Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 03

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So bene, che non si ha sperare che un Popolo metta in avventura la
propria libertà per sovvenire all'altrui; ma mi sembra, ed è disonesto,
spingere i creduli nel pericolo con promesse, che non si vogliono
mantenere. Quante volte accadde rivoluzione in Francia, tante i
Francesi eccitarono a sollevarsi Popoli confinanti per metterli come
sentinelle perdute fra loro e le Potenze settentrionali di Europa;
passata poi la burrasca, con ingenerosa politica dichiararono non
potere sopportare, che i Popoli insorti si facciano gagliardi, onde
i negozii politici non si complichino, i commerci loro non iscemino,
l'autorità non diminuisca, ed abbiano a dividere con molti quella
potenza, che gli Stati, quantunque liberissimi, attendono possedere
in pochi. Questo vedemmo praticare dalla Monarchia Costituzionale di
Francia del 1830, questo aspettavamo vedere dalla Repubblica, e lo
vedemmo. Lamartine stesso, autore del Manifesto alla Europa, nella sua
Storia della Rivoluzione del 1848 ci ammonisce essere cosa contraria
agl'interessi di Francia acconsentire che qui in Italia si componga
uno Stato potente. Politica di Enrico IV e del successore Richelieu,
fu mantenere Italia e Germania deboli, epperò divise. Da Richelieu in
poi, sembra agli uomini di Stato francesi, che nè sia mutato nulla, nè
nulla sia da mutarsi, e poi si vantano non pure amanti, ma promotori
del progresso. Da questo tengansi avvertiti i corrivi ad abbandonarsi
alle lusinghe francesi. Di Lamartine ho parlato; mi sono taciuto
degli altri, perchè temeva che lo inchiostro nero mi diventasse sopra
la carta rosso per la vergogna. Intanto in Germania di Francia non
curano, e in Italia così bene si adopera, che essa vi perde ogni giorno
autorità, vi acquista odio. Molti mali ci vennero dalla Monarchia
francese, ma spettava alla Repubblica, dopo avere sospinte le voglie
dei Popoli oltre ai confini del giusto, affaticarsi ardentemente a
spengere anche i sospiri della libertà. Qui vi è progresso d'iniquità,
e nessuno può impugnarlo. Ma questo non è tema da svolgersi qui;
a me basti avere indicato, che la rivoluzione francese fu causa di
commovimento in Toscana.
Le rivoluzioni lombarda e veneta nei petti già infiammati raddoppiarono
l'ardore della guerra. Fra tutte le nobili imprese nobilissima, fra le
sante santissima, la guerra della Indipendenza. I Germani, discendenti
generosi dello antico Ermano, certo non condannano in altrui i sensi
che gli han resi nelle pagine della storia immortali. Seme di guerra
perpetua è dominio di Popolo sopra un altro Popolo: allora la necessità
rende il dominatore ingiusto, il soggetto violento; la pace, togliendo,
si perde: la storia è lì con le sue tavole di bronzo per insegnare
come le conquiste costino troppo più del guadagno che procacciano, e
all'ultimo si perdono: una sola maniera ci presenta la storia capace di
occupare permanentemente il paese vinto, ed è la conquista normanna. I
vincitori si fermano nella Inghilterra, e a mano a mano distruggendo
gli Anglo-sassoni, si sostituiscono al Popolo disperso. In altro
modo non pare che si possa; però che neppure i Romani durassero a
tenere la rapina del mondo, nè i Longobardi la Italia, nè i Saraceni
la Spagna, nè i Greci l'Asia, e degli altri popoli conquistatori chi
vivrà loderà il fine. Nonostante, se come Italiani a noi riusciva
impossibile rifuggire dalla guerra, come Toscani ci appariva piena di
eventi dubbiosi. Vincendo Austria, era da aspettarci la sorte che ci è
capitata addosso: vincendo Piemonte, poteva forse credersi che saremmo
stati assorbiti.
A compimento di rovina sopraggiunsero i disastri della guerra italiana.
Nella sventura l'uomo diventa maligno. I Lombardi, e con essi parecchi
Italiani, dubitarono della fede di Carlo Alberto; di tradimento
sospettarono; inaspriti pensarono non aversi a riporre speranza nel
Principato. Napoli, mormoravano, ritirare i soldati dal campo, Toscana
procedere con fiacchi provvedimenti, Torino farsi rompere in battaglia
a disegno. Mostruosa opinione era questa ultima, eppure propagata, e
creduta nei ciechi impeti di passione smaniosa. Allora ottenne seguito
nell'universale il disegno d'invertire il concetto politico: _invece
di giungere per mezzo della guerra allo assetto federativo della
Italia, vollero con la istituzione dell'unica Repubblica arrivare al
conseguimento della Indipendenza._
Qui pertanto in Toscana convennero infiniti Lombardi, e li premeva
cocente la cura di ricuperare la patria diletta; cagione legittima
ad ogni più arrisicato consiglio. Nè si creda, che facinorosi essi
fossero: all'opposto erano uomini distinti per dottrina, per natali,
e per ricchezze, benvoluti come fratelli, come infelici compianti,
da per tutto ammirati a modo di magnanimi propugnatori delle patrie
libertà. La Emigrazione lombarda dimorava in Firenze come corpo
organizzato sotto il governo di un _Consiglio dirigente_;[8] possedeva
pubblicisti, ingegneri, e ufficiali superiori del Genio; fondò un
Giornale _La Costituente_, e lo pubblicava, come si diceva, a scapito;
divenne padrona di parecchi altri, che indirizzava al medesimo fine;
acquistò aderenze, partigiani, ed amici; finalmente propose armare
ed armò compagnie di Bersaglieri.[9] E' fu forza accettare la offerta
concepita in termini dittatoriali, e accomodarsi a comprare un padrone,
secondo ch'è fama gridasse Diogene, esposto in vendita sul mercato;
per l'appunto come al Ministero Capponi fu mestieri arruolare _720
prodi componenti la legione della Indipendenza Italiana_, e più se
ne venivano;[10] e, trapassando a cose maggiori, come fu mestieri a
Carlo Alberto condurre generali a modo altrui, rompere lo armistizio
inopportunamente, e combattere battaglia intempestiva.
Alla Emigrazione lombarda aggiungi parecchi uomini calati giù dalla
vicina Romagna, gente manesca, arrisicata molto, alle baruffe avvezza,
ed al sangue, Siciliani, Napoletani, Polacchi, ed altri cultori
ardentissimi di sconfinata libertà; privi di patria, cupidi di
ricuperarla.


VII.
Tumulti quando incominciassero.

Contro al vero manifesto è supposto dal Decreto, che l'agitazione
apparisse sul declinare del 1848. Ufficio solenne di ogni storico
è scrivere la verità, massime poi s'egli ordisca storie per gli
effetti criminali. L'agitazione precede lo Statuto; crebbe dopo per
le ragioni già discorse; finalmente diventò irresistibile quando
il Principe partendo le lasciava libero il campo. Chi mi sa dire in
qual giorno preciso fu rotta la guerra contro l'Austria? Se io non
erro, incominciava, non declinava con l'anno 1848. — Crede egli il
Decreto, che il Principe nostro adoperasse spontaneo il diritto che gli
appartiene per l'Articolo 13 dello Statuto di dichiarare la guerra? No,
egli nol crede. Taccio dei titoli dimessi, facile sacrifizio; ma non si
renunziano spontaneamente gli affetti della propria famiglia, non le si
muove nemico mentre ella versa nel massimo pericolo, non le si porge la
spada per ferirla invece della mano per soccorrerla, non si distrugge
un appoggio sicuro per andare in traccia di fortune minaccievoli, o
per lo meno dubbiose. Prova ella è questa di agitazione veementissima
contro la quale consiglio non vale; prova di forza, che strascinava,
ineluttabile, conosciuta da quanti vivono al mondo: forza, che
travolse antichi reami, e re, e Popoli come paglie davanti al turbine;
alla quale, si pretende, che io solo potessi, dovessi, e in tutto,
resistere, e sempre. Ora questa guerra, sopra ogni altra causa, fu
motivo di sconvolgimento nel Popolo, così che fra i tumulti guerreschi,
la confusione degli apparecchi, e gli animi concitati a tremenda
febbre, tacevano le leggi, sbigottivano i Magistrati, disfacevasi lo
Stato.
Io troppo bene mi accorgo che sorriderà la gente di questo mio
affaticarmi a portare acqua al mare; ma poichè l'Accusa, contro la
verità, nel fine riposto di sostenere che l'agitazione sorse nel
declivo del 1848, per potermene dichiarare benignamente fomentatore,
dissimula i fatti, importa restituirli alla genuina loro cronologia.
Nell'ottobre 1847 fu distrutta la Polizia. Il Municipio fiorentino,
con la Notificazione del 28 ottobre 1847, deplora il fatto del giorno
innanzi, suscitato dalla brutalità dello sbirro Paolini, e dichiara che
il Popolo mutò un _nobile sentimento di compassione in atti violenti_.
Tumulto in Firenze per la occupazione e atroci atti commessi a
Fivizzano. Popolo vuol correre in massa in Lunigiana. Il Ministro
Ridolfi, coartato a scendere in piazza, promette che il Governo si
farebbe rendere conto delle commesse iniquità. La _Patria_ dell'11
novembre 1847, per questa volta anch'essa trova «_che cotesti fatti
atroci avevano commosso tutte le anime oneste_.»
Il Governo, costretto dalla volontà del Popolo, manda gente a
Pietrasanta per cagione di Fivizzano. Compagnia di Granatieri, accolta
dal Popolo ai cancelli della Fortezza, è scortata dal Popolo fuori di
Porta. La _Patria_ nobilita il Popolo accorso, «quella parte di Popolo,
che certuni male chiamano _minuta_, mentre è parte _operaia_, nè grossa
o minuta come ogni altra parte di Popolo, il quale nome comprende
tutti quanti, eccetto il Principe; la parte _operaia_ del Popolo
spontaneamente empì le vie della Fortezza: altra gente pure accorse
spontanea.» _Patria_, 15 novembre 1847.
Nel novembre del 1847, per la strage di un caporale, il Popolo a
Livorno tumultua; vuole in sue mani lo uccisore per istracciarlo; il
Delegato Zannetti è bistrattato; più tardi percosso, spinto in carcere,
e cacciato via.
Sommosse popolari a Livorno nel mese di decembre successivo, di cui
terrò altrove ragionamento.
La _Patria_ nel 18 gennaio 1848 annunzia: «che una forte agitazione,
e _potente e irresistibile commuove tutta la Italia_.» E nel 23 dello
stesso mese, alla ricisa bandisce: «_Toscana tutta quanta_ ha bisogno
di essere riordinata _incominciando dal Governo_.»
Sul declinare del febbraio 1848 la _Patria_ ricorda le riunioni
tumultuarie in Firenze, pei fitti delle case. Nel 20 aprile 1848
predica il Giornale stesso: «il pericolo della Repubblica imminente
però non potersi evitare adulando i Principi, e con atti arbitrarii e
dittatorii di Ministri adulatori.... le forze _politiche stanno ormai
nelle mani al popolo_.»
Nel 26 maggio 1848 i Fiorentini ardono la carrozza del napoletano
Statella, donde la Patria ricava argomento di ammonire i buoni e il
Governo, che i _tempi si fanno grossi_.
Turbolenze lesive la proprietà. In Empoli si fa violenza al mercato
per acquistare grano a prezzo basso; lo stesso accade a Fucecchio,
lo stesso a Pistoia, a San Piero in Bagno, a Siena. I possidenti se
ne commuovono; la _Patria_ del 14 luglio 1848 solleva desolate grida
esclamando: «è necessario provvedere subito e fortemente per reprimere
e impedire questi disordini. Non vi è contagio peggiore di questo.»
Lo incubo del _comunismo_ già appuntella le ginocchia sul petto dei
possidenti!
Nel luglio del 1848, alle adunanze pubbliche del Consiglio Generale
dolevansi di mene _austro-gesuitiche_ turbatrici dello Stato, e il
Ministro dello Interno parlandone come di cosa vecchia, rispondeva,
pur troppo _non ignorarle_ il Governo, ed _importare che riescano
indarno_. «Il Governo fa quanto può, ma per riuscire completamente,
converrebbe ch'ei non fosse disarmato, e da questo lato, bisogna _pur
dirlo, gli manca la forza_. Fu distrutta la _Polizia, e non fu ancora
ristabilita_. In questo stato di cose è facile vedere che molte volte
mancò il mezzo per fare eseguire le misure governative, altre per
provvedere. _Manca la forza necessaria al potere esecutivo_.»
Nonostante, l'Accusa me solo incolpa per non avere voluto, o saputo
Ministro prevenire e reprimere i tumulti; mi chiama _impotente per
vizio di origine, o forse_ anche _complice_!
Nel 30 luglio, grande sorse il tumulto in Firenze: la forza fu
respinta, il Popolo scese ad agitarsi con insoliti indizii.
Sopra la stessa Piazza Granducale, a piè del Palazzo Vecchio
erano scritti e letti Decreti pei quali _la decadenza del Principe
dichiaravasi, un governo provvisorio instituivasi_. Di ciò fanno prova
il processo compilato in quel tempo, e il proclama del Governo comparso
il 31 luglio seguente: «La tranquillità pubblica fu _gravemente
compromessa_ in Firenze per opera di perturbatori, che in gran parte
non appartengono nemmeno a questa città, e che manifestavano la
_intenzione di rovesciare l'attuale ordinamento politico del paese_,
e avvolgerlo nei disastri, che sono sempre la conseguenza delle
commozioni violente.[11]» In molti cagione, in altri pretesto del
tumulto i disastri della guerra italiana, e il sospetto dei sottili
provvedimenti fatti dal Ministero. La Guardia Civica, chiamata più
volte, si aduna scarsa e repugnante a sostenere un Ministero caduto
nell'odio universale. _I soliti agitatori declamano, ed eccitano i
Popoli su pei canti delle strade_. Alle ore sette comparve un proclama
firmato _Ridolfi_, col quale si promettevano per _domani la legge
per muovere la Guardia Civica, ed altri apparecchi di guerra_. Così
con queste ed altre più efficaci parole raccontava i successi della
giornata la _Patria_ del 31 luglio 1848. Onde a ragione potè esclamare
il Ministro Ridolfi, vedendo la _Patria_ fra i suoi avversarii: «_Saul
anche esso è tra i profeti_?»[12]
Tumulti gravissimi nei _pressi_ di Massa Ducale, con _collisione di
contadini e soldati, non senza morti e feriti_.[13]
Tumulti contemporanei succedono a Lucca, a Pisa, a Livorno, e si temono
a Firenze.[14]
Tumulti di contraria indole a _Laterina_, dove in mezzo a scariche di
fucile gridasi dai campagnuoli: _Viva i Tedeschi! Morte alla Guardia
Civica_.[15]
Conflitto sanguinoso, e aperta rivolta a Livorno nel 2 settembre
1848. Fortezze assalite dal Popolo, capitolano col Generale Torres.
_Si tratta di eleggere un governo provvisorio. Il Governo perde ogni
autorità sul paese_.[16]
E mentre, come sarà in breve chiarito, io mi conduco a Livorno per
salvare, quasi malgrado il Ministero, cotesta mia Patria dall'anarchia,
e ricondurla, già già tracollante nella Repubblica, sotto la obbedienza
del Principe Costituzionale, la _Patria_ in data del 22 settembre 1848
narra, che a Lucca, a Pistoia, a Prato (e a Firenze non mancano) gli
agitatori indefessamente travagliansi; nel 28 settembre afferma, che
uno _spirito di vertigine_ ha suscitato agitatori _da per tutto_; e già
fino dal 7 settembre cotesto Giornale, i fini, le occasioni, e i motivi
del tremendo agitare adduceva nelle seguenti parole: «Il _partito
repubblicano_ in Italia _non ha dimenticato_ il suo disegno dopo il
fatale armistizio. Esso allegando, che i _Principi Costituzionali_
d'Italia non potessero più sostenere la causa della Indipendenza con
una guerra ordinata, ha detto non esservi altro scampo che una guerra
insurrezionale dei Popoli, e per muovere i Popoli ha creduto espediente
di prendere, e creare tutte le occasioni di agitare lo interno degli
Stati, a fine di potere in queste commozioni sostituire la _Repubblica_
al _Principato Costituzionale_, e allora con tutte le eccitazioni
possibili alzare le moltitudini, e precipitarle furiose e infierite
contro gli eserciti austriaci.» E quanto diceva era vero.
Tumulti in Firenze nei giorni 3 e 4 di ottobre, tendenti a offendere la
pubblica tranquillità, e la personale sicurezza.[17]
Tumulti a Pisa il 7 ottobre, qualificati _perfidi tentativi di
anarchisti_.[18]
Tumulti a Livorno nel 19 ottobre 1848, per quanto avverte la _Gazzetta
di Firenze_ del giorno 20.
Il Consiglio Generale ebbe a sospendere la seduta del 23 settembre 1848
come nell'8 febbraio 1849. Il Presidente in _quel giorno si cuopriva,
e si allontanava; dopo un'ora riapriva la seduta appunto come nell'8
febbraio 1849_.[19]
La Guardia Civica lucchese, per sottrarre il conte De Laugier alle
ingiurie della plebe ammutinata, ebbe a tenerlo custodito nella caserma
nello agosto 1848.[20]
La milizia, già sul cadere del luglio 1848, dava lo esempio pessimo di
cacciare via gli Ufficiali.[21]
E con più infame delitto le palle avanzate dalla guerra lombarda
sparava nel collo al Capitano, uccidendolo a Pecorile nel 9 agosto
1848.[22] Gregarii eccitati all'odio dei superiori; superiori
disprezzanti i gregarii: ogni vincolo infranto, milizia diventata
ormai terrore non difesa. Questi erano i soldati, che si ha coraggio
sostenere corrotti da me! Di ciò pure sarà ragionato altrove. —
La mancanza delle carte necessarie non mi concede di tessere racconto
più esatto dei tumulti che agitarono la Toscana dal 1846 in poi;
ma basterà tanto per dire apertamente, ch'è falso si manifestasse
l'agitazione fra noi sul declinare del 1848 soltanto: da più lontana
origine essa muove; più antichi di quello che i Giudici dissimulano,
sono gli attentati per rovesciare la forma governativa dello Stato;
più vecchio che i Giudici non fingono, il disfacimento di ogni mezzo
governativo per prevenire, e per reprimere; prima assai del febbraio
1849 il Popolo aveva imparato a turbare le sedute del Consiglio
Generale. Chi per vaghezza, o per obbligo si accinge a raccontare
fatti, o dopo lungo studio giunse a conoscerli, oppure non vi giunse:
nel primo caso gli esponga ingenuo; nell'altro taccia verecondo.
Qualunque poi o per fatuo, o per servile, o per altro più pravo
consiglio opera diversamente, non compone storie, ma commette infamie:
e quale seminò, tale raccoglie. —
Le quali cose condurranno a confessare, che non inutile fu la mia
chiamata al Ministero. Me posero a lottare, non a governare; _io fui la
barriera ultima intorno allo abisso_; e se i miei concittadini andranno
persuasi di questo, che se io non era, deplorabili giorni avrebbe
veduto la Toscana, terrò siffatta persuasione per conforto del mio
indegno patire. Perchè poi ne vadano meglio convinti, esporrò in quali
stremi fosse ridotto il paese.
Ho riportato qui sopra le parole gravissime del Ministro Ridolfi.
Se esaminiamo gli atti dell'autorità, i discorsi pronunziati nelle
Camere legislative, e le confessioni degli stessi Ministri, troveremo
sempre il medesimo lamento. Nella seduta del Consiglio Generale del
16 ottobre 1848 il deputato Mazzoni domanda «se sia o no vero, che
dal _settembre del decorso anno_ la Toscana sia stata senza Polizia,
e a confessione dello stesso Governo senza forza?» Odaldi deputato,
risponde distinguendo l'azione della Polizia sul senso morale e sul
senso politico, ma di leggieri concede, la Toscana essere rimasta da
lungo tempo priva di forze governative.
Replicando io al collegio onorandissimo dei Negozianti livornesi, che
mi compartiva lode (dolce al mio cuore) «di avere ricomposto l'ordine,
e data tranquillità al paese, indispensabili per la prosperità del
Commercio e della Industria,» diceva: «il Governo della Toscana è ben
lontano da possedere i mezzi governativi, che assicurando e confermando
ogni maniera di onesto vivere civile comprimano i conati delittuosi
di gente che ardisce profanare il nome di libertà per procedere poi
impunemente da infame........ Ma se la Toscana non possiede ancora
mezzi permanenti e duraturi necessarii a governare gagliardamente,
supplisce adesso il Ministero con _operosità straordinaria, con
l'autorità personale, con le aderenze d'individuo, con lo entusiasta
consenso di voi, e di quanti appartengono al Popolo buono_.»[23] E con
parole supreme ammoniva per via telegrafica il Governatore di Livorno
il 16 novembre 1848: «_energia, Governatore, energia, o fra un mese
Toscana diventa un mucchio di cenere_.»
Il Prefetto di Firenze volgendosi al corpo dei Veliti, Pompieri, e
Portieri, così favellava: «È vero, che i tempi e gli eventi produssero
un pregiudicevole indebolimento alla forza che assicura la esecuzione
della legge; ma se voi volete, potrete con la opera vostra e col vostro
zelo rilevare le forze indebolite, ed ottenere plauso dal Governo.»[24]
Ne porge eziandio splendida testimonianza il mio Rapporto al Principe
per la instituzione della Guardia Municipale; io confido che i buoni,
a cui mi volgo, vorranno ritornare col pensiero sopra quel documento
uscito da me, e che ebbe lode nei tempi.
Il Senatore Corsini, per cagione della violenza usata contro
l'Arcivescovo di Firenze interpellando il Ministero intorno ai mezzi
di cui il Governo intendeva servirsi per impedire che i disordini si
rinnovassero, tale si ebbe risposta dal Ministro Mazzoni: «Il Governo
si propone usare la maggiore vigilanza che gli è dato adoperare; porrà
in opera tutti i mezzi possibili per prevenire disordini, _ma avendo
ricevuto dagli antecedenti Ministri la somma del Governo toscano
nello stato più deplorabile, non è da aspettarsi da lui più di quello
che umanamente sia abilitato a fare secondo LE FORZE, che vengono
accumulandosegli intorno._»
E nella stessa tornata, non dissentendo nessuno, egli aggiungeva: «_Pur
troppo al Governo si è fatto carico delle circostanze in cui si trova;
ma, oso dirlo senza superbia, se noi non fossimo stati, più gravi —
gravissimi inconvenienti avrebbero funestato la patria nostra_.»
Le parole del Mazzoni, quantunque sieno testimonianza di cose
conosciute universalmente, e pronunziate davanti a Collegio dove
molti dei Ministri precedenti sedevano, oggi, come di uomo esule ed
incolpato, non si vorrebbero attendere. Ma si oda in grazia quale
ricevessero immediatamente conferma dalla bocca del Senatore Capponi,
poco anzi Presidente del Consiglio dei Ministri: «Intorno alle parole
dell'onorevole Ministro di Grazia e Giustizia, che concernono il
passato Ministero cui ebbi l'onore di partecipare, intorno a queste
io sono fortunato di non potere altro che usare lo stesso linguaggio,
che intorno alle interpellazioni ha usato l'onorevole Ministro. _Le
condizioni dei tempi, il pubblico stato delle cose, il movimento degli
animi_ produssero tali cose, che quella medesima insufficienza, che
ha trovato nel reprimere ogni atto in sè biasimevole, quella stessa
insufficienza fu da noi sperimentata.»[25]
Nel Programma ministeriale del 19 agosto 1848, il Ministero Capponi
aveva dichiarato espressamente: «correre tempi difficili abbastanza da
_sgomentare i più esperti_.»
Il Senatore Baldasseroni in cotesta seduta dava al Ministero molto
solenni insegnamenti: voleva che le cause del disordine investigassimo,
voleva che il Governo combattendo per l'ordine perisse. Se la infermità
non mi avesse impedito di assistere a cotesta seduta, io gli avrei
risposto: — assolutismo improvidamente antico, e libertà impetuosamente
nuova, sono cagioni del male; in quanto a perire per la salvezza
comune, non lo togliete di grazia per rinfacciamento, ma io mi vi sono
esposto, quando mi gittai fra l'onda infuriata del Popolo per salvarvi
il figliuolo.....
E, se non è grave, odasi un poco come in proposito favellassi io
all'Adunanza del 29 gennaio 1849: «Le parole del vostro Indirizzo in
risposta al Discorso della Corona accennano ai disastri e ai _tumulti
passati_, e indicano speranza di repressione pei futuri. In questa
maniera voi non dite del presente, e non favellando del presente venite
implicitamente a dichiarare, come nulla sia stato operato adesso per
riparare a questi tumulti che voi deplorate, e che _avete ben ragione
di deplorare_. Ciò può sembrare al Ministero un rimprovero: egli non
crede averlo meritato: imperciocchè, o Signori, voi rammenterete come
abbiamo noi ricevuto lo Stato. Noi lo abbiamo ricevuto, perdonatemi la
immagine, _come si consegna una casa incendiata in mano ai Pompieri_.
Voi lo avete veduto, la finanza era esanime: _in quali lacrimevoli
condizioni fosse l'esercito_, voi lo sapete. Vi parlerò di quello che
spetta più specialmente al mio Ministero. _Qui niuno ordinamento; i
vecchi istrumenti non si potevano adoperare, i nuovi sono tuttavia
un desiderio. Gli ufficiali mancavano affatto di vigore; non restava
che un simulacro di forza, il quale non corrispondeva alla chiamata_.
O Signori, quando ebbi l'onore di essere assunto al Governo dello
Stato, io cercai se o poche o molte vi fossero le forze per potere
governare. I passati Ministri si sono allontanati dal Governo,
com'essi dicevano, di faccia alla pubblica disapprovazione: essi
così affermarono, ed io non ho verun motivo per dubitare di questa
loro asserzione: ma devo dirvi eziandio che a me parve non solo il
Governo abbandonasse il Ministero per virtù della opinione, ma assai
più perchè era impossibile il governare. Io dissi a me stesso: qui
lo Stato fu consegnato a noi, come _un cadavere in mano ai preti per
seppellirlo e cantargli l'esequie_. Ma no, io non ho creduto mai nè
credo che uno Stato possa perire. Credo che, per malignità dei tempi,
e per pessima amministrazione di uomini, forse uno Stato possa cadere
in morte apparente, in asfissia; ma la vita resulterà, quando un uomo
voglia veramente trovarla, e liberare lo Stato dalla misera condizione
in cui egli è stato condotto. Privo di forze, privo di ordini
governativi, privo perfino del mezzo di sapere in che cosa le piaghe
dello Stato consistessero, io non trovai nessuno dei miei antecessori
che m'indicasse in quali condizioni era lo Stato, e in che cosa le
sue forze consistessero. — Ordinai a tutti i Prefetti, Sotto-Prefetti
e Gonfalonieri delle diverse Comunità, che immediatamente, o nel più
breve spazio di tempo possibile, mandassero rapporti intorno allo
stato politico, economico e morale delle provincie e delle città che
reggevano. Vennero questi rapporti, quali più presto, quali più tardi,
e furono elementi già ordinati, ma non sufficienti ancora per formarmi
uno esatto concetto dello stato in cui attualmente si trova il nostro
Paese. Tuttavolta ho ordinato e in parte effettuato questo lavoro.
Egli è bene lontano dall'essere peranche perfetto, nè lo sarà mai,
perchè tutti i giorni devono succedere casi che valgano a modificarlo,
e speriamo in meglio, ma io lo lascerò sul banco del Ministero dello
Interno come un Breviario, affinchè quelli che mi succederanno, con
senno migliore, e con migliore fortuna forse, ma non con maggiore fede
di certo, al Governo dello Stato, lo abbiano sempre dinanzi agli occhi,
e per regolarsi con cognizione di causa. Mentre pertanto il Ministero
vostro, per rendersi degno del Popolo e di Voi, suoi rappresentanti,
si accingeva a conseguire precisa cognizione dello stato del Paese;
mentr'egli si accingeva a conoscere la sua malattia per applicargli
quei rimedii che reputava migliori; mentre il Governo sta preparandovi
le leggi, che nel senno vostro esaminerete e delibererete, per portare
rimedii alle malattie che accennava; pensate, o Signori, come cadesse
fra mezzo uno stato di transizione per noi deplorabile. Questo stato,
che come una via di fuoco sarebbe bene che noi potessimo percorrere
correndo, non è passato ancora, quantunque a me tardi che cessi, e il
Paese rimanga guarito di questa ferita di dolore. — Ma, frattanto, il
Governo non si è trovato e non si trova _in mezzo all'enormezze di due
partiti_? Io non voglio definire quale dei due sia o no progressivo.
In tutti gli Stati, e specialmente in quelli ove, come nel nostro, la
vita politica si è iniziata, due partiti devono agitarsi, e non è male,
come ho sentito deplorare in questa Assemblea, ma invece è un bene
che si agitino; perchè dal cozzo dei partiti nasce quella cognizione
esatta delle cose che unica giova a ben condurre lo Stato. Però, a
tutti i partiti onorevoli e plausibili, purchè nascano da convinzioni,
non mancano coloro che suscitano mille voglie, mille cupidigie tutto
altro che plausibili; e i Capi dei diversi partiti si trovano sovente a
vergognare di quelli che fanno bandiera dei loro nomi onorati a queste
intemperanze ed a queste enormezze. A cosiffatti disordini accennavano
le parole della Commissione nel compilare lo Indirizzo al Principe.
Ora, che cosa ha fatto il Ministero vostro nell'assenza di mezzi, e
nella mancanza delle persone? I Ministri hanno sentito, come altro
non potessero fare che dare allo Stato una cura indefessa, sottrarre
le ore al sonno, dimenticare, non dirò ogni diletto, ma perfino ogni
sollievo della vita....» Così io orava al cospetto di quattro Ministri
che mi avevano preceduto; nè alcuno sorgeva a confutarmi. Dopo alquante
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