Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 23
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condizioni: «I Ministri e il Comitato esecutivo — tutti sono obbligati
a sottomettersi alla tirannide di una mano di Faziosi, che si fecero
padroni di Firenze, quantunque la più parte non sia neppure nativa del
Paese. Firenze è fatta convegno di _tutti_ i seminatori di zizzanie
della Penisola. Ridotti in _Club_, che porta nome di Circolo del
Popolo, _dettano leggi, promulgano decreti, ai quali il Governo ha da
sottomettersi docilmente_.»[271] Infatti il Giornale del Circolo così
con parole ingenue ne raccontava la importanza e lo istituto:
«Essi sono un vero Magistrato (i Circoli) del Popolo, cui egli corre
per tutti i suoi interessi, per tutti i suoi reclami e lagnanze, e
vi trova tutte le simpatie per ottenere protezione. — (_Popolano_, 17
febbraio 1849.)
E quando in cotesto modo scrivevano, ero pur giunto a impedire che i
Circoli dominassero interi; e la potenza loro scemava: si pensi un po'
quanto potessero allora che mandavano commissarii in Provincia, e sopra
ogni canto gli Oratori loro con accese parole aggiungevano legna al
fuoco, le armi in pugno brandite tenevano.
Ora sotto la impressione di questi fatti si prendano a considerare i
Dispacci dell'8 febbraio. —
Il primo delle 2 e ½, strappato a forza, porta seco evidentemente
la prova della violenza immediata, avvegnachè vi si legga perfino la
dichiarazione della _decadenza_ del Principe, che sempre ho combattuta
e impedita.
Nel secondo delle 5 e 10 minuti, è gittata la parola che accenna
l'áncora di speranza, con la quale in quei fortunosi frangenti
immaginava salvare il Paese: «_Si rammentino tutti, che sarà proclamata
presto la Costituente_ TOSCANA.»
Quando non occorressero altre prove, per conoscere che il Dispaccio
dell'8 febbraio 1849, ore 6 p. m., fu imposto dalla violenza della
Fazione trionfante, basterebbe questa sola, ed è che facendo scrivere
il 14 febbraio 1849 (giorno della Spedizione a Santo Stefano) al
Governatore di Portoferraio, lo ammoniva: «Se il Principe è _partito_,
non è _decaduto_; lo Stato non è perciò venuto a mancare; le leggi
non sono abolite ec.»[272] Ma importa inoltre riflettere alla inanità
del medesimo. Generalmente, me non reputano stupido affatto: però,
se la condizione mia non fosse stata in quel punto pericolosa così
da farmi temere ogni obiettare fatale, se io avessi sperato, che tra
i furibondi schiamazzi dei comandatori la Spedizione di Portoferraio
potesse _avere luogo consiglio_, come non richiamarli a considerare
«che ritenuta certa la partenza del Principe per Portoferraio, di due
cose dovevano ammetterne una, o che il Principe vi fosse arrivato,
o no? Se arrivato, o gli Elbani nol vogliono accogliere, e allora
qual forza possono aggiungere a loro cento o duecento persone? Se lo
hanno accolto, e quale urto mai vi augurate che facciano poche barche,
contro fortezze giudicate insuperabili, e difese da molte centinaia
di cannoni di grosso calibro? Non poche barche, ma intere armate male
si avventurerebbero sotto le batterie del Falcone e della Stella.
Dove poi non fosse arrivato, come si sosterranno le vostre barche, se
venissero ad incontrarsi contro le fregate a vapore il _Porco-Spino_
e il _Cane Mastino_, rinforzate dalla fregata a vela la _Teti_, e
il vascello di primo ordine il _Bellerofonte_?[273] Ma nè queste,
nè altre, erano riflessioni da potersi avventurare a quel tempo, nè
alcuna. «A Portoferraio! a Portoferraio!» urlava la turba infellonita,
e bisognò darle aperto il Dispaccio, che vollero portare alcuni di
quella allo Ufficio del telegrafo. Come ci hanno testimoni i quali
attestano, che nella mattina dell'8 febbraio il Niccolini diceva: «Noi
siamo d'accordo, tranne col Guerrazzi... ma...», così non ne mancano
altri co' quali egli confidandosi, nei primi giorni di cotesto mese
infaustissimo, palesava: «andrebbe bene ogni cosa; solo resistere
Francesco Domenico alle loro mire, ma gli avrebbero messo il cervello
a partito.»
La storia moderna mi somministrerebbe esempii in copia per mostrare
come in simili casi si comportassero uomini incanutiti fra guerreschi
pericoli. Vi rammentate il 17 marzo del 1848 a Milano? Quando i
deputati del Popolo lombardo si presentarono al conte O'Donell capo
del Governo, per esigere da lui la sanzione di atti ostili all'Austria,
negava forse? No; diceva: «_Farò quello che voi volete, quello che voi
volete. Sì, avete ragione, giù polizia, giù tutto_!»[274]
E fu appuntato perchè non avesse resistito? Lo accusarono forse, perchè
avesse acconsentito a buttare giù _tutto_? Ed io _tutto_ non dissi che
gittassero, e mi adoperai che ciò non facessero. Non incontrò tanto
crudeli e poco assennati sindacatori, imperciocchè la sua resistenza,
come di certo esizio per lui, così non avrebbe apportato profitto
alcuno alla fortuna austriaca in quei giorni. Il sagrifizio della
persona allora è lodevole, che, come nello esempio del Cavaliere
d'Assas, gridando all'erta, ad onta della morte minacciata, si dà la
sveglia al campo e si preserva dalla sorpresa: altrimenti è giudicato
follia.
La discretezza, di cui per certo non mi dà norma l'Accusa, mi trattiene
dallo esaminare la condizione di tutti coloro che si dichiararono
coartati, e dal confrontare se le scuse che addussero e furono tenute
buone, a paragone delle mie, dovessero più o meno gravi considerarsi:
forse lo dovrò fare più tardi; — mi basti per ora uno esempio
domestico.
Ferdinando Zannetti procedè sempre zelante delle libertà
costituzionali: nel 12 aprile, io penso che più efficacemente degli
altri alla restaurazione del Principato Costituzionale desse opera;
e fu dei primi, che il Decreto a questo scopo tendente firmò: era
Generale della Guardia Civica, e quindi stava in lui il comando della
forza capace a schermirsi; egli conosceva i pericoli della Unione
con Roma; egli sentiva quanto poco il Popolo, pure allora chiamato a
libertà, fosse disposto a reggimento repubblicano; assennato com'è,
prevedeva eziandio che il suo pronunziarsi per la Repubblica avrebbe
potuto strascinare irreparabilmente il Governo; egli era stato
testimone del mio rammarico espresso agli Ufficiali della Guardia
Civica per la partenza del Principe, e dell'aspra lotta da me sostenuta
perchè la Repubblica a furia dai violenti non si pronunziasse; e
nondimeno, _invitato dal Popolo_, ebbe a gridare: _Viva la Repubblica!
Viva la Unione con Roma_![275] Quando il Popolo è preso da una
passione, e i più fervidi di quello ti fanno cerchio dintorno, e
schiamazzano, e gridano, chi mai resiste? Chi può resistere? Me poi il
Popolo non calcava festoso, ma torbido; non invitava, ma minacciava;
non arrendevole trovava, ma in quanto mi era dato con industria
opponente. Gli arrabbiati della Fazione trionfante, padroni nei primi
giorni di tutto, non si muovono dalle mie stanze, notte e giorno spiano
gli atti, le parole e i pensieri.
E tutto questo sembra poco all'Accusa; anzi, ella, _proprio in
coscienza, crede che, invece di provare, escluda la prova della
coartazione_!
Io mi ricordo avere letto nei Giornali dei tempi certo discorso, o
lettera di Giuseppe Mazzini ai suoi amici di Roma, nella quale gli
ammoniva non volersi partire di Toscana, prima di avere conseguíto il
suo intento. Ora (e spero che l'Accusa non mi vorrà smentire almeno in
questo), io affermo che il concetto mazziniano fosse repubblicano.[276]
— L'Accusa avverte, che la presenza del Principe in Toscana era pruno
negli occhi ai Rivoluzionarii.[277] Qui dentro, Romani, che la Unione
con Roma e la Repubblica agognavano; qui Lombardi, che nella Repubblica
vedevano l'unica via per ritornare alla patria, ai domestici focolari,
e alle gioie di famiglia; qui il lombardo signor Maestri, Inviato
straordinario romano, forte del soccorso del Circolo, il quale, come il
signor Rusconi si esprime, _lottava quotidianamente_ per portare via di
assalto la Unione con Roma. All'Accusa sembra che tutti questi elementi
qui condensati _escludano perfino la possibilità_, che io mi trovassi
nei primi giorni costretto a consentire quelle cose a cui non trovavo
riparo, nè con la forza, nè con la opinione, nè con lo ingegno.
Che Dio benedica l'Accusa! Se si confronteranno i varii Dispacci
scritti nel giorno 8 febbraio, dalla forma stessa del linguaggio,
chiunque imparziale consideri, argomenterà la maggiore o minore
coazione, che in quel momento pativo. Infatti nei Dispacci
telegrafici scritti a dettatura sotto la immediata pressione, tu
leggi d'_ingratitudine_ e di _nera perfidia_: nel Dispaccio scritto
al Governatore di Portoferraio si dice, che il Governo _non può_
permettere al Granduca di rimanere in una parte della Toscana; che la
sua presenza _potrebbe_ causare perturbazione, e _forse guerra civile_;
la _cacciata_ diventa _invito_ di assentarsi.
Qui per avventura si obietterà: — e non potevate mandare contr'ordine
segreto al Governatore di Livorno? — In qual modo spedirlo perchè
giungesse a tempo? Per telegrafo forse? Allo Ufficio di Livorno era
preposto tale, che prima di recapitare i Dispacci al Governo ne faceva
copia alla Fazione. Tentai rimuoverlo, ma il Popolo tumultuante volle
stesse fermo in Livorno; di vero egli serviva meglio lui, che il
Governo. — Potevate mandare le lettere per la posta. — E chi se ne
fidava? — Per messo particolare. — Non era agevole sottrarmi, nei primi
giorni, alla incessante sorveglianza; e avrei trovato chi avesse voluto
incaricarsene? E trovatolo, in quale estremo pericolo non avventurava
lui con me stesso? Adesso non doveva trattenermi il medesimo dubbio,
che in buon punto mi persuase a resistere alle sollecitazioni del
Colonnello Reghini a Livorno? Più tardi, e quando credei poterlo fare
senza danno, mandai persona a Livorno a chiarire i miei amici delle
mie intenzioni, ma allora era impossibile. Pure via, tutto questo
doveva arrischiarsi in negozio sì grave; arrisichiamo.... perchè? Per
far pervenire il Dispaccio in mano di gente che lo avrebbero letto in
piazza, alla presenza del Popolo!
Intanto, è vero che una frotta di furiosi intronava le orecchie
gridando: «Bisogna cacciare il Granduca; Portoferraio sta per diventare
la Terceyra di Toscana; di là muoveranno trame, cospirazioni e guerra
civile: egli è evidente: qui non vi ha mestiero indugio; bisogna
provvedere, e subito; scrivasi al Governatore di Livorno, a quello di
Portoferraio; da tutta Toscana si muovano gente. Il Popolo comanda
questo e questo altro, e vuole essere obbedito, e subito: ora non
hanno luogo discorsi, e guai a chi esita.» Lo sguardo torvo, lo
scrollare minatorio del capo, le pugna percosse sopra la tavola non si
rammentano; tacere allora, e obbedire, fu la mia parte, senza potere
nemmeno fare osservare la inanità degli ordini. Nè meno insensata
parevami la lettera, ch'ebbi a mostrare scritta, al Governatore di
Portoferraio, con minaccia di destituzione; avvegnadio se il Principe
fosse sbarcato, protetto da quattro legni da guerra, non il Granduca
era in potestà del Governatore, ma il Governatore del Granduca; e
supposto che il Governatore si mantenesse parziale al Principe, la
minaccia di destituzione avrebbe destato la sua ilarità.[278]
§ 2. _Dimostrazione._
Aveva pensato in prima di porre a piè di pagina a guisa di note, e
per ordine di data, i fatti narrati quotidianamente dai Giornali,
onde confutare lo strano concetto dell'Accusa, che la violenza dei
Faziosi mi lasciasse libero di operare tutti gli atti _nei quali e
pei quali_ venne a consumarsi la perduellione: ma considerando come
questo partito genererebbe confusione e stanchezza, mi è parso bene
raccoglierli tutti in un punto, affinchè servano come di Appendice al
paragrafo della Spedizione all'Elba, e d'Introduzione a quella di Porto
Santo Stefano. Però vuolsi avvertire una cosa, che molti fatti non
occorrono rammentati dai Giornali, avvegnadio le violenze, i soprusi
e le soperchierie non si raccontino; e rifletterne un'altra, che nei
primi giorni i Faziosi, troppo più occupati a operare che a scrivere,
nè tempo avevano nè modo di registrare per lo appuntino i gesti loro:
sicchè operavano più, scrivevano meno. A questo, in parte, devono avere
supplito i testimoni uditi dall'Accusa, e meglio suppliranno questi
stessi più diligentemente ricercati, e i nuovi che saprà addurre la
Difesa.
Nel giorno _8 febbraio_ abbiamo dai testimoni, ricercati dalla stessa
Accusa, che il Niccolini, eccitando la gente a unirsi a lui per mandare
a fine i suoi disegni, affermava: «ostare io solo.... ma!...» Ancora:
che poco prima, o poco dopo di quel giorno stesso, ad altro testimone
Niccolini medesimo confidava: «trovare resistenza in me.... ma che mi
avrebbero messo giudizio.»
Ora dai Documenti dell'Accusa resulta che il Circolo di Firenze
stette in permanenza fino dal _5 febbraio_ 1849. (pag. 193.) E questa
permanenza venne di nuovo decretata, e con più rigore mantenuta nel
giorno 8, nè il _20 febbraio_ era per anche sospesa. «Il Circolo...
sempre in permanenza _fino dal dì_ 8 corrente.» — (_Popolano_ del 20
febbraio 1849.) — Che cosa potessero i Circoli non importa ripetere.
Della sospettosa Polizia del Circolo l'Accusa stessa raccolse prova,
e la citerò più tardi; intanto osservate come fino dal declinare
del gennaio egli procedesse a investigare sottilmente le cose, e
le persone: «Il Circolo del Popolo nella sua seduta ordinaria del
28 gennaio deliberò di stabilire una inchiesta su i fatti avvenuti
la notte del 27, e nominò una commissione composta di cinque
membri del Circolo, a cui dirittamente furono porti i più estesi e
precisi ragguagli intorno agli avvenimenti in discorso.» — (_Frusta
Repubblicana_, 1 febbraio 1849.)
Quello che il Partito trionfante faceva e ordinava al Governo che
facesse, si ricava dalla _Costituente Italiana_ del 9 febbraio, organo,
come sappiamo, della Emigrazione armata, fra gli accesi accesissima
a precipitare lo Stato a Repubblica, per le ragioni chiarite in più
parti di questa Apologia. «Non lasciate ricadere il Paese in un fatale
letargo, non lasciate ch'ei si addormenti. Agitatelo, tenetene sempre
desta e viva la vita! In ogni momento colla parola, colla presenza,
cogli atti mantenetevi innanzi alla sua attenzione, ponetevi con
esso in continua, incessante comunicazione di spiriti e di idee!
Che da tutto e dovunque il Popolo conosca ch'ei non versa nelle
condizioni ordinarie, bensì tra vicende agitate e pericolose, e anzichè
cullarlo con facili lusinghe, gridategli sempre: all'erta! all'erta!
Rammentatevi l'artefice che ha bisogno di aver sempre rovente il ferro
per foggiarlo secondo la propria intenzione. Solo in questa intimità
tra il Popolo e voi, solo dentro a _quest'aura di rivoluzione_ e di
entusiasmo sono possibili le forti cose, a operare le quali oggi voi
foste chiamati.» Padroni di tutto, è da credersi che non si rimanessero
ai soli consigli commessi alle pagine infiammate del loro Giornale, ma
sì alle parole aggiungessero lo esempio.
Se nel primo giorno il Circolo fiorentino facesse forza, e poi, uditelo
un po' dal Giornale che ne registrava gli atti e i concetti: «Armi al
Circolo del Popolo, legione sacra che stette sempre al primo posto ogni
qualvolta occorse combattere i nemici del Paese, ogni qualvolta occorse
_spingere la bilancia delle nostre sorti che pendeva incerta_....»[279]
I vecchi consigli di _violentare_ il Governo praticavansi. —
Voi desumete prova che nei primi giorni non mi era dato oppormi
apertamente in nulla, dal rimprovero che mi muovono, il 15 febbraio,
«di non volere dichiarare la Repubblica, perchè la Repubblica bandisce
decaduto Leopoldo, e di ostare alla Unione con Roma per amore della
autonomia toscana, della quale _dieci giorni indietro vi mostravate
poco curante_.» Il giorno 8 mostrarsi poco curante era tutto quel più,
ed anche non senza molto pericolo, che potesse farsi.[280]
«Voi non volete dichiarare Repubblica, perchè la Repubblica dichiara
decaduto Leopoldo, e la decadenza di Leopoldo porterebbe intervento,
invasione, abbassamento di stemmi inglesi e francesi, e tutte le
diavolerie immaginabili.
Voi non volete per ora l'Unione con Roma, perchè l'Unione con Roma ci
toglie l'autonomia toscana, di cui oggi vi mostrate tanto passionati,
_quando dieci giorni fa ve ne mostravate non curanti_; e la distruzione
di autonomia importando infrazione dei trattati di Vienna, importerebbe
anch'essa intervento austriaco, invasione straniera e tutta la solita
litania. Ma dunque che cosa volete?» — (_Frusta repubblicana_, 15
febbraio 1849)
Gli Emigrati Lombardi amaramente mi rampognavano nel _14 febbraio_,
che da _sei_ giorni io non adémpia le grandi misure nè adoperi lo
impeto di azione che mi avevano _inculcato dalla prima ora della mia
chiamata al governo_. Consigli di gente armata, accesa di passione
politica, smaniosa di ricuperare la Patria, convinta profondamente che
per altra via non vi si ritorni, che sieno, dacchè l'Accusa non vuol
capire, capite voi tutti che leggete queste pagine, e vedete con quanta
giustizia di me si faccia lo _strazio disonesto_.
«_Sei giorni sono trascorsi_, e noi cercavamo indarno negli Atti del
Governo quella coscienza delle grandi misure, quello impeto di azione,
che _dalla prima ora della sua esistenza gli avevamo inculcato_.» —
(_Costituente Italiana_ del 16 febbraio 1849.)
E se l'Accusa volesse sapere quali ammonimenti mi dessero i Settarii,
e come facessero a fidanza, e se mi lasciassero libero, altro non
ha che fare, che leggere queste poche righe: «Fino dall'8 febbraio
abbiamo detto agli uomini che le speranze del Popolo avevano inalzato
al Governo: noi vi richiederemo conto strettissimo _giorno per giorno,
ora per ora, della opera vostra, e un minuto sprecato, è una colpa;
e noi conteremo i vostri minuti_.»[281] Vero è bene che chi scriveva
dichiarava essersene astenuto, e in quanto a sè forse non profferiva
bugia; però lo aveva fatto fare dalle Deputazioni incessanti dei
Circoli, e dagli Assembramenti popolari.
E se all'Accusa prendesse così per genio vaghezza di conoscere quale
potere i Giornali e i Circoli si fossero arrogato sul Governo, può, a
tempo avanzato, vederlo in queste parole: «Noi però abbiamo conservato
sopra _tutti i vostri atti_ un diritto e un dovere; il _dovere_ di
vegliare su di _voi_; il _diritto_ di _provvedere a noi_, se voi stessi
nol fate.»[282]
Oda un po' l'Accusa che cosa il Circolo del Popolo, onnipotente,
allora, intendesse istituita fino dal 10 febbraio; e neghi che se io
non ero, ella avrebbe veduto il Tribunale rivoluzionario, e feroce, e
insensato, e spietato, come.... come vediamo essere tutti i Tribunali
nei giorni dell'ira di Dio.
«Un Comitato straordinario di Salute Pubblica sia immediatamente
instituito. Sieno uomini provati a libertà, ad energia di cuore e
di mente; abbiano pieni i poteri; sia rapido, estremo il giudizio:
vigilino a vicenda il giorno e la notte; dispongano sempre di forze
determinate e sicure. Sia lor cura scuoprire le fila intricate e
lunghissime della reazione; e scoperte, con lo esempio della pena
prevengano colpe e pene ulteriori. _Tutto ciò noi domandiamo al Governo
Provvisorio di Toscana, — lo domandiamo col linguaggio della necessità,
con la coscienza ferma del diritto, con la volontà irremovibile del
Popolo libero_.» — (_Popolano_ dell'11 febbraio 1849.)
E che la Unione con Roma, e per conseguenza, la Monarchia abolita, il
Principe decaduto, la Repubblica proclamata, fossero non pure desiderii
o voti, ma _ordini imposti dalla Fazione trionfante, fino dal giorno
otto febbraio_, voi lo vedete a prova. «La Unione con Roma era per
noi condizione della esistenza del Governo Provvisorio fino dal giorno
_otto_ febbraio; fino dal giorno in cui il Popolo restituito nel pieno
possesso dei suoi diritti _rovesciava per sempre un ordine di cose
impossibile ormai_.» — (_Alba_, 25 febbraio 1849.)
«Ieri abbiam detto al Governo Provvisorio di Toscana diritti e doveri.
— Con franchezza gli abbiamo accennati: diremo con franchezza se
verranno compiti. — Una verità oggi ripetiamo, una suprema verità: — il
tempo preme, fate tesoro del tempo.
«Abbiam detto ieri _uniti con Roma_, — oggi diciamo _immediatamente
uniti_. I bisogni vincano le forme. — Cittadini! quando vi abbiamo
affidati poteri assoluti, abbiamo ad essi posto il suggello di una
_condizione: l'Unione con Roma_: avete accettati gli uni, avete dunque
accettata l'altra; compitela.
«Gli avvenimenti mutarono. La Repubblica Romana è proclamata. A
voi incombe inviare tosto un plenipotenziario che rechi il saluto e
l'omaggio di Toscana alla gloriosa sorella. A quest'ora l'avrete fatto:
se no, perchè il ritardo?
«L'Unione con Roma fu decretata, acclamata dal Popolo: restano a
stabilirla nodi di legalità: stringeteli.
«Trentasette Deputati erano già destinati alla Costituente nazionale.
Questi si raccolgano prima in Costituente Toscana, — compiano la
volontà del Popolo, sanzionino il patto di _Unione_, costituiscano lo
Stato della _Italia Centrale_. Poi vadano a Roma rappresentanti nostri
alla Costituente Italiana, e dal Campidoglio dettino a noi i decreti,
comunichino a noi le speranze e i bisogni.
«Ciò vi domanda il Popolo, — ciò _vuole il Popolo_. Poichè se dai
bisogni, dalle speranze e dai fatti fu il tempo prevenuto, l'opera deve
eguagliarlo non solo, ma superarlo eziandio. Meglio con l'opera d'oggi
affrettare il domani, anzichè affaticarci a ricostruire sui frantumi di
ieri.»[283]
E badate, che nè soli, nè più temibili erano i Lombardi, condotti
in parte dallo stesso Ministero Capponi, ma Napoletani, Romani, e
Romagnuoli crescevano l'ansietà, e la paura. Fino dall'_8 febbraio_
la Fazione organizzò una Legione _Romana_; nel _12_ del medesimo
mese ne apparecchiò un'altra; il Popolo anch'esso si armò: «Questa
sera una _nuova_ Legione di Romani sta organizzandosi per offerire i
suoi servigi al Governo. Anche il Circolo del Popolo sta _ordinandosi
in legione armata, per mettersi a disposizione delle autorità_.» E
mettersi a disposizione del Governo significava: attendesse a fare a
modo del Partito Repubblicano; se no, guai!
Che cosa si proponesse fino dall'_8 febbraio 1849_, e che cosa
_gridasse_ tutto il Circolo del Popolo in permanenza, lo si legge
nel Nº 16 febbraio del _Popolano_: «Nell'adunanza di ieri sera il
Circolo del Popolo fu invitato da un socio a _ripetere con solenne
dichiarazione quello che fino dal dì 8 febbraio era stato nel cuore
e nel grido di tutti_: la decadenza del Despota, e l'abolizione della
Monarchia.»
«Qual bisogno ha oggi la Toscana di rimettere ad una Assemblea la
decisione di un voto, il quale _fu già deciso dal Popolo?_... Il
Popolo ha già deciso di essere unito con Roma, e Roma ha proclamato la
Repubblica _il giorno stesso di tale decisione_.» — (_Popolano_ del 15
febbraio 1849.)
E fino da Roma venivano le congratulazioni al Giornalismo toscano
per avere _insistito_ presso il Governo Provvisorio affinchè
indissolubilmente si unisse con Roma. Altrove notammo, e qui giovi
ripetere, Giornalismo di partito trionfante, che sia; e che cosa
importassero le parole e le insistenze della Emigrazione Lombarda
organizzata a corpo militare, e del Circolo armato.
Di buon grado riproduciamo le seguenti osservazioni del Giornale romano
l'_Epoca_ intorno alla pronta Unione della Toscana agli Stati Romani:
«Noi facciamo plauso al Giornalismo liberale di Toscana, il _quale
fin dal giorno di partenza del Granduca Leopoldo insistè presso il
Governo Provvisorio, perchè si unisse subitamente e indissolubilmente
col Governo della Costituente Romana. E questo fatto, se così vogliam
chiamarlo, questo diritto, se meglio intendiamo di esprimerlo, era
implicito nel mandato consegnato dal Popolo ai tre rappresentanti del
Governo Provvisorio medesimo_....
«La Toscana in qual senso potrebbe ella adunare la sua Costituente? O
a meglio dire, cosa potrebbe decidere questa Costituente che nel fatto
non sia già deciso? O ella sceglie il Governo di Roma per effettuare
la sua Unione; ed allora una parola, un atto fraterno non basta nei
momenti attuali di tanta vitalità? O ella recede dalla Repubblica....
e in qual modo tanto trionfo avrebbe ottenuto colà il principio
democratico?
«No, non è possibile giammai. La Toscana è democratica, è repubblicana,
e non da adesso. Lo è per tradizioni, lo è per sentimento. — Coraggio,
uomini del potere! Tempo è di unione e di concordia _una_. Affrettando
la fusione dei popoli delle due famiglie, voi affretterete la
_Costituente italiana e la Guerra_.» — (La _Costituente Italiana_, 19
febbraio 1849.)
In quel medesimo giorno istituiscono Circoli parrocchiali per
agire di concerto col Circolo generale: «E per accendere lo spirito
pubblico, fu notato non essere via migliore che istituire subito, in
ogni Parrocchia, Circoli parrocchiali da agire tutti di concerto col
Circolo generale del Popolo fiorentino.»[284] Sicchè nel giorno 10
poterono armarsi i Faziosi in centurie per _istimolarmi_, dicevano
essi; ma in fatti per dominare tiranni. «La mattina di sabato (10)
fu vero scopo d'eseguire immediatamente la ordinata classazione in
centurie e decurie, e _di stimolare il Governo a volere lo armamento
dei patriotti italiani_. Fin d'allora fu aperto nel suo seno un corpo
di guardia fisso, ove furono tenute esposte note di soscrizione per
tutti i patriotti che, nei pericoli della patria, volessero impugnare
le armi. Il sabato sera il Circolo era diviso in due parti: _una
parte discuteva, l'altra era sotto le armi_.... Il Circolo e il corpo
di guardia _non si sono più chiusi. L'azione del Circolo ha dato un
moto alla popolazione_, che oggi è accorsa in folla a sottoporsi alle
armi per sicurezza dell'ordine pubblico.... Tutti i Fiorentini in
armonia hanno oggi mostrato che il Popolo poteva sfidare qualunque
pericolo.»[285]
La continua guardia, la indefessa pressura si prova dai Documenti
stessi dell'Accusa: «Fino dal _5 febbraio_ il Circolo fiorentino si
è costituito in permanenza, ed ha creato una Commissione perchè _stia
in continua corrispondenza col Ministero_.»[286] — Gl'inquisitori non
si staccavano mai dal fianco, ordinavano, investigavano, riferivano,
sospettosi sempre, pronti all'accusa.
Dal Circolo armato la città, in cotesti giorni, si perlustrava. «La
perlustrazione della città non era neppure trascurata.»[287] e coteste
armi sbigottimento e terrore nei cittadini incutevano, cosicchè al
Governo, smarriti, si raccomandavano esigendo misure che avrebbero
precipitato alla rovina, condizioni già piene di difficoltà, dalle
quali, se prudenza e senno non giovavano a salvare, niente altro
poteva. Pretesto a parecchi, motivo vero in molti di quel tremendo
ribollire, era trovare modo efficace di combattere la guerra italiana;
perciò tanto più arduo contrastarli, quanto meglio ne appariva lo
scopo all'universale accettissimo; e nella seduta dell'11 febbraio,
nel Circolo Popolare si dichiarava che: «.... la divisione dell'Italia
avendo fatto finora il nostro infortunio, anche nell'ultima guerra
di Lombardia contro gli Austriaci, la sola unione di tutte le forze
italiane in un solo Governo, può scacciare il nemico straniero di seno
alla patria. — I Principi non sono stati da tanto. L'Italia unita
sola il potrà. — Nè a ciò poter recare impedimento, notavano alcuni
degnissimi sacerdoti, le minaccianti scomuniche di Pio IX.»[288]
Nè il Circolo fiorentino si contentava, _fino dai primi giorni
del febbraio_, raccogliere le proprie forze, ma eziandio riuniva
quelle degli altri Circoli per _difendere l'ordine repubblicano_;
il che agevolmente s'intende per imporre la Repubblica. «Il Circolo
armato non potea fare a meno di ricercare agli altri Circoli, nel
presente stato di cose, il numero di quelli Italiani, che, socii
o non socii, fossero pronti a porgere il loro braccio alla _difesa
dell'ordine repubblicano_. Il perchè fu ordinato di tosto scrivere in
proposito.»[289]
E grande fu e penoso lo schermirsi dalle pretensioni di tôrre via i
beni e i tesori sacri alle chiese, sopprimere gli ordini cavallereschi,
e incamerarne la sostanza. Di ciò tu trovi traccia nei Giornali,
fievolissimo eco di quanto a voce burbanzosamente ordinavano:
«_Secolarizzati tutti i beni ecclesiastici_. Il monacume è tempo ormai
a sottomettersi alla tirannide di una mano di Faziosi, che si fecero
padroni di Firenze, quantunque la più parte non sia neppure nativa del
Paese. Firenze è fatta convegno di _tutti_ i seminatori di zizzanie
della Penisola. Ridotti in _Club_, che porta nome di Circolo del
Popolo, _dettano leggi, promulgano decreti, ai quali il Governo ha da
sottomettersi docilmente_.»[271] Infatti il Giornale del Circolo così
con parole ingenue ne raccontava la importanza e lo istituto:
«Essi sono un vero Magistrato (i Circoli) del Popolo, cui egli corre
per tutti i suoi interessi, per tutti i suoi reclami e lagnanze, e
vi trova tutte le simpatie per ottenere protezione. — (_Popolano_, 17
febbraio 1849.)
E quando in cotesto modo scrivevano, ero pur giunto a impedire che i
Circoli dominassero interi; e la potenza loro scemava: si pensi un po'
quanto potessero allora che mandavano commissarii in Provincia, e sopra
ogni canto gli Oratori loro con accese parole aggiungevano legna al
fuoco, le armi in pugno brandite tenevano.
Ora sotto la impressione di questi fatti si prendano a considerare i
Dispacci dell'8 febbraio. —
Il primo delle 2 e ½, strappato a forza, porta seco evidentemente
la prova della violenza immediata, avvegnachè vi si legga perfino la
dichiarazione della _decadenza_ del Principe, che sempre ho combattuta
e impedita.
Nel secondo delle 5 e 10 minuti, è gittata la parola che accenna
l'áncora di speranza, con la quale in quei fortunosi frangenti
immaginava salvare il Paese: «_Si rammentino tutti, che sarà proclamata
presto la Costituente_ TOSCANA.»
Quando non occorressero altre prove, per conoscere che il Dispaccio
dell'8 febbraio 1849, ore 6 p. m., fu imposto dalla violenza della
Fazione trionfante, basterebbe questa sola, ed è che facendo scrivere
il 14 febbraio 1849 (giorno della Spedizione a Santo Stefano) al
Governatore di Portoferraio, lo ammoniva: «Se il Principe è _partito_,
non è _decaduto_; lo Stato non è perciò venuto a mancare; le leggi
non sono abolite ec.»[272] Ma importa inoltre riflettere alla inanità
del medesimo. Generalmente, me non reputano stupido affatto: però,
se la condizione mia non fosse stata in quel punto pericolosa così
da farmi temere ogni obiettare fatale, se io avessi sperato, che tra
i furibondi schiamazzi dei comandatori la Spedizione di Portoferraio
potesse _avere luogo consiglio_, come non richiamarli a considerare
«che ritenuta certa la partenza del Principe per Portoferraio, di due
cose dovevano ammetterne una, o che il Principe vi fosse arrivato,
o no? Se arrivato, o gli Elbani nol vogliono accogliere, e allora
qual forza possono aggiungere a loro cento o duecento persone? Se lo
hanno accolto, e quale urto mai vi augurate che facciano poche barche,
contro fortezze giudicate insuperabili, e difese da molte centinaia
di cannoni di grosso calibro? Non poche barche, ma intere armate male
si avventurerebbero sotto le batterie del Falcone e della Stella.
Dove poi non fosse arrivato, come si sosterranno le vostre barche, se
venissero ad incontrarsi contro le fregate a vapore il _Porco-Spino_
e il _Cane Mastino_, rinforzate dalla fregata a vela la _Teti_, e
il vascello di primo ordine il _Bellerofonte_?[273] Ma nè queste,
nè altre, erano riflessioni da potersi avventurare a quel tempo, nè
alcuna. «A Portoferraio! a Portoferraio!» urlava la turba infellonita,
e bisognò darle aperto il Dispaccio, che vollero portare alcuni di
quella allo Ufficio del telegrafo. Come ci hanno testimoni i quali
attestano, che nella mattina dell'8 febbraio il Niccolini diceva: «Noi
siamo d'accordo, tranne col Guerrazzi... ma...», così non ne mancano
altri co' quali egli confidandosi, nei primi giorni di cotesto mese
infaustissimo, palesava: «andrebbe bene ogni cosa; solo resistere
Francesco Domenico alle loro mire, ma gli avrebbero messo il cervello
a partito.»
La storia moderna mi somministrerebbe esempii in copia per mostrare
come in simili casi si comportassero uomini incanutiti fra guerreschi
pericoli. Vi rammentate il 17 marzo del 1848 a Milano? Quando i
deputati del Popolo lombardo si presentarono al conte O'Donell capo
del Governo, per esigere da lui la sanzione di atti ostili all'Austria,
negava forse? No; diceva: «_Farò quello che voi volete, quello che voi
volete. Sì, avete ragione, giù polizia, giù tutto_!»[274]
E fu appuntato perchè non avesse resistito? Lo accusarono forse, perchè
avesse acconsentito a buttare giù _tutto_? Ed io _tutto_ non dissi che
gittassero, e mi adoperai che ciò non facessero. Non incontrò tanto
crudeli e poco assennati sindacatori, imperciocchè la sua resistenza,
come di certo esizio per lui, così non avrebbe apportato profitto
alcuno alla fortuna austriaca in quei giorni. Il sagrifizio della
persona allora è lodevole, che, come nello esempio del Cavaliere
d'Assas, gridando all'erta, ad onta della morte minacciata, si dà la
sveglia al campo e si preserva dalla sorpresa: altrimenti è giudicato
follia.
La discretezza, di cui per certo non mi dà norma l'Accusa, mi trattiene
dallo esaminare la condizione di tutti coloro che si dichiararono
coartati, e dal confrontare se le scuse che addussero e furono tenute
buone, a paragone delle mie, dovessero più o meno gravi considerarsi:
forse lo dovrò fare più tardi; — mi basti per ora uno esempio
domestico.
Ferdinando Zannetti procedè sempre zelante delle libertà
costituzionali: nel 12 aprile, io penso che più efficacemente degli
altri alla restaurazione del Principato Costituzionale desse opera;
e fu dei primi, che il Decreto a questo scopo tendente firmò: era
Generale della Guardia Civica, e quindi stava in lui il comando della
forza capace a schermirsi; egli conosceva i pericoli della Unione
con Roma; egli sentiva quanto poco il Popolo, pure allora chiamato a
libertà, fosse disposto a reggimento repubblicano; assennato com'è,
prevedeva eziandio che il suo pronunziarsi per la Repubblica avrebbe
potuto strascinare irreparabilmente il Governo; egli era stato
testimone del mio rammarico espresso agli Ufficiali della Guardia
Civica per la partenza del Principe, e dell'aspra lotta da me sostenuta
perchè la Repubblica a furia dai violenti non si pronunziasse; e
nondimeno, _invitato dal Popolo_, ebbe a gridare: _Viva la Repubblica!
Viva la Unione con Roma_![275] Quando il Popolo è preso da una
passione, e i più fervidi di quello ti fanno cerchio dintorno, e
schiamazzano, e gridano, chi mai resiste? Chi può resistere? Me poi il
Popolo non calcava festoso, ma torbido; non invitava, ma minacciava;
non arrendevole trovava, ma in quanto mi era dato con industria
opponente. Gli arrabbiati della Fazione trionfante, padroni nei primi
giorni di tutto, non si muovono dalle mie stanze, notte e giorno spiano
gli atti, le parole e i pensieri.
E tutto questo sembra poco all'Accusa; anzi, ella, _proprio in
coscienza, crede che, invece di provare, escluda la prova della
coartazione_!
Io mi ricordo avere letto nei Giornali dei tempi certo discorso, o
lettera di Giuseppe Mazzini ai suoi amici di Roma, nella quale gli
ammoniva non volersi partire di Toscana, prima di avere conseguíto il
suo intento. Ora (e spero che l'Accusa non mi vorrà smentire almeno in
questo), io affermo che il concetto mazziniano fosse repubblicano.[276]
— L'Accusa avverte, che la presenza del Principe in Toscana era pruno
negli occhi ai Rivoluzionarii.[277] Qui dentro, Romani, che la Unione
con Roma e la Repubblica agognavano; qui Lombardi, che nella Repubblica
vedevano l'unica via per ritornare alla patria, ai domestici focolari,
e alle gioie di famiglia; qui il lombardo signor Maestri, Inviato
straordinario romano, forte del soccorso del Circolo, il quale, come il
signor Rusconi si esprime, _lottava quotidianamente_ per portare via di
assalto la Unione con Roma. All'Accusa sembra che tutti questi elementi
qui condensati _escludano perfino la possibilità_, che io mi trovassi
nei primi giorni costretto a consentire quelle cose a cui non trovavo
riparo, nè con la forza, nè con la opinione, nè con lo ingegno.
Che Dio benedica l'Accusa! Se si confronteranno i varii Dispacci
scritti nel giorno 8 febbraio, dalla forma stessa del linguaggio,
chiunque imparziale consideri, argomenterà la maggiore o minore
coazione, che in quel momento pativo. Infatti nei Dispacci
telegrafici scritti a dettatura sotto la immediata pressione, tu
leggi d'_ingratitudine_ e di _nera perfidia_: nel Dispaccio scritto
al Governatore di Portoferraio si dice, che il Governo _non può_
permettere al Granduca di rimanere in una parte della Toscana; che la
sua presenza _potrebbe_ causare perturbazione, e _forse guerra civile_;
la _cacciata_ diventa _invito_ di assentarsi.
Qui per avventura si obietterà: — e non potevate mandare contr'ordine
segreto al Governatore di Livorno? — In qual modo spedirlo perchè
giungesse a tempo? Per telegrafo forse? Allo Ufficio di Livorno era
preposto tale, che prima di recapitare i Dispacci al Governo ne faceva
copia alla Fazione. Tentai rimuoverlo, ma il Popolo tumultuante volle
stesse fermo in Livorno; di vero egli serviva meglio lui, che il
Governo. — Potevate mandare le lettere per la posta. — E chi se ne
fidava? — Per messo particolare. — Non era agevole sottrarmi, nei primi
giorni, alla incessante sorveglianza; e avrei trovato chi avesse voluto
incaricarsene? E trovatolo, in quale estremo pericolo non avventurava
lui con me stesso? Adesso non doveva trattenermi il medesimo dubbio,
che in buon punto mi persuase a resistere alle sollecitazioni del
Colonnello Reghini a Livorno? Più tardi, e quando credei poterlo fare
senza danno, mandai persona a Livorno a chiarire i miei amici delle
mie intenzioni, ma allora era impossibile. Pure via, tutto questo
doveva arrischiarsi in negozio sì grave; arrisichiamo.... perchè? Per
far pervenire il Dispaccio in mano di gente che lo avrebbero letto in
piazza, alla presenza del Popolo!
Intanto, è vero che una frotta di furiosi intronava le orecchie
gridando: «Bisogna cacciare il Granduca; Portoferraio sta per diventare
la Terceyra di Toscana; di là muoveranno trame, cospirazioni e guerra
civile: egli è evidente: qui non vi ha mestiero indugio; bisogna
provvedere, e subito; scrivasi al Governatore di Livorno, a quello di
Portoferraio; da tutta Toscana si muovano gente. Il Popolo comanda
questo e questo altro, e vuole essere obbedito, e subito: ora non
hanno luogo discorsi, e guai a chi esita.» Lo sguardo torvo, lo
scrollare minatorio del capo, le pugna percosse sopra la tavola non si
rammentano; tacere allora, e obbedire, fu la mia parte, senza potere
nemmeno fare osservare la inanità degli ordini. Nè meno insensata
parevami la lettera, ch'ebbi a mostrare scritta, al Governatore di
Portoferraio, con minaccia di destituzione; avvegnadio se il Principe
fosse sbarcato, protetto da quattro legni da guerra, non il Granduca
era in potestà del Governatore, ma il Governatore del Granduca; e
supposto che il Governatore si mantenesse parziale al Principe, la
minaccia di destituzione avrebbe destato la sua ilarità.[278]
§ 2. _Dimostrazione._
Aveva pensato in prima di porre a piè di pagina a guisa di note, e
per ordine di data, i fatti narrati quotidianamente dai Giornali,
onde confutare lo strano concetto dell'Accusa, che la violenza dei
Faziosi mi lasciasse libero di operare tutti gli atti _nei quali e
pei quali_ venne a consumarsi la perduellione: ma considerando come
questo partito genererebbe confusione e stanchezza, mi è parso bene
raccoglierli tutti in un punto, affinchè servano come di Appendice al
paragrafo della Spedizione all'Elba, e d'Introduzione a quella di Porto
Santo Stefano. Però vuolsi avvertire una cosa, che molti fatti non
occorrono rammentati dai Giornali, avvegnadio le violenze, i soprusi
e le soperchierie non si raccontino; e rifletterne un'altra, che nei
primi giorni i Faziosi, troppo più occupati a operare che a scrivere,
nè tempo avevano nè modo di registrare per lo appuntino i gesti loro:
sicchè operavano più, scrivevano meno. A questo, in parte, devono avere
supplito i testimoni uditi dall'Accusa, e meglio suppliranno questi
stessi più diligentemente ricercati, e i nuovi che saprà addurre la
Difesa.
Nel giorno _8 febbraio_ abbiamo dai testimoni, ricercati dalla stessa
Accusa, che il Niccolini, eccitando la gente a unirsi a lui per mandare
a fine i suoi disegni, affermava: «ostare io solo.... ma!...» Ancora:
che poco prima, o poco dopo di quel giorno stesso, ad altro testimone
Niccolini medesimo confidava: «trovare resistenza in me.... ma che mi
avrebbero messo giudizio.»
Ora dai Documenti dell'Accusa resulta che il Circolo di Firenze
stette in permanenza fino dal _5 febbraio_ 1849. (pag. 193.) E questa
permanenza venne di nuovo decretata, e con più rigore mantenuta nel
giorno 8, nè il _20 febbraio_ era per anche sospesa. «Il Circolo...
sempre in permanenza _fino dal dì_ 8 corrente.» — (_Popolano_ del 20
febbraio 1849.) — Che cosa potessero i Circoli non importa ripetere.
Della sospettosa Polizia del Circolo l'Accusa stessa raccolse prova,
e la citerò più tardi; intanto osservate come fino dal declinare
del gennaio egli procedesse a investigare sottilmente le cose, e
le persone: «Il Circolo del Popolo nella sua seduta ordinaria del
28 gennaio deliberò di stabilire una inchiesta su i fatti avvenuti
la notte del 27, e nominò una commissione composta di cinque
membri del Circolo, a cui dirittamente furono porti i più estesi e
precisi ragguagli intorno agli avvenimenti in discorso.» — (_Frusta
Repubblicana_, 1 febbraio 1849.)
Quello che il Partito trionfante faceva e ordinava al Governo che
facesse, si ricava dalla _Costituente Italiana_ del 9 febbraio, organo,
come sappiamo, della Emigrazione armata, fra gli accesi accesissima
a precipitare lo Stato a Repubblica, per le ragioni chiarite in più
parti di questa Apologia. «Non lasciate ricadere il Paese in un fatale
letargo, non lasciate ch'ei si addormenti. Agitatelo, tenetene sempre
desta e viva la vita! In ogni momento colla parola, colla presenza,
cogli atti mantenetevi innanzi alla sua attenzione, ponetevi con
esso in continua, incessante comunicazione di spiriti e di idee!
Che da tutto e dovunque il Popolo conosca ch'ei non versa nelle
condizioni ordinarie, bensì tra vicende agitate e pericolose, e anzichè
cullarlo con facili lusinghe, gridategli sempre: all'erta! all'erta!
Rammentatevi l'artefice che ha bisogno di aver sempre rovente il ferro
per foggiarlo secondo la propria intenzione. Solo in questa intimità
tra il Popolo e voi, solo dentro a _quest'aura di rivoluzione_ e di
entusiasmo sono possibili le forti cose, a operare le quali oggi voi
foste chiamati.» Padroni di tutto, è da credersi che non si rimanessero
ai soli consigli commessi alle pagine infiammate del loro Giornale, ma
sì alle parole aggiungessero lo esempio.
Se nel primo giorno il Circolo fiorentino facesse forza, e poi, uditelo
un po' dal Giornale che ne registrava gli atti e i concetti: «Armi al
Circolo del Popolo, legione sacra che stette sempre al primo posto ogni
qualvolta occorse combattere i nemici del Paese, ogni qualvolta occorse
_spingere la bilancia delle nostre sorti che pendeva incerta_....»[279]
I vecchi consigli di _violentare_ il Governo praticavansi. —
Voi desumete prova che nei primi giorni non mi era dato oppormi
apertamente in nulla, dal rimprovero che mi muovono, il 15 febbraio,
«di non volere dichiarare la Repubblica, perchè la Repubblica bandisce
decaduto Leopoldo, e di ostare alla Unione con Roma per amore della
autonomia toscana, della quale _dieci giorni indietro vi mostravate
poco curante_.» Il giorno 8 mostrarsi poco curante era tutto quel più,
ed anche non senza molto pericolo, che potesse farsi.[280]
«Voi non volete dichiarare Repubblica, perchè la Repubblica dichiara
decaduto Leopoldo, e la decadenza di Leopoldo porterebbe intervento,
invasione, abbassamento di stemmi inglesi e francesi, e tutte le
diavolerie immaginabili.
Voi non volete per ora l'Unione con Roma, perchè l'Unione con Roma ci
toglie l'autonomia toscana, di cui oggi vi mostrate tanto passionati,
_quando dieci giorni fa ve ne mostravate non curanti_; e la distruzione
di autonomia importando infrazione dei trattati di Vienna, importerebbe
anch'essa intervento austriaco, invasione straniera e tutta la solita
litania. Ma dunque che cosa volete?» — (_Frusta repubblicana_, 15
febbraio 1849)
Gli Emigrati Lombardi amaramente mi rampognavano nel _14 febbraio_,
che da _sei_ giorni io non adémpia le grandi misure nè adoperi lo
impeto di azione che mi avevano _inculcato dalla prima ora della mia
chiamata al governo_. Consigli di gente armata, accesa di passione
politica, smaniosa di ricuperare la Patria, convinta profondamente che
per altra via non vi si ritorni, che sieno, dacchè l'Accusa non vuol
capire, capite voi tutti che leggete queste pagine, e vedete con quanta
giustizia di me si faccia lo _strazio disonesto_.
«_Sei giorni sono trascorsi_, e noi cercavamo indarno negli Atti del
Governo quella coscienza delle grandi misure, quello impeto di azione,
che _dalla prima ora della sua esistenza gli avevamo inculcato_.» —
(_Costituente Italiana_ del 16 febbraio 1849.)
E se l'Accusa volesse sapere quali ammonimenti mi dessero i Settarii,
e come facessero a fidanza, e se mi lasciassero libero, altro non
ha che fare, che leggere queste poche righe: «Fino dall'8 febbraio
abbiamo detto agli uomini che le speranze del Popolo avevano inalzato
al Governo: noi vi richiederemo conto strettissimo _giorno per giorno,
ora per ora, della opera vostra, e un minuto sprecato, è una colpa;
e noi conteremo i vostri minuti_.»[281] Vero è bene che chi scriveva
dichiarava essersene astenuto, e in quanto a sè forse non profferiva
bugia; però lo aveva fatto fare dalle Deputazioni incessanti dei
Circoli, e dagli Assembramenti popolari.
E se all'Accusa prendesse così per genio vaghezza di conoscere quale
potere i Giornali e i Circoli si fossero arrogato sul Governo, può, a
tempo avanzato, vederlo in queste parole: «Noi però abbiamo conservato
sopra _tutti i vostri atti_ un diritto e un dovere; il _dovere_ di
vegliare su di _voi_; il _diritto_ di _provvedere a noi_, se voi stessi
nol fate.»[282]
Oda un po' l'Accusa che cosa il Circolo del Popolo, onnipotente,
allora, intendesse istituita fino dal 10 febbraio; e neghi che se io
non ero, ella avrebbe veduto il Tribunale rivoluzionario, e feroce, e
insensato, e spietato, come.... come vediamo essere tutti i Tribunali
nei giorni dell'ira di Dio.
«Un Comitato straordinario di Salute Pubblica sia immediatamente
instituito. Sieno uomini provati a libertà, ad energia di cuore e
di mente; abbiano pieni i poteri; sia rapido, estremo il giudizio:
vigilino a vicenda il giorno e la notte; dispongano sempre di forze
determinate e sicure. Sia lor cura scuoprire le fila intricate e
lunghissime della reazione; e scoperte, con lo esempio della pena
prevengano colpe e pene ulteriori. _Tutto ciò noi domandiamo al Governo
Provvisorio di Toscana, — lo domandiamo col linguaggio della necessità,
con la coscienza ferma del diritto, con la volontà irremovibile del
Popolo libero_.» — (_Popolano_ dell'11 febbraio 1849.)
E che la Unione con Roma, e per conseguenza, la Monarchia abolita, il
Principe decaduto, la Repubblica proclamata, fossero non pure desiderii
o voti, ma _ordini imposti dalla Fazione trionfante, fino dal giorno
otto febbraio_, voi lo vedete a prova. «La Unione con Roma era per
noi condizione della esistenza del Governo Provvisorio fino dal giorno
_otto_ febbraio; fino dal giorno in cui il Popolo restituito nel pieno
possesso dei suoi diritti _rovesciava per sempre un ordine di cose
impossibile ormai_.» — (_Alba_, 25 febbraio 1849.)
«Ieri abbiam detto al Governo Provvisorio di Toscana diritti e doveri.
— Con franchezza gli abbiamo accennati: diremo con franchezza se
verranno compiti. — Una verità oggi ripetiamo, una suprema verità: — il
tempo preme, fate tesoro del tempo.
«Abbiam detto ieri _uniti con Roma_, — oggi diciamo _immediatamente
uniti_. I bisogni vincano le forme. — Cittadini! quando vi abbiamo
affidati poteri assoluti, abbiamo ad essi posto il suggello di una
_condizione: l'Unione con Roma_: avete accettati gli uni, avete dunque
accettata l'altra; compitela.
«Gli avvenimenti mutarono. La Repubblica Romana è proclamata. A
voi incombe inviare tosto un plenipotenziario che rechi il saluto e
l'omaggio di Toscana alla gloriosa sorella. A quest'ora l'avrete fatto:
se no, perchè il ritardo?
«L'Unione con Roma fu decretata, acclamata dal Popolo: restano a
stabilirla nodi di legalità: stringeteli.
«Trentasette Deputati erano già destinati alla Costituente nazionale.
Questi si raccolgano prima in Costituente Toscana, — compiano la
volontà del Popolo, sanzionino il patto di _Unione_, costituiscano lo
Stato della _Italia Centrale_. Poi vadano a Roma rappresentanti nostri
alla Costituente Italiana, e dal Campidoglio dettino a noi i decreti,
comunichino a noi le speranze e i bisogni.
«Ciò vi domanda il Popolo, — ciò _vuole il Popolo_. Poichè se dai
bisogni, dalle speranze e dai fatti fu il tempo prevenuto, l'opera deve
eguagliarlo non solo, ma superarlo eziandio. Meglio con l'opera d'oggi
affrettare il domani, anzichè affaticarci a ricostruire sui frantumi di
ieri.»[283]
E badate, che nè soli, nè più temibili erano i Lombardi, condotti
in parte dallo stesso Ministero Capponi, ma Napoletani, Romani, e
Romagnuoli crescevano l'ansietà, e la paura. Fino dall'_8 febbraio_
la Fazione organizzò una Legione _Romana_; nel _12_ del medesimo
mese ne apparecchiò un'altra; il Popolo anch'esso si armò: «Questa
sera una _nuova_ Legione di Romani sta organizzandosi per offerire i
suoi servigi al Governo. Anche il Circolo del Popolo sta _ordinandosi
in legione armata, per mettersi a disposizione delle autorità_.» E
mettersi a disposizione del Governo significava: attendesse a fare a
modo del Partito Repubblicano; se no, guai!
Che cosa si proponesse fino dall'_8 febbraio 1849_, e che cosa
_gridasse_ tutto il Circolo del Popolo in permanenza, lo si legge
nel Nº 16 febbraio del _Popolano_: «Nell'adunanza di ieri sera il
Circolo del Popolo fu invitato da un socio a _ripetere con solenne
dichiarazione quello che fino dal dì 8 febbraio era stato nel cuore
e nel grido di tutti_: la decadenza del Despota, e l'abolizione della
Monarchia.»
«Qual bisogno ha oggi la Toscana di rimettere ad una Assemblea la
decisione di un voto, il quale _fu già deciso dal Popolo?_... Il
Popolo ha già deciso di essere unito con Roma, e Roma ha proclamato la
Repubblica _il giorno stesso di tale decisione_.» — (_Popolano_ del 15
febbraio 1849.)
E fino da Roma venivano le congratulazioni al Giornalismo toscano
per avere _insistito_ presso il Governo Provvisorio affinchè
indissolubilmente si unisse con Roma. Altrove notammo, e qui giovi
ripetere, Giornalismo di partito trionfante, che sia; e che cosa
importassero le parole e le insistenze della Emigrazione Lombarda
organizzata a corpo militare, e del Circolo armato.
Di buon grado riproduciamo le seguenti osservazioni del Giornale romano
l'_Epoca_ intorno alla pronta Unione della Toscana agli Stati Romani:
«Noi facciamo plauso al Giornalismo liberale di Toscana, il _quale
fin dal giorno di partenza del Granduca Leopoldo insistè presso il
Governo Provvisorio, perchè si unisse subitamente e indissolubilmente
col Governo della Costituente Romana. E questo fatto, se così vogliam
chiamarlo, questo diritto, se meglio intendiamo di esprimerlo, era
implicito nel mandato consegnato dal Popolo ai tre rappresentanti del
Governo Provvisorio medesimo_....
«La Toscana in qual senso potrebbe ella adunare la sua Costituente? O
a meglio dire, cosa potrebbe decidere questa Costituente che nel fatto
non sia già deciso? O ella sceglie il Governo di Roma per effettuare
la sua Unione; ed allora una parola, un atto fraterno non basta nei
momenti attuali di tanta vitalità? O ella recede dalla Repubblica....
e in qual modo tanto trionfo avrebbe ottenuto colà il principio
democratico?
«No, non è possibile giammai. La Toscana è democratica, è repubblicana,
e non da adesso. Lo è per tradizioni, lo è per sentimento. — Coraggio,
uomini del potere! Tempo è di unione e di concordia _una_. Affrettando
la fusione dei popoli delle due famiglie, voi affretterete la
_Costituente italiana e la Guerra_.» — (La _Costituente Italiana_, 19
febbraio 1849.)
In quel medesimo giorno istituiscono Circoli parrocchiali per
agire di concerto col Circolo generale: «E per accendere lo spirito
pubblico, fu notato non essere via migliore che istituire subito, in
ogni Parrocchia, Circoli parrocchiali da agire tutti di concerto col
Circolo generale del Popolo fiorentino.»[284] Sicchè nel giorno 10
poterono armarsi i Faziosi in centurie per _istimolarmi_, dicevano
essi; ma in fatti per dominare tiranni. «La mattina di sabato (10)
fu vero scopo d'eseguire immediatamente la ordinata classazione in
centurie e decurie, e _di stimolare il Governo a volere lo armamento
dei patriotti italiani_. Fin d'allora fu aperto nel suo seno un corpo
di guardia fisso, ove furono tenute esposte note di soscrizione per
tutti i patriotti che, nei pericoli della patria, volessero impugnare
le armi. Il sabato sera il Circolo era diviso in due parti: _una
parte discuteva, l'altra era sotto le armi_.... Il Circolo e il corpo
di guardia _non si sono più chiusi. L'azione del Circolo ha dato un
moto alla popolazione_, che oggi è accorsa in folla a sottoporsi alle
armi per sicurezza dell'ordine pubblico.... Tutti i Fiorentini in
armonia hanno oggi mostrato che il Popolo poteva sfidare qualunque
pericolo.»[285]
La continua guardia, la indefessa pressura si prova dai Documenti
stessi dell'Accusa: «Fino dal _5 febbraio_ il Circolo fiorentino si
è costituito in permanenza, ed ha creato una Commissione perchè _stia
in continua corrispondenza col Ministero_.»[286] — Gl'inquisitori non
si staccavano mai dal fianco, ordinavano, investigavano, riferivano,
sospettosi sempre, pronti all'accusa.
Dal Circolo armato la città, in cotesti giorni, si perlustrava. «La
perlustrazione della città non era neppure trascurata.»[287] e coteste
armi sbigottimento e terrore nei cittadini incutevano, cosicchè al
Governo, smarriti, si raccomandavano esigendo misure che avrebbero
precipitato alla rovina, condizioni già piene di difficoltà, dalle
quali, se prudenza e senno non giovavano a salvare, niente altro
poteva. Pretesto a parecchi, motivo vero in molti di quel tremendo
ribollire, era trovare modo efficace di combattere la guerra italiana;
perciò tanto più arduo contrastarli, quanto meglio ne appariva lo
scopo all'universale accettissimo; e nella seduta dell'11 febbraio,
nel Circolo Popolare si dichiarava che: «.... la divisione dell'Italia
avendo fatto finora il nostro infortunio, anche nell'ultima guerra
di Lombardia contro gli Austriaci, la sola unione di tutte le forze
italiane in un solo Governo, può scacciare il nemico straniero di seno
alla patria. — I Principi non sono stati da tanto. L'Italia unita
sola il potrà. — Nè a ciò poter recare impedimento, notavano alcuni
degnissimi sacerdoti, le minaccianti scomuniche di Pio IX.»[288]
Nè il Circolo fiorentino si contentava, _fino dai primi giorni
del febbraio_, raccogliere le proprie forze, ma eziandio riuniva
quelle degli altri Circoli per _difendere l'ordine repubblicano_;
il che agevolmente s'intende per imporre la Repubblica. «Il Circolo
armato non potea fare a meno di ricercare agli altri Circoli, nel
presente stato di cose, il numero di quelli Italiani, che, socii
o non socii, fossero pronti a porgere il loro braccio alla _difesa
dell'ordine repubblicano_. Il perchè fu ordinato di tosto scrivere in
proposito.»[289]
E grande fu e penoso lo schermirsi dalle pretensioni di tôrre via i
beni e i tesori sacri alle chiese, sopprimere gli ordini cavallereschi,
e incamerarne la sostanza. Di ciò tu trovi traccia nei Giornali,
fievolissimo eco di quanto a voce burbanzosamente ordinavano:
«_Secolarizzati tutti i beni ecclesiastici_. Il monacume è tempo ormai
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