dichiararmi parato a tutto per metterli d'accordo;» inoltre,
contestatogli il deposto del Conte Digny su le _minaccie_, risponde
francamente: «Io non intesi cotesto discorso _di certo_; può essere
che l'abbia fatto quando non vi ero io» (e questo non poteva darsi,
perchè si presentò con gli altri, e la disputa avvenne alle prime
parole). «_Al Municipio in cotesto giorno sentii parlare delle minaccie
di arresto state fatte contro il Municipio da alcuni Deputati, ma
non intesi includere fra essi il Guerrazzi_.» Ed è questo il secondo
riscontro della verità della mia narrativa, e della fallacia del
supposto dell'Accusa. — Terzo riscontro: Panattoni, Avvocato, attesta
che dai colloquii uditi rilevò che minaccie veramente non accaddero,
ma rammarichi _per la parte di alcuni Deputati_, e _forse_ anche
del Capo del Potere Esecutivo, a cagione che il Municipio non avesse
secondato gli accordi che si dicevano passati col signor Professore
Taddei, e resultanti ancora dal Manifesto stampato, ecc.[724] Quarto
riscontro: Panattoni, Avvocato, condottosi al Municipio per proporre
temperamenti conciliatorii, ascolta urli di gente tumultuante che
dice: essersi deliberato arrestare il Municipio; ond'egli esce ad
arringare cotesta turba per ismentire la _voce calunniosa, non si sa
come diffusa fra il Popolo, e Digny conferma la verità della buona
intelligenza che passa fra l'Assemblea e il Municipio_.[725] Quinto
riscontro: Panattoni, Avvocato, espone, che fu detto, e gli pare anche
da qualche Deputato, che il Dottore Venturucci narrasse poco dopo
questo fatto, ma che fu giudicato un suo male inteso. Sesto riscontro:
Se le minaccie in discorso fossero state profferite da me, e ritenute
temibili dai Municipali, non è da credersi ch'eglino si sarebbero
per un'altra volta, come fecero, commessi in mia potestà. Settimo
riscontro: Se io avessi bruscamente intimato l'arresto al Conte,
breve ora dopo trattenendosi col Chiarini non gli avrebbe dimostrato
dispiacenza per non essere io stato accettato, com'egli ne faceva
istanza, a parte della Commissione Governativa.[726] Ottavo riscontro:
Nel giorno 14 aprile il Conte trova il Chiarini Segretario al
Ministero dello Interno, e gli dice: «Giusto, aveva bisogno di vederti;
insomma, tentano fare una Reazione?» Interrogato da cui, risponde:
«Dagli esagerati.» Ed ingegnandosi il Chiarini di provargli cotesto
suo concetto fallace, il Conte soggiunge: «Ma intanto volevano ieri
l'altro arrestare il Municipio.» Chiarini di nuovo: «Non ho sentito
dire niente di questo, e non lo credo.» E il Conte: «_Eppure mi viene
assicurato che lo dicesse il Guerrazzi_.» — «Io» obiettava Chiarini
«non lo crederei nè anche se glielo avessi sentito dire.»[727] Digny
tacque; Chiarini fu dispensato prima, poi dimesso dallo impiego. Io
ho notato come il proverbio, che corre fra noi, dice: chi il suo can
vuole ammazzare, un pretesto sa trovare; — ma Digny non seppe trovare
neanche il pretesto, dacchè il _Conciliatore_ del 13 aprile annunzia
un motivo per giustificare la trama ordita a mio danno, ma, parendogli
che non potesse reggere in confronto degli atti miei, va in cerca di un
altro, e, come vediamo, non è più felice adesso. E quale il pretesto
affermato nel 13 aprile dal _Conciliatore_? Eccolo, e somministra il
nono riscontro della verità delle mie parole:
«Il Dittatore Guerrazzi _ostinavasi_ nel ritenere nelle mani un potere
rimasto senza valore. _Alcuni Deputati_ ostinavansi a _rivaleggiare_
(_sic_) di forza col Municipio. _Non mancò tra loro chi chiedesse fosse
posto in istato di accusa il Municipio e la Commissione aggiunta_.»
— Pretesto alla iniqua guerra nel 13 aprile era la mia renitenza
a lasciare il Potere; la proposta di porre in istato di accusa il
Municipio e la Commissione annunziavasi sì, ma ad alcuni Deputati
attribuivasi; trovata debole la prima calunnia, estendono anche a me,
anzi unicamente a me, la seconda; però che nella musica della calunnia
s'impari maravigliosamente presto a trapassare da una nota all'altra.
Dunque è chiarito: non essermi opposto alla Restaurazione, ma invece
adoperato onde riuscisse subitamente universale e felice; — avere
rampognato i Municipali, non già della iniziata Restaurazione, bensì
di slealtà per mancata parola, e di periglioso consiglio, convertente
a vittoria meschina di Partito quella deliberazione, che per essere
dentro e fuori proficua doveva e poteva presentare i caratteri che
ho qui avanti notati: — non avere minacciato, molto meno intimato
l'arresto di persona.
Con tale e siffatto _lusso_ di prove in contrario, la imperterrita
Accusa scrive, senza che la mano le tremi, come io nello intento
di oppormi alla Restaurazione un po' _compita_, un po' _incoata_,
minacciassi prima, intimassi poi l'arresto ai Municipali. Le mie parole
dovrebbero suonare severe a carico di quanti nei Documenti dell'Accusa
parteciparono, ma taccio, e raccomando al Paese Civile, ai Governanti
nostri, al Principe nostro temperantissimo, considerare se per questa
via si renda rispettabile l'Autorità, e veneranda la Giustizia, salute
estrema di società commosse.
Riprendo la mia narrazione. I motivi che mi persuadevano a insistere,
perchè il Municipio deponesse il pensiero di camminare disgiunto
dall'Assemblea, erano di due sorte: i primi di onestà, e fu dimostrato;
i secondi di politica convenienza, e gli esposi ai Commissionati
Municipali che ne rimasero percossi così, che, condannato lo
intempestivo Manifesto, promisero correggerlo. «Il Municipio» io
diceva «si propone due fini parimente ottimi, e necessarii: preservare
il Paese dalla invasione straniera, mantenere incolumi le libertà
costituzionali; in quanto a me, avevo disposto le cose in modo, che
la Restaurazione in guisa diversa, che mi sembrava più onorevole, e
ad un punto più sicura, si operasse; ma l'uomo trama e la fortuna
tesse. Quello ch'è stato è stato, ed ormai tutto lo studio nostro
si ha da riporre in questo, che ciò che ebbe mal principio riesca
a prospero fine. Importa massimamente che non si manifesti dissenso
in veruna parte delle Provincie, e che il moto si dilati universale
e spontaneo. A conseguire un tanto scopo, parmi, non che utile,
necessaria l'adesione dell'Assemblea, per rimuovere l'obietto che
taluno potesse fare, questo essere un partito imposto da Firenze,
non consentito da Toscana tutta.[728] Versiamo in cosa di pericolo
grandissimo, procuriamo con sommo studio evitare ogni accidente capace
a fornire appiglio o pretesto di offenderci. Quando anche l'adesione
dell'Assemblea non vi paresse necessaria, e forse nemmeno utile,
accettatela tuttavolta per misura di cautela, che negli eventi dubbiosi
non è mai troppa. Se nel rifiuto ostinandovi ne venisse a nascere
danno, pensate, a qual carico voi vi esporreste? Di faccia al Paese voi
sareste tenuti a rendere conto di qualunque sventura potesse succedere.
Comprendo voi andare orgogliosi della presa iniziativa; voi non volete
dividere con altri la gloria delle durate fatiche, per infrenare
l'anarchia e la parte repubblicana; voi non consentite partecipare con
nessuno l'onore dei pericoli corsi, per apparecchiare questo evento;
e sia così; la sua parte ad ognuno:[729] ma adesso, dato bando ai
consigli della vanità, vediamo insieme quali rimedii possiamo apportare
alle fortune afflitte della Patria.» Piacquero i consigli e le parole;
suonavano uguali a quelle che adoperò più tardi il _Conciliatore_,
Giornale di cotesto Partito, — con una differenza però: che io le
diceva di cuore, egli per finzione;[730] — e fu risoluto che una
Deputazione dell'Assemblea si conducesse al Municipio per confortarlo
di non operare scissura, e starsi unito per carità di Patria. Affermano
testimoni degni di fede, che per me in questa occasione si dettasse
una carta,[731] dove erano indicate le guise dell'operare congiunto
dell'Assemblea col Municipio; e questo dimostrerebbe quale e quanto
studio da me si ponesse, onde la bene iniziata alleanza non si
disfacesse, e a fine fruttuoso s'incamminasse. Questi consigli e queste
profferte andavano a presentare al Municipio il Generale Zannetti
e l'Avvocato Panattoni, accompagnati dal Dottore Venturucci, e dai
tre Municipali, Digny, Brocchi e Martelli. Quivi giunti esposero la
commissione, la sostennero con buoni argomenti, sicchè fu _di nuovo
statuito solennemente che, in tanta opera, Municipio e Assemblea
avrebbero proceduto congiunti_.
Tardando le risposte, fu avviso di condurre l'Assemblea nel Palazzo
Vecchio, però che la Camera, non avendo chi la guardasse, poteva di
leggieri, siccome già minacciavano, essere forzata; e così fu fatto.
Tornarono alla perfine i Municipali, Digny, Brocchi e Martelli, e
poichè, secondo quello che _Panattoni_ racconta, le profferte nostre
erano state con lieta fronte accolte dal Municipio, vuolsi credere che
per accordarsi con noi intorno alle ulteriori operazioni venissero;
— tutto al contrario: essi venivano ad accertarci, che il Municipio,
rigettata ogni proposta di conciliazione, aveva deliberato di fare da
sè solo. — Commosso da questo partito, di cui prevedevo e sentivo gli
effetti perniciosi, con quelle parole che la profonda convinzione sa
suggerire meglio persuasive, io supplicava a considerare i mali a cui
stavano per esporre la Patria. Livorno alle ordinanze del Municipio
Fiorentino non era da credersi si volesse sottomettere, e la ragione
non importava che si dicesse; e il suo dissenso solo guasterebbe
l'armonia del disegno, e metterebbe in repentaglio tutto il bene che
si auguravano ricavare da quello. «Ma che cosa è mai» io domandava
«questa durezza? Qual tristo genio v'insinua nell'animo i fatali
consigli?» Mi avvertirono come i loro Dottori avessero considerato,
che l'unione dell'Assemblea col Municipio veniva a contaminare la
origine governativa di questo, e forse a metterlo in imbarazzo co'
Rappresentanti delle Potenze Estere da cui speravano protezione.
Alle quali ragioni io fervidamente rispondeva: «Ed è prudenza questa,
per guardare fuori di casa, trascurarla dentro, e per una protezione
dubbia, che non verrà forse mai, non attendere a pericolo sicuro che
accadrà di certo? — E poi anche a questo vi ha rimedio, e pronto;
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