Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 64
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suscitati dalle molte Camarille Aristocratiche ed Austro-Gesuite, e
dall'appoggio a queste della non del tutto defonta Polizia. Quando però
esse non desistano dalle loro mene infernali, siamo pronti a dare i
nomi di coloro che le compongono, perchè la pubblica opinione ne faccia
giustizia, e per infamia di pochi non condanni una generosa città.» —
(_Corriere Livornese_ del 26 ottobre 1848.)
[221] Vedi Doc., a pag. 791.
[222] Vedi Doc., dell'Accusa, pag. 726. — Fra i nomi dei pacieri e dei
promotori agli atti di devozione pel Principe e sua R. Famiglia, trovo
registrati quelli di Ciofi e Niccolini; _ora, finchè così operavano,
non li poteva avere in odio nè perseguitare io_; forse fingevano,
ma rimane vero pur sempre, che per venirmi in grazia era mestieri si
dimostrassero devoti al Principe Costituzionale.
[223] È notabile come in questo Avviso, dettato da persona nemica alla
Costituente, non si dica nulla del timore che potesse riuscire dannosa
alla sovranità di S. A.
[224] «I liberali erano soliti riunirsi la sera, ed erano sempre o più
o meno insultati da gente pagata e poca.» — Vedi Doc., pag. 802.
[225] F. Guerri scriveva a Marmocchi il 2 febbraio alle 7 di sera:
«I _popolani non ci hanno dato ascolto_, — il sangue è incominciato a
versarsi, — Iddio ci salvi! La dimostrazione _liberale_ fatta un'ora
fa al Granduca mi si dice imponente pel numero. — Le grida erano:
Viva Leopoldo e la Costituente italiana. — Ma il primo a gridar la
Costituente, che per ora non so chi sia, _fu côlto di una coltellata
nel viso_. I reazionarii, che si dicono circa una _ventina_, ivi
presenti, incominciando a fare rumore sono stati colpiti da pugni,
uno ferito di coltello, e sono stati portati allo spedale. — Ancorchè
la cosa non sia trascorsa più oltre, per Dio, non doveva succedere.
— _Temo triste conseguenze_, e consiglio mandarvi una compagnia di
linea.» — Vedi Doc. dell'Accusa, a pag. 206.
[226] Vedi Doc., pag. 802.
[227] «Ha già fatto un indirizzo al Ministero per _rimproverarlo_ di
non avere seguíto il Granduca, e domandare il suo ritorno a Firenze.»
(Circolo del Popolo di Firenze. Doc. dell'Accusa, a pag. 193.)
[228] Ved. Doc. dell'Accusa, a pag. 791, 792, 799, 800, 801 802.
[229] Parte IV, pag. 117.
[230] «Si è udito parlare in bocca di questi sciagurati: — Morti
tutti i Repubblicani, daremo addosso ai Signori. — Scala naturale
delle passioni cattive di plebe corrotta suscitata, e fermentante da
insinuazioni immorali.» — (Doc. dell'Accusa, pag. 101.)
[231]
Cittadino Presidente
Questa sera 6 febbrajo vi era Circolo al Pubblico Teatro. Mi vi sono
recato, e siccome il presidente mi ha chiamato al seggio annunziandomi
come vice-presidente del Circolo popolare di Firenze, così ho detto a
questi nostri fratelli quanto noi c'interessavamo ai loro destini, ho
raccontato quanto avevamo fatto per loro, ed ho offerto in nome del
Circolo tutti quegli aiuti tanto morali che materiali di cui potrebbero
abbisognare. Molti evviva e ringraziamenti al Circolo popolare. Spero
il Circolo approverà quanto ho fatto. Voleasi fare una dimostrazione
questa sera; e siccome vi era pericolo si cambiasse in tumulto, così
ho pregato il Popolo la differisse a domani. Domani a mezzodì avrà
luogo. Domani stesso vi scriverò più a lungo e vi dirò qualche cosa
degli affari in generale: _non lo posso questa sera perchè non ho visto
nessuno_.
Vostro Socio e F.
G. B. NICCOLINI.
P. S. Vi raccomando calorosamente le decurie e centurie.
(Documenti dell'Accusa, pag. 103.)
[232] _Storia della Rivoluzione_, Ed. cit., cap. 28, pag. 86.
[233] A pagina 348 dei Documenti dell'Accusa trovo il biglietto al
signor Lanari, e dice così: «Signor Lanari. In Livorno i proprietarii
dei Teatri si fanno un pregio imprestarli una sera o due al Popolo _per
le sue solennità_. Vi reputava un po' più patriotta, meno impresario.
Mi figuro che tutto dipenderà da moneta; ditemi quanto volete, e
vi pagherò, perchè voglio sottrarvi al caso, che il Popolo entri di
santa ragione, e per pagamento possa spezzarvi le panche.» Intanto
ecco che l'Accusa cita inesattamente; poichè per avere scritto, che
gl'Impresarii livornesi imprestavano al Popolo i Teatri per le loro
solennità, ciò non importi che per solennità ritenessi l'adunanza del
Circolo a Firenze; le solennità a cui accennavo erano passate, e per
necessità diverse dalle presenti: insomma frase usata per impegnare lo
Impresario e niente più: inoltre, in anticipazione io non sapeva quello
che il Circolo potesse commettere, e mi si diceva volervi celebrare
festa di allegrezza, di pace e di riconciliazione fra i Partiti; ma ciò
non monta, anche avessi presagito il suo contegno, a me non era dato
operare diversamente da quello che feci.
[234] «Opponendo ad ogni contrarietà il diritto del Popolo nei palazzi
eretti dai nostri padri per lui.» Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 196.
[235] A pag. 171-172 dei Documenti dell'Accusa occorrono due scritti
del signor Nerli Direttore delle Regie Fabbriche, dai quali si ricava,
che esitando egli a ordinare certi acconcimi, che si trovarono
sommare a Lire 1000, nella Chiesa di San Pancrazio richiesta dal
Circolo, mentre il Governo aveva indicato, che fossero _piccoli e
necessarii_, i Rappresentanti di quello gli dissero: «_che se non
facesse immediatamente e prontamente eseguire quanto avevano domandato,
avrebbero fatto conoscere al Popolo dove egli abitava_.» — _Con tali
dichiarazioni_, aggiunge il signor Nerli, _ognuno può credere che non
tardai a dar corso a tale affare.....!_ Crede ella l'Accusa, che il
Circolo fosse meco più blando che col signor Nerli, o che pretendesse
meno da me di quello che imponeva a lui?
[236] Certa volta durante il mio Ministero facendo parte di una
Deputazione di Barga egli si presentò all'Ufficio; ma siccome ei non
disse parole, e non lo badai, persisto a dichiarare essermi state fino
al 9 Febbraio 1849 le sue sembianze ignote.
[237] Vedi Requisitoria dei Repubblicani contenuta nella opera del
Rusconi.
[238] Ricordo che voleva rifiutare, ma G. P. Vieusseux me ne
sconsigliò, assicurandomi che gli avrei fatto dispiacere.
[239] Vedi Archivio degli Affari Esteri.
[240] E quando Niccolini romano ebbe ad abbandonare Firenze, lo feci
io perchè m'impediva proclamare la Repubblica? E quando più tardi con
lievi soccorsi Mordini persuadeva Flaminio Lolli a recarsi in Corsica
e in Grecia (Ved. Docum. a pag. 232), e quando ad ogni patto mandavo La
Cecilia a Parigi, intendevo ingagliardire la schiera dei Repubblicani?
Dunque i Repubblicani erano ostacolo a fabbricare la Repubblica?...
Gran testa è quella dell'Accusa!
[241] «Questa notte la città nostra fu agitata da insolito
commovimento. Dopo le ore 8 di sera si videro splendere sopra le
colline circostanti moltissimi fuochi, e ad un tempo si udirono spari
di moschetto che continuarono lungamente. Presto si conobbe che nella
campagna vicina a Firenze si tumultuava. La generosa popolazione
fiorentina non mancò a sè stessa. Per tutte le vie era un accorrere,
un chiedere le armi, un dichiararsi pronti a respingere con la
forza i traditori, a versare il sangue per la libertà. La Guardia
nazionale accorse in grandissimo numero, e mostrò qual partito se ne
poteva trarre sì per comprimere gl'interni nemici, come le straniere
aggressioni. Gli esuli lombardi accorsero tutti a difendere la libertà
minacciata, e la Legione Polacca, sebbene rientrata in Firenze da
poche ore, dimenticò la fatica e la stanchezza per accorrere a difesa
della terra che ospitalmente l'ha raccolta. La Guardia Municipale fu
infaticabilmente operosa. Ma ciò non bastava al desiderio ardente del
Popolo. Tutti indistintamente chiedevano armi sospettando di essere
traditi. Allora si mostrava a raffrenare l'ardore generoso il professor
Montanelli, membro del Governo Provvisorio, che sorgeva dal letto, ove
giaceva infermo, per accorrere alla chiamata del Popolo. Acquietava gli
accorsi, mostrando loro come il disordine poteva essere più funesto
della scarsità della forza; avvertiva i cittadini a tenersi pronti,
ove fosse stata necessaria l'opera loro; lasciassero libera l'azione
del Governo che vigilava a salvezza comune. Alle parole dell'uomo
venerato e caro si acquietava la moltitudine, ma non dimenticava il
pericolo della Patria. Intanto non cessavano le cure del Governo.
Forti pattuglie perlustravano la città e uscivano anche dalle porte per
iscoprire se dalle campagne si movesse aggressione. Furono arrestati
molti tumultuanti, e il Popolo a fatica si conteneva dal manometterli,
se non fosse stato l'egregio contegno dei militi, e il rispetto alla
Legge che è così forte in questa egregia popolazione. Il Governo
ricerca assiduamente gli autori de' fatti scellerati i quali resteranno
esposti a tutto il rigore della Legge, alla infamia e all'abominio di
tutti gli onesti; premio degnissimo a chi cerca contaminare di sangue
cittadino questa terra che fu culla di civiltà e di sapienza.»
«POPOLO DI FIRENZE!
«I segnali di un movimento retrogrado apparivano ieri sera sulle
colline circostanti. Ma agli occhi tuoi, o Popolo di Firenze, splendeva
un'altra fiamma, quella santissima di libertà, e col tuo sorgere
pronto, risoluto ed unanime, contro l'esterno attentato, mostrasti
quanto male si fosse apposto chi ti aveva sperato cooperatore alle sue
nefande intenzioni.
«Lode a te! Lode a tutti coloro che in questa solenne occasione si
mostrarono devoti alla Patria! E bene veramente meritarono della
Patria la Guardia Municipale, le milizie di Artiglieria, l'Emigrazione
armata Lombarda, la Legione Polacca, e tutta la Guardia Nazionale, di
cui faceva parte la Riserva. Ogni elogio sarebbe poco a significare
i sentimenti che il Governo professa verso i generosi militi della
Guardia fiorentina per la prova solenne di devozione che col loro
numeroso e pronto concorso porgevano alla causa dell'ordine e della
libertà. Esso sa che in qualunque pericolo li troverebbe egualmente
pronti a rispondere alla chiamata della Patria.
«Perchè sia conosciuto il carattere dell'attentata reazione, basterà
dire che si gridava: — _Viva i Tedeschi!_ — Il nemico comune d'Italia
vorrebbe con questi mezzi spianarsi la via della invasione da tanto
tempo desiderata.
«Ma tu, o Popolo, vincerai, serbando fede in Dio che protegge l'Italia,
e nella santità dei tuoi diritti. I tuoi figli già su i piani lombardi
si mostrarono degni discendenti del Ferruccio, e le glorie del Mincio
non saranno, ove occorra, smentite sulle rive dell'Arno.
«Firenze, 22 febbraio 1849.
«G. MAZZONI.
«G. MONTANELLI.»
(_Monitore_ del 23 febbraio 1849.)
«È stato universale il grido di riprovazione e di difesa. La Guardia
Civica è corsa _immediatamente_ alle armi in gran numero. La Guardia
Municipale ha mostrato zelo e operosità lodevolissima. La Emigrazione
Lombarda era tutta _armata_. Il Popolo voleva armarsi tutto, e ho
dovuto parlargli per contenerlo. — Sono stati fatti degli arresti
nelle vicinanze, e durano fatica a _salvare gli arrestati dalla furia
del Popolo_.» — (Dispaccio telegrafico del 22 febbraio 1849.) — La
verità dei fatti contenuti in questo Dispaccio è confermata dalla
Deliberazione Municipale del 24 febbraio 1849 dove occorre scritto:
«Considerando in ispecie che la _condotta del Popolo_ e della _Guardia
Nazionale_ di Firenze nella sera del 21 corrente dà al Governo garanzia
sufficiente, che i Cittadini bastano senza eccezionali misure a
tutelare l'ordine e la libertà...» Dunque anche il Municipio pensava
che i moti del 21 la libertà e l'ordine avversassero, ed egli stesso
fa fede che Popolo e Civica così risoluti li compressero da dispensare
l'uso di ogni eccezionale provvedimento. Il Prefetto di Firenze,
spaventato a ragione degli atti minatorii del Popolo, invoca il 22
febbraio lo aiuto del Circolo onnipotente in tutela degli arrestati:
«Il Presidente del Circolo del Popolo è pregato inviare alle Carceri
pretoriali una deputazione dei suoi Socj per esortare il Popolo, che
ivi si trova affollato, a rispettare la Legge e la giustizia, non
insultando le persone che gli agenti della pubblica forza vi conducono
in istato di arresto.» — (Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 115.) —
E buono accorgimento fu questo; però che si venisse a togliere al
disordine la parte più temuta, e impegnarla ad opera di civiltà. — Uno
Smith, un Ricciardi, e fu detto un Trollope, furono salvati a stento
su la Piazza di San Firenze dal Popolo infuriato. — Il _Conciliatore_,
perpetuo nemico nostro, nel 23 febbraio 1849 stampava: «I fatti
accaduti nei contorni di Firenze e in varie parti della Provincia danno
segno di una divisione di animi nelle nostre Popolazioni, e possono
essere seme funesto di _sanguinosi dissidii domestici_.... Ma se del
mal fatto sono oggi inutili i rimpianti, non crediamo che a niuno
onesto sia conteso proporre quei rimedii che almeno possono renderlo
minore nei suoi effetti.... _Usi il Governo della forza della Legge
per comprimere i perturbatori_..... Ora la rovina si è fatta completa,
l'avvenire si è coperto di tenebre, e Dio solo sa a che riusciranno.»
«L'adunanza del Circolo rimase sospesa dalla notizia che si udivano
fucilate in varie direzioni delle campagne e apparivano segnali di
fuochi dal Monte alle Croci, da Monte Oliveto, e da quasi tutte le
colline che circondano la città. Verificata in parte la cosa, tutto il
Circolo corse ad armarsi. Già tutto il Popolo di Firenze muovevasi di
un moto solo; ed era cosa commoventissima il vedere la disperazione
di coloro che non potevano trovare armi.» — (Il _Popolano_ del 23
febbraio.)
[242] Documenti, pag. 507.
[243]
«Toscani!
«Il Principe, a cui voi prodigaste tesori di affetto, vi ha abbandonato.
«E vi ha abbandonato nei supremi momenti di pericolo.
«Il Popolo e le Assemblee legislative hanno appreso questo fatto con
senso di profonda amarezza.
«I Principi passano, i Popoli restano.
«Popolo ed Assemblee hanno sentito la loro dignità, e provveduto come
conveniva.
«Il Popolo e le Assemblee ci hanno eletti a reggere il Governo
Provvisorio della Toscana. Noi accettammo, e in Dio confidando e nella
nostra coscienza, lo terremo con rettitudine e con forza.
«Coraggio! Stiamo uniti; e questo avvenimento sarà lieve come piuma
caduta dall'ala di uccello che passa.
«Nessuno si attenti sotto qualunque pretesto turbare la pubblica
sicurezza. Il Popolo guardi il Popolo. La libertà porta bandiera senza
macchia. I Toscani se lo rammentino. Custodi, per volere del Popolo,
della civiltà, della probità, e della giustizia, noi siamo determinati
a reprimere e acerbamente reprimere le _inique mene dei violenti e dei
retrogradi_: difensori della Indipendenza, noi veglieremo a ordinare
armi libere e onorate.
«Viva la Libertà!
«Firenze, dal Palazzo della nostra Residenza, questo dì 8 febbrajo 1849.
«_I Membri del Governo Provvisorio Toscano_ «F.-D. GUERRAZZI. — G.
MAZZONI. — G. MONTANELLI.»
[244] Il Dispaccio al Sotto-Prefetto di Montepulciano non si è trovato;
ma solo una lettera responsiva di Zelindo Boddi, che il sig. Falleri
ci fa sapere concepita _in misterioso linguaggio_; ella dice così: «Ho
letto la sua lettera; — mi ha recato _dolore_, ma non mi fa perdere
animo. — Il Popolo al giungere della Staffetta si è adunato, ed è corso
incontro a me. — Ho annunziato il _tristo successo_, e meglio andrò a
pubblicare quanto accadde, fra pochi istanti, nello interno del Paese.
Mi uniformerò agli ordini, ed alle istruzioni ricevute, e darò conto
di tutto a misure prese e adottate. — Mi circondo _di tutti i buoni,
che mi promettono conforto, e assistenza_. (Docum., pag. 280). Questa
risposta, che al Falleri sembra _misteriosa_, a me pare, che risponda
acconciamente alla lettera ed allo spirito del Dispaccio, per certo
uguale agli altri spediti da me, e forse con qualche espressione di
più, che valse a indurre lo scrivente ad attestare il suo _dolore_ pel
_tristo successo_, però che la bontà della indole, ed altri pregi, che
taccio, da molti anni mi avevano persuaso a stimare e ad amare Zelindo
Boddi.
[245] Documenti, pag. 297.
[246] Documenti, pag. 289.
[247] Documenti, pag. 412.
[248] Documenti, pag. 412.
[249] Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 284.
[250] Indirizzo del Popolo di San Quirico. (Vedi _Monitore_, 19
febbraio 1849.)
[251] «Al cittadino presidente del Circolo del Popolo di Firenze. — Il
Circolo (di Siena) ha deliberato nella sua tornata del 21 di atterrare
tutti gli Stemmi Medicei, e tutte le insegne della vecchia tirannia, al
sorgere della nuova libertà. Quando s'inalza l'Albero della Repubblica
debbono cadere i monumenti della oppressione ec..... V'invitiamo a fare
altrettanto.» (Il _Popolano_ del 26 febbraio.)
[252] Io conosco il deposto del Professore Zannetti, il quale
meritamente ogni uomo onora, come lealissimo. Interrogato intorno alla
violenza, che avrebbono potuto farmi gli Arrabbiati, risponde, che
_esigenze forti per certo io subii perchè nelle varie volte_ (e furono
moltissime) _ch'egli si condusse da me nella qualità di Generale della
Guardia Nazionale dovè accorgersi, che mi trovava in condizione_ ASSAI
CRITICA.
[253] Medesimi eventi, e medesime scuse occorrono in Francia; così
vedremo più tardi Garat Ministro della Giustizia esporre all'Assemblea
nel 1792: «la forza pubblica rimane spettatrice inerte — e si scusa
dicendo non _avere_ ordini. Prima che gli ordini arrivino, i tristi
radunano il Popolo, lo infiammano, lo strascinano, e il male cresce.»
(De Barante, frammenti citati.)
[254] _Mémoires de Bailly_. Tom. I, pag. 228.
[255] Vedi questo Decreto stampato in tutti i Giornali del tempo, nei
numeri del 9 febbraio.
[256] _Alba_, 9 febbraio 1849.
[257] Vedi il _Considerando_ IV della Deliberazione Municipale del 24
febbraio 1849.
[258] _Conciliatore_. Si riporta per intero in altra sede di questa
Apologia.
[259] Aureo Trattatello dei Sinonimi.
[260] «Il nostro Circolo _non dorme_, e cura quanto può gl'interessi
dei fratelli, che gli sono carissimi. Ha già fatto uno indirizzo
al Ministero _per rimproverarlo di non avere seguito il Granduca,
e domandare il suo ritorno in Firenze_. Si è poi costituito _in
permanenza_, ha creato una commissione perchè sia in corrispondenza
continua col Ministero, e cinque commissarii ec. — Firenze, 5 febbraio
1849.» — (Documenti dell'Accusa, pag. 193.)
[261] Vedi sopra.
[262] _Popolano_ del 16 febbraio 1849.
[263] _Popolano_ del 14 febbraio 1849.
[264] _Popolano_ del 16 febbraio 1849.
[265] _Popolano_ del 15 febbraio 1849.
[266] «Domenica giunsero varie Deputazioni dalle principali Provincie
col grido di Repubblica sulle labbra.» — (_Popolano_ del 20 febbraio
1849.)
[267] Caino, Mistero. Atto 1.
[268] _Monitore_ del 1 marzo 1849.
[269] A pagg. 102, 105-109 dei Documenti dell'Accusa si trovano traccie
del fiero sospetto in cui era venuto il Barone Ricasoli. L'Archivio del
Ministero conserva le altre carte.
[270] Sir George Hamilton to viscount Palmerston.
«_Florence, February 27, 1849._
«.... They (Provisional Governement) are obliged however to submit
to a most despotic master, who hourly reminds them of the chains by
which they are held in submission, viz the power of the clubs. These
formidable assemblies govern the Governement. It is impossible to
exaggerate the terror, the poverty and desolation reigning in this fair
city.» — (_Correspondence affecting the affairs of Italy._ Part. IV,
pag. 174. London, Printed by Harrison and Son.)
[271] _Galignani's Messenger_. March, Friday, 16, 1849. «A letter from
Florence of the 8 March says, etc.»
[272] Di questa lettera, quantunque porti la firma di Marmocchi, fu
somministrato il concetto da me, come sovente soleva fare; e forse si
custodisce nello Archivio. — Documenti dell'Accusa, pag. 298.
[273] Era notorio allora, ed il Governo non lo ignorava nè poteva
ignorarlo, che grossi legni inglesi incrociassero nelle acque toscane.
— Vedi il _Corriere Livornese_ del 9 febbraio, e il _Nazionale_ del 10
e 12.
[274] Pepe, _Histoire des Révolutions d'Italie_, pag. 36. — Bruxelles.
Cesare Vimercati, officiale di marina austriaco, nella sua _Italia
ne' suoi confini e l'Austria ne' suoi diritti, ovvero Rivoluzione e
guerra del 1848_, a pag. 39, così ci racconta pure questo fatto. «Il
Vice-Presidente allora prometteva sulla sua parola che gli avrebbe
soddisfatti; ma il Popolo, sapendo per esperienza quanto valevano
le promesse, infuriava gridando: _lo vogliamo in iscritto_; ed un
tal Cernuschi facendosi avanti obbligava O' Donell a sottoscrivere
diversi ordini che venivano tosto pubblicati per la città, e che qui
riportiamo:
«Milano, 18 marzo 1848.
«Il Vice-Presidente, vista la necessità assoluta per mantenere
l'ordine, concede al Municipio di armare la Guardia Civica.
«_Firmato_: Conte O' DONELL.
«La Guardia della Polizia consegnerà le armi al Municipio
immediatamente.
«Conte O' DONELL.
«La Direzione di Polizia è destituita, e la sicurezza della città è
affidata al Municipio.
«Conte O' DONELL.»
[275] Questa sera fummo spettatori d'una di quelle dimostrazioni che
rivelano tutta la bontà nativa del Popolo, la soave arrendevolezza
dell'animo suo.
«Il Popolo e la Guardia Nazionale disposti in ordine, a suon di
tamburo, preceduti da splendide bandiere, si recavano a salutare dei
loro voti, dei loro applausi e dell'antico affetto, il nuovo Generale
della Guardia Nazionale di Firenze, il professore Zannetti. La scena
fu lieta e commovente ad un tempo: l'amore delle moltitudini trasfuso
nell'evviva prolungato e universale: la rispondenza dell'acclamato
rivelata con parole tenere, appassionate, interrotte dalla interna
agitazione: l'ora, il luogo, e la solennità della festa, d'una
familiarità popolare.....
«Il professore Zannetti..... l'uomo eminentemente italiano, rinnovava
la promessa alla patria di volerla difendere contro tutti i nemici
interni ed esterni col baluardo del proprio petto, del proprio sangue.
Diceva esser degno il Popolo di governarsi da sè stesso, di raggiungere
_la più filosofica forma di governo, la Repubblica_, quando sappia
contenersi nelle vie dell'ordine, dell'armonia, della fratellanza. La
Guardia Nazionale non dover mai apparire altrimenti che in tutela della
libertà: l'esercito stanziale, gli altri corpi dello Stato, il Popolo
tutto concordare con essa al santissimo fine. E la Toscana decretare i
suoi destini con tranquillo giudizio, secondo il voto universale.
«Il Popolo applaudiva a queste parole, interrompendole della sua
approvazione; applaudiva agli abbracci fraterni dati come simbolo
dell'amplesso generale dal professore Zannetti ad un Ufficiale della
Guardia Nazionale, ad un altro della milizia.
«Suggellava in quel momento un patto infrangibile d'amore e d'alleanza
coll'esercito, colla Civica antica, colla sorgente e rinnovata Guardia
Nazionale. Poi, ad una semplice preghiera del Generale, si disperdea,
procedendo alle grida di: Viva Zannetti, Viva la Repubblica, Viva
l'Unione con Roma.
«Tali sono le tendenze e le volontà del Popolo che si rivelano ad ogni
istante, in qualunque occasione. _Noi non sappiamo perchè gli uomini
del Governo e quelli che sono da esso preposti sembrino paventare
questa salutare espansione del Popolo, e s'industrino a rattenerla_.
Vanno ripetendo l'_ordine_, l'_ordine_, l'_armonia_. E chi più del
Popolo la sente, la coltiva, l'apprezza? Vanno instillandogli che egli
non abbia a usurpare una soverchia potenza, facendosi rappresentanza
del concetto di tutti, e quasi gl'indicono di porre un freno agli
interni aneliti, che sono la prima rivelazione della verità. E chi più
del Popolo non l'ha da gran tempo compresa questa verità; di lui che in
luogo del monopolio dei privilegiati, ha domandato e domanda il libero
esercizio della sovranità universale? Lo spediscono dolcemente alle
case con raccomandazione di calma taciturna, quasichè l'aperto grido
alla luce del cielo _in questo stadio di vita convulsa_ e interrotta,
— d'organismo politico disfatto e rinnovantesi, — non fosse un sintomo,
una prima e necessaria manifestazione dell'avvenire!
«Noi estimiamo, noi apprezziamo sopra tutti il distinto carattere, le
splendidissime doti dell'egregio Zannetti. L'accento paterno e italiano
dell'animo suo trova le vie del nostro cuore come quelle del Popolo. Lo
preghiamo solamente a non lasciarsi trarre dal concetto dell'armonia
fino a quello della profonda quiete, dall'idea della rispettata
legalità fino ad un prolungato e mortale silenzio; — perocchè egli
sa come noi e più di noi, quanto nobili e sante sieno le ispirazioni
del Popolo accompagnate agli evviva per l'illustre cittadino.» —
(_Costituente Italiana_ del 15 febbraio 1849, — _Popolano e Alba_ del
medesimo giorno.)
[276] Nel _Galignani's Messenger_ del marzo 1849, si legge, in certa
lettera datata da Firenze: «after spending some time at Florence in
_attempting_ to effect the fusion of Tuscany with Rome, he at length
repaired to Rome.»
[277] Io sono stato lunga pezza meco stesso esitante se avessi dovuto
citare la opera di Luigi Carlo Farini, come quella, che va deturpata
di molte, e potrei dire infinite macchie. Vi ha chi godrebbe, che
concitato a sdegno, non ingiusto forse, pei molti errori dettati sul
conto mio, e più pel difetto del riguardo, che ogni onesto aver deve a
cui versa in pericolo, io gli facessi rabbuffo tale da intronargli la
testa. Appunto perchè questo spettacolo si cerca, e si vuole, non si
ha da dare; e volta mite la parola a Luigi Carlo Farini, gli dico: «_tu
hai peccato molto_; se per leggerezza, mi appello da te male informato
a te bene informato: anco verso gl'Imperatori adoperavasi questa
formula, e non l'avevano a male, e tu sai che da Filippo dormente sendo
interposto appello a Filippo svegliato, il re multò sè stesso nei danni
della iniqua sentenza; nè tu, confido, per carità patria, e per onore
al tuo nome, vorrai esser minore del Macedonio; dove poi, e questo
repugno credere, te avesse mosso o tristizia di mente malvagia, o viltà
di anima venduta, allora io dovrei contristarmi per la Patria, e per
te.» Intanto fra i suoi errori, cui a me piace credere involontarii,
non ha potuto negare queste verità: «... Il Mazzini era giunto il dì
stesso che il granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con
grande festa. Egli si era dato a predicare l'_unificazione_ con Roma,
che non voleva chiamar fusione; parola a lui ed a' suoi esosa, la quale
voleva dire lo stesso, ossia non aveva significato pratico, perchè gli
uomini ed i popoli non si fondono come i metalli per calor di libertà
e artificio di eloquenza, nè gli Stati si unificano per decreto di
assemblee. Ma il Guerrazzi non voleva l'unificazione, e pochissimi
erano in Toscana che la volessero; del che gli stessi ufficiali del
governo facevano testimonianza: sicchè anche in Toscana il Maestri
milanese, legato della Repubblica Romana, faceva poco frutto...
Il Mazzini non riesciva a governare nè coll'autorità sua, nè colle
pratiche e le grida de' suoi, i negozii politici della Toscana. Modesto
egli al sembiante, come ostinato di volontà, desiderava sovra ogni
altra cosa fare della Toscana una provincia della Repubblica Romana:
ma questo concetto coperto sotto la pomposa parola d'_unificazione_
non andava a versi nè del Guerrazzi, nè del Consiglio di Stato, nè pur
dei cittadini più segnalati per liberali caldezze.» Quello che seguita
intorno a Montanelli e a Mordini _non è vero_; e finalmente! «... A
dall'appoggio a queste della non del tutto defonta Polizia. Quando però
esse non desistano dalle loro mene infernali, siamo pronti a dare i
nomi di coloro che le compongono, perchè la pubblica opinione ne faccia
giustizia, e per infamia di pochi non condanni una generosa città.» —
(_Corriere Livornese_ del 26 ottobre 1848.)
[221] Vedi Doc., a pag. 791.
[222] Vedi Doc., dell'Accusa, pag. 726. — Fra i nomi dei pacieri e dei
promotori agli atti di devozione pel Principe e sua R. Famiglia, trovo
registrati quelli di Ciofi e Niccolini; _ora, finchè così operavano,
non li poteva avere in odio nè perseguitare io_; forse fingevano,
ma rimane vero pur sempre, che per venirmi in grazia era mestieri si
dimostrassero devoti al Principe Costituzionale.
[223] È notabile come in questo Avviso, dettato da persona nemica alla
Costituente, non si dica nulla del timore che potesse riuscire dannosa
alla sovranità di S. A.
[224] «I liberali erano soliti riunirsi la sera, ed erano sempre o più
o meno insultati da gente pagata e poca.» — Vedi Doc., pag. 802.
[225] F. Guerri scriveva a Marmocchi il 2 febbraio alle 7 di sera:
«I _popolani non ci hanno dato ascolto_, — il sangue è incominciato a
versarsi, — Iddio ci salvi! La dimostrazione _liberale_ fatta un'ora
fa al Granduca mi si dice imponente pel numero. — Le grida erano:
Viva Leopoldo e la Costituente italiana. — Ma il primo a gridar la
Costituente, che per ora non so chi sia, _fu côlto di una coltellata
nel viso_. I reazionarii, che si dicono circa una _ventina_, ivi
presenti, incominciando a fare rumore sono stati colpiti da pugni,
uno ferito di coltello, e sono stati portati allo spedale. — Ancorchè
la cosa non sia trascorsa più oltre, per Dio, non doveva succedere.
— _Temo triste conseguenze_, e consiglio mandarvi una compagnia di
linea.» — Vedi Doc. dell'Accusa, a pag. 206.
[226] Vedi Doc., pag. 802.
[227] «Ha già fatto un indirizzo al Ministero per _rimproverarlo_ di
non avere seguíto il Granduca, e domandare il suo ritorno a Firenze.»
(Circolo del Popolo di Firenze. Doc. dell'Accusa, a pag. 193.)
[228] Ved. Doc. dell'Accusa, a pag. 791, 792, 799, 800, 801 802.
[229] Parte IV, pag. 117.
[230] «Si è udito parlare in bocca di questi sciagurati: — Morti
tutti i Repubblicani, daremo addosso ai Signori. — Scala naturale
delle passioni cattive di plebe corrotta suscitata, e fermentante da
insinuazioni immorali.» — (Doc. dell'Accusa, pag. 101.)
[231]
Cittadino Presidente
Questa sera 6 febbrajo vi era Circolo al Pubblico Teatro. Mi vi sono
recato, e siccome il presidente mi ha chiamato al seggio annunziandomi
come vice-presidente del Circolo popolare di Firenze, così ho detto a
questi nostri fratelli quanto noi c'interessavamo ai loro destini, ho
raccontato quanto avevamo fatto per loro, ed ho offerto in nome del
Circolo tutti quegli aiuti tanto morali che materiali di cui potrebbero
abbisognare. Molti evviva e ringraziamenti al Circolo popolare. Spero
il Circolo approverà quanto ho fatto. Voleasi fare una dimostrazione
questa sera; e siccome vi era pericolo si cambiasse in tumulto, così
ho pregato il Popolo la differisse a domani. Domani a mezzodì avrà
luogo. Domani stesso vi scriverò più a lungo e vi dirò qualche cosa
degli affari in generale: _non lo posso questa sera perchè non ho visto
nessuno_.
Vostro Socio e F.
G. B. NICCOLINI.
P. S. Vi raccomando calorosamente le decurie e centurie.
(Documenti dell'Accusa, pag. 103.)
[232] _Storia della Rivoluzione_, Ed. cit., cap. 28, pag. 86.
[233] A pagina 348 dei Documenti dell'Accusa trovo il biglietto al
signor Lanari, e dice così: «Signor Lanari. In Livorno i proprietarii
dei Teatri si fanno un pregio imprestarli una sera o due al Popolo _per
le sue solennità_. Vi reputava un po' più patriotta, meno impresario.
Mi figuro che tutto dipenderà da moneta; ditemi quanto volete, e
vi pagherò, perchè voglio sottrarvi al caso, che il Popolo entri di
santa ragione, e per pagamento possa spezzarvi le panche.» Intanto
ecco che l'Accusa cita inesattamente; poichè per avere scritto, che
gl'Impresarii livornesi imprestavano al Popolo i Teatri per le loro
solennità, ciò non importi che per solennità ritenessi l'adunanza del
Circolo a Firenze; le solennità a cui accennavo erano passate, e per
necessità diverse dalle presenti: insomma frase usata per impegnare lo
Impresario e niente più: inoltre, in anticipazione io non sapeva quello
che il Circolo potesse commettere, e mi si diceva volervi celebrare
festa di allegrezza, di pace e di riconciliazione fra i Partiti; ma ciò
non monta, anche avessi presagito il suo contegno, a me non era dato
operare diversamente da quello che feci.
[234] «Opponendo ad ogni contrarietà il diritto del Popolo nei palazzi
eretti dai nostri padri per lui.» Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 196.
[235] A pag. 171-172 dei Documenti dell'Accusa occorrono due scritti
del signor Nerli Direttore delle Regie Fabbriche, dai quali si ricava,
che esitando egli a ordinare certi acconcimi, che si trovarono
sommare a Lire 1000, nella Chiesa di San Pancrazio richiesta dal
Circolo, mentre il Governo aveva indicato, che fossero _piccoli e
necessarii_, i Rappresentanti di quello gli dissero: «_che se non
facesse immediatamente e prontamente eseguire quanto avevano domandato,
avrebbero fatto conoscere al Popolo dove egli abitava_.» — _Con tali
dichiarazioni_, aggiunge il signor Nerli, _ognuno può credere che non
tardai a dar corso a tale affare.....!_ Crede ella l'Accusa, che il
Circolo fosse meco più blando che col signor Nerli, o che pretendesse
meno da me di quello che imponeva a lui?
[236] Certa volta durante il mio Ministero facendo parte di una
Deputazione di Barga egli si presentò all'Ufficio; ma siccome ei non
disse parole, e non lo badai, persisto a dichiarare essermi state fino
al 9 Febbraio 1849 le sue sembianze ignote.
[237] Vedi Requisitoria dei Repubblicani contenuta nella opera del
Rusconi.
[238] Ricordo che voleva rifiutare, ma G. P. Vieusseux me ne
sconsigliò, assicurandomi che gli avrei fatto dispiacere.
[239] Vedi Archivio degli Affari Esteri.
[240] E quando Niccolini romano ebbe ad abbandonare Firenze, lo feci
io perchè m'impediva proclamare la Repubblica? E quando più tardi con
lievi soccorsi Mordini persuadeva Flaminio Lolli a recarsi in Corsica
e in Grecia (Ved. Docum. a pag. 232), e quando ad ogni patto mandavo La
Cecilia a Parigi, intendevo ingagliardire la schiera dei Repubblicani?
Dunque i Repubblicani erano ostacolo a fabbricare la Repubblica?...
Gran testa è quella dell'Accusa!
[241] «Questa notte la città nostra fu agitata da insolito
commovimento. Dopo le ore 8 di sera si videro splendere sopra le
colline circostanti moltissimi fuochi, e ad un tempo si udirono spari
di moschetto che continuarono lungamente. Presto si conobbe che nella
campagna vicina a Firenze si tumultuava. La generosa popolazione
fiorentina non mancò a sè stessa. Per tutte le vie era un accorrere,
un chiedere le armi, un dichiararsi pronti a respingere con la
forza i traditori, a versare il sangue per la libertà. La Guardia
nazionale accorse in grandissimo numero, e mostrò qual partito se ne
poteva trarre sì per comprimere gl'interni nemici, come le straniere
aggressioni. Gli esuli lombardi accorsero tutti a difendere la libertà
minacciata, e la Legione Polacca, sebbene rientrata in Firenze da
poche ore, dimenticò la fatica e la stanchezza per accorrere a difesa
della terra che ospitalmente l'ha raccolta. La Guardia Municipale fu
infaticabilmente operosa. Ma ciò non bastava al desiderio ardente del
Popolo. Tutti indistintamente chiedevano armi sospettando di essere
traditi. Allora si mostrava a raffrenare l'ardore generoso il professor
Montanelli, membro del Governo Provvisorio, che sorgeva dal letto, ove
giaceva infermo, per accorrere alla chiamata del Popolo. Acquietava gli
accorsi, mostrando loro come il disordine poteva essere più funesto
della scarsità della forza; avvertiva i cittadini a tenersi pronti,
ove fosse stata necessaria l'opera loro; lasciassero libera l'azione
del Governo che vigilava a salvezza comune. Alle parole dell'uomo
venerato e caro si acquietava la moltitudine, ma non dimenticava il
pericolo della Patria. Intanto non cessavano le cure del Governo.
Forti pattuglie perlustravano la città e uscivano anche dalle porte per
iscoprire se dalle campagne si movesse aggressione. Furono arrestati
molti tumultuanti, e il Popolo a fatica si conteneva dal manometterli,
se non fosse stato l'egregio contegno dei militi, e il rispetto alla
Legge che è così forte in questa egregia popolazione. Il Governo
ricerca assiduamente gli autori de' fatti scellerati i quali resteranno
esposti a tutto il rigore della Legge, alla infamia e all'abominio di
tutti gli onesti; premio degnissimo a chi cerca contaminare di sangue
cittadino questa terra che fu culla di civiltà e di sapienza.»
«POPOLO DI FIRENZE!
«I segnali di un movimento retrogrado apparivano ieri sera sulle
colline circostanti. Ma agli occhi tuoi, o Popolo di Firenze, splendeva
un'altra fiamma, quella santissima di libertà, e col tuo sorgere
pronto, risoluto ed unanime, contro l'esterno attentato, mostrasti
quanto male si fosse apposto chi ti aveva sperato cooperatore alle sue
nefande intenzioni.
«Lode a te! Lode a tutti coloro che in questa solenne occasione si
mostrarono devoti alla Patria! E bene veramente meritarono della
Patria la Guardia Municipale, le milizie di Artiglieria, l'Emigrazione
armata Lombarda, la Legione Polacca, e tutta la Guardia Nazionale, di
cui faceva parte la Riserva. Ogni elogio sarebbe poco a significare
i sentimenti che il Governo professa verso i generosi militi della
Guardia fiorentina per la prova solenne di devozione che col loro
numeroso e pronto concorso porgevano alla causa dell'ordine e della
libertà. Esso sa che in qualunque pericolo li troverebbe egualmente
pronti a rispondere alla chiamata della Patria.
«Perchè sia conosciuto il carattere dell'attentata reazione, basterà
dire che si gridava: — _Viva i Tedeschi!_ — Il nemico comune d'Italia
vorrebbe con questi mezzi spianarsi la via della invasione da tanto
tempo desiderata.
«Ma tu, o Popolo, vincerai, serbando fede in Dio che protegge l'Italia,
e nella santità dei tuoi diritti. I tuoi figli già su i piani lombardi
si mostrarono degni discendenti del Ferruccio, e le glorie del Mincio
non saranno, ove occorra, smentite sulle rive dell'Arno.
«Firenze, 22 febbraio 1849.
«G. MAZZONI.
«G. MONTANELLI.»
(_Monitore_ del 23 febbraio 1849.)
«È stato universale il grido di riprovazione e di difesa. La Guardia
Civica è corsa _immediatamente_ alle armi in gran numero. La Guardia
Municipale ha mostrato zelo e operosità lodevolissima. La Emigrazione
Lombarda era tutta _armata_. Il Popolo voleva armarsi tutto, e ho
dovuto parlargli per contenerlo. — Sono stati fatti degli arresti
nelle vicinanze, e durano fatica a _salvare gli arrestati dalla furia
del Popolo_.» — (Dispaccio telegrafico del 22 febbraio 1849.) — La
verità dei fatti contenuti in questo Dispaccio è confermata dalla
Deliberazione Municipale del 24 febbraio 1849 dove occorre scritto:
«Considerando in ispecie che la _condotta del Popolo_ e della _Guardia
Nazionale_ di Firenze nella sera del 21 corrente dà al Governo garanzia
sufficiente, che i Cittadini bastano senza eccezionali misure a
tutelare l'ordine e la libertà...» Dunque anche il Municipio pensava
che i moti del 21 la libertà e l'ordine avversassero, ed egli stesso
fa fede che Popolo e Civica così risoluti li compressero da dispensare
l'uso di ogni eccezionale provvedimento. Il Prefetto di Firenze,
spaventato a ragione degli atti minatorii del Popolo, invoca il 22
febbraio lo aiuto del Circolo onnipotente in tutela degli arrestati:
«Il Presidente del Circolo del Popolo è pregato inviare alle Carceri
pretoriali una deputazione dei suoi Socj per esortare il Popolo, che
ivi si trova affollato, a rispettare la Legge e la giustizia, non
insultando le persone che gli agenti della pubblica forza vi conducono
in istato di arresto.» — (Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 115.) —
E buono accorgimento fu questo; però che si venisse a togliere al
disordine la parte più temuta, e impegnarla ad opera di civiltà. — Uno
Smith, un Ricciardi, e fu detto un Trollope, furono salvati a stento
su la Piazza di San Firenze dal Popolo infuriato. — Il _Conciliatore_,
perpetuo nemico nostro, nel 23 febbraio 1849 stampava: «I fatti
accaduti nei contorni di Firenze e in varie parti della Provincia danno
segno di una divisione di animi nelle nostre Popolazioni, e possono
essere seme funesto di _sanguinosi dissidii domestici_.... Ma se del
mal fatto sono oggi inutili i rimpianti, non crediamo che a niuno
onesto sia conteso proporre quei rimedii che almeno possono renderlo
minore nei suoi effetti.... _Usi il Governo della forza della Legge
per comprimere i perturbatori_..... Ora la rovina si è fatta completa,
l'avvenire si è coperto di tenebre, e Dio solo sa a che riusciranno.»
«L'adunanza del Circolo rimase sospesa dalla notizia che si udivano
fucilate in varie direzioni delle campagne e apparivano segnali di
fuochi dal Monte alle Croci, da Monte Oliveto, e da quasi tutte le
colline che circondano la città. Verificata in parte la cosa, tutto il
Circolo corse ad armarsi. Già tutto il Popolo di Firenze muovevasi di
un moto solo; ed era cosa commoventissima il vedere la disperazione
di coloro che non potevano trovare armi.» — (Il _Popolano_ del 23
febbraio.)
[242] Documenti, pag. 507.
[243]
«Toscani!
«Il Principe, a cui voi prodigaste tesori di affetto, vi ha abbandonato.
«E vi ha abbandonato nei supremi momenti di pericolo.
«Il Popolo e le Assemblee legislative hanno appreso questo fatto con
senso di profonda amarezza.
«I Principi passano, i Popoli restano.
«Popolo ed Assemblee hanno sentito la loro dignità, e provveduto come
conveniva.
«Il Popolo e le Assemblee ci hanno eletti a reggere il Governo
Provvisorio della Toscana. Noi accettammo, e in Dio confidando e nella
nostra coscienza, lo terremo con rettitudine e con forza.
«Coraggio! Stiamo uniti; e questo avvenimento sarà lieve come piuma
caduta dall'ala di uccello che passa.
«Nessuno si attenti sotto qualunque pretesto turbare la pubblica
sicurezza. Il Popolo guardi il Popolo. La libertà porta bandiera senza
macchia. I Toscani se lo rammentino. Custodi, per volere del Popolo,
della civiltà, della probità, e della giustizia, noi siamo determinati
a reprimere e acerbamente reprimere le _inique mene dei violenti e dei
retrogradi_: difensori della Indipendenza, noi veglieremo a ordinare
armi libere e onorate.
«Viva la Libertà!
«Firenze, dal Palazzo della nostra Residenza, questo dì 8 febbrajo 1849.
«_I Membri del Governo Provvisorio Toscano_ «F.-D. GUERRAZZI. — G.
MAZZONI. — G. MONTANELLI.»
[244] Il Dispaccio al Sotto-Prefetto di Montepulciano non si è trovato;
ma solo una lettera responsiva di Zelindo Boddi, che il sig. Falleri
ci fa sapere concepita _in misterioso linguaggio_; ella dice così: «Ho
letto la sua lettera; — mi ha recato _dolore_, ma non mi fa perdere
animo. — Il Popolo al giungere della Staffetta si è adunato, ed è corso
incontro a me. — Ho annunziato il _tristo successo_, e meglio andrò a
pubblicare quanto accadde, fra pochi istanti, nello interno del Paese.
Mi uniformerò agli ordini, ed alle istruzioni ricevute, e darò conto
di tutto a misure prese e adottate. — Mi circondo _di tutti i buoni,
che mi promettono conforto, e assistenza_. (Docum., pag. 280). Questa
risposta, che al Falleri sembra _misteriosa_, a me pare, che risponda
acconciamente alla lettera ed allo spirito del Dispaccio, per certo
uguale agli altri spediti da me, e forse con qualche espressione di
più, che valse a indurre lo scrivente ad attestare il suo _dolore_ pel
_tristo successo_, però che la bontà della indole, ed altri pregi, che
taccio, da molti anni mi avevano persuaso a stimare e ad amare Zelindo
Boddi.
[245] Documenti, pag. 297.
[246] Documenti, pag. 289.
[247] Documenti, pag. 412.
[248] Documenti, pag. 412.
[249] Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 284.
[250] Indirizzo del Popolo di San Quirico. (Vedi _Monitore_, 19
febbraio 1849.)
[251] «Al cittadino presidente del Circolo del Popolo di Firenze. — Il
Circolo (di Siena) ha deliberato nella sua tornata del 21 di atterrare
tutti gli Stemmi Medicei, e tutte le insegne della vecchia tirannia, al
sorgere della nuova libertà. Quando s'inalza l'Albero della Repubblica
debbono cadere i monumenti della oppressione ec..... V'invitiamo a fare
altrettanto.» (Il _Popolano_ del 26 febbraio.)
[252] Io conosco il deposto del Professore Zannetti, il quale
meritamente ogni uomo onora, come lealissimo. Interrogato intorno alla
violenza, che avrebbono potuto farmi gli Arrabbiati, risponde, che
_esigenze forti per certo io subii perchè nelle varie volte_ (e furono
moltissime) _ch'egli si condusse da me nella qualità di Generale della
Guardia Nazionale dovè accorgersi, che mi trovava in condizione_ ASSAI
CRITICA.
[253] Medesimi eventi, e medesime scuse occorrono in Francia; così
vedremo più tardi Garat Ministro della Giustizia esporre all'Assemblea
nel 1792: «la forza pubblica rimane spettatrice inerte — e si scusa
dicendo non _avere_ ordini. Prima che gli ordini arrivino, i tristi
radunano il Popolo, lo infiammano, lo strascinano, e il male cresce.»
(De Barante, frammenti citati.)
[254] _Mémoires de Bailly_. Tom. I, pag. 228.
[255] Vedi questo Decreto stampato in tutti i Giornali del tempo, nei
numeri del 9 febbraio.
[256] _Alba_, 9 febbraio 1849.
[257] Vedi il _Considerando_ IV della Deliberazione Municipale del 24
febbraio 1849.
[258] _Conciliatore_. Si riporta per intero in altra sede di questa
Apologia.
[259] Aureo Trattatello dei Sinonimi.
[260] «Il nostro Circolo _non dorme_, e cura quanto può gl'interessi
dei fratelli, che gli sono carissimi. Ha già fatto uno indirizzo
al Ministero _per rimproverarlo di non avere seguito il Granduca,
e domandare il suo ritorno in Firenze_. Si è poi costituito _in
permanenza_, ha creato una commissione perchè sia in corrispondenza
continua col Ministero, e cinque commissarii ec. — Firenze, 5 febbraio
1849.» — (Documenti dell'Accusa, pag. 193.)
[261] Vedi sopra.
[262] _Popolano_ del 16 febbraio 1849.
[263] _Popolano_ del 14 febbraio 1849.
[264] _Popolano_ del 16 febbraio 1849.
[265] _Popolano_ del 15 febbraio 1849.
[266] «Domenica giunsero varie Deputazioni dalle principali Provincie
col grido di Repubblica sulle labbra.» — (_Popolano_ del 20 febbraio
1849.)
[267] Caino, Mistero. Atto 1.
[268] _Monitore_ del 1 marzo 1849.
[269] A pagg. 102, 105-109 dei Documenti dell'Accusa si trovano traccie
del fiero sospetto in cui era venuto il Barone Ricasoli. L'Archivio del
Ministero conserva le altre carte.
[270] Sir George Hamilton to viscount Palmerston.
«_Florence, February 27, 1849._
«.... They (Provisional Governement) are obliged however to submit
to a most despotic master, who hourly reminds them of the chains by
which they are held in submission, viz the power of the clubs. These
formidable assemblies govern the Governement. It is impossible to
exaggerate the terror, the poverty and desolation reigning in this fair
city.» — (_Correspondence affecting the affairs of Italy._ Part. IV,
pag. 174. London, Printed by Harrison and Son.)
[271] _Galignani's Messenger_. March, Friday, 16, 1849. «A letter from
Florence of the 8 March says, etc.»
[272] Di questa lettera, quantunque porti la firma di Marmocchi, fu
somministrato il concetto da me, come sovente soleva fare; e forse si
custodisce nello Archivio. — Documenti dell'Accusa, pag. 298.
[273] Era notorio allora, ed il Governo non lo ignorava nè poteva
ignorarlo, che grossi legni inglesi incrociassero nelle acque toscane.
— Vedi il _Corriere Livornese_ del 9 febbraio, e il _Nazionale_ del 10
e 12.
[274] Pepe, _Histoire des Révolutions d'Italie_, pag. 36. — Bruxelles.
Cesare Vimercati, officiale di marina austriaco, nella sua _Italia
ne' suoi confini e l'Austria ne' suoi diritti, ovvero Rivoluzione e
guerra del 1848_, a pag. 39, così ci racconta pure questo fatto. «Il
Vice-Presidente allora prometteva sulla sua parola che gli avrebbe
soddisfatti; ma il Popolo, sapendo per esperienza quanto valevano
le promesse, infuriava gridando: _lo vogliamo in iscritto_; ed un
tal Cernuschi facendosi avanti obbligava O' Donell a sottoscrivere
diversi ordini che venivano tosto pubblicati per la città, e che qui
riportiamo:
«Milano, 18 marzo 1848.
«Il Vice-Presidente, vista la necessità assoluta per mantenere
l'ordine, concede al Municipio di armare la Guardia Civica.
«_Firmato_: Conte O' DONELL.
«La Guardia della Polizia consegnerà le armi al Municipio
immediatamente.
«Conte O' DONELL.
«La Direzione di Polizia è destituita, e la sicurezza della città è
affidata al Municipio.
«Conte O' DONELL.»
[275] Questa sera fummo spettatori d'una di quelle dimostrazioni che
rivelano tutta la bontà nativa del Popolo, la soave arrendevolezza
dell'animo suo.
«Il Popolo e la Guardia Nazionale disposti in ordine, a suon di
tamburo, preceduti da splendide bandiere, si recavano a salutare dei
loro voti, dei loro applausi e dell'antico affetto, il nuovo Generale
della Guardia Nazionale di Firenze, il professore Zannetti. La scena
fu lieta e commovente ad un tempo: l'amore delle moltitudini trasfuso
nell'evviva prolungato e universale: la rispondenza dell'acclamato
rivelata con parole tenere, appassionate, interrotte dalla interna
agitazione: l'ora, il luogo, e la solennità della festa, d'una
familiarità popolare.....
«Il professore Zannetti..... l'uomo eminentemente italiano, rinnovava
la promessa alla patria di volerla difendere contro tutti i nemici
interni ed esterni col baluardo del proprio petto, del proprio sangue.
Diceva esser degno il Popolo di governarsi da sè stesso, di raggiungere
_la più filosofica forma di governo, la Repubblica_, quando sappia
contenersi nelle vie dell'ordine, dell'armonia, della fratellanza. La
Guardia Nazionale non dover mai apparire altrimenti che in tutela della
libertà: l'esercito stanziale, gli altri corpi dello Stato, il Popolo
tutto concordare con essa al santissimo fine. E la Toscana decretare i
suoi destini con tranquillo giudizio, secondo il voto universale.
«Il Popolo applaudiva a queste parole, interrompendole della sua
approvazione; applaudiva agli abbracci fraterni dati come simbolo
dell'amplesso generale dal professore Zannetti ad un Ufficiale della
Guardia Nazionale, ad un altro della milizia.
«Suggellava in quel momento un patto infrangibile d'amore e d'alleanza
coll'esercito, colla Civica antica, colla sorgente e rinnovata Guardia
Nazionale. Poi, ad una semplice preghiera del Generale, si disperdea,
procedendo alle grida di: Viva Zannetti, Viva la Repubblica, Viva
l'Unione con Roma.
«Tali sono le tendenze e le volontà del Popolo che si rivelano ad ogni
istante, in qualunque occasione. _Noi non sappiamo perchè gli uomini
del Governo e quelli che sono da esso preposti sembrino paventare
questa salutare espansione del Popolo, e s'industrino a rattenerla_.
Vanno ripetendo l'_ordine_, l'_ordine_, l'_armonia_. E chi più del
Popolo la sente, la coltiva, l'apprezza? Vanno instillandogli che egli
non abbia a usurpare una soverchia potenza, facendosi rappresentanza
del concetto di tutti, e quasi gl'indicono di porre un freno agli
interni aneliti, che sono la prima rivelazione della verità. E chi più
del Popolo non l'ha da gran tempo compresa questa verità; di lui che in
luogo del monopolio dei privilegiati, ha domandato e domanda il libero
esercizio della sovranità universale? Lo spediscono dolcemente alle
case con raccomandazione di calma taciturna, quasichè l'aperto grido
alla luce del cielo _in questo stadio di vita convulsa_ e interrotta,
— d'organismo politico disfatto e rinnovantesi, — non fosse un sintomo,
una prima e necessaria manifestazione dell'avvenire!
«Noi estimiamo, noi apprezziamo sopra tutti il distinto carattere, le
splendidissime doti dell'egregio Zannetti. L'accento paterno e italiano
dell'animo suo trova le vie del nostro cuore come quelle del Popolo. Lo
preghiamo solamente a non lasciarsi trarre dal concetto dell'armonia
fino a quello della profonda quiete, dall'idea della rispettata
legalità fino ad un prolungato e mortale silenzio; — perocchè egli
sa come noi e più di noi, quanto nobili e sante sieno le ispirazioni
del Popolo accompagnate agli evviva per l'illustre cittadino.» —
(_Costituente Italiana_ del 15 febbraio 1849, — _Popolano e Alba_ del
medesimo giorno.)
[276] Nel _Galignani's Messenger_ del marzo 1849, si legge, in certa
lettera datata da Firenze: «after spending some time at Florence in
_attempting_ to effect the fusion of Tuscany with Rome, he at length
repaired to Rome.»
[277] Io sono stato lunga pezza meco stesso esitante se avessi dovuto
citare la opera di Luigi Carlo Farini, come quella, che va deturpata
di molte, e potrei dire infinite macchie. Vi ha chi godrebbe, che
concitato a sdegno, non ingiusto forse, pei molti errori dettati sul
conto mio, e più pel difetto del riguardo, che ogni onesto aver deve a
cui versa in pericolo, io gli facessi rabbuffo tale da intronargli la
testa. Appunto perchè questo spettacolo si cerca, e si vuole, non si
ha da dare; e volta mite la parola a Luigi Carlo Farini, gli dico: «_tu
hai peccato molto_; se per leggerezza, mi appello da te male informato
a te bene informato: anco verso gl'Imperatori adoperavasi questa
formula, e non l'avevano a male, e tu sai che da Filippo dormente sendo
interposto appello a Filippo svegliato, il re multò sè stesso nei danni
della iniqua sentenza; nè tu, confido, per carità patria, e per onore
al tuo nome, vorrai esser minore del Macedonio; dove poi, e questo
repugno credere, te avesse mosso o tristizia di mente malvagia, o viltà
di anima venduta, allora io dovrei contristarmi per la Patria, e per
te.» Intanto fra i suoi errori, cui a me piace credere involontarii,
non ha potuto negare queste verità: «... Il Mazzini era giunto il dì
stesso che il granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con
grande festa. Egli si era dato a predicare l'_unificazione_ con Roma,
che non voleva chiamar fusione; parola a lui ed a' suoi esosa, la quale
voleva dire lo stesso, ossia non aveva significato pratico, perchè gli
uomini ed i popoli non si fondono come i metalli per calor di libertà
e artificio di eloquenza, nè gli Stati si unificano per decreto di
assemblee. Ma il Guerrazzi non voleva l'unificazione, e pochissimi
erano in Toscana che la volessero; del che gli stessi ufficiali del
governo facevano testimonianza: sicchè anche in Toscana il Maestri
milanese, legato della Repubblica Romana, faceva poco frutto...
Il Mazzini non riesciva a governare nè coll'autorità sua, nè colle
pratiche e le grida de' suoi, i negozii politici della Toscana. Modesto
egli al sembiante, come ostinato di volontà, desiderava sovra ogni
altra cosa fare della Toscana una provincia della Repubblica Romana:
ma questo concetto coperto sotto la pomposa parola d'_unificazione_
non andava a versi nè del Guerrazzi, nè del Consiglio di Stato, nè pur
dei cittadini più segnalati per liberali caldezze.» Quello che seguita
intorno a Montanelli e a Mordini _non è vero_; e finalmente! «... A
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