Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 50
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all'opposto la Nazionale lo avesse secondato e diretto, siffatti
timori cessavano, nè doveva contrastarsi. Fermo nella mia opinione,
avvegnadio veruna conoscenza di fatti mi fosse giunta per farmela
mutare, risposi: «Di ciò stia sicuro; come vuole ella che la Nazionale
non difenda l'Assemblea, se lo ha promesso?» Il Maggiore Diana afferma
avergli io ordinato di _caricare_; io nego apertamente essermi valso
di cotesto termine; ma supposto che io lo avessi adoperato, ignaro del
_tecnicismo_, — da me, poche ore prima, il Maggiore aveva conosciuto
col fatto quello che io mi intendessi per _caricare_, — dare di
sprone ai cavalli, gittarsi inermi colà dove il Popolo si mesce in
empia battaglia, strappare ai forsennati le armi di mano, mettere
risolutamente in avventura la propria vita per salvare l'altrui.
Parliamo di Bernardo Basetti. Interrogato come testimone, dichiara «che
nel giorno 12 mi comparve davanti, e appena lo vidi gli dissi: — In
Piazza; — se non che avendo egli considerato quello che vi accadeva,
e la _probabilità_ con la sua azione di dare luogo alla guerra civile,
_formò subito_ il pensiero di non andare; anzi, al contrario, condurre
gli uomini al Quartiere. Solera, protestando non intendersi delle cose
nostre, lasciò a lui la cura di fare pel meglio; egli dette ordini
rigorosi ai soldati e agli Ufficiali di starsi su la spianata del
Convento di San Firenze. Da mano ignota ricevè un biglietto aperto del
Guerrazzi, il quale, in sostanza, gli rinnuovava l'ordine di andare
in Piazza, ch'egli lasciò inadempito per la ragione già addotta; poco
dopo, invitati dal Municipio gli Ufficiali della Guardia a recarsi
alla Comunità, vi si condusse col Solera e con altri; — quivi dichiara
l'animo suo; è accolto e lodato; — in cotesto riscontro Orazio Ricasoli
gli consegna un secondo biglietto aperto del Guerrazzi, il quale,
comecchè contenesse le medesime istanze, ottenne il medesimo resultato.
Egli ha conservato i biglietti e li conserva tuttora, ed è pronto ad
esibirli.» E gli esibisce.
Ora io nego di avere veduto Bernardo Basetti; e non lo nego già per
comodo che mi faccia, imperciocchè a me nulla nuoce affermarlo: io lo
nego, prima di tutto, perchè tale è la verità, e poi perchè questa
verità ridonda a onore della intelligenza e dell'animo del Basetti.
No, il Basetti non mi ha veduto, avvegnadio, se così fosse, amico e
beneficato da me, mi avrebbe chiarito, dicendo: «Avverti a quello che
fai; se pensi opporti a qualcheduno dei soliti tumulti, o reprimere un
moto di anarchia, non è questo il caso; da quanto ho veduto in Piazza,
e posso giudicare io, la universa città si commuove a restaurare
di comune consenso il Principato Costituzionale.» Egli è certo che
favellandomi così, mi avrebbe istruito intorno lo stato delle cose, e,
adempiendo ufficio di amicizia, alla Patria giovava, ed a me, e forse
anche a sè; perocchè, più spesso che altri non crede, l'utile si trova
in compagnia dell'onesto; e se non mi voleva procedere amico, _il suo
obbligo, come Ufficiale_, gl'imponeva farmi rapporto di quanto fosse
stato considerato da lui, domandarmi che cosa avrebbe dovuto fare in
Piazza, in che modo, a quali fini operare; e udite da me le debite
spiegazioni, _il suo dovere, come Ufficiale_, gl'imponeva esporre i
pericoli e la impossibilità di eseguire i comandi; e supposto, che
tutto ridotto all'acqua chiara, io per ultimo lo incombensassi a
tutelare la vita dei Deputati e mia, dal deposto di Bernardo Basetti
si viene alla conseguenza, che, per dubbio di effusione di sangue,
lasciava con deliberato consiglio, che il nostro certamente si versasse
dalla plebe indracata. Giudichi Bernardo Basetti se queste conseguenze
del suo deposto gli accomodano: per me, averlo veduto o no torna
indifferente; e se lo nego, lo faccio soltanto perchè non è vero.
Mentre io stava tuttavia nelle prime ore della mattina nelle stanze
del Ministro della Guerra, mi ragguagliavano come al presentarsi della
Guardia Municipale la turba che era stipata in Piazza, e minacciosa,
rovesciatasi sopra di sè aveva fatto sembiante di andarsene più che
di passo, se non che la Guardia invece di attelarsi s'incamminava ai
Quartieri per essere stata presa dall'acqua nel cammino. Allora fu
che scrissi i due biglietti intorno ai quali furono mosse sì strane
calunnie:
«Firenze, 12 aprile 1849.
«Basetti,
«In Piazza vi sono Veliti, Guardia Nazionale, entra la Cavalleria e
l'Artiglieria. — Esca la Municipale, o si cuopre di vergogna.
«GUERRAZZI.»
Ministero e Segreteria di Stato
della Guerra e Marina.
1º Ripartimento.
«Basetti,
«Prendi il Comando della Municipale: fuori in Piazza a difendere
l'Assemblea, e la Patria, e la Libertà, e il tuo amico
«GUERRAZZI.»
Col primo lo ammonisco, che stando in Piazza (come credeva) Guardie
Civiche e le Milizie stanziali, la Guardia Municipale con la sua
viltà sarebbesi tirato addosso un carico grande. Questo biglietto
chiaro si comprende essere scritto prima che al Ministro della Guerra
si presentassero il Colonnello Tommi e il Maggiore Diana, perchè
appaia fondato sul supposto, che la Cavalleria e l'Artiglieria già si
trovassero in Piazza. Dopo il colloquio col signor Tommi non avrebbe
potuto scriversi con verità; — che se l'Accusa appuntando il dito sotto
l'occhio notasse: Tu lo facesti apposta per eccitare il Basetti con lo
esempio, — io le risponderei: Tu se' maliziata indarno; imperciocchè
l'arte sarebbe tornata vana, essendo egli passato per la Piazza, ed
avendo potuto co' proprii occhi vedere se le mie parole erano vere; —
posto ancora che per altra via si fosse condotto ai Quartieri, agevole
cosa era mandare da San Firenze in Piazza del Granduca qualcheduno
che speculasse gli eventi. — Col secondo lo conforto di difendere
l'Assemblea, la Patria, la Libertà ed il suo amico; ed anche questo
fu scritto nelle stanze del Ministro della Guerra, come ne fa fede
la stampiglia impressa sul margine del foglio. Queste avvertenze
dimostrano come ambedue i biglietti fossero scritti e mandati innanzi
che io scendessi nella Sala delle Conferenze, e così prima che per me
si conoscessero le trattative _incoate_ fra il Municipio e l'Assemblea,
di operare concordi alla restaurazione del Principato Costituzionale.
Apprendo come uno di questi biglietti fosse consegnato _aperto_ al
Basetti dal signor Orazio Ricasoli, a cui pure _chiusa ed intatta_
rimisi la lettera sospetta, che mi recò l'ufficiale della Posta; il
qual fatto non dissuase il _Conciliatore_, di Angiolo ad un tratto
convertito in Demonio contro di me, nel suo manifesto di guerra del
giorno 19 aprile 1849, da mettere a carico mio: «_il segreto della
Posta non rispettato_.»
Ora, che cosa l'Accusa trova da appuntare in cotesti biglietti? il
modo, o il fine? Se il modo; lo so, — quando la stampa di questa mia
Patria mi si rovesciava addosso come calcina viva sopra corpo morto,
prevalendosi del mio silenzio costretto, e nella speranza di consumarmi
_moderatamente_ fino le ossa, vi fu chi scrisse avere io ordinato a
Bernardo Basetti di trarre sul Popolo; onde coscienza punse cotesto
uomo, e non patì che si facesse tanto disonesto strazio di tale che
gli fu amico, lo aveva beneficato, e adesso non si poteva difendere;
e pubblicò con le stampe, calunnie essere quelle voci.[707] Di vero
poteva io mai dare questo empio ordine? La sera precedente mettevo a
cimento la vita perchè cessasse la strage fraterna, e poche ore dopo
la comando? L'11 aprile strappo le armi ai cittadini, per riporle in
mano loro il 12, e aizzarli a fare sangue? Preoccupato da tremenda
ansietà, nel giorno 11, non mi do pace finchè la città non è sgombra
di Livornesi onde i lugubri scontri non si rinnuovino, nel 12 li
cerco e li provoco? Nei giorni 10 ed 11 scrivo al Prefetto Landi,
conforme la Sentenza della Corte Regia di Lucca, del 4 giugno 1850,
riporta: «Attesochè avvertisse il Guerrazzi al Landi, con i suoi
Dispacci de' _10_ e _11 aprile_, come lasciare nemici dietro, mentre
la milizia era ordinata a recarsi alle frontiere non fosse prudenza,
e _come avrebbero ottenuta lode per parte degli amici e dei nemici
adoprandosi alla difesa esterna, come per la sicurezza interna_, e
conseguentemente gl'ingiungesse di operare il disarmo, di procedere ad
arresti senza rispetto, _meglio essendo, siccome egli litteralmente
si esprimeva, di arrestare e disarmare che dare l'esempio più tardi
di mutue stragi_.» E mentre a Lucca aborro la strage, e la prevengo,
qui a Firenze dopo breve giro di tempo l'amo, e la cerco? Mi si dieno
gli Archivii, odansi (non come chi ha paura del vero, quasi fosse
una di quelle visioni notturne che mettono il tremito nelle ossa,
bensì come chi lo ama al pari di una benedizione) i miei Segretarii,
eziandio quelli rimasti in carica, e conoscerete qual cuore, quali
ordini fossero i miei. Dunque l'Assemblea, la Patria, la Libertà, e
l'amico, non si difendono con altro che con le morti? Quando difesi la
vita dei cittadini, allagai di sangue la piazza? L'amico sa difendere
l'amico anche esponendo il proprio petto per lui, ma ahimè! queste
cose non sapeva Bernardo Basetti. Il vanto (e gli parve tale!) del
Basetti di non essere uscito in piazza per timore di accendere la
guerra civile ha dato fondamento all'Accusa; cotesto vanto è insensato:
ma che importa ciò all'Accusa, che di ogni campo fa strada nella sua
persecuzione? Dunque, e in quel giorno e poi, la Guardia Civica doveva
astenersi dalla difesa dell'ordine pubblico e della privata sicurezza,
per sospetto di guerra civile? Il Colonnello Nespoli, che pure non mi
era amico, quando mi offerse scortarmi e tutelarmi con una compagnia
di Guardia Nazionale, commetteva atto di guerra civile? Per timore
che possa correre sangue, lascinsi esposti a morte certa rispettabili
cittadini..... alla belva plebea si dieno non contrastato pasto! — Ma
voi non avevate mestiero difesa, ammonisce l'Accusa, poichè ogni cosa
avvenne con modi soavi. — Eh! via, apprenda verecondia l'Accusa; queste
cose non possono dirsi, nè devono, da chi fa professione di verità.
Lascio di rammentare gli atroci avvenimenti del giorno innanzi; non
torno ad avvertire che in quel punto quale carattere potesse assumere
la sommossa ignorava, e dagli esordii io doveva presagirla nefandissima
ed empia. Si esamini pure il moto quando gli dettero forma e direzione;
coloro che se ne posero a capo giunsero forse a contenerlo sempre nei
confini desiderati? Non rimasero talora atterriti degli elementi che
si confusero con essi? I nuovi amici piacquero loro tutti? Le opere di
quei giorni approvarono tutte? Per me so, e ne depongono i testimoni,
che la plebe, dopo avere spiantato gli Alberi che aveva piantato, venne
per irrompere nell'Assemblea e manomettere i Deputati; per me so che
fece forza al Palazzo Vecchio, prima e dopo che vi avesse tolto stanza
la Commissione Governativa; io so, che da gente prava fu spinta, per
buona parte della notte, plebe avvinata ad aggirarsi intorno alla mia
dimora, come lupo nei giorni di neve, a urlare: _morte! morte!_ — io
so, che il giorno 13 aprile una torma di villani con falci, e vanghe,
e zappe, invasero i cortili del Palazzo Vecchio gridando la parte, a
modo di musicanti venuti a farti la serenata sotto ai balconi: _Morte
al Guerrazzi! Morte al ladro! Morte all'assassino!_ con altre più cose
che io non ho ritenuto a mente, come sembrava, pur troppo, che bene
avessero appreso a ritenere costoro. Queste dimostrazioni di esultanza
non furono già del tutto buccoliche, come va idilieggiando l'Accusa,
dacchè il Prefetto provvisorio Pezzella, nel Proclama del 14 aprile
1849, bandiva:
«Peggiore ed altrettanto deplorabile cosa ella è, se trasmodi fino
a recriminazioni di Partiti, violenze alle persone, e guasti alle
proprietà.
«Se infelicemente sia ciò in qualche parte accaduto, confido che non
sarà mai più.»
E noi sappiamo quanto nei Documenti officiali si limino e aggarbino
le espressioni, per modo che dicono mille volte meno di quello che
veramente sia; nè tardarono uno istante a mostrarsi gli avvoltoj:
«i quali, — come c'istruisce Ferdinando Zannetti, — mossi, più che
da leale affezione di Partito, da invidie ed animosità particolari,
immaginano secrete macchinazioni per dare a credere misteriose trame,
designando intanto le persone su le quali a sfogo di rancore vogliono
proclamati arresti, esilii ed altre coercizioni.»[708] La Reazione
comparve subito e sopraffece le buone intenzioni (perchè non dubito
punto che la Commissione e il Municipio si proponessero a scopo il
ristabilimento dello Statuto, e la preservazione della Patria dalle
armi straniere), se al grido della plebe di: _Viva la Monarchia_, fu
mestieri che la Guardia Nazionale aggiungesse: «_Costituzionale_;» e
all'altro: _Viva la Restaurazione: «con libere istituzioni_:»[709] e
più apertamente parlando il lealissimo uomo, nella lettera che scriveva
al buon Pietro Bigazzi: «Nei momenti attuali — tu non devi negare i
ripetuti gridi: _Morte ai liberali_ ec.»[710]
Dunque pel modo non furono esorbitanti i miei ordini, nè capaci a fare
nascere guerra civile, come opina Bernardo Basetti, il quale da un lato
s'ingegna onestare la disobbedienza, e lo abbandono; dall'altro, farsi
merito presso il nuovo Governo: senonchè la toppa appare più trista
dello sdrucio, e per cuoprire una cosa brutta ne dice quattro assurde;
e l'Accusa, poichè le giovano, piglia anche le assurde, e con obliquo
scopo palesate, e me lo appunta al petto come Lanzo alabarda.
E se non ponno biasimarsi gli ordini miei pel modo, molto meno si
vorranno riprendere pel fine, dacchè io non lo chiamavo alla difesa
di una forma determinata di Governo, bensì dell'Assemblea, la quale
doveva in breve pronunziare in modo civile, e con voto del pari che
con universale contentezza (e lo abbiamo veduto) la restaurazione del
Principato Costituzionale; — però l'Accusa pare che trovi eziandio
essere delitto difendere la Patria; e ritiene ogni atto mosso a questo
scopo santissimo, ostile alla Restaurazione: sul quale proposito io
devo avvertire, che se l'Accusa non sentì vergogna a incriminare,
io provo quanto farei ingiuria al pudore spendendo pure una parola
a difendermi in questa parte; e lo stesso dicasi della Libertà,
— e fermamente, credo che a non pochi Magistrati palpiteranno più
frequenti i polsi udendo come nei Tribunali Toscani la difesa della
Libertà suoni misfatto; e se Libertà sapessi in che e come differisca
dalla licenza, per qual modo si custodisca e con quali argomenti si
difenda, voi tutti conoscete a prova; — finalmente dopo avere pensato
alla Rappresentanza del Paese, alla Patria e alla Libertà, parmi possa
essere concesso di pensare un poco anche a sè. Comprendo benissimo come
l'Accusa aggravandosi sopra il mio capo mi ha tenuto in conto di un
_ghiabaldano_, di cui i nostri antichi per proverbio dicevano: _che ne
davano trentasei per un pelo di Asino_;[711] ed io quantunque presuma
di me poco, pure anche in questo non mi accordo con l'Accusa, essendo
la propria conservazione di Natura; e intorno a me educai creature,
che amo e che mi amano, che piangerebbero e soffrirebbero per la morte
mia.... Ami tu qualcheduno, Accusa? — Supposto che tu l'ami, troverai
doverti conservare meno per ragione del diritto, che per l'obbligo di
non partirti o lasciarti strappare dalla vita, finchè le tue creature
non sappiano aiutarsi da per sè stesse nel mondo. — Vero è però, —
e in questa parte sarei tentato di dare ragione all'Accusa, — vero è
però che, o lasciassi libero il freno alla plebe indracata, e avvinata
e pagata, o mi commettessi alla fede di gentiluomini cristiani, poco
divario è corso, perchè la prigionia assomiglia alla morte, in ispecie
per la educazione dei figli, o delle creature insomma che si amano...
ma allora io credevo, che differenza ci fosse!
Rimane a vedere se io potessi confidare in questa prova di amicizia
sviscerata per la parte di Bernardo Basetti, e parmi di sì;
imperciocchè non v'era mestieri che fosse sviscerata, anzi bastava
mediocre; e neppure, se ben si considera, amicizia bisognava,
ma sentimento di dovere e semplice gentilezza. Il signore Emilio
Nespoli, e l'ho detto, per bene _due_ volte, venne ad avvertirmi
di pormi in salvo, e offerse mandare verso il Prato una compagnia
di Guardia Nazionale a tutelarmi, comecchè non mi stringesse seco
vincolo di amicizia. Ora è da sapersi avere io conosciuto Bernardo
Basetti nel 1830 a Montepulciano, dove mi fu cortese di buoni ufficii
e di consolazioni, onde me gli attaccai con amore, parendomi forte
e generosa natura: provò fortune diverse, e le contrarie forse non
senza colpa sua; me ebbe in tutte uguale; esulò, tornò, e molto mi
affaticai presso i suoi creditori, affinchè quieto lo lasciassero stare
in Toscana, e l'ottenni; però non sembra che la vita volgesse troppo
gioconda per lui, dacchè mi scrisse lettere ortatorie, quando fui
assunto al Potere, di accomodarlo di qualche impiego, e segnatamente
nella Guardia Municipale che stava sul formarsi in Firenze, sentendosi,
sia per la perizia acquistata nell'Algeria nelle cose militari, sia per
la operosità naturale, sufficiente ad esercitarlo, onde io gli conferii
dignità e soldo di Capitano, e di grado in grado quello di Comandante
supremo; se non che, non gli parendo essere bastevole a tanto ufficio,
me lo confessò modesto, ed io onorevolmente, e secondo il suo genio,
lo collocai. Non basta: consentii che impiegasse nel Corpo medesimo un
giovane che ei teneva in parte di figlio. Aveva eziandio due fratelli
onestissimi, Agostino e Ferdinando; e raccomandatimi entrambi, il primo
conseguì impiego, all'altro pensava provvedere quando me ne capitasse
il destro. Io so che parlando del fratello Bernardo gli affliggo, e
Dio sa se anche me attristo; — scusimi appo loro non poterne fare
a meno, e il modo discreto col quale io ne parlo. — E non è tutto
ancora: nel 19 novembre 1848 lo mando Capitano provvisorio della
Municipale a Livorno;[712] non accettato costà, Pigli, compiacendo alle
intemperanze popolari, lo respinge a Firenze.[713] Per l'offesa dello
amico, turbato, senza porre tempo fra mezzo domando informazioni del
fatto.[714] Il Governatore Pigli risponde nel modo seguente:
«Al Ministro dello Interno.
«Fino da ieri sera si conosceva pubblicamente il desiderio di molti
di avere qui il Capitano Roberti. Nella dimostrazione fatta ieri a
favore dei Deputati, benchè poco numerosa, un cartello diceva: Viva
il Roberti, Capitano della Municipale di Livorno. E già si sapeva che
egli era partito per Firenze. Gli Ufficiali chiamati da me furono,
ieri sera, presentati a Basetti con gradimento reciproco. Fu fissato
che stamani all'appello del mezzogiorno si sarebbe presentato alla
Compagnia. Stamani i rapporti verbali dei tre Ufficiali, fatti a me,
assicurano che il Capitano Basetti presentandosi avrebbe avuto una
dimostrazione contraria; che la presenza del Governatore l'avrebbe
potuta mitigare forse, ma non impedire; che quanto allo scioglimento
era pericoloso, per essere quasi tutti concordi, in ispecie i graduati:
doversi riflettere che sono tutti armati e hanno molti aderenti a
favore di Roberti nel Popolo. In questo stato di cose ho creduto savio
consiglio, senza farne sentore alla Compagnia, far partire il Basetti,
che referisse a viva voce: il quale ha di buon grado aderito alla
proposta. Prego a riflettere come sia pericoloso l'impegnarsi a cosa
che non siamo certi di poter sostenere.
«PIGLI.»
Voi lo vedete: Basetti cede il campo; Pigli, con partiti che gli
sembravano cauti, ed erano vili, insinua a lasciarlo offeso. Geloso
dell'onore del Basetti più di quello ch'egli se ne mostrasse, odasi un
po' come lo sostenessi io:
«Al Governatore di Livorno.
«Guerrazzi e Montanelli mandano al Governatore che ordini la rivista
della Municipale, e dica in nostro nome che il Basetti ha da essere il
Capitano, perchè nostro amico e uomo di nostra fiducia. Che Roberti
deve stare qua, che noi non soffriamo soverchierie, e ci dimettiamo
piuttosto, lasciando alla Municipale l'odio della sua resistenza.
Che se credono di strascinarci per il collo, s'ingannano per Dio.
Il Governatore eseguisca gli ordini, e avverta che, così procedendo
le cose, ritenere il Governo è una vergogna, un insulto. Intanto se
la Municipale continua nel sistema di ribellione, si sciolga e si
sospendano le paghe. Così vogliamo; queste sono vergogne, e bisogna
che cessino. Gli Ufficiali e tutti quelli che si mantengono fedeli alla
libertà vengano a Firenze. La Caserma si chiuda. Risposta subito.
«GUERRAZZI.»
Mi sembra che da me non si potesse dare a Bernardo Basetti prova più
alta di amicizia oltre quella di mettere a repentaglio per lui perfino
la mia carica, e questo perchè lo stimo amico mio e persona di fiducia.
Quindici minuti dopo pongo da capo in moto il telegrafo, indicando la
via da seguirsi onde ottenere il fine desiderato:
«Al Governatore Pigli.
«Chiamate Fabbri, Lauri, Notari, Betti, e Frediani e altri, e dite loro
che il Ministero è disposto a sciogliere la Municipale, a dimettersi
anzichè lasciarsi imporre dalla Municipale stessa. Però usino tutti
la loro influenza a farla vergognare dell'enormezza commessa. Domani
vengo col Basetti. Arte, prontezza e vigore. I Livornesi si lasciano
guidare, ma da mani non deboli. La Cecilia torna contento. Sua Altezza
ha approvato. Risposta subito.
«GUERRAZZI.»
Pigli obbedisce, e annunzia:
«Al Ministro dello Interno.
«Sentite le persone indicate nel Dispaccio Ministeriale, ci siamo
presentati alla Guardia Municipale, riunita, e in considerevole
numero, Fabbri, la Cecilia, i Consiglieri, ed io. Ho incominciato
a parlare parole di fiducia per prendere ad annunziare alla nomina
del Capitano provvisorio Basetti, il quale domani prenderà il
Comando della Municipale. Le contestazioni e opposizioni, per quanto
presentate con rispetto, sono state molte. È stato detto che promosso
il Capitano Roberti, si deve procedere per la stessa via di ragioni,
e promuovere gli Ufficiali nella Compagnia. Ha detto alquante parole
il Gonfaloniere, molto più e più efficaci La Cecilia, spontaneamente
intervenuto. Io finalmente ho concluso che la nomina del Basetti non
distrugge i titoli ed i diritti di alcuno, e che il Governo nella sua
imparzialità e giustizia saprà tutti proteggere e rimunerare secondo il
merito. Siamo partiti in mezzo agli applausi. Basetti venga e sarà ben
ricevuto. Il resto al tempo e alla saggezza del Governo.
«PIGLI.»
Ed io prometto il giorno successivo recarmi in Livorno conducendo meco
Bernardo Basetti, fino alle lacrime commosso del come voglia e sappia
proteggerlo.
«Al Governatore di Livorno.
«Si lodi la Municipale. Quante volte si mostrerà obbediente alli ordini
del suo creatore avrà diritto alla sua particolare considerazione.
Roberti non è promosso. Basetti non è Capitano definitivo, ma
provvisorio. Tutta la Guardia dovrà essere definitivamente approvata
dal Consiglio. Ho passato una cattiva giornata. Domani sera io sarò in
Livorno con Basetti. A ore dieci passerò la rivista in Caserma della
Municipale. Viva la Municipale _fedele alla libertà, nemica della
licenza_.
«GUERRAZZI.»
Trionfante entrò Basetti nei Quartieri dond'ebbe poco anzi a partirsi
con fronte dimessa, e finchè stette a Livorno l'onorarono ed amarono;
ed anche si dica a lode di lui, seppe farsi rispettare ed amare.
Per le cose esposte io pensava trovarmi un cotal poco fondato ad
aspettarmi da Bernardo Basetti una prova di amicizia; se non voleva
ricordarsi a quell'ora essermi amico, io doveva credere ch'egli
avrebbe eseguito il mio ordine, se avesse potuto farsi umanamente ed
efficacemente; e se no, mi avrebbe ragguagliato con fedeltà come a
probo Ufficiale appartiene; se infine le parti di amico e di Ufficiale
volle dimenticare, non dovevo credere ch'egli avrebbe posto mai in
oblio quelle di uomo, che non consentono (nella folle speranza di
proprio comodo) pronunziare assurde opinioni; delle quali l'Accusa,
intenta solo a nuocere, si varrà per fabbricarvi sopra assurde e
futili incolpazioni, è vero, ma rincrescevoli sempre, non fosse altro
per avermi dato il fastidio di spendere tante parole a dimostrare la
stolidità e malizia loro.
Non mi comparendo davanti il Ministro dello Interno, nè il Prefetto,
ignaro dello stato delle cose m'incammino alla Sala delle Conferenze,
dove seppi adunata l'Assemblea. Ora sentiamo raccontare dal Professore
Taddei, Presidente, quello che, a mia insaputa, era successo nella
prima parte della mattinata. Il Municipio desidera unirsi all'Assemblea
per proclamare la Restaurazione, come senno e amore vero di Patria
persuadevano; però... ma parli il labbro del vecchio illustre: «Mi
rammento che il signor Giuseppe Martelli venne a cercarmi nella Camera
stessa, ed a pregarmi di volere secolui recarmi al Municipio: io aderii
immediatamente, e trovati poi in una carrozza i signori Ricasoli e
Cantagalli, vi montai; c'incamminammo uniti al Palazzo Riccardi per
condurre insieme con noi al Municipio il Professore Zannetti. Radunati
tutti al Municipio, e trovatici unanimi ad operare ognuno dal suo canto
per restaurare la Monarchia Costituzionale, non rimase altro da fare,
che mettere d'accordo l'Assemblea e il Municipio, nello stabilire il
modo col quale legalmente e _dignitosamente_ si potesse soddisfare
al desiderio di tutti. Due del Municipio, e _segnatamente_ i signori
Digny e Brocchi, si recarono nella Sala delle Conferenze, in qualità di
_Commissionati_ dello stesso Municipio _per comprovare quello che già
aveva io referito_, e devenimmo alla stesura di concisa Notificazione,
la quale _fu letta e ratificata dai Commissionati suddetti, ed
immediatamente spedita ai torchj_.»[715]
Il Proclama fu questo:
«Toscani! L'Assemblea Costituente Toscana si dichiara in permanenza.
Essa prenderà, d'accordo con la Guardia Civica e col Municipio, i
provvedimenti necessarii per salvare il Paese.
«Firenze, 12 aprile 1849.
«TADDEI Presidente.»
Mentre l'Assemblea da una parte adempiva la promessa, come tra
gente onesta si conviene, dall'altra prevalevano nel Municipio
consigli pessimi; e fatto nuovo partito, i suoi Membri statuiscono
mancare di parola all'Assemblea, e disprezzato il Collegio nella
sua rappresentanza, come nelle singole persone dei Deputati, senza
neppure avvisarlo di volere procedere soli, e, se bisognasse, avversi
nel disegno fermato, — quasi per ardere le carra, e non dare luogo
ad ammenda, stampano un Proclama, ed in fretta lo appiccano su pei
cantoni. In questa sentenza quel Proclama bandiva:
«Cittadini,
«Nella gravità della circostanza, il vostro Municipio sente tutta
la importanza della sua missione. Egli a nome del Principe assume la
direzione degli affari, e si ripromette di liberarvi dal dolore di una
invasione.
«Il Municipio in questo solenne momento si aggrega cinque cittadini che
godono la vostra fiducia, e sono:
«Gino Capponi,
«Bettino Ricasoli,
«Luigi Serristori,
«Carlo Torrigiani,
«Cesare Capoquadri.
«Dal Municipio di Firenze,
«Li 12 aprile 1849.
«Per il Gonfaloniere impedito
«ORAZIO CESARE RICASOLI Primo Priore.»
Di questo Proclama del Municipio, di cui taluno aveva portato
frettolosamente novella all'Assemblea, si facevano accesi ed amari
discorsi, quando i signori Digny, Brocchi e Martelli tornarono nella
Sala delle Conferenze. Questa è la scena che il Visconte D'Arlincourt,
togliendola di peso dal _Duca di Ossuna_ del nostro Federigi, ha
inserito nella sua _Italia Rossa_, nella quale il Conte Digny,
_nobile e fedele realista_, spalanca la porta ed intima la _sedicente_
timori cessavano, nè doveva contrastarsi. Fermo nella mia opinione,
avvegnadio veruna conoscenza di fatti mi fosse giunta per farmela
mutare, risposi: «Di ciò stia sicuro; come vuole ella che la Nazionale
non difenda l'Assemblea, se lo ha promesso?» Il Maggiore Diana afferma
avergli io ordinato di _caricare_; io nego apertamente essermi valso
di cotesto termine; ma supposto che io lo avessi adoperato, ignaro del
_tecnicismo_, — da me, poche ore prima, il Maggiore aveva conosciuto
col fatto quello che io mi intendessi per _caricare_, — dare di
sprone ai cavalli, gittarsi inermi colà dove il Popolo si mesce in
empia battaglia, strappare ai forsennati le armi di mano, mettere
risolutamente in avventura la propria vita per salvare l'altrui.
Parliamo di Bernardo Basetti. Interrogato come testimone, dichiara «che
nel giorno 12 mi comparve davanti, e appena lo vidi gli dissi: — In
Piazza; — se non che avendo egli considerato quello che vi accadeva,
e la _probabilità_ con la sua azione di dare luogo alla guerra civile,
_formò subito_ il pensiero di non andare; anzi, al contrario, condurre
gli uomini al Quartiere. Solera, protestando non intendersi delle cose
nostre, lasciò a lui la cura di fare pel meglio; egli dette ordini
rigorosi ai soldati e agli Ufficiali di starsi su la spianata del
Convento di San Firenze. Da mano ignota ricevè un biglietto aperto del
Guerrazzi, il quale, in sostanza, gli rinnuovava l'ordine di andare
in Piazza, ch'egli lasciò inadempito per la ragione già addotta; poco
dopo, invitati dal Municipio gli Ufficiali della Guardia a recarsi
alla Comunità, vi si condusse col Solera e con altri; — quivi dichiara
l'animo suo; è accolto e lodato; — in cotesto riscontro Orazio Ricasoli
gli consegna un secondo biglietto aperto del Guerrazzi, il quale,
comecchè contenesse le medesime istanze, ottenne il medesimo resultato.
Egli ha conservato i biglietti e li conserva tuttora, ed è pronto ad
esibirli.» E gli esibisce.
Ora io nego di avere veduto Bernardo Basetti; e non lo nego già per
comodo che mi faccia, imperciocchè a me nulla nuoce affermarlo: io lo
nego, prima di tutto, perchè tale è la verità, e poi perchè questa
verità ridonda a onore della intelligenza e dell'animo del Basetti.
No, il Basetti non mi ha veduto, avvegnadio, se così fosse, amico e
beneficato da me, mi avrebbe chiarito, dicendo: «Avverti a quello che
fai; se pensi opporti a qualcheduno dei soliti tumulti, o reprimere un
moto di anarchia, non è questo il caso; da quanto ho veduto in Piazza,
e posso giudicare io, la universa città si commuove a restaurare
di comune consenso il Principato Costituzionale.» Egli è certo che
favellandomi così, mi avrebbe istruito intorno lo stato delle cose, e,
adempiendo ufficio di amicizia, alla Patria giovava, ed a me, e forse
anche a sè; perocchè, più spesso che altri non crede, l'utile si trova
in compagnia dell'onesto; e se non mi voleva procedere amico, _il suo
obbligo, come Ufficiale_, gl'imponeva farmi rapporto di quanto fosse
stato considerato da lui, domandarmi che cosa avrebbe dovuto fare in
Piazza, in che modo, a quali fini operare; e udite da me le debite
spiegazioni, _il suo dovere, come Ufficiale_, gl'imponeva esporre i
pericoli e la impossibilità di eseguire i comandi; e supposto, che
tutto ridotto all'acqua chiara, io per ultimo lo incombensassi a
tutelare la vita dei Deputati e mia, dal deposto di Bernardo Basetti
si viene alla conseguenza, che, per dubbio di effusione di sangue,
lasciava con deliberato consiglio, che il nostro certamente si versasse
dalla plebe indracata. Giudichi Bernardo Basetti se queste conseguenze
del suo deposto gli accomodano: per me, averlo veduto o no torna
indifferente; e se lo nego, lo faccio soltanto perchè non è vero.
Mentre io stava tuttavia nelle prime ore della mattina nelle stanze
del Ministro della Guerra, mi ragguagliavano come al presentarsi della
Guardia Municipale la turba che era stipata in Piazza, e minacciosa,
rovesciatasi sopra di sè aveva fatto sembiante di andarsene più che
di passo, se non che la Guardia invece di attelarsi s'incamminava ai
Quartieri per essere stata presa dall'acqua nel cammino. Allora fu
che scrissi i due biglietti intorno ai quali furono mosse sì strane
calunnie:
«Firenze, 12 aprile 1849.
«Basetti,
«In Piazza vi sono Veliti, Guardia Nazionale, entra la Cavalleria e
l'Artiglieria. — Esca la Municipale, o si cuopre di vergogna.
«GUERRAZZI.»
Ministero e Segreteria di Stato
della Guerra e Marina.
1º Ripartimento.
«Basetti,
«Prendi il Comando della Municipale: fuori in Piazza a difendere
l'Assemblea, e la Patria, e la Libertà, e il tuo amico
«GUERRAZZI.»
Col primo lo ammonisco, che stando in Piazza (come credeva) Guardie
Civiche e le Milizie stanziali, la Guardia Municipale con la sua
viltà sarebbesi tirato addosso un carico grande. Questo biglietto
chiaro si comprende essere scritto prima che al Ministro della Guerra
si presentassero il Colonnello Tommi e il Maggiore Diana, perchè
appaia fondato sul supposto, che la Cavalleria e l'Artiglieria già si
trovassero in Piazza. Dopo il colloquio col signor Tommi non avrebbe
potuto scriversi con verità; — che se l'Accusa appuntando il dito sotto
l'occhio notasse: Tu lo facesti apposta per eccitare il Basetti con lo
esempio, — io le risponderei: Tu se' maliziata indarno; imperciocchè
l'arte sarebbe tornata vana, essendo egli passato per la Piazza, ed
avendo potuto co' proprii occhi vedere se le mie parole erano vere; —
posto ancora che per altra via si fosse condotto ai Quartieri, agevole
cosa era mandare da San Firenze in Piazza del Granduca qualcheduno
che speculasse gli eventi. — Col secondo lo conforto di difendere
l'Assemblea, la Patria, la Libertà ed il suo amico; ed anche questo
fu scritto nelle stanze del Ministro della Guerra, come ne fa fede
la stampiglia impressa sul margine del foglio. Queste avvertenze
dimostrano come ambedue i biglietti fossero scritti e mandati innanzi
che io scendessi nella Sala delle Conferenze, e così prima che per me
si conoscessero le trattative _incoate_ fra il Municipio e l'Assemblea,
di operare concordi alla restaurazione del Principato Costituzionale.
Apprendo come uno di questi biglietti fosse consegnato _aperto_ al
Basetti dal signor Orazio Ricasoli, a cui pure _chiusa ed intatta_
rimisi la lettera sospetta, che mi recò l'ufficiale della Posta; il
qual fatto non dissuase il _Conciliatore_, di Angiolo ad un tratto
convertito in Demonio contro di me, nel suo manifesto di guerra del
giorno 19 aprile 1849, da mettere a carico mio: «_il segreto della
Posta non rispettato_.»
Ora, che cosa l'Accusa trova da appuntare in cotesti biglietti? il
modo, o il fine? Se il modo; lo so, — quando la stampa di questa mia
Patria mi si rovesciava addosso come calcina viva sopra corpo morto,
prevalendosi del mio silenzio costretto, e nella speranza di consumarmi
_moderatamente_ fino le ossa, vi fu chi scrisse avere io ordinato a
Bernardo Basetti di trarre sul Popolo; onde coscienza punse cotesto
uomo, e non patì che si facesse tanto disonesto strazio di tale che
gli fu amico, lo aveva beneficato, e adesso non si poteva difendere;
e pubblicò con le stampe, calunnie essere quelle voci.[707] Di vero
poteva io mai dare questo empio ordine? La sera precedente mettevo a
cimento la vita perchè cessasse la strage fraterna, e poche ore dopo
la comando? L'11 aprile strappo le armi ai cittadini, per riporle in
mano loro il 12, e aizzarli a fare sangue? Preoccupato da tremenda
ansietà, nel giorno 11, non mi do pace finchè la città non è sgombra
di Livornesi onde i lugubri scontri non si rinnuovino, nel 12 li
cerco e li provoco? Nei giorni 10 ed 11 scrivo al Prefetto Landi,
conforme la Sentenza della Corte Regia di Lucca, del 4 giugno 1850,
riporta: «Attesochè avvertisse il Guerrazzi al Landi, con i suoi
Dispacci de' _10_ e _11 aprile_, come lasciare nemici dietro, mentre
la milizia era ordinata a recarsi alle frontiere non fosse prudenza,
e _come avrebbero ottenuta lode per parte degli amici e dei nemici
adoprandosi alla difesa esterna, come per la sicurezza interna_, e
conseguentemente gl'ingiungesse di operare il disarmo, di procedere ad
arresti senza rispetto, _meglio essendo, siccome egli litteralmente
si esprimeva, di arrestare e disarmare che dare l'esempio più tardi
di mutue stragi_.» E mentre a Lucca aborro la strage, e la prevengo,
qui a Firenze dopo breve giro di tempo l'amo, e la cerco? Mi si dieno
gli Archivii, odansi (non come chi ha paura del vero, quasi fosse
una di quelle visioni notturne che mettono il tremito nelle ossa,
bensì come chi lo ama al pari di una benedizione) i miei Segretarii,
eziandio quelli rimasti in carica, e conoscerete qual cuore, quali
ordini fossero i miei. Dunque l'Assemblea, la Patria, la Libertà, e
l'amico, non si difendono con altro che con le morti? Quando difesi la
vita dei cittadini, allagai di sangue la piazza? L'amico sa difendere
l'amico anche esponendo il proprio petto per lui, ma ahimè! queste
cose non sapeva Bernardo Basetti. Il vanto (e gli parve tale!) del
Basetti di non essere uscito in piazza per timore di accendere la
guerra civile ha dato fondamento all'Accusa; cotesto vanto è insensato:
ma che importa ciò all'Accusa, che di ogni campo fa strada nella sua
persecuzione? Dunque, e in quel giorno e poi, la Guardia Civica doveva
astenersi dalla difesa dell'ordine pubblico e della privata sicurezza,
per sospetto di guerra civile? Il Colonnello Nespoli, che pure non mi
era amico, quando mi offerse scortarmi e tutelarmi con una compagnia
di Guardia Nazionale, commetteva atto di guerra civile? Per timore
che possa correre sangue, lascinsi esposti a morte certa rispettabili
cittadini..... alla belva plebea si dieno non contrastato pasto! — Ma
voi non avevate mestiero difesa, ammonisce l'Accusa, poichè ogni cosa
avvenne con modi soavi. — Eh! via, apprenda verecondia l'Accusa; queste
cose non possono dirsi, nè devono, da chi fa professione di verità.
Lascio di rammentare gli atroci avvenimenti del giorno innanzi; non
torno ad avvertire che in quel punto quale carattere potesse assumere
la sommossa ignorava, e dagli esordii io doveva presagirla nefandissima
ed empia. Si esamini pure il moto quando gli dettero forma e direzione;
coloro che se ne posero a capo giunsero forse a contenerlo sempre nei
confini desiderati? Non rimasero talora atterriti degli elementi che
si confusero con essi? I nuovi amici piacquero loro tutti? Le opere di
quei giorni approvarono tutte? Per me so, e ne depongono i testimoni,
che la plebe, dopo avere spiantato gli Alberi che aveva piantato, venne
per irrompere nell'Assemblea e manomettere i Deputati; per me so che
fece forza al Palazzo Vecchio, prima e dopo che vi avesse tolto stanza
la Commissione Governativa; io so, che da gente prava fu spinta, per
buona parte della notte, plebe avvinata ad aggirarsi intorno alla mia
dimora, come lupo nei giorni di neve, a urlare: _morte! morte!_ — io
so, che il giorno 13 aprile una torma di villani con falci, e vanghe,
e zappe, invasero i cortili del Palazzo Vecchio gridando la parte, a
modo di musicanti venuti a farti la serenata sotto ai balconi: _Morte
al Guerrazzi! Morte al ladro! Morte all'assassino!_ con altre più cose
che io non ho ritenuto a mente, come sembrava, pur troppo, che bene
avessero appreso a ritenere costoro. Queste dimostrazioni di esultanza
non furono già del tutto buccoliche, come va idilieggiando l'Accusa,
dacchè il Prefetto provvisorio Pezzella, nel Proclama del 14 aprile
1849, bandiva:
«Peggiore ed altrettanto deplorabile cosa ella è, se trasmodi fino
a recriminazioni di Partiti, violenze alle persone, e guasti alle
proprietà.
«Se infelicemente sia ciò in qualche parte accaduto, confido che non
sarà mai più.»
E noi sappiamo quanto nei Documenti officiali si limino e aggarbino
le espressioni, per modo che dicono mille volte meno di quello che
veramente sia; nè tardarono uno istante a mostrarsi gli avvoltoj:
«i quali, — come c'istruisce Ferdinando Zannetti, — mossi, più che
da leale affezione di Partito, da invidie ed animosità particolari,
immaginano secrete macchinazioni per dare a credere misteriose trame,
designando intanto le persone su le quali a sfogo di rancore vogliono
proclamati arresti, esilii ed altre coercizioni.»[708] La Reazione
comparve subito e sopraffece le buone intenzioni (perchè non dubito
punto che la Commissione e il Municipio si proponessero a scopo il
ristabilimento dello Statuto, e la preservazione della Patria dalle
armi straniere), se al grido della plebe di: _Viva la Monarchia_, fu
mestieri che la Guardia Nazionale aggiungesse: «_Costituzionale_;» e
all'altro: _Viva la Restaurazione: «con libere istituzioni_:»[709] e
più apertamente parlando il lealissimo uomo, nella lettera che scriveva
al buon Pietro Bigazzi: «Nei momenti attuali — tu non devi negare i
ripetuti gridi: _Morte ai liberali_ ec.»[710]
Dunque pel modo non furono esorbitanti i miei ordini, nè capaci a fare
nascere guerra civile, come opina Bernardo Basetti, il quale da un lato
s'ingegna onestare la disobbedienza, e lo abbandono; dall'altro, farsi
merito presso il nuovo Governo: senonchè la toppa appare più trista
dello sdrucio, e per cuoprire una cosa brutta ne dice quattro assurde;
e l'Accusa, poichè le giovano, piglia anche le assurde, e con obliquo
scopo palesate, e me lo appunta al petto come Lanzo alabarda.
E se non ponno biasimarsi gli ordini miei pel modo, molto meno si
vorranno riprendere pel fine, dacchè io non lo chiamavo alla difesa
di una forma determinata di Governo, bensì dell'Assemblea, la quale
doveva in breve pronunziare in modo civile, e con voto del pari che
con universale contentezza (e lo abbiamo veduto) la restaurazione del
Principato Costituzionale; — però l'Accusa pare che trovi eziandio
essere delitto difendere la Patria; e ritiene ogni atto mosso a questo
scopo santissimo, ostile alla Restaurazione: sul quale proposito io
devo avvertire, che se l'Accusa non sentì vergogna a incriminare,
io provo quanto farei ingiuria al pudore spendendo pure una parola
a difendermi in questa parte; e lo stesso dicasi della Libertà,
— e fermamente, credo che a non pochi Magistrati palpiteranno più
frequenti i polsi udendo come nei Tribunali Toscani la difesa della
Libertà suoni misfatto; e se Libertà sapessi in che e come differisca
dalla licenza, per qual modo si custodisca e con quali argomenti si
difenda, voi tutti conoscete a prova; — finalmente dopo avere pensato
alla Rappresentanza del Paese, alla Patria e alla Libertà, parmi possa
essere concesso di pensare un poco anche a sè. Comprendo benissimo come
l'Accusa aggravandosi sopra il mio capo mi ha tenuto in conto di un
_ghiabaldano_, di cui i nostri antichi per proverbio dicevano: _che ne
davano trentasei per un pelo di Asino_;[711] ed io quantunque presuma
di me poco, pure anche in questo non mi accordo con l'Accusa, essendo
la propria conservazione di Natura; e intorno a me educai creature,
che amo e che mi amano, che piangerebbero e soffrirebbero per la morte
mia.... Ami tu qualcheduno, Accusa? — Supposto che tu l'ami, troverai
doverti conservare meno per ragione del diritto, che per l'obbligo di
non partirti o lasciarti strappare dalla vita, finchè le tue creature
non sappiano aiutarsi da per sè stesse nel mondo. — Vero è però, —
e in questa parte sarei tentato di dare ragione all'Accusa, — vero è
però che, o lasciassi libero il freno alla plebe indracata, e avvinata
e pagata, o mi commettessi alla fede di gentiluomini cristiani, poco
divario è corso, perchè la prigionia assomiglia alla morte, in ispecie
per la educazione dei figli, o delle creature insomma che si amano...
ma allora io credevo, che differenza ci fosse!
Rimane a vedere se io potessi confidare in questa prova di amicizia
sviscerata per la parte di Bernardo Basetti, e parmi di sì;
imperciocchè non v'era mestieri che fosse sviscerata, anzi bastava
mediocre; e neppure, se ben si considera, amicizia bisognava,
ma sentimento di dovere e semplice gentilezza. Il signore Emilio
Nespoli, e l'ho detto, per bene _due_ volte, venne ad avvertirmi
di pormi in salvo, e offerse mandare verso il Prato una compagnia
di Guardia Nazionale a tutelarmi, comecchè non mi stringesse seco
vincolo di amicizia. Ora è da sapersi avere io conosciuto Bernardo
Basetti nel 1830 a Montepulciano, dove mi fu cortese di buoni ufficii
e di consolazioni, onde me gli attaccai con amore, parendomi forte
e generosa natura: provò fortune diverse, e le contrarie forse non
senza colpa sua; me ebbe in tutte uguale; esulò, tornò, e molto mi
affaticai presso i suoi creditori, affinchè quieto lo lasciassero stare
in Toscana, e l'ottenni; però non sembra che la vita volgesse troppo
gioconda per lui, dacchè mi scrisse lettere ortatorie, quando fui
assunto al Potere, di accomodarlo di qualche impiego, e segnatamente
nella Guardia Municipale che stava sul formarsi in Firenze, sentendosi,
sia per la perizia acquistata nell'Algeria nelle cose militari, sia per
la operosità naturale, sufficiente ad esercitarlo, onde io gli conferii
dignità e soldo di Capitano, e di grado in grado quello di Comandante
supremo; se non che, non gli parendo essere bastevole a tanto ufficio,
me lo confessò modesto, ed io onorevolmente, e secondo il suo genio,
lo collocai. Non basta: consentii che impiegasse nel Corpo medesimo un
giovane che ei teneva in parte di figlio. Aveva eziandio due fratelli
onestissimi, Agostino e Ferdinando; e raccomandatimi entrambi, il primo
conseguì impiego, all'altro pensava provvedere quando me ne capitasse
il destro. Io so che parlando del fratello Bernardo gli affliggo, e
Dio sa se anche me attristo; — scusimi appo loro non poterne fare
a meno, e il modo discreto col quale io ne parlo. — E non è tutto
ancora: nel 19 novembre 1848 lo mando Capitano provvisorio della
Municipale a Livorno;[712] non accettato costà, Pigli, compiacendo alle
intemperanze popolari, lo respinge a Firenze.[713] Per l'offesa dello
amico, turbato, senza porre tempo fra mezzo domando informazioni del
fatto.[714] Il Governatore Pigli risponde nel modo seguente:
«Al Ministro dello Interno.
«Fino da ieri sera si conosceva pubblicamente il desiderio di molti
di avere qui il Capitano Roberti. Nella dimostrazione fatta ieri a
favore dei Deputati, benchè poco numerosa, un cartello diceva: Viva
il Roberti, Capitano della Municipale di Livorno. E già si sapeva che
egli era partito per Firenze. Gli Ufficiali chiamati da me furono,
ieri sera, presentati a Basetti con gradimento reciproco. Fu fissato
che stamani all'appello del mezzogiorno si sarebbe presentato alla
Compagnia. Stamani i rapporti verbali dei tre Ufficiali, fatti a me,
assicurano che il Capitano Basetti presentandosi avrebbe avuto una
dimostrazione contraria; che la presenza del Governatore l'avrebbe
potuta mitigare forse, ma non impedire; che quanto allo scioglimento
era pericoloso, per essere quasi tutti concordi, in ispecie i graduati:
doversi riflettere che sono tutti armati e hanno molti aderenti a
favore di Roberti nel Popolo. In questo stato di cose ho creduto savio
consiglio, senza farne sentore alla Compagnia, far partire il Basetti,
che referisse a viva voce: il quale ha di buon grado aderito alla
proposta. Prego a riflettere come sia pericoloso l'impegnarsi a cosa
che non siamo certi di poter sostenere.
«PIGLI.»
Voi lo vedete: Basetti cede il campo; Pigli, con partiti che gli
sembravano cauti, ed erano vili, insinua a lasciarlo offeso. Geloso
dell'onore del Basetti più di quello ch'egli se ne mostrasse, odasi un
po' come lo sostenessi io:
«Al Governatore di Livorno.
«Guerrazzi e Montanelli mandano al Governatore che ordini la rivista
della Municipale, e dica in nostro nome che il Basetti ha da essere il
Capitano, perchè nostro amico e uomo di nostra fiducia. Che Roberti
deve stare qua, che noi non soffriamo soverchierie, e ci dimettiamo
piuttosto, lasciando alla Municipale l'odio della sua resistenza.
Che se credono di strascinarci per il collo, s'ingannano per Dio.
Il Governatore eseguisca gli ordini, e avverta che, così procedendo
le cose, ritenere il Governo è una vergogna, un insulto. Intanto se
la Municipale continua nel sistema di ribellione, si sciolga e si
sospendano le paghe. Così vogliamo; queste sono vergogne, e bisogna
che cessino. Gli Ufficiali e tutti quelli che si mantengono fedeli alla
libertà vengano a Firenze. La Caserma si chiuda. Risposta subito.
«GUERRAZZI.»
Mi sembra che da me non si potesse dare a Bernardo Basetti prova più
alta di amicizia oltre quella di mettere a repentaglio per lui perfino
la mia carica, e questo perchè lo stimo amico mio e persona di fiducia.
Quindici minuti dopo pongo da capo in moto il telegrafo, indicando la
via da seguirsi onde ottenere il fine desiderato:
«Al Governatore Pigli.
«Chiamate Fabbri, Lauri, Notari, Betti, e Frediani e altri, e dite loro
che il Ministero è disposto a sciogliere la Municipale, a dimettersi
anzichè lasciarsi imporre dalla Municipale stessa. Però usino tutti
la loro influenza a farla vergognare dell'enormezza commessa. Domani
vengo col Basetti. Arte, prontezza e vigore. I Livornesi si lasciano
guidare, ma da mani non deboli. La Cecilia torna contento. Sua Altezza
ha approvato. Risposta subito.
«GUERRAZZI.»
Pigli obbedisce, e annunzia:
«Al Ministro dello Interno.
«Sentite le persone indicate nel Dispaccio Ministeriale, ci siamo
presentati alla Guardia Municipale, riunita, e in considerevole
numero, Fabbri, la Cecilia, i Consiglieri, ed io. Ho incominciato
a parlare parole di fiducia per prendere ad annunziare alla nomina
del Capitano provvisorio Basetti, il quale domani prenderà il
Comando della Municipale. Le contestazioni e opposizioni, per quanto
presentate con rispetto, sono state molte. È stato detto che promosso
il Capitano Roberti, si deve procedere per la stessa via di ragioni,
e promuovere gli Ufficiali nella Compagnia. Ha detto alquante parole
il Gonfaloniere, molto più e più efficaci La Cecilia, spontaneamente
intervenuto. Io finalmente ho concluso che la nomina del Basetti non
distrugge i titoli ed i diritti di alcuno, e che il Governo nella sua
imparzialità e giustizia saprà tutti proteggere e rimunerare secondo il
merito. Siamo partiti in mezzo agli applausi. Basetti venga e sarà ben
ricevuto. Il resto al tempo e alla saggezza del Governo.
«PIGLI.»
Ed io prometto il giorno successivo recarmi in Livorno conducendo meco
Bernardo Basetti, fino alle lacrime commosso del come voglia e sappia
proteggerlo.
«Al Governatore di Livorno.
«Si lodi la Municipale. Quante volte si mostrerà obbediente alli ordini
del suo creatore avrà diritto alla sua particolare considerazione.
Roberti non è promosso. Basetti non è Capitano definitivo, ma
provvisorio. Tutta la Guardia dovrà essere definitivamente approvata
dal Consiglio. Ho passato una cattiva giornata. Domani sera io sarò in
Livorno con Basetti. A ore dieci passerò la rivista in Caserma della
Municipale. Viva la Municipale _fedele alla libertà, nemica della
licenza_.
«GUERRAZZI.»
Trionfante entrò Basetti nei Quartieri dond'ebbe poco anzi a partirsi
con fronte dimessa, e finchè stette a Livorno l'onorarono ed amarono;
ed anche si dica a lode di lui, seppe farsi rispettare ed amare.
Per le cose esposte io pensava trovarmi un cotal poco fondato ad
aspettarmi da Bernardo Basetti una prova di amicizia; se non voleva
ricordarsi a quell'ora essermi amico, io doveva credere ch'egli
avrebbe eseguito il mio ordine, se avesse potuto farsi umanamente ed
efficacemente; e se no, mi avrebbe ragguagliato con fedeltà come a
probo Ufficiale appartiene; se infine le parti di amico e di Ufficiale
volle dimenticare, non dovevo credere ch'egli avrebbe posto mai in
oblio quelle di uomo, che non consentono (nella folle speranza di
proprio comodo) pronunziare assurde opinioni; delle quali l'Accusa,
intenta solo a nuocere, si varrà per fabbricarvi sopra assurde e
futili incolpazioni, è vero, ma rincrescevoli sempre, non fosse altro
per avermi dato il fastidio di spendere tante parole a dimostrare la
stolidità e malizia loro.
Non mi comparendo davanti il Ministro dello Interno, nè il Prefetto,
ignaro dello stato delle cose m'incammino alla Sala delle Conferenze,
dove seppi adunata l'Assemblea. Ora sentiamo raccontare dal Professore
Taddei, Presidente, quello che, a mia insaputa, era successo nella
prima parte della mattinata. Il Municipio desidera unirsi all'Assemblea
per proclamare la Restaurazione, come senno e amore vero di Patria
persuadevano; però... ma parli il labbro del vecchio illustre: «Mi
rammento che il signor Giuseppe Martelli venne a cercarmi nella Camera
stessa, ed a pregarmi di volere secolui recarmi al Municipio: io aderii
immediatamente, e trovati poi in una carrozza i signori Ricasoli e
Cantagalli, vi montai; c'incamminammo uniti al Palazzo Riccardi per
condurre insieme con noi al Municipio il Professore Zannetti. Radunati
tutti al Municipio, e trovatici unanimi ad operare ognuno dal suo canto
per restaurare la Monarchia Costituzionale, non rimase altro da fare,
che mettere d'accordo l'Assemblea e il Municipio, nello stabilire il
modo col quale legalmente e _dignitosamente_ si potesse soddisfare
al desiderio di tutti. Due del Municipio, e _segnatamente_ i signori
Digny e Brocchi, si recarono nella Sala delle Conferenze, in qualità di
_Commissionati_ dello stesso Municipio _per comprovare quello che già
aveva io referito_, e devenimmo alla stesura di concisa Notificazione,
la quale _fu letta e ratificata dai Commissionati suddetti, ed
immediatamente spedita ai torchj_.»[715]
Il Proclama fu questo:
«Toscani! L'Assemblea Costituente Toscana si dichiara in permanenza.
Essa prenderà, d'accordo con la Guardia Civica e col Municipio, i
provvedimenti necessarii per salvare il Paese.
«Firenze, 12 aprile 1849.
«TADDEI Presidente.»
Mentre l'Assemblea da una parte adempiva la promessa, come tra
gente onesta si conviene, dall'altra prevalevano nel Municipio
consigli pessimi; e fatto nuovo partito, i suoi Membri statuiscono
mancare di parola all'Assemblea, e disprezzato il Collegio nella
sua rappresentanza, come nelle singole persone dei Deputati, senza
neppure avvisarlo di volere procedere soli, e, se bisognasse, avversi
nel disegno fermato, — quasi per ardere le carra, e non dare luogo
ad ammenda, stampano un Proclama, ed in fretta lo appiccano su pei
cantoni. In questa sentenza quel Proclama bandiva:
«Cittadini,
«Nella gravità della circostanza, il vostro Municipio sente tutta
la importanza della sua missione. Egli a nome del Principe assume la
direzione degli affari, e si ripromette di liberarvi dal dolore di una
invasione.
«Il Municipio in questo solenne momento si aggrega cinque cittadini che
godono la vostra fiducia, e sono:
«Gino Capponi,
«Bettino Ricasoli,
«Luigi Serristori,
«Carlo Torrigiani,
«Cesare Capoquadri.
«Dal Municipio di Firenze,
«Li 12 aprile 1849.
«Per il Gonfaloniere impedito
«ORAZIO CESARE RICASOLI Primo Priore.»
Di questo Proclama del Municipio, di cui taluno aveva portato
frettolosamente novella all'Assemblea, si facevano accesi ed amari
discorsi, quando i signori Digny, Brocchi e Martelli tornarono nella
Sala delle Conferenze. Questa è la scena che il Visconte D'Arlincourt,
togliendola di peso dal _Duca di Ossuna_ del nostro Federigi, ha
inserito nella sua _Italia Rossa_, nella quale il Conte Digny,
_nobile e fedele realista_, spalanca la porta ed intima la _sedicente_
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