Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 55
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chi si vanta tuo amico, a non fare clamore alcuno, dicendo loro, che
anzichè esserti di giovamento, potrebbero pregiudicarti; che questa
non sarebbe espressione di amicizia, ma desiderio di nuocerti; che i
tempi sono gravi, e l'unico e santo pensiero di tutti deve essere il
bene reale della patria; che queste divisioni d'individui non devono
convertirsi in divisioni generali; che vi sono leggi tutelanti ogni
cittadino; che non hai bisogno di soccorso per difendere il tuo onore;
— con tutto quel più che puoi e sai dire.
«Fallo, ed opererai sanamente, e ti sarà vantaggio. Sappi che corrono
da parte a parte lettere anonime di minaccie. Previeni qualunque
occasione a cui potresti servire di pretesto, e forse con tuo danno.
— Io non vedo altro mezzo: — se il tuo senno te ne suggerisce uno
migliore, adopralo pure, purchè produca lo stesso effetto.
«Armati di pazienza, e aspetta.
«HO SENTITO CON PIACERE CHE SEI DISPOSTO A FARE UN SACRIFIZIO ALLA
PATRIA PONENDO TUTTO IN OBLIO, PURCHÈ IL GOVERNO CONOSCA SOLTANTO DA
QUAL PARTE STAVA L'INGANNO. — Te ne ringrazio, perchè comprerei la pace
nostra a caro prezzo.
«Rispondimi.
«Il tuo amico ti augura bene, e ti abbraccia.
«Livorno, 29 febbraio 1848.
«GAETANO PAGANUCCI.
«Al sig. D. F. Domenico Guerrazzi.
«Nel Falcone. — Portoferraio.»
«Amico Carissimo.
«Livorno, 19 marzo 1848.
«Stamattina non abbiamo potuto concludere nulla, perchè essendovi stata
una dimostrazione per lo Statuto romano, non abbiamo potuto riunirci.
— Però alcuni fra noi sono di parere di aspettare la tua risposta;
altri di fare subito l'istanza, _perchè al Governo piacerebbe averla,
ed il Popolo sollecita da ogni parte_. — Credo che forse aspetteremo;
ma tu non tardare a scrivere. — Ti dico però francamente, e da vero
amico, che bisogna accettare. — Il modo sta in te, vale a dire, che
puoi scrivermi lettera, dicendo (in sostanza): «che i tuoi principii
furono sempre costituzionali; fede le opere tue; che l'istituzione
della Guardia ti è simpatica, come lo è a tutti.» — La forma ed
il resto, ognuno lo vede a modo suo. — _In quanto a consentire per
l'abolizione del processo politico, puoi dire, come è vero, che questo
è un sacrifizio che ti si chiede; che sei sicuro del trionfo; ma che
a sollecitazione non tanto degli amici, quanto di tutti, e in vista
di togliere ogni occasione di discordia alla patria, ti rassegni,
pronto sempre a fare in vantaggio di essa ec. ec. ec._ — Dì quello
che ti pare. — Se vuoi, farò stampare la tua risposta. — Peraltro ti
soggiungo, che non è momento da esitare. — La pace in città esiste;
ma può essere precaria; e Dio ci guardi. — Vedi: ha perdonato la
famiglia dell'ucciso. — I tuoi compagni di prigionia non dissentono.
Per la verità non posso dirti nulla di R***, perchè non gli parlo;
ma credo che seguirà il vostro esempio; — e poi, egli è forestiero.
— Ripeto, e ripeterò sempre, che bisogna sacrificarci, certi che il
premio di quest'opera verrà presto. — Se volessi o potessi dirti quanto
è accaduto e accade; quanti intoppi si incontrano; quanti disinganni
in ogni verso; quante cose non s'intendono, ec., empierei dei volumi.
— Conchiudiamo; rispondimi subito, se non l'hai fatto, e secondo
il desiderio di tanti amici che ti vogliono bene. _Il Governatore
aspettava oggi una risposta_; ma non siamo andati da lui, nè ci
andiamo, prima di avere tue lettere.
«Si avvicina la sera, e vado in Piazza a sorvegliare per la pace, cosa
che occupa i tanti buoni che sono fra noi.
«Addio. Ci rivedremo presto.
«Affezion.mo Amico PAGANUCCI.
«_Ti giuro sul mio onore_, e non lo giuro invano, che se consenti a
tornare a Livorno _subito_, e non vi è altro mezzo che quello che ti
suggerisco, la città avrà pace; diversamente, torniamo indietro una
settimana, cioè al tremendo dubbio di una guerra cittadina. — Vedi
quale responsabilità ti assumi! L'amicizia mi costringe a palesarti il
vero.
«Al signor F. Domenico Guerrazzi.
«Nel Falcone. — Portoferraio.»
E mentre gli si domandava oblio della offesa patita, ed ei lo dava,
l'Accusa per questi fatti ha coraggio di scrivere: «che il signor
Guerrazzi _ha interessato_ la grazia!....»
C
Ivi. — Pag. 76, in nota
«_Al Popolo, che ingannato era venuto ad arrestarmi, tali
apparecchiava parole, come resulta dallo Scritto inedito
pubblicato dall'Accusa_ (a pag. 60 del suo Volume di Documenti).»
Eccolo per intiero:
_Suadeo vos emere aliquantulum
charitatis et verecundiæ, et
animadvertetis vos esse cives ejusdem
miseræ civitatis._
FOSCOLO, _Hypercalypsis_.
Repugnavo a emettere qualunque dichiarazione intorno al mio stato,
perchè farlo dal carcere mi sembrava viltà. Adesso poi sollecitato
reiterate volte dai miei amici, e persuaso che le mie parole possano
tornare di qualche benefizio al Paese in cui nacqui, mi è forza rompere
il mio proponimento. Dirò parole sincere, e quali nè persecuzioni
immeritate, nè ardenti calunnie, potrebbero farmi dettare diverse.
Io venni strappato dal seno della mia famiglia con violenza e con
ingiustizia; poteva fuggire, e non volli: fuggono i colpevoli, e
nei passi paurosi della fuga cercano scampo: gl'innocenti hanno da
trovarlo nella giustificazione delle opere loro. Popolo sono, Popolo
nacqui, e quindi non abbisogno adularlo per ottenere il suo favore;
nè io posso odiare il Popolo, nè egli me: noi siamo stretti con
vincolo necessario! Però troppo spesso il Popolo lascia aggirarsi
dai falsi profeti, e troppo spesso lapida i veri, e poi al bisogno
si trova tradito miseramente, e il pianto non giova. Popolo mio, che
cosa ti feci? Mi dissero: Che _tu non contavi nulla_; mi proposero
di entrare nel novero degli sciagurati che ti s'imposero padroni
insolenti e ignoranti; _si vantarono possedere potenza_ di punirti:
finalmente (lo dico o lo faccio?) lo dirò, perchè la mia difesa è
sacra: _minacciarono strangolarmi, se io non avessi consentito a formar
parte di loro_. Immani cose e spregevoli! Forse il mio sangue potrebbe
animare un secondo Trasibulo, non certo uno dei trenta Tiranni. La
prima colpa, e il mal seme delle calunniose persecuzioni fu questo, —
il mio aborrimento a entrare nel novero di cotesti Tiranni da dodici
al quattrino. Io mi posi in disparte, e non valse: costoro non pure in
Livorno, ma in Toscana, ma in Italia, me predicarono furibondo Gracco,
me invaso di itterizia di sangue, me erede delle furie di Marat; ed
in aggiunta agente dei Gesuiti, e compro dall'Austria, e simili altre
calunnie, che mi farebbero tremare la mano se non mi muovessero a
riso la bocca. Lasciamo di loro; io scuoto dal mio pensiero la loro
memoria, come gli Israeliti scuotevano dai loro calzari la polvere
uscendo fuori di casa abominata, — conciossiachè non sieno degni
neppure di disprezzo. Ma tu, o Popolo, soffristi che io fossi tratto
a vituperio in carcere, e non solo lo soffristi, ma venisti a gravare
le mani, a me infermo, di obbrobriose catene! Tutto questo, perchè?
Mi accusano di sette, di congreghe, conventicole insomma, dirette a
sovvertire il Governo? È calunnia: io sfido chiunque ad articolare un
fatto solo che induca a sospettarlo, e giuro sopra l'anima del padre
mio, ch'è cosa falsa: nessuno del mio paese ardirebbe dirlo. Lo scrisse
il Giornale _La Italia_: tale sia di lei. Parlo dei fatti del 6. Io
giaceva steso sul letto infermo quando venisti in casa, o Popolo,
perchè io ti servissi; cercai sottrarmi, perchè male disposto della
persona e studioso di quiete; ma riuscì impossibile lo allontanamento
per essere ingombro il cortile del palazzo; tornai in casa e favellai
di forza: — mi lasciassero; disapprovare ogni idea di tumulto, non
sentirmi capacità nè salute di avventurarmi fra coteste procelle. — Uno
del Popolo mi rispose: — Ora, come? Voi avete detto che dei carichi
pubblici avreste assunto quelli che il Popolo vi avrebbe commesso, e
adesso vi ricusate? — Non mi ricuso; ma voi siete tutto il Popolo? Io
qui non vedo alcuno che rappresenti il Governo, e il Governo nel mio
concetto forma parte principalissima del Popolo, composto di tutte le
classi della città. — Voi volete lo invito del Governo? — lo avrete.
— Alcuni partirono, molti rimasero, _tenendomi quasi in ostaggio_;
tornarono, e con essi lo Aiutante di Piazza Baldanzi, con istanza
del signor Governatore a recarmi al Palazzo per acquietare il Popolo.
Andai: — il Popolo chiedeva armi, e non altro. Seppi, che l'Avvocato
Marzucchi ne aveva fatta promessa, ma non aveva potuto mantenerla;
seppi inoltre avere il Popolo nominata una Deputazione per esporre
i suoi voti al Governo, e cessare le dimostrazioni tumultuarie; _e
mi disse il Marzucchi averla proposta al Popolo egli medesimo; —
proposizione che egli rinnovò il giorno nove nella Caserma della
Guardia Civica, alla presenza di mille e più persone_.
Parlai al Popolo poche parole, e si disperse: mentre mi tratteneva in
Palazzo favellando con l'Avvocato Marzucchi e il Conte De Larderel,
entrarono alcuni individui concitati nello sguardo che chiamarono in
altra stanza il Marzocchi, e quindi a breve vidi uscire alcuni del
Popolo, e udii che dicevano, non senza improperii: — sono venuti a
proporre l'arresto di una cinquantina di popolani, _la pagheranno: il
pezzo più grosso ha da essere un orecchio_! Abbandonai precipitoso
il Palazzo, mandai subito a chiamare persona congiunta per sangue
col più minacciato di coloro, e lo avvertii del pericolo. Feci il
mio dovere, e non meritava veruna riconoscenza; e se non l'ho avuta,
non me ne dolgo. Il giorno 7 per tempo mi condussi al Palazzo del
Governatore; eranvi gli Assessori Marzucchi e Venturi e il Conte De
Larderel: favellai, io credo, nè insensate nè triste parole; esposi i
mali della città, proposi i mezzi di rimediarvi; di più domandai loro
quello che per me dovesse farsi. Mi _pregarono tutti_ a rimanere nella
Deputazione, e adoperare ogni mio sforzo pel bene del paese. Promisi
farlo, purchè essi pure cooperassero, e come provvedimento per tôrre
via ogni pretesto di lite li persuasi a interporsi presso Gianpaolo
Bartolommei, col quale da qualche tempo io viveva con freddezza,
ond'egli consentisse formare parte della Deputazione. Recatomi col
Conte De Larderel alla Comune, conferivamo su quanto era da farsi,
quando sopraggiunsero gli Assessori Marzucchi e Venturi, e referirono
le loro premure presso il signore Bartolommei riuscite indarno.
Presenti gli Assessori distendemmo la prima Notificazione; dettò
il Venturi il paragrafo relativo all'approvazione, su tutto quello
avevamo fatto e facevamo, e fu egli che persuase inserire la frase che
avremmo ragguagliato il Popolo del nostro operato _volta per volta_,
sostituita alla espressione di _ora in ora_, avvertendo come la prima
denotasse maggiore spessezza della seconda. In questa sopraggiunse un
giovane colla notizia che il signore Bartolommei erasi determinato a
formare parte della Deputazione, ma che prima voleva vedermi. Andai:
sopita ogni grossezza, venne alla Comune. Il Popolo applause; quinci
passammo alla Caserma della Guardia Civica. Tutti mi porsero amica la
destra; la strinsi a tutti: il Mayer per la _seconda volta_ domandò
oblio di una ingiuria fattami; lo concessi: il Ricci pareva restio;
più tardi venne a casa in compagnia dei Capitani Orsini e Conti: disse
essere stato ingannato, e che chiarito dello errore veniva adesso
a scusarsi; e fu accolto amorevolmente. Ogni cosa pareva disposta
alla concordia, e cotesto giorno ebbe la sembianza di felicissimo.
Il giorno otto per tempo mi mandava a chiamare il Governatore; eravi
seco l'Avvocato Venturi; poco dopo sopraggiunse il Conte De Larderel:
mostraronmi la Notificazione del Marchese Ridolfi; considerata
attentamente rispondemmo: il Governo ha male appresa la Deputazione;
ebbene, ognuno ritornerà alle proprie case: noi non desideriamo meglio.
— No ci venne detto, voi non partirete; noi _non vogliamo pubblicare
cotesta Notificazione_, che manderebbe a soqquadro ogni cosa. Marzocchi
è partito per Pisa, e già ci ha ragguagliato. Vedete la lettera;
_tanta è la lealtà nostra, che noi non dobbiamo celarvi nulla_. La
lettera parlava di spiegazioni date al Ministro, e della favorevole
accoglienza delle medesime; avere proseguito, egli Marzucchi, per
Firenze, per dare ad altri coteste spiegazioni; augurarne bene; —
badassero a tenere tranquilla la città; — dissuadessero la Deputazione
recarsi dal Ministro, perchè forse non sarebbe stata bene accolta.
Conchiusero finalmente col pregarci a rimanere nella Deputazione
fino a nuove istruzioni. Osservai, badassero bene che noi intendevamo
rimanere perchè pregati, e non volevamo poi essere ripresi di nulla.
Il Venturi mi stese la mano dicendo: _Francesco, noi ci conosciamo
da molti anni: sono un galantuomo: tutto quello che avete fatto e
farete fu con piena approvazione del Governo: e se mai trovassero
a ridire sul vostro operato, io vi prometto che darò subito la mia
dimissione_. Venturi non ismentirà le parole, e il Conte De Larderel
ne può fare buona testimonianza; ma non abbisognerà certamente.
Dopo ci mostrarono varie dimissioni dai gradi della Civica, che a
loro e a noi parvero inesplicabili; erano di Gianpaolo e di Luciano
Bartolommei, di Federigi e di Fiorini. Il Gonfaloniere ed io andammo
alla Comune: qui trovammo lettera di L. Giera dimissionario dal posto
della Deputazione. Il signor Gianpaolo Bartolommei non credè civile
neppure scrivere alla Deputazione; mandò un articolo al _Corriere
Livornese_, in cui, discorrendo di non so quali rimorsi, diceva deporsi
dall'assunto incarico. Rispondemmo ad ambedue manifestando loro lo
invito dell'Autorità locale, e pregandoli a sospendere le dimissioni
fino a nuovi ordini del Governo. Tutto ciò ci fece nascere sospetto,
che qualche segreto agitatore si compiacesse seminare lo spavento e
scompigliare la concordia; sospetto reso tanto più grave da un Ordine
del Giorno del Colonnello della Guardia, del giorno avanti, che
invitava tutti i Civici a radunarsi per difendere (niente meno) _la
vita e le sostanze dei cittadini_, — e da certe espressioni sfuggite
al Ricci nella Caserma, nel giorno stesso quando mi era condotto
davanti: _come! mi avevate detto che dovevamo fare sparger sangue; ed
ora non è più vero_? — Adesso alcuni ufficiali della Civica prorompono
nella stanza, e passionatamente domandano, che cosa intendessimo fare,
se scioglierci o rimanere. Manifestammo loro le istanze del Governo
locale. Invitati ad andare in Caserma a ripetere coteste spiegazioni,
andammo e le ripetemmo. L. Giera, sopraggiunto, disse che nel suo
particolare aveva ricevuto uguale preghiera dal Governo. Invitati a
pubblicare cotesto fatto li compiacemmo con la seconda Notificazione.
Di poi ognuno si ritirò, aspettando le ulteriori disposizioni del
Governo. Il giorno 9 il Governo non cerca più di me, ma invita gli
ufficiali della Civica, e partecipa loro altra Notificazione del
Marchese Ridolfi. I fratelli Bartolommei vennero a comunicarmela,
domandandomi che intendessi fare. Risposi sorridendo: «starmene in
casa a badare ai miei negozii.» Più tardi si fecero a trovarmi molti
individui, avvertendomi essere necessario che io manifestassi il
mio concetto (che la soppressione della Deputazione non era cosa che
meritasse sdegno), e inculcassi la necessità della concordia. — Ben
volentieri mi recai alla Caserma a prestare quest'ufficio. Nella stanza
degli ordini avvennero diverse arringhe più o meno concludenti, ma
cospiranti tutte alla pace, alla tranquillità e alla concordia. — Nello
uscire dalla stanza una voce sinistra mi percosse: — «Bisognerebbe
ammazzarli tutti!» — Mi sentii ribollire il sangue, ed esclamai: —
la quiete è stabilita, nessuno ardirà turbarla; ma se mai per somma
e non preveduta sventura qualche tumulto avvenisse, guardi la Civica
a non far uso delle armi: pensi che potrebbe rimanere ucciso un padre
o un fratello. — Giunsi alle scale; la calca era folta; non si poteva
avanzare nè retrocedere; intanto vedo apparirmi incontro l'Avvocato
Marzucchi. Respinti in mezzo alla Caserma, io domandai al Marzucchi
spiegazione di certe parole lette nella Notificazione, che mi parvero
lesive così alla verità come all'onore; le parole suonavano: _coloro
che si dissero vostra Deputazione_ ec. — Come hai consentito, lo
interrogava io, che queste parole si stampassero, quando noi fummo
da te pregati a formarne parte? quando quello che facemmo fu da te
approvato? — Il Marzucchi, presenti mille persone, rispose: — Finchè io
mi rimanga rappresentante del Governo, mi sia permesso non manifestare
la mia opinione sopra gli atti del medesimo; in quanto a quello che
avverte il Guerrazzi, è vero; il Governo locale approvò quanto dalla
Deputazione venne operato, e la Deputazione fu proposta e consigliata
da me. — Io mi dichiarai soddisfatto, e aggiunsi che mi ritiravo nelle
mie case. Marzucchi allora, ammonendomi gravemente, mi disse: — No,
non devi ritirarti, ma affaticarti pel bene del tuo paese; — con certe
parole dolci di lode, scontate con largo sorso di amaro. Allora di
nuovo parlai, parlò lo stesso Marzucchi e Bartolommei, credo Bernardi
e Ricci. Mentre così ci travagliavamo, una vocina stridula si fece
sentire: «la Deputazione è figlia della minorità!» — Queste parole
irritanti m'increbbero: mi volsi a vedere chi le avesse proferite:
era un tal Viviani; allora esclamai: — Oh! l'ho notato, è il Viviani,
non ci occupiamo di lui.-E la gente d'intorno impose silenzio allo
importuno. Il Viviani pretende che io immaginassi una proscrizione;
ch'egli fosse posto nelle note; egli mi finse Silla, sè proscritto. Il
Viviani ha fatto me e sè troppo grandi. Veramente non ho la pazienza
dello zio Tobia, che vessato dalla mosca la prese, aperse la finestra,
e dicendole: creatura di Dio il mondo è largo abbastanza perchè noi
non ci diamo noia! la pose in libertà; — ma mi protesto, che non ho mai
imitato Domiziano: però viva, sieno quieti i suoi sonni: se deve morire
per le mie persecuzioni, può contare sopra 100 anni di vita. — Il
Popolo adunato, scosso da tante esortazioni, giurò sopra il suo onore
da ora in avanti rimanersi tranquillo; la Guardia promise vigilare
alla quiete della città. Allora proposi a Marzucchi: poichè ogni motivo
di provvedimenti straordinarii cessa, prega il Ministro a ritirare le
milizie, e concedere che il Municipio si aggiunga varii individui, i
quali, prevenendo ogni dimostrazione tumultuaria, si facciano organo
presso di lui dei voti del Popolo. Promise farlo, e credo ancora
promettesse darmi risposta in giornata. Tornai a casa. Alle 2 p. m.
il Conte De Larderel venne a trovarmi; mi disse essere stato accolto
freddamente dal Ministro Ridolfi; aggiunse sentirsi male disposto,
_andassi a trovarlo nella sera_. Più tardi ricevo avviso essere stato
risoluto il mio arresto; mi posi a ridere; a buio si rinnovarono gli
avvisi. Mi misi a scrivere un articolo di Giornale. Alle 8 circa,
vennero Giannini e Meucci per parlare del Giornale, e rinnovarono lo
avviso; _intanto sopraggiunge Dario Bastianelli ad avvertirmi per parte
del Conte De Larderel, non istessi ad andare da lui perchè gli era
entrata la febbre_. Dopo questi venne il signor Mastacchi, giovane al
quale in tempo di mia vita avevo allora forse favellato tre volte, e
mai di politica; e notiziandomi sicuro il mio arresto, mi scongiurava
a non soffrire questo insulto tanto fatale alla mia mal ferma salute;
mi scansassi, in qualche luogo riparassi fino a ragione conosciuta.
Ringraziai cordialmente per tanta bontà l'onesto giovane, e gli altri
venuti con lui a me ignoti perfino di vista, ma nel tempo stesso
scriveva un biglietto a Gianpaolo Bartolommei: avere da più parti
saputo che il Governo disegnava arrestarmi, ordinasse tenere aperto il
portone, perchè non desideravo trovassero i Carabinieri impedimento. —
Ahi io credeva che soli i Carabinieri sarebbero venuti ad arrestarmi!
Questa è la verità, e null'altro che la verità. Ora mi volgo ai miei
Nemici, ai Giornalisti, ai Municipii, al Governo, e al Popolo, e dico:
Ai Nemici: — Voi mi avete atrocemente perseguitato; calunniato senza
coscienza e senza verità: voi mentre ero in carcere avete versato a
piene mani sopra di me la ferocia e la menzogna[754], rinnovando le
immanità dei Veneziani che conducevano la loro vittima al supplizio
tra le colonne di Piazzetta San Marco con la spranga alla bocca, o
la gittavano cucita dentro un sacco nel Canale Orfano. Voi mi avete
baciato e tradito come Giuda[755]. Tal sia di voi. Voi temete che io
mi vendichi di voi? Il giudizio del pubblico e i rimorsi della vostra
coscienza bastano soli alla mia vendetta.
Ai Giornalisti: — Alcuni senza conoscermi mi hanno difeso; che posso
dir loro? Io gli ringrazio meno della difesa, che per avermi mantenuta
la fede negli uomini: altri, conoscendomi, tacquero; pieni di tanto
sdegno per le ingiustizie che si commettono mille miglia lontano,
per le domestiche non hanno ire. Il cuore loro è fatto ad uso di
fantasmagoria. Che giovano le parole? Esse sono frasche. Ognuno verrà
giudicato a misura delle opere, e un giorno il vostro peso sarà trovato
leggiero sulla bilancia.
Ai Municipii Toscani: — Perchè veniste volta a volta a lanciare le
vostre imprecazioni sopra Livorno vostro fratello, come sopra una
vittima espiatoria? Certo vi scusa lo essere stati indotti in errore
da taluni de' miei concittadini, che per sostenere le loro calunnie non
aborrirono infamare il proprio paese, e renderlo esecrabile alla faccia
della Italia: ma senno e carità volevano che voi v'informaste bene dei
fatti, prima di cuoprire d'obbrobrio una città innocentissima. Adesso
sarebbe giustizia emendare i vostri Indirizzi, NON GIÀ NELLA PARTE IN
CUI DIMOSTRASTE LA VOSTRA BENEVOLENZA AL PRINCIPE COSTITUZIONALE, CHE
NON CONTIENE IN SÈ NULLA CHE NON SIA COMMENDEVOLE, MA NELL'ALTRA CHE
ESPRIME GL'IMMERITATI IMPROPERII.
Al Governo: — Io non voglio con inopportune querele creare imbarazzi e
promuovere scandali; ma si persuada che nè Catilina vissero in Livorno,
nè vi fu mestieri salvare la patria. Il Governo porse troppo facili
le orecchie, e trasmodò in atti violenti ed ingiusti. Quando i Popoli
si commuovono, è difficile che non nascano Partiti; più difficile
che i cittadini all'uno o all'altro non si appiglino. Solone, che
pure fu salutato uno dei sette Sapienti della Grecia, ordinò, nelle
leggi che dava ad Atene civilissima, il bando a chiunque non avesse
Partito; piacendogli piuttosto il cittadino appassionato, comecchè poco
direttamente al bene pubblico, che lo ignavo e lo inerte. I Partiti
voglionsi dominare e dirigere, e non farsi schiavo di nessuno. Il
Governo rinnuovò lo errore di Enrico III, il quale si dette in balía
della Santa Lega, e cessando essere re di Francia diventò servo dei
Guisa e capo di fazione. I tumulti a Roma, nota Machiavelli, giovarono
alla Repubblica, perchè terminarono sempre in buone leggi: nelle
condizioni presenti dei Popoli, io per me non approvo i tumulti, ma,
come Machiavelli nelle _Storie_ m'insegna, noi non potremo deplorarli
abbastanza, quando terminano con le prigioni e lo esilio dei cittadini.
Questa sventura condusse a precipizio la Repubblica Fiorentina. E se
siffatti mali nascono da provvedimenti violenti, quanti non ne dobbiamo
temere maggiori quando le violenze percuotono cittadini incolpevoli,
che invece di provocare tumulti si affaticano, richiesti, con ogni
forza loro a comporli? Ma se umana cosa è lo errare, bestiale è poi
ostinarci nello errore. Io non muovo querele, nè do consigli; e non
ostante, meno per me che per la causa della giustizia e della verità,
pei luttuosi fatti della notte del 9 gennaio, io lo conforto a riparare
l'onore offeso di persone che non demeritarono la benevolenza della
patria e la stima dei generosi.
Al Popolo poi convienmi fare più lunghe parole. — Tu, o Popolo, sei
venuto a incatenare me, colpevole soltanto di averti obbedito in cosa
innocente, a te consigliata, e ad ogni modo a me estranea affatto. Tu
hai incatenato queste mani che non vergarono scritto che non tornasse
in onore della patria italiana. Gli stranieri una volta, sbarcando
in Livorno, davano di occhio ai Mori della Marina, e andavano via
sprezzando questa nostra città, come una _osteria posta sopra la strada
maestra_[756]. Se oggi si trattengono un'ora, lo fanno per istringermi
la mano, e l'onore del figlio del Popolo refluisce sul Popolo, perchè
la mia fama è tua fama..... Se ho trascorso..... perdona questa vampa
di orgoglio a colui che fu sempre saturato di calunnia e di vituperio!
Un Carabiniere, nonostante il timore della punizione, mi tolse le
catene che tu mi desti, e agitato dalla paura di avermi offeso ne ha
perduta la ragione. Una persona costituita in dignità squassò sdegnosa
le catene, gridando più volte, e non senza pianto: _questa è una
indegnità_! — E così un Carabiniere ed uno Impiegato ebbero per me la
pietà che mancò a te, — a te, mio Popolo, pel tuo figlio che t'ama.
Ma tu, o Popolo, rigetti la colpa sopra la Guardia Civica, ed essa,
chiamandosi ingannata, la rigetta sopra alcuni ribaldi. E SIA COSÌ, E
COSÌ MI PIACE, E GIOVA CREDERE. Ma dimmi: i lupi cessarono di starsi
in custodia del gregge? Il grano fu separato dal loglio? Dura tuttora,
o cessò il regno di Giuda? Cotesti servi di tutti i poteri, traditori
di tutti gli amici, adulatori di chi sorge, calunniatori di chi cade,
coteste vespe importune e venefiche ti sussurrano sempre dintorno?
Ma se tu pensassi, o Popolo, che io volessi concitare il tuo sdegno
contro costoro, t'inganneresti. Oh! vivano nella loro viltà come sopra
un letto di riposo. La stirpe dei codardi per sommo di Dio benefizio
è scarsa tra noi; conserviamoli gelosamente come mostri: noi gli
additeremo ai nostri figliuoli, nella stessa guisa che accennavano al
fanciullo Spartano lo Iloto ubbriaco.
Io l'ho detto: tra me e te, Popolo, noi non dobbiamo odiarci, nè lo
possiamo. Forse Aristide odiò la patria perchè bandito ingiustamente?
In certa notte con pericolo di vita ruppe il bando, e fu la precedente
alla battaglia di Salamina, per avvisare Temistocle intorno alla
ragione dei venti, e all'ordine della flotta persiana. Gli antichi
esempii non saranno stati letti invano. I Veneziani supplicarono Carlo
Zeno imprigionato iniquamente, onde salvasse la patria dal pericolo
supremo da cui era minacciata: usciva, pugnava, vinceva, e poi altero
e costante tornava al carcere[757].
Tra me e te ogni trista memoria è obliata, o Popolo, e _con tutti
fra te_. Vi lasciai non liberi: uscendo adesso vi trovo facoltati a
farvi liberi se volete. A patto tale, chi non vorrebbe avere sofferta
la prigionia? Baciamoci dunque, e stringiamo ora che ne fa mestieri
più che mai i vincoli di famiglia. Giù rancori, giù discordie, se
volete essere forti contro il nemico comune: io non so davvero come
potrete riuscirvi, con matte fazioni tra voi. E soprattutto nè _viva_
a tale, nè _morte_ a tale altro: il secondo grido è crudele, o la
nostra religione lo aborre; il primo è segno di servitù. Oggimai
non hanno a contare gl'individui, ma i principii. Mi confortarono, o
Popolo, ad abbandonarti, e porre la mia stanza in altro paese. Non
posso farlo: le cose si amano pei sagrificii che costano, e il mio
paese mi costa assai. Io qui ebbi nascimento, e qui desidero sepoltura
accanto alle ossa del padre mio e dei miei amici, che più felici di
me mi precederono nella morte: io continuerò, secondo che è dato al
mio povero ingegno, a onorarli come posso e devo; ma tu, o Popolo,
ricompensami con lo starti unito, col non fare il mio nome bandiera di
fazioni e di tumulti: io te ne scongiuro per la mia fama, e più per la
tua: anche tu fosti accusato, e devi mostrare che lo fosti a torto,
a nessuno secondo tra i Popoli italiani, e a qualcheduno primo. Le
petizioni offrono mezzi legali per manifestare i tuoi voti: e per tôrre
d'inganno il Governo attienti a queste.
Terminerò col darti uno avvertimento non inopportuno ai tempi che
anzichè esserti di giovamento, potrebbero pregiudicarti; che questa
non sarebbe espressione di amicizia, ma desiderio di nuocerti; che i
tempi sono gravi, e l'unico e santo pensiero di tutti deve essere il
bene reale della patria; che queste divisioni d'individui non devono
convertirsi in divisioni generali; che vi sono leggi tutelanti ogni
cittadino; che non hai bisogno di soccorso per difendere il tuo onore;
— con tutto quel più che puoi e sai dire.
«Fallo, ed opererai sanamente, e ti sarà vantaggio. Sappi che corrono
da parte a parte lettere anonime di minaccie. Previeni qualunque
occasione a cui potresti servire di pretesto, e forse con tuo danno.
— Io non vedo altro mezzo: — se il tuo senno te ne suggerisce uno
migliore, adopralo pure, purchè produca lo stesso effetto.
«Armati di pazienza, e aspetta.
«HO SENTITO CON PIACERE CHE SEI DISPOSTO A FARE UN SACRIFIZIO ALLA
PATRIA PONENDO TUTTO IN OBLIO, PURCHÈ IL GOVERNO CONOSCA SOLTANTO DA
QUAL PARTE STAVA L'INGANNO. — Te ne ringrazio, perchè comprerei la pace
nostra a caro prezzo.
«Rispondimi.
«Il tuo amico ti augura bene, e ti abbraccia.
«Livorno, 29 febbraio 1848.
«GAETANO PAGANUCCI.
«Al sig. D. F. Domenico Guerrazzi.
«Nel Falcone. — Portoferraio.»
«Amico Carissimo.
«Livorno, 19 marzo 1848.
«Stamattina non abbiamo potuto concludere nulla, perchè essendovi stata
una dimostrazione per lo Statuto romano, non abbiamo potuto riunirci.
— Però alcuni fra noi sono di parere di aspettare la tua risposta;
altri di fare subito l'istanza, _perchè al Governo piacerebbe averla,
ed il Popolo sollecita da ogni parte_. — Credo che forse aspetteremo;
ma tu non tardare a scrivere. — Ti dico però francamente, e da vero
amico, che bisogna accettare. — Il modo sta in te, vale a dire, che
puoi scrivermi lettera, dicendo (in sostanza): «che i tuoi principii
furono sempre costituzionali; fede le opere tue; che l'istituzione
della Guardia ti è simpatica, come lo è a tutti.» — La forma ed
il resto, ognuno lo vede a modo suo. — _In quanto a consentire per
l'abolizione del processo politico, puoi dire, come è vero, che questo
è un sacrifizio che ti si chiede; che sei sicuro del trionfo; ma che
a sollecitazione non tanto degli amici, quanto di tutti, e in vista
di togliere ogni occasione di discordia alla patria, ti rassegni,
pronto sempre a fare in vantaggio di essa ec. ec. ec._ — Dì quello
che ti pare. — Se vuoi, farò stampare la tua risposta. — Peraltro ti
soggiungo, che non è momento da esitare. — La pace in città esiste;
ma può essere precaria; e Dio ci guardi. — Vedi: ha perdonato la
famiglia dell'ucciso. — I tuoi compagni di prigionia non dissentono.
Per la verità non posso dirti nulla di R***, perchè non gli parlo;
ma credo che seguirà il vostro esempio; — e poi, egli è forestiero.
— Ripeto, e ripeterò sempre, che bisogna sacrificarci, certi che il
premio di quest'opera verrà presto. — Se volessi o potessi dirti quanto
è accaduto e accade; quanti intoppi si incontrano; quanti disinganni
in ogni verso; quante cose non s'intendono, ec., empierei dei volumi.
— Conchiudiamo; rispondimi subito, se non l'hai fatto, e secondo
il desiderio di tanti amici che ti vogliono bene. _Il Governatore
aspettava oggi una risposta_; ma non siamo andati da lui, nè ci
andiamo, prima di avere tue lettere.
«Si avvicina la sera, e vado in Piazza a sorvegliare per la pace, cosa
che occupa i tanti buoni che sono fra noi.
«Addio. Ci rivedremo presto.
«Affezion.mo Amico PAGANUCCI.
«_Ti giuro sul mio onore_, e non lo giuro invano, che se consenti a
tornare a Livorno _subito_, e non vi è altro mezzo che quello che ti
suggerisco, la città avrà pace; diversamente, torniamo indietro una
settimana, cioè al tremendo dubbio di una guerra cittadina. — Vedi
quale responsabilità ti assumi! L'amicizia mi costringe a palesarti il
vero.
«Al signor F. Domenico Guerrazzi.
«Nel Falcone. — Portoferraio.»
E mentre gli si domandava oblio della offesa patita, ed ei lo dava,
l'Accusa per questi fatti ha coraggio di scrivere: «che il signor
Guerrazzi _ha interessato_ la grazia!....»
C
Ivi. — Pag. 76, in nota
«_Al Popolo, che ingannato era venuto ad arrestarmi, tali
apparecchiava parole, come resulta dallo Scritto inedito
pubblicato dall'Accusa_ (a pag. 60 del suo Volume di Documenti).»
Eccolo per intiero:
_Suadeo vos emere aliquantulum
charitatis et verecundiæ, et
animadvertetis vos esse cives ejusdem
miseræ civitatis._
FOSCOLO, _Hypercalypsis_.
Repugnavo a emettere qualunque dichiarazione intorno al mio stato,
perchè farlo dal carcere mi sembrava viltà. Adesso poi sollecitato
reiterate volte dai miei amici, e persuaso che le mie parole possano
tornare di qualche benefizio al Paese in cui nacqui, mi è forza rompere
il mio proponimento. Dirò parole sincere, e quali nè persecuzioni
immeritate, nè ardenti calunnie, potrebbero farmi dettare diverse.
Io venni strappato dal seno della mia famiglia con violenza e con
ingiustizia; poteva fuggire, e non volli: fuggono i colpevoli, e
nei passi paurosi della fuga cercano scampo: gl'innocenti hanno da
trovarlo nella giustificazione delle opere loro. Popolo sono, Popolo
nacqui, e quindi non abbisogno adularlo per ottenere il suo favore;
nè io posso odiare il Popolo, nè egli me: noi siamo stretti con
vincolo necessario! Però troppo spesso il Popolo lascia aggirarsi
dai falsi profeti, e troppo spesso lapida i veri, e poi al bisogno
si trova tradito miseramente, e il pianto non giova. Popolo mio, che
cosa ti feci? Mi dissero: Che _tu non contavi nulla_; mi proposero
di entrare nel novero degli sciagurati che ti s'imposero padroni
insolenti e ignoranti; _si vantarono possedere potenza_ di punirti:
finalmente (lo dico o lo faccio?) lo dirò, perchè la mia difesa è
sacra: _minacciarono strangolarmi, se io non avessi consentito a formar
parte di loro_. Immani cose e spregevoli! Forse il mio sangue potrebbe
animare un secondo Trasibulo, non certo uno dei trenta Tiranni. La
prima colpa, e il mal seme delle calunniose persecuzioni fu questo, —
il mio aborrimento a entrare nel novero di cotesti Tiranni da dodici
al quattrino. Io mi posi in disparte, e non valse: costoro non pure in
Livorno, ma in Toscana, ma in Italia, me predicarono furibondo Gracco,
me invaso di itterizia di sangue, me erede delle furie di Marat; ed
in aggiunta agente dei Gesuiti, e compro dall'Austria, e simili altre
calunnie, che mi farebbero tremare la mano se non mi muovessero a
riso la bocca. Lasciamo di loro; io scuoto dal mio pensiero la loro
memoria, come gli Israeliti scuotevano dai loro calzari la polvere
uscendo fuori di casa abominata, — conciossiachè non sieno degni
neppure di disprezzo. Ma tu, o Popolo, soffristi che io fossi tratto
a vituperio in carcere, e non solo lo soffristi, ma venisti a gravare
le mani, a me infermo, di obbrobriose catene! Tutto questo, perchè?
Mi accusano di sette, di congreghe, conventicole insomma, dirette a
sovvertire il Governo? È calunnia: io sfido chiunque ad articolare un
fatto solo che induca a sospettarlo, e giuro sopra l'anima del padre
mio, ch'è cosa falsa: nessuno del mio paese ardirebbe dirlo. Lo scrisse
il Giornale _La Italia_: tale sia di lei. Parlo dei fatti del 6. Io
giaceva steso sul letto infermo quando venisti in casa, o Popolo,
perchè io ti servissi; cercai sottrarmi, perchè male disposto della
persona e studioso di quiete; ma riuscì impossibile lo allontanamento
per essere ingombro il cortile del palazzo; tornai in casa e favellai
di forza: — mi lasciassero; disapprovare ogni idea di tumulto, non
sentirmi capacità nè salute di avventurarmi fra coteste procelle. — Uno
del Popolo mi rispose: — Ora, come? Voi avete detto che dei carichi
pubblici avreste assunto quelli che il Popolo vi avrebbe commesso, e
adesso vi ricusate? — Non mi ricuso; ma voi siete tutto il Popolo? Io
qui non vedo alcuno che rappresenti il Governo, e il Governo nel mio
concetto forma parte principalissima del Popolo, composto di tutte le
classi della città. — Voi volete lo invito del Governo? — lo avrete.
— Alcuni partirono, molti rimasero, _tenendomi quasi in ostaggio_;
tornarono, e con essi lo Aiutante di Piazza Baldanzi, con istanza
del signor Governatore a recarmi al Palazzo per acquietare il Popolo.
Andai: — il Popolo chiedeva armi, e non altro. Seppi, che l'Avvocato
Marzucchi ne aveva fatta promessa, ma non aveva potuto mantenerla;
seppi inoltre avere il Popolo nominata una Deputazione per esporre
i suoi voti al Governo, e cessare le dimostrazioni tumultuarie; _e
mi disse il Marzucchi averla proposta al Popolo egli medesimo; —
proposizione che egli rinnovò il giorno nove nella Caserma della
Guardia Civica, alla presenza di mille e più persone_.
Parlai al Popolo poche parole, e si disperse: mentre mi tratteneva in
Palazzo favellando con l'Avvocato Marzucchi e il Conte De Larderel,
entrarono alcuni individui concitati nello sguardo che chiamarono in
altra stanza il Marzocchi, e quindi a breve vidi uscire alcuni del
Popolo, e udii che dicevano, non senza improperii: — sono venuti a
proporre l'arresto di una cinquantina di popolani, _la pagheranno: il
pezzo più grosso ha da essere un orecchio_! Abbandonai precipitoso
il Palazzo, mandai subito a chiamare persona congiunta per sangue
col più minacciato di coloro, e lo avvertii del pericolo. Feci il
mio dovere, e non meritava veruna riconoscenza; e se non l'ho avuta,
non me ne dolgo. Il giorno 7 per tempo mi condussi al Palazzo del
Governatore; eranvi gli Assessori Marzucchi e Venturi e il Conte De
Larderel: favellai, io credo, nè insensate nè triste parole; esposi i
mali della città, proposi i mezzi di rimediarvi; di più domandai loro
quello che per me dovesse farsi. Mi _pregarono tutti_ a rimanere nella
Deputazione, e adoperare ogni mio sforzo pel bene del paese. Promisi
farlo, purchè essi pure cooperassero, e come provvedimento per tôrre
via ogni pretesto di lite li persuasi a interporsi presso Gianpaolo
Bartolommei, col quale da qualche tempo io viveva con freddezza,
ond'egli consentisse formare parte della Deputazione. Recatomi col
Conte De Larderel alla Comune, conferivamo su quanto era da farsi,
quando sopraggiunsero gli Assessori Marzucchi e Venturi, e referirono
le loro premure presso il signore Bartolommei riuscite indarno.
Presenti gli Assessori distendemmo la prima Notificazione; dettò
il Venturi il paragrafo relativo all'approvazione, su tutto quello
avevamo fatto e facevamo, e fu egli che persuase inserire la frase che
avremmo ragguagliato il Popolo del nostro operato _volta per volta_,
sostituita alla espressione di _ora in ora_, avvertendo come la prima
denotasse maggiore spessezza della seconda. In questa sopraggiunse un
giovane colla notizia che il signore Bartolommei erasi determinato a
formare parte della Deputazione, ma che prima voleva vedermi. Andai:
sopita ogni grossezza, venne alla Comune. Il Popolo applause; quinci
passammo alla Caserma della Guardia Civica. Tutti mi porsero amica la
destra; la strinsi a tutti: il Mayer per la _seconda volta_ domandò
oblio di una ingiuria fattami; lo concessi: il Ricci pareva restio;
più tardi venne a casa in compagnia dei Capitani Orsini e Conti: disse
essere stato ingannato, e che chiarito dello errore veniva adesso
a scusarsi; e fu accolto amorevolmente. Ogni cosa pareva disposta
alla concordia, e cotesto giorno ebbe la sembianza di felicissimo.
Il giorno otto per tempo mi mandava a chiamare il Governatore; eravi
seco l'Avvocato Venturi; poco dopo sopraggiunse il Conte De Larderel:
mostraronmi la Notificazione del Marchese Ridolfi; considerata
attentamente rispondemmo: il Governo ha male appresa la Deputazione;
ebbene, ognuno ritornerà alle proprie case: noi non desideriamo meglio.
— No ci venne detto, voi non partirete; noi _non vogliamo pubblicare
cotesta Notificazione_, che manderebbe a soqquadro ogni cosa. Marzocchi
è partito per Pisa, e già ci ha ragguagliato. Vedete la lettera;
_tanta è la lealtà nostra, che noi non dobbiamo celarvi nulla_. La
lettera parlava di spiegazioni date al Ministro, e della favorevole
accoglienza delle medesime; avere proseguito, egli Marzucchi, per
Firenze, per dare ad altri coteste spiegazioni; augurarne bene; —
badassero a tenere tranquilla la città; — dissuadessero la Deputazione
recarsi dal Ministro, perchè forse non sarebbe stata bene accolta.
Conchiusero finalmente col pregarci a rimanere nella Deputazione
fino a nuove istruzioni. Osservai, badassero bene che noi intendevamo
rimanere perchè pregati, e non volevamo poi essere ripresi di nulla.
Il Venturi mi stese la mano dicendo: _Francesco, noi ci conosciamo
da molti anni: sono un galantuomo: tutto quello che avete fatto e
farete fu con piena approvazione del Governo: e se mai trovassero
a ridire sul vostro operato, io vi prometto che darò subito la mia
dimissione_. Venturi non ismentirà le parole, e il Conte De Larderel
ne può fare buona testimonianza; ma non abbisognerà certamente.
Dopo ci mostrarono varie dimissioni dai gradi della Civica, che a
loro e a noi parvero inesplicabili; erano di Gianpaolo e di Luciano
Bartolommei, di Federigi e di Fiorini. Il Gonfaloniere ed io andammo
alla Comune: qui trovammo lettera di L. Giera dimissionario dal posto
della Deputazione. Il signor Gianpaolo Bartolommei non credè civile
neppure scrivere alla Deputazione; mandò un articolo al _Corriere
Livornese_, in cui, discorrendo di non so quali rimorsi, diceva deporsi
dall'assunto incarico. Rispondemmo ad ambedue manifestando loro lo
invito dell'Autorità locale, e pregandoli a sospendere le dimissioni
fino a nuovi ordini del Governo. Tutto ciò ci fece nascere sospetto,
che qualche segreto agitatore si compiacesse seminare lo spavento e
scompigliare la concordia; sospetto reso tanto più grave da un Ordine
del Giorno del Colonnello della Guardia, del giorno avanti, che
invitava tutti i Civici a radunarsi per difendere (niente meno) _la
vita e le sostanze dei cittadini_, — e da certe espressioni sfuggite
al Ricci nella Caserma, nel giorno stesso quando mi era condotto
davanti: _come! mi avevate detto che dovevamo fare sparger sangue; ed
ora non è più vero_? — Adesso alcuni ufficiali della Civica prorompono
nella stanza, e passionatamente domandano, che cosa intendessimo fare,
se scioglierci o rimanere. Manifestammo loro le istanze del Governo
locale. Invitati ad andare in Caserma a ripetere coteste spiegazioni,
andammo e le ripetemmo. L. Giera, sopraggiunto, disse che nel suo
particolare aveva ricevuto uguale preghiera dal Governo. Invitati a
pubblicare cotesto fatto li compiacemmo con la seconda Notificazione.
Di poi ognuno si ritirò, aspettando le ulteriori disposizioni del
Governo. Il giorno 9 il Governo non cerca più di me, ma invita gli
ufficiali della Civica, e partecipa loro altra Notificazione del
Marchese Ridolfi. I fratelli Bartolommei vennero a comunicarmela,
domandandomi che intendessi fare. Risposi sorridendo: «starmene in
casa a badare ai miei negozii.» Più tardi si fecero a trovarmi molti
individui, avvertendomi essere necessario che io manifestassi il
mio concetto (che la soppressione della Deputazione non era cosa che
meritasse sdegno), e inculcassi la necessità della concordia. — Ben
volentieri mi recai alla Caserma a prestare quest'ufficio. Nella stanza
degli ordini avvennero diverse arringhe più o meno concludenti, ma
cospiranti tutte alla pace, alla tranquillità e alla concordia. — Nello
uscire dalla stanza una voce sinistra mi percosse: — «Bisognerebbe
ammazzarli tutti!» — Mi sentii ribollire il sangue, ed esclamai: —
la quiete è stabilita, nessuno ardirà turbarla; ma se mai per somma
e non preveduta sventura qualche tumulto avvenisse, guardi la Civica
a non far uso delle armi: pensi che potrebbe rimanere ucciso un padre
o un fratello. — Giunsi alle scale; la calca era folta; non si poteva
avanzare nè retrocedere; intanto vedo apparirmi incontro l'Avvocato
Marzucchi. Respinti in mezzo alla Caserma, io domandai al Marzucchi
spiegazione di certe parole lette nella Notificazione, che mi parvero
lesive così alla verità come all'onore; le parole suonavano: _coloro
che si dissero vostra Deputazione_ ec. — Come hai consentito, lo
interrogava io, che queste parole si stampassero, quando noi fummo
da te pregati a formarne parte? quando quello che facemmo fu da te
approvato? — Il Marzucchi, presenti mille persone, rispose: — Finchè io
mi rimanga rappresentante del Governo, mi sia permesso non manifestare
la mia opinione sopra gli atti del medesimo; in quanto a quello che
avverte il Guerrazzi, è vero; il Governo locale approvò quanto dalla
Deputazione venne operato, e la Deputazione fu proposta e consigliata
da me. — Io mi dichiarai soddisfatto, e aggiunsi che mi ritiravo nelle
mie case. Marzucchi allora, ammonendomi gravemente, mi disse: — No,
non devi ritirarti, ma affaticarti pel bene del tuo paese; — con certe
parole dolci di lode, scontate con largo sorso di amaro. Allora di
nuovo parlai, parlò lo stesso Marzucchi e Bartolommei, credo Bernardi
e Ricci. Mentre così ci travagliavamo, una vocina stridula si fece
sentire: «la Deputazione è figlia della minorità!» — Queste parole
irritanti m'increbbero: mi volsi a vedere chi le avesse proferite:
era un tal Viviani; allora esclamai: — Oh! l'ho notato, è il Viviani,
non ci occupiamo di lui.-E la gente d'intorno impose silenzio allo
importuno. Il Viviani pretende che io immaginassi una proscrizione;
ch'egli fosse posto nelle note; egli mi finse Silla, sè proscritto. Il
Viviani ha fatto me e sè troppo grandi. Veramente non ho la pazienza
dello zio Tobia, che vessato dalla mosca la prese, aperse la finestra,
e dicendole: creatura di Dio il mondo è largo abbastanza perchè noi
non ci diamo noia! la pose in libertà; — ma mi protesto, che non ho mai
imitato Domiziano: però viva, sieno quieti i suoi sonni: se deve morire
per le mie persecuzioni, può contare sopra 100 anni di vita. — Il
Popolo adunato, scosso da tante esortazioni, giurò sopra il suo onore
da ora in avanti rimanersi tranquillo; la Guardia promise vigilare
alla quiete della città. Allora proposi a Marzucchi: poichè ogni motivo
di provvedimenti straordinarii cessa, prega il Ministro a ritirare le
milizie, e concedere che il Municipio si aggiunga varii individui, i
quali, prevenendo ogni dimostrazione tumultuaria, si facciano organo
presso di lui dei voti del Popolo. Promise farlo, e credo ancora
promettesse darmi risposta in giornata. Tornai a casa. Alle 2 p. m.
il Conte De Larderel venne a trovarmi; mi disse essere stato accolto
freddamente dal Ministro Ridolfi; aggiunse sentirsi male disposto,
_andassi a trovarlo nella sera_. Più tardi ricevo avviso essere stato
risoluto il mio arresto; mi posi a ridere; a buio si rinnovarono gli
avvisi. Mi misi a scrivere un articolo di Giornale. Alle 8 circa,
vennero Giannini e Meucci per parlare del Giornale, e rinnovarono lo
avviso; _intanto sopraggiunge Dario Bastianelli ad avvertirmi per parte
del Conte De Larderel, non istessi ad andare da lui perchè gli era
entrata la febbre_. Dopo questi venne il signor Mastacchi, giovane al
quale in tempo di mia vita avevo allora forse favellato tre volte, e
mai di politica; e notiziandomi sicuro il mio arresto, mi scongiurava
a non soffrire questo insulto tanto fatale alla mia mal ferma salute;
mi scansassi, in qualche luogo riparassi fino a ragione conosciuta.
Ringraziai cordialmente per tanta bontà l'onesto giovane, e gli altri
venuti con lui a me ignoti perfino di vista, ma nel tempo stesso
scriveva un biglietto a Gianpaolo Bartolommei: avere da più parti
saputo che il Governo disegnava arrestarmi, ordinasse tenere aperto il
portone, perchè non desideravo trovassero i Carabinieri impedimento. —
Ahi io credeva che soli i Carabinieri sarebbero venuti ad arrestarmi!
Questa è la verità, e null'altro che la verità. Ora mi volgo ai miei
Nemici, ai Giornalisti, ai Municipii, al Governo, e al Popolo, e dico:
Ai Nemici: — Voi mi avete atrocemente perseguitato; calunniato senza
coscienza e senza verità: voi mentre ero in carcere avete versato a
piene mani sopra di me la ferocia e la menzogna[754], rinnovando le
immanità dei Veneziani che conducevano la loro vittima al supplizio
tra le colonne di Piazzetta San Marco con la spranga alla bocca, o
la gittavano cucita dentro un sacco nel Canale Orfano. Voi mi avete
baciato e tradito come Giuda[755]. Tal sia di voi. Voi temete che io
mi vendichi di voi? Il giudizio del pubblico e i rimorsi della vostra
coscienza bastano soli alla mia vendetta.
Ai Giornalisti: — Alcuni senza conoscermi mi hanno difeso; che posso
dir loro? Io gli ringrazio meno della difesa, che per avermi mantenuta
la fede negli uomini: altri, conoscendomi, tacquero; pieni di tanto
sdegno per le ingiustizie che si commettono mille miglia lontano,
per le domestiche non hanno ire. Il cuore loro è fatto ad uso di
fantasmagoria. Che giovano le parole? Esse sono frasche. Ognuno verrà
giudicato a misura delle opere, e un giorno il vostro peso sarà trovato
leggiero sulla bilancia.
Ai Municipii Toscani: — Perchè veniste volta a volta a lanciare le
vostre imprecazioni sopra Livorno vostro fratello, come sopra una
vittima espiatoria? Certo vi scusa lo essere stati indotti in errore
da taluni de' miei concittadini, che per sostenere le loro calunnie non
aborrirono infamare il proprio paese, e renderlo esecrabile alla faccia
della Italia: ma senno e carità volevano che voi v'informaste bene dei
fatti, prima di cuoprire d'obbrobrio una città innocentissima. Adesso
sarebbe giustizia emendare i vostri Indirizzi, NON GIÀ NELLA PARTE IN
CUI DIMOSTRASTE LA VOSTRA BENEVOLENZA AL PRINCIPE COSTITUZIONALE, CHE
NON CONTIENE IN SÈ NULLA CHE NON SIA COMMENDEVOLE, MA NELL'ALTRA CHE
ESPRIME GL'IMMERITATI IMPROPERII.
Al Governo: — Io non voglio con inopportune querele creare imbarazzi e
promuovere scandali; ma si persuada che nè Catilina vissero in Livorno,
nè vi fu mestieri salvare la patria. Il Governo porse troppo facili
le orecchie, e trasmodò in atti violenti ed ingiusti. Quando i Popoli
si commuovono, è difficile che non nascano Partiti; più difficile
che i cittadini all'uno o all'altro non si appiglino. Solone, che
pure fu salutato uno dei sette Sapienti della Grecia, ordinò, nelle
leggi che dava ad Atene civilissima, il bando a chiunque non avesse
Partito; piacendogli piuttosto il cittadino appassionato, comecchè poco
direttamente al bene pubblico, che lo ignavo e lo inerte. I Partiti
voglionsi dominare e dirigere, e non farsi schiavo di nessuno. Il
Governo rinnuovò lo errore di Enrico III, il quale si dette in balía
della Santa Lega, e cessando essere re di Francia diventò servo dei
Guisa e capo di fazione. I tumulti a Roma, nota Machiavelli, giovarono
alla Repubblica, perchè terminarono sempre in buone leggi: nelle
condizioni presenti dei Popoli, io per me non approvo i tumulti, ma,
come Machiavelli nelle _Storie_ m'insegna, noi non potremo deplorarli
abbastanza, quando terminano con le prigioni e lo esilio dei cittadini.
Questa sventura condusse a precipizio la Repubblica Fiorentina. E se
siffatti mali nascono da provvedimenti violenti, quanti non ne dobbiamo
temere maggiori quando le violenze percuotono cittadini incolpevoli,
che invece di provocare tumulti si affaticano, richiesti, con ogni
forza loro a comporli? Ma se umana cosa è lo errare, bestiale è poi
ostinarci nello errore. Io non muovo querele, nè do consigli; e non
ostante, meno per me che per la causa della giustizia e della verità,
pei luttuosi fatti della notte del 9 gennaio, io lo conforto a riparare
l'onore offeso di persone che non demeritarono la benevolenza della
patria e la stima dei generosi.
Al Popolo poi convienmi fare più lunghe parole. — Tu, o Popolo, sei
venuto a incatenare me, colpevole soltanto di averti obbedito in cosa
innocente, a te consigliata, e ad ogni modo a me estranea affatto. Tu
hai incatenato queste mani che non vergarono scritto che non tornasse
in onore della patria italiana. Gli stranieri una volta, sbarcando
in Livorno, davano di occhio ai Mori della Marina, e andavano via
sprezzando questa nostra città, come una _osteria posta sopra la strada
maestra_[756]. Se oggi si trattengono un'ora, lo fanno per istringermi
la mano, e l'onore del figlio del Popolo refluisce sul Popolo, perchè
la mia fama è tua fama..... Se ho trascorso..... perdona questa vampa
di orgoglio a colui che fu sempre saturato di calunnia e di vituperio!
Un Carabiniere, nonostante il timore della punizione, mi tolse le
catene che tu mi desti, e agitato dalla paura di avermi offeso ne ha
perduta la ragione. Una persona costituita in dignità squassò sdegnosa
le catene, gridando più volte, e non senza pianto: _questa è una
indegnità_! — E così un Carabiniere ed uno Impiegato ebbero per me la
pietà che mancò a te, — a te, mio Popolo, pel tuo figlio che t'ama.
Ma tu, o Popolo, rigetti la colpa sopra la Guardia Civica, ed essa,
chiamandosi ingannata, la rigetta sopra alcuni ribaldi. E SIA COSÌ, E
COSÌ MI PIACE, E GIOVA CREDERE. Ma dimmi: i lupi cessarono di starsi
in custodia del gregge? Il grano fu separato dal loglio? Dura tuttora,
o cessò il regno di Giuda? Cotesti servi di tutti i poteri, traditori
di tutti gli amici, adulatori di chi sorge, calunniatori di chi cade,
coteste vespe importune e venefiche ti sussurrano sempre dintorno?
Ma se tu pensassi, o Popolo, che io volessi concitare il tuo sdegno
contro costoro, t'inganneresti. Oh! vivano nella loro viltà come sopra
un letto di riposo. La stirpe dei codardi per sommo di Dio benefizio
è scarsa tra noi; conserviamoli gelosamente come mostri: noi gli
additeremo ai nostri figliuoli, nella stessa guisa che accennavano al
fanciullo Spartano lo Iloto ubbriaco.
Io l'ho detto: tra me e te, Popolo, noi non dobbiamo odiarci, nè lo
possiamo. Forse Aristide odiò la patria perchè bandito ingiustamente?
In certa notte con pericolo di vita ruppe il bando, e fu la precedente
alla battaglia di Salamina, per avvisare Temistocle intorno alla
ragione dei venti, e all'ordine della flotta persiana. Gli antichi
esempii non saranno stati letti invano. I Veneziani supplicarono Carlo
Zeno imprigionato iniquamente, onde salvasse la patria dal pericolo
supremo da cui era minacciata: usciva, pugnava, vinceva, e poi altero
e costante tornava al carcere[757].
Tra me e te ogni trista memoria è obliata, o Popolo, e _con tutti
fra te_. Vi lasciai non liberi: uscendo adesso vi trovo facoltati a
farvi liberi se volete. A patto tale, chi non vorrebbe avere sofferta
la prigionia? Baciamoci dunque, e stringiamo ora che ne fa mestieri
più che mai i vincoli di famiglia. Giù rancori, giù discordie, se
volete essere forti contro il nemico comune: io non so davvero come
potrete riuscirvi, con matte fazioni tra voi. E soprattutto nè _viva_
a tale, nè _morte_ a tale altro: il secondo grido è crudele, o la
nostra religione lo aborre; il primo è segno di servitù. Oggimai
non hanno a contare gl'individui, ma i principii. Mi confortarono, o
Popolo, ad abbandonarti, e porre la mia stanza in altro paese. Non
posso farlo: le cose si amano pei sagrificii che costano, e il mio
paese mi costa assai. Io qui ebbi nascimento, e qui desidero sepoltura
accanto alle ossa del padre mio e dei miei amici, che più felici di
me mi precederono nella morte: io continuerò, secondo che è dato al
mio povero ingegno, a onorarli come posso e devo; ma tu, o Popolo,
ricompensami con lo starti unito, col non fare il mio nome bandiera di
fazioni e di tumulti: io te ne scongiuro per la mia fama, e più per la
tua: anche tu fosti accusato, e devi mostrare che lo fosti a torto,
a nessuno secondo tra i Popoli italiani, e a qualcheduno primo. Le
petizioni offrono mezzi legali per manifestare i tuoi voti: e per tôrre
d'inganno il Governo attienti a queste.
Terminerò col darti uno avvertimento non inopportuno ai tempi che
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