Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 42
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del 23 di Novara. Riarse la rabbia dei Repubblicani; ma oggimai credevo
di avere raccolto forze abbastanza per resistere con profitto. Sebbene
non mi fosse riuscito ad allontanare, per virtù di voto, i non Toscani
dall'Assemblea, — nè per ingegno, pubblicando sul _Monitore_ la lettera
del Generale D'Apice. — pure, mercè le pratiche indefesse, era giunto
il Governo ad acquistare una maggiorità al Partito Costituzionale.[572]
Venuto alle strette co' Colleghi, Montanelli domandava allontanarsi,
diviso fra la evidenza dei fatti e il dolore di dovere renunziare
alle visioni dello entusiasmo; Mazzoni, proseguendo nella sua fede,
nonostante i fatti nemici, passa fra gli oppositori del Governo.
Nella notte del 27 al 28 fu proposta all'Assemblea la elezione di un
Capo provvisorio al Potere Esecutivo per curare specialmente le cose
della guerra. — Non era presente il Popolo, mancavano gli stenografi;
ma vivono i Deputati presenti, i quali attesteranno le ingiurie
atrocissime avventate contro di me dal Partito Repubblicano. Non
mancarono accuse aperte di trame ordite per operare la Restaurazione
del Principato; nome e sostanza del tradimento dichiararono.
Montanelli sorse a difendermi sostenendo, che egli rispondeva per me,
e prometteva, che io senza il consenso dell'Assemblea non avrei con
violenza imposta forma governativa allo Stato, _e veramente io pensava
fare così_. Ma le ingiurie repubblicane siffattamente mi commossero,
che ricusai ostinatissimo lunga ora il carico commesso. _I preghi
urgenti, continui, a ributtare impossibili, dei Deputati Costituzionali
formanti la maggiorità, e dell'egregio Presidente Taddei; le rampogne
oltre modo passionate, e veementi degli amici, che, dopo avere tanto
fatto pel Paese, vinto da sdegno lo abbandonassi nel supremo pericolo_;
— e soprattutto la paura di commettere cosa vile, dopo spazio, forse
troppo, di tempo, mi piegarono. Nel _Monitore_ del 28 marzo è riportato
il Decreto dell'Assemblea, che dichiara:
«L'Assemblea Costituente Toscana nella notte de' 27 al 28 marzo 1849 ha
deliberato quanto appresso:
«Art. 1. Che sia immediatamente ricostituito un Potere Esecutivo
provvisorio.
«Art. 2. Che questo Potere Esecutivo sia conferito ad una sola persona.
«Che il Cittadino Deputato F. D. Guerrazzi sia rivestito del Potere
Esecutivo anzidetto.
«Che questo Potere abbia facoltà straordinarie per provvedere ai
bisogni della guerra e alla salvezza della Patria, e che queste facoltà
continueranno in esso, finchè ne durerà la necessità.»
Nel No del 29 successivo si legge il mio Proclama, il quale stampato a
pagine 220 di questa _Apologia_, in nota, rende testimonianza manifesta
del _mio forte rifiutare_, e del _pauroso quanto esiziale sospettare_
dei Repubblicani, che i pieni poteri io adoperassi per restaurare
_violentemente il Governo Costituzionale_.
Malgrado le mio promesse, o fosse diffidenza di me, o le suggestioni
calorose che venivano da Roma, le quali accertavano dei soccorsi
inglesi e francesi, solo che trovassero il Paese costituito a
determinato reggimento, esporrò brevemente quello che per loro si
tentasse.
A ben significare le scosse che camminando pel dirotto sentiero io
pativa, non meno che la necessità delle dichiarazioni vie via emesse
come scudo a riparare me ed altrui dal flagello delle lingue dolose,
importa riprendere e proseguire la serie delle calunnie di traditore,
che copertamenie o scopertamente i Settarii andavano insinuando contro
di me. Quando pensai cavare di Livorno la Guardia Municipale livornese
sostituendole parte della fiorentina, mentre i Faziosi Reazionarii
davano ad intendere in Firenze che io chiamava i Livornesi per
formarmene un corpo di Pretoriani, i Faziosi Repubblicani a Livorno
dicevano che io vi mandavo a opprimere la Libertà; ed allorchè,
consigliando il Colonnello Tommi, il reggimento del Colonnello Reghini
s'indirizzava a Livorno, secondo che ho esposto a pag. 373 di questa
Apologia, con Dispaccio del 9 marzo eravamo avvisati: «ad arte essersi
sparso fra il Popolo che il Comandante era incaricato di fare fuoco sul
Popolo, come già dicevasi aveva fatto sul Popolo Pistoiese.»
Nel 17 marzo 1849 si fa credere a Livorno, che io tramo di consegnare
la Toscana al Piemonte; a parare la insidia scrivo a Livorno, e induco
Montanelli ad accompagnare con la sua firma (poichè in lui riponevano
fede i Settarii) il Dispaccio del medesimo dì inviato al Governatore:
«Al Governatore di Livorno.
«Scrive il signor Demi, che si sparge voce come noi vogliamo consegnare
la Toscana al Piemonte. Quantunque noi crediamo che queste voci non
sussistano, pure vi autorizziamo a dichiarare, che il Governo crede,
e lo ha detto, che la Unione con Roma sarà proclamata come necessità.
Guardatevi dalle mene dei nemici, che si vestono in ogni maniera per
guastare la santa impresa.
«GUERRAZZI. — MONTANELLI.»
L'Accusa s'impadronisce di cotesto Dispaccio, e intende ritenerlo
per dimostrazione di animo: come se all'uomo politico posto a duro
partito non deva nè anche essere concesso con parole schermirsi. Le
quali parole poi, in confronto delle opere, spariscono; e considerate
tritamente, non esprimono cosa che valga: però che la opinione di un
fatto deva cedere davanti alla evidenza del fatto contrario.
Ma io potrei dire di più, se non mi ritenesse _la reverenza delle
somme chiavi_; potrei dire, che prima di accusare uno scritto, hassi a
conoscere la lingua nella quale e' fu dettato; e se la non si conosce,
allora tutte le Procedure ammaestrano ricorrere al Dragomanno. L'Accusa
pensa che la parola _Unione_ spieghi il rimescolare di due cose, per
modo che vengano a formare uno impasto solo; ed anche qui l'Accusa
s'inganna. Altro è _unire_, ed altro _unificare_; _unire_ significa, in
lingua italiana (che nei tempi antichi si chiamava fiorentina, perchè
sapevano parlare e scrivere egregiamente in Firenze tutti, compresi
anche Giudici), congiungere due cose in guisa che ognuna ritenga la
propria specialità: _unificare_ importa ridurre due cose ad unità per
modo, che, ognuna di loro perdendo la propria specialità, compongano
un tutto. Dove l'Accusa obiettasse che sono queste sottigliezze
filologiche, e che le parole voglionsi intendere pel senso politico,
che il tempo loro partecipa, nemmeno avrebbe ragione. Di ciò gli
faccia testimonianza primieramente il Farini, che io qui le richiamo
alla memoria: «Il Mazzini era giunto (in Toscana) il dì stesso che il
Granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con grande festa.
Egli si era dato a predicare la _Unificazione_ con Roma, che non voleva
chiamare _Fusione_, parola a lui ed ai suoi esosa, la quale voleva
dire lo stesso...... ma il Guerrazzi non voleva la _Unificazione_
ec.»[573] Più espresso poi il _Conciliatore_: «Colla parola _Unione_
intendemmo sempre stabilire un vincolo di federazione negl'interessi
politici, militari e commerciali, dei varii Stati d'Italia.»[574] E
poco oltre: «Quindi o si parla di _Unione_, e noi diciamo: si proclami
pure la Unione con Roma, ma si proclami al tempo stesso la Unione
col Piemonte.» Nella Seduta del 29 marzo 1849 il proponente la Legge
che aveva in iscopo la _confusione_ degli Stati Romano e Toscano, non
riputando la sola parola _Unione_ esprimesse il suo concetto, la chiamò
Legge per la _Unione assoluta con Roma_. Per le quali spiegazioni
filologiche e politiche, io vorrei che si persuadesse l'Accusa potersi
desiderare la _Unione_ degli Stati Italiani senza bisogno ch'ella
scappasse fuori con una Requisitoria di _Lesa Maestà_.
L'Accusa sa, o dovrebbe sapere, poichè nel suo Volume lo registra
a pagine 828, come io, favellando nel 12 febbraio dalla terrazza di
Palazzo Vecchio al Popolo ragunato per piantare l'Albero, dicessi, che
_forse_ cotesto atto di _unirsi_ con Roma sarebbe stato consentito
da tutta Toscana; per ora essere _prepotenza_ che le presumevano
imporre: — donde era agevole quanto onesto dedurre, anche senza porre
mente ai successi del tempo, che una legge suprema costringeva ad
usare cosiffatti ripari. Nel _Popolano_ del 18 marzo abbiamo veduto
appormi alla scoperta l'accusa di tradimento, e tradimento con
tremanti labbra i Settarii fremevano, e tradimento ogni ora nelle
oscure carte stampavano. Ad ogni caso inopinato, non solo in Firenze
ma nelle Provincie si gridava: tradimento.[575] Tradimento per Novara,
tradimento per Genova. Nel 29 marzo a Lucca, a Pisa e a Pescia spargono
la voce essere io partito per Gaeta a prendere il Granduca,[576] con
altre più strane novelle, — e trovano fede;[577] quindi la necessità
di stampare nel _Monitore_ del 30 marzo la Nota seguente, ma senza
pro: «Siamo autorizzati a smentire la voce che si va spargendo dello
invio, per la parte del Governo, di una Deputazione a Gaeta.» L'Accusa
non manca di acciuffare cotesto avviso; lo separa dalle circostanze
che conosce accompagnarlo (anzi le sopprime), lo appunta, lo arruota,
lo affila, e me lo scaglia addosso, come se spontaneo egli fosse,
e pubblicato solo per vaghezza di mostrarmi avverso al Granduca. Se
questa sia fede, conosca il Paese intero, e giudichi; e se a tale siamo
noi che possano per esercizio lodevole di professione usarsi arti, che
nel cittadino si rimprovererebbero come iniquissime, io incomincierò a
dubitare davvero, se la vita salvatica debba anteporsi a questo tanto
commendato nostro civile consorzio.
Nel 1º aprile i Settarii, i quali si affaticavano a screditarmi presso
lo universale, insinuando che, se avversavo la Repubblica, già non
intendevo a questo per amore che portassi al Paese, bensì per turpe
interesse, e per cagione di accordi già stabiliti col Principe,
ordiscono fra loro di muovermene improvvisa domanda; avvisato per
tempo, entrando all'Assemblea, preoccupo il passo e distruggo lo
artifizio, dicendo: «Domando la parola per un fatto personale. Innanzi
che io mi recassi in seno di questa onorevole Assemblea, ho appreso
come qualche Deputato ha proposto all'Assemblea stessa di fare una
interpellazione al Potere Esecutivo sopra la verità del supposto
invio di una Deputazione o che altro di simile a Gaeta, per ricondurre
quaggiù il fuggitivo nostro Principe. Debbo dichiarare che una simile
domanda è tanto trista per chi la fa, quanto è stupida per chi la
crede.»
Si levarono voci minaccievoli; di grida, di gesti rabbiosi non fu
penuria, ma per quel giorno squarciai la male composta trama. Intanto,
mentre in mezzo al fortunoso mareggiare di Fazioni smanianti la
mia fama preservo e la mia vita, del combattuto potere mi valgo a
difendere pertinacemente l'Assemblea dagli estremi conati della Setta,
promulgando il Proclama del 1º aprile 1849 già riportato a pag. 579-580
di questa _Apologia_.
Me ne valgo per richiamare l'Arcivescovo, e per resistere alle
crescenti e continue calunnie. L'Accusa rammenta e adopera contro me,
come subietto di Accusa, la dichiarazione del 5 aprile, che io con
tutti i Ministri firmai; ma non ricorda o non sa del cartello mantenuto
affisso, dopo il 3 aprile, all'Albero su la Piazza del Duomo; non sa o
non ricorda la congiura allo scopo di tôrmi di mezzo come traditore che
ha venduto Patria e coscienza; non ricorda, e si dovrebbe rammentare
come in piena Assemblea mi rinfacciassero nel 3 aprile di apparecchiare
le feste della Restaurazione con i due milioni stanziati per le spese
della guerra; non si ricorda, e lo dovrebbe sapere, che a motivo dei
veementi sospetti nella deliberazione dell'Assemblea Costituente fu
apposto il vincolo solenne di non risolvere intorno alle sorti della
Toscana senza il concorso e l'annuenza dell'Assemblea, a pena di
nullità, e di essere punito come traditore della Patria. Crescendo
pertanto il perseguire infestissimo, irrequieto, dei Settarii, per
tutela di vita, e per condurre a compimento il concepito disegno, feci
e consigliai gli altri a fare la dichiarazione seguente:
«Il Capo del Potere Esecutivo e il Ministero dichiarano sopra l'anima e
onore loro, essere calunnioso, che per essi siasi operato o si operi,
direttamente o indirettamente, pratica, trattato, insinuazione, ed
anche principio alcuno o preliminare di proposta, parlato o scritto,
tendente alla Restaurazione in Toscana della Dinastia della Casa
di Lorena. Il Potere Esecutivo sente e ricorda l'ordine imposto
dall'Assemblea, e l'obbligo da sè medesimo assunto, che non si possa
in verun modo mutare la forma politica della Patria nostra senza
consultare l'Assemblea Costituente. — Firenze, 5 aprile 1849.»
Dei firmati, ne fecero colpa allo egregio amico P. A. Adami; e
questi non tacque averla sottoscritta, perchè la conobbe provvidenza
necessaria a salvarmi e a salvarsi da pericolo imminentissimo; e fu
reputato sincero: così che la porta del carcere gli venne dischiusa;
— certo non avranno ommesso di rampognare il defunto Colonnello
Manganaro, uomo di molta virtù; ma egli sembra che avesse la fortuna,
la quale a me non arrise finora, di trovare orecchie alla persuasione
non disperatamente impenetrabili, conciossiachè i giorni che visse
ultimi della vita onorata non gli furono fatti amari con lo squallore
del carcere infame.[578]
La Seduta del 29 marzo si apre con le dimostrazioni del Partito
Repubblicano avverse al voto della notte del 28: voglionsi pubblicati
i nomi dei consenzienti e dei dissidenti, per esporli alla popolare
indignazione. Il Deputato Manganaro[579] contradice la proposta, ma
dichiara: «Frattanto ho _il coraggio_ di asserire, che io votai per il
Potere Esecutivo conferito al Cittadino Guerrazzi; _e nulla temo avere
opinato_ in tal modo.» Così eravamo arrivati a tal punto col Partito
Repubblicano, che era _pericolo_ procedermi amico, e per dichiararlo vi
abbisognava _coraggio_; e questo avrebbe dovuto avvertire chi giudica.
Un Deputato propone la Legge di cui lo scopo è la _Unione assoluta
con Roma_, e però implicitamente la dichiarazione della Repubblica
e la decadenza del Principe. Nella Seduta del 30 marzo il Deputato
Marinelli riassume la interpellazione mossa nel 29 dal Deputato Giotti
per sapere da me se avessi mandato _una Deputazione a Gaeta_: intende
che vi risponda pubblicamente, _perchè simile notizia si va insinuando
fra il Popolo_! Altri v'insiste. Lo scopo di questa interpellazione
era di diffidare sul mio contegno i Repubblicani fanatici, e spingerli
a qualche estremità. A me parve necessario riparare alla insidia,
dichiarando a voce e in iscritto, non essere vero, sì perchè lo invio
della Deputazione a Gaeta fosse veramente menzogna, sì perchè, come
altrove ho detto e qui ripeto, e di ripetere mi giova, volevo condurre
con la persuasione i dissidenti ad aderire alla Restaurazione; non
già per via di trame, nè per violenza, o per basso motivo di privato
interesse. — Il Deputato Venturucci troppo presto avventura la
proposta: «Gettiamo uno sguardo sopra gli avvenimenti che occasionarono
la esistenza di questa Assemblea. Mancò uno dei Poteri; il Governo si
trovò incompleto; fu interrogato con suffragio universale il Paese come
intendeva provvedere al suo avvenire. Ebbene! Ora non possiamo, che
rispondere: il Paese, di cui siamo i Rappresentanti, accetta la Carta
del 1848. Così avremo una Costituzione concessa, ma consentita. Noi non
avremo fatto una Rivoluzione, saremo in terreno legale, o _almeno la
Rivoluzione non sarà colpa nostra_. Non nasceranno interni dissidii,
si eviteranno gli esterni nemici, avremo serbato le nostre forze per
un migliore avvenire, e daremo il nobile esempio, giusta la sentenza
di Sallustio, di avere voluto seguire la ragione piuttosto che la
fantasia.»
Questo era il concetto del Rappresentante del Potere Esecutivo. Ma
Venturucci col suo affrettarsi indisciplinato l'ebbe a mettere in
repentaglio gravissimo.[580] — Si levarono grida di disapprovazione,
nelle tribune alte in ispecie. Un Deputato del Partito contrario
obietta la proposta di dichiarare l'Assemblea solidale della
Rivoluzione. Un altro afferma che l'Assemblea ha ricevuto mandato
ristretto dal Popolo, vale a dire determinato a proclamare la
Repubblica e la Unione con Roma. — Dannata sentenza era questa,
imperciocchè con siffatto mandato imperativo non faceva mestieri
discussione, e l'adunanza compariva simulacro inane.
Il Deputato Nespoli, ad evitare che il partito Busi fosse approvato
per acclamazione, fa la proposta che prima si provveda al modo di
resistere; penseremo dopo alla forma del Governo. Venturucci protesta
contro qualunque voto per acclamazione; Nespoli gagliardamente
lo appoggia; Palmi nota, che il proponimento della patria difesa
votato dall'Assemblea è nullo, se non venga seguíto dallo effetto;
per conoscere questo, bisogna consultare il Popolo intero; e quindi
propone lo invio di Commissarii in provincia. Turchetti si unisce a
questi oratori, concludendo perchè il voto nella quistione agitata si
sospendesse. Questi tutti formavano parte della maggiorità creata dal
Governo, ma _andavano disseminando, e anche anticipando incautamente_
i varii partiti discorsi nelle conferenze: invero i Repubblicani,
prevalendosi di cotesta sconnessità, si sforzano a far discutere
il partito Busi come pregiudiciale. Turchetti, e principalmente il
Deputato Sestini che muove dubbio se possa deliberarsi così grave
negozio, senza il concorso dei 120 Deputati, vengono derisi. I
Settarii, sparsi nelle tribune alte, prorompono in grida di minaccia.
La più parte dei Costituzionali balena. Fu allora che io, domandata
la parola, uscii in quella proposta, di cui, elogiando così, faceva
la storia il _Conciliatore_ del 1º aprile 1849: «Alle parole degli
opponenti alla _fusione immediata_ con Roma strepitando le tribune,
e togliendo così ai Deputati la libertà delle loro opinioni, il
deputato Guerrazzi si è alzato, e rivoltosi con _nobile fierezza_ al
Presidente della Camera, disse: _Signor Presidente, io domando che
sia a me data la forza di cui ella dispone; ed io come capo del Potere
Esecutivo andrò a fare sgombrare le tribune a tutti questi scellerati
ed iniqui perturbatori._ Queste parole sono state accolte co' più vivi
applausi.»[581]
I Deputati della maggiorità, e il Popolo non educato dal Circolo,
m'interruppero con applausi di conforto. Palmi e Venturucci, ripreso
coraggio, orano per la sospensione del partito Busi, fino a mutate
condizioni politiche. Modena, e altri Deputati, conflittano la
sospensione, e intendono si deliberi sopra la Unione, e subito. Si
va ai voti. Sessantasei Deputati si trovano presenti: 42 votano pel
Governo, 24 per la parte repubblicana. La maggiorità governativa
sommava quasi a due terzi.
Quanto è vero dunque ciò che afferma l'Accusa, che io avversassi la
Repubblica, solo per farla proclamare dall'Assemblea? Gl'idi di marzo
erano venuti; dunque perchè non la feci dichiarare, non la favorii
io? Anzi, perchè l'avversai? — La notizia della disfatta novarese ti
aveva sopito nell'animo il genio repubblicano, — oppone l'Accusa; ma
io ripeto che nel 25 marzo questa mai sempre dolente novella non era
arrivata, anzi in quel giorno inebbriava, piena nel suo bel fiore, la
speranza.
I Repubblicani, secondo che vedevano inclinare le cose alla
restaurazione dello Statuto, s'inviperivano a sospingere il Paese
nella Repubblica. Urgeva contenerli, e affrettarmi a sgombrare le
vie, affinchè il voto universale, nelle vicende che precipitavano, si
manifestasse solenne e trionfante: a questo intento mando Montanelli,
che lo chiedeva, in Francia; pubblico il Proclama del 1º aprile, e
alla fine dichiaro non potersi provvedere alla salute della patria: 1º
Se non si proroghi l'Assemblea, con obbligo nel Potere Esecutivo di
non risolvere intorno alle sorti del Paese senza consultarla; 2º Si
sospenda ogni questione intorno alla forma del Governo; 3º Rimangano
i Deputati a Firenze per condursi, a richiesta del Capo del Potere
Esecutivo, in qualità di Commissarii per la guerra nelle Provincie, o
_sovvenirlo in altra maniera_.
Prima che per me si manifesti il motivo di cosiffatta proposta, vedasi
come l'accogliessero i Repubblicani. Essi tornano passionatamente su le
cose decise, — perchè, come il Popolo avrà coraggio, essi dicevano, per
prendere le armi, se l'Assemblea non l'ha per proclamare la Repubblica?
— I Settarii fremono nelle tribune; il Deputato Del Sarto procura
placarli con accomodate parole, ma cresce il rumore. Il Deputato
Manganaro valorosamente dichiara: «Che Popolo e non Popolo? Nessuno
ha diritto di chiamarsi Popolo nel nostro cospetto. _È una frazione
del Popolo che ce ne vorrebbe imporre._ Noi soli, eletti dal suffragio
universale, possiamo parlare in nome del Popolo, e provvedere alla
salute di lui.»
Il tumulto a queste parole scoppia per modo violento e scandaloso,
che il Ministro dello Interno dichiara: la dignità dei Ministri non
consentire che rimanessero. _Biondi esclama che i Deputati avranno
il coraggio di morire; e nessuno abbandoni il posto_ (e questo si
chiama sapere sostenere le parti di Deputato). Turchetti corre a dare
ordini per isgombrare le tribune. Il Ministro dello Interno grida al
Presidente: «Io le ho mandato 180 uomini, che ne fa ella?»
Nel 3 aprile si tornò a discutere intorno alla mia proposta. Il
Deputato Pigli, sempre nello intento d'indurre l'Assemblea a riporsi
dalle cose decise, si oppone che il partito del Capo del Potere
Esecutivo venga preso in considerazione, finchè non sia decretato
intorno alla forma di reggimento: egli vota per la Repubblica. «Il
Partito Repubblicano» prosegue l'oratore «dicono poco numeroso in
Toscana: _gli uomini si pesano, non si contano_. Gli uomini della
Rivoluzione vincono con la Rivoluzione. Prudenza e opportunità
essere istrumenti da tiranni. Voi dite non vedere il Popolo invaso
da entusiasmo; e sia: ma dovete dirmi, che _avete fatto tutto per
eccitarlo_, che _tutto avete fatto perchè non andasse spento e
distrutto_. I principi sono fuggiti, _i troni sono restati_. Voi
chiamate il Popolo a difendere le frontiere, _ma non gli date armi, nè
danaro e divise_. Volete che il Popolo risponda davvero? proclamate
la Repubblica.» Protesta contro le parole del Deputato Venturucci,
che dichiarò la _Toscana soddisfatta dello Statuto del 1848_. Così, a
sentire il Pigli, la Repubblica era _di Elena il nepente_, che avrebbe
somministrato non solo uomini, ma danari, armi, cannoni e cavalli,
_anche quando il Governo non gli avesse somministrati_; ed egli
ignorava quello, che altrove ho narrato, che richiesto dai Repubblicani
Romani a mandare a Bologna per instituirvi una Commissione di reciproca
difesa, vi aveva spedito Manganaro e Araldi, i quali, _poichè ebbero
atteso più giorni indarno_, si ridussero non so se più sconfortati,
o incolleriti, per non avere potuto vedere in faccia un Commissario
Romano!!![582]
Le opinioni di Carlo Pigli udivo, in quei tempi, andare su le
bocche degli uomini accesi da inestimabile entusiasmo, ed anche
oggi leggo ripetute nei libri che essi stampano. La dura esperienza
dovrebbe averli sgannati; ma non è così. Io ho sempre tenuto come
perniciosissima la invasione della fantasia nel dominio della ragione;
e tanto le volli anche materialmente separate, che, in casa mia (quando
la ebbi!), tenni due stanze: in una delle quali scriveva quanto mi
dettava la immaginazione, e in un'altra trattava negozii. La Repubblica
è una voce; niente più, niente meno; nè le voci a un tratto, meno
quelle di Dio, operano prodigii. In quanto a spirito pubblico, non
vogliono intendere i Repubblicani che essi non operarono rivoluzione
in Toscana, ma andarono oltre perchè trovarono sgombra la via; se il
Principe teneva fermo, il Partito Repubblicano non avrebbe allora mai,
nè anche un momento, prevalso; e in quanto agli ordini militari, ci
vogliono tempo, concordia e sapere. Le armi, i danari, e le assise non
difettavano; mancavano chi le volesse e sapesse maneggiare e vestire;
e le cose affermate in questo proposito, a carico del Governo, erano
sfrontatezze, e niente altro. Deh! non ci nuoccia perpetuamente la
nostra matta prosunzione; e di più non dico.
A Pigli subentra il Deputato Mazzoni; egli pone essere stata
intendimento universale la Repubblica; venire tardi i consigli della
paura. Il Popolo avere conferito ai Deputati mandato imperativo. Adesso
trattarsi di Repubblica, o di Restaurazione. Per richiamare il Principe
Costituzionale, mancare l'Assemblea di facoltà. — Si obietta il Popolo
restío allo appello del Governo; l'Assemblea faccia il suo dovere:
se il Popolo non farà il suo, peggio per lui. La proposta del Potere
Esecutivo non somministrare veruno vantaggio, anzi recare danno. Con la
Restaurazione non può trattare l'Assemblea.
Il Deputato Mazzoni erra manifestamente su la natura del mandato,
il quale era impressionato dalla formula proposta dal Decreto del 6
marzo: _se, e come Toscana deva unirsi a Roma_. Aveva ragione trattarsi
adesso di Repubblica o di Restaurazione; non aveva ragione a credere
i Deputati propensi alla Repubblica prima dello infortunio novarese,
mutati dopo; perchè prima di allora erasi dato opera ad agitare fra
i Deputati i concetti, che verrò esponendo. Rigidi i suoi principii,
non giusti. E quando anche veri e giusti, vi ha qualche cosa nel
mondo, davanti alla quale ha da cedere il rigore del raziocinio, ed
è la carità della Patria. Perano piuttosto venti sillogismi, che un
uomo solo! La carità del luogo natío persuade a procurare al Popolo
il maggior bene possibile anche a carico della propria reputazione.
Pur troppo col Deputato Mazzoni, uomo d'altronde per integrità di
vita santissimo, procedevo diverso. Questo motivo mi costrinse a non
partecipargli i miei consigli: sarebbe stato lo stesso che persuadere
il David di Michelangiolo. Propugnarono pel concetto repubblicano
i Deputati Modena, Bichi, Giotti, Menichelli, Vannucci, Trinci
Bartolommeo, Cipriani; lo avversarono i Deputati Carrara, Palmi,
Micciarelli, e Socci. Gli oratori favorevoli al Governo, e contrarii
alla immediata proclamazione della Repubblica, vennero vilmente
oltraggiati dal Popolo tuttora parteggiante pei Circoli. Più volte fu
ordinato lo arresto dei perturbatori, e lo sgombro delle tribune.
Pigli, per confondere le cose e ritardare la votazione, dichiara
volere interpellare il Governo: non gli riesce, e si passa ai voti.
Quarantatrè sono per la sospensione, 29 contro; il Deputato Taddei si
astiene dal votare perchè non aveva assistito alla discussione.
La parte del Governo in questo nuovo sperimento acquista un voto,
quella dei Repubblicani cinque; _e ciò perchè il Partito dei pretesi
ortodossi costituzionali di Firenze, invece di venire a rafforzare il
nostro concetto, disertava la causa; e non fu bene_.
I Repubblicani dell'Assemblea non si sgomentarono per questo,
ed insisterono perchè le interpellazioni del Deputato Pigli si
ammettessero: il Ministero o il Capo del Potere Esecutivo vi
rispondessero pubblicamente. Io pure gli avevo _più volte_ nei giorni
antecedenti, ed anche poche ore avanti, ragguagliati con coscienza di
quanto volevano adesso sapere di nuovo.[583] Ora perchè questo? Non
senza astuzia era il trovato. Il Ministero repugnerà, essi pensavano,
per prudenza a manifestare le condizioni nostre di fronte alle Potenze
estere, e, per pudore della Patria, la fiacchezza dei Toscani; allora
scompariranno le cause della oppugnata proclamazione della Repubblica,
e discutendo gli articoli potrà essere rigettata la Legge proposta dal
Potere Esecutivo. Ultimo tentativo per l'agognata Repubblica. Essi
s'ingannarono; i Ministri Marmocchi e Mordini risposero in modo da
tôrre loro ogni baldanza. Quivi Marmocchi non dubitò di posporre tutto
alla verità, e dichiarò pochi i Repubblicani, contrario lo spirito
del Paese a cotesta forma di Governo, arduo eccitare i Popoli alla
difesa delle frontiere; allegò fatti, confermò la sua sentenza con
raziocinii. Il Ministro degli Esteri _smentì i conforti di Francia
e d'Inghilterra asseriti falsamente dal signor Rusconi_. Il Deputato
Pigli comprendendo quanta e quale impressione avrebbero fatto coteste
solenni dichiarazioni nell'universale, dopo averle provocate, si
oppose perchè fossero pubblicate; — e così presumono illuminare
il Popolo, e servire agl'interessi di lui! Questi paionmi, e sono
tranelli di Settario, non concetti, non ispiriti di uomo di Stato. Ai
di avere raccolto forze abbastanza per resistere con profitto. Sebbene
non mi fosse riuscito ad allontanare, per virtù di voto, i non Toscani
dall'Assemblea, — nè per ingegno, pubblicando sul _Monitore_ la lettera
del Generale D'Apice. — pure, mercè le pratiche indefesse, era giunto
il Governo ad acquistare una maggiorità al Partito Costituzionale.[572]
Venuto alle strette co' Colleghi, Montanelli domandava allontanarsi,
diviso fra la evidenza dei fatti e il dolore di dovere renunziare
alle visioni dello entusiasmo; Mazzoni, proseguendo nella sua fede,
nonostante i fatti nemici, passa fra gli oppositori del Governo.
Nella notte del 27 al 28 fu proposta all'Assemblea la elezione di un
Capo provvisorio al Potere Esecutivo per curare specialmente le cose
della guerra. — Non era presente il Popolo, mancavano gli stenografi;
ma vivono i Deputati presenti, i quali attesteranno le ingiurie
atrocissime avventate contro di me dal Partito Repubblicano. Non
mancarono accuse aperte di trame ordite per operare la Restaurazione
del Principato; nome e sostanza del tradimento dichiararono.
Montanelli sorse a difendermi sostenendo, che egli rispondeva per me,
e prometteva, che io senza il consenso dell'Assemblea non avrei con
violenza imposta forma governativa allo Stato, _e veramente io pensava
fare così_. Ma le ingiurie repubblicane siffattamente mi commossero,
che ricusai ostinatissimo lunga ora il carico commesso. _I preghi
urgenti, continui, a ributtare impossibili, dei Deputati Costituzionali
formanti la maggiorità, e dell'egregio Presidente Taddei; le rampogne
oltre modo passionate, e veementi degli amici, che, dopo avere tanto
fatto pel Paese, vinto da sdegno lo abbandonassi nel supremo pericolo_;
— e soprattutto la paura di commettere cosa vile, dopo spazio, forse
troppo, di tempo, mi piegarono. Nel _Monitore_ del 28 marzo è riportato
il Decreto dell'Assemblea, che dichiara:
«L'Assemblea Costituente Toscana nella notte de' 27 al 28 marzo 1849 ha
deliberato quanto appresso:
«Art. 1. Che sia immediatamente ricostituito un Potere Esecutivo
provvisorio.
«Art. 2. Che questo Potere Esecutivo sia conferito ad una sola persona.
«Che il Cittadino Deputato F. D. Guerrazzi sia rivestito del Potere
Esecutivo anzidetto.
«Che questo Potere abbia facoltà straordinarie per provvedere ai
bisogni della guerra e alla salvezza della Patria, e che queste facoltà
continueranno in esso, finchè ne durerà la necessità.»
Nel No del 29 successivo si legge il mio Proclama, il quale stampato a
pagine 220 di questa _Apologia_, in nota, rende testimonianza manifesta
del _mio forte rifiutare_, e del _pauroso quanto esiziale sospettare_
dei Repubblicani, che i pieni poteri io adoperassi per restaurare
_violentemente il Governo Costituzionale_.
Malgrado le mio promesse, o fosse diffidenza di me, o le suggestioni
calorose che venivano da Roma, le quali accertavano dei soccorsi
inglesi e francesi, solo che trovassero il Paese costituito a
determinato reggimento, esporrò brevemente quello che per loro si
tentasse.
A ben significare le scosse che camminando pel dirotto sentiero io
pativa, non meno che la necessità delle dichiarazioni vie via emesse
come scudo a riparare me ed altrui dal flagello delle lingue dolose,
importa riprendere e proseguire la serie delle calunnie di traditore,
che copertamenie o scopertamente i Settarii andavano insinuando contro
di me. Quando pensai cavare di Livorno la Guardia Municipale livornese
sostituendole parte della fiorentina, mentre i Faziosi Reazionarii
davano ad intendere in Firenze che io chiamava i Livornesi per
formarmene un corpo di Pretoriani, i Faziosi Repubblicani a Livorno
dicevano che io vi mandavo a opprimere la Libertà; ed allorchè,
consigliando il Colonnello Tommi, il reggimento del Colonnello Reghini
s'indirizzava a Livorno, secondo che ho esposto a pag. 373 di questa
Apologia, con Dispaccio del 9 marzo eravamo avvisati: «ad arte essersi
sparso fra il Popolo che il Comandante era incaricato di fare fuoco sul
Popolo, come già dicevasi aveva fatto sul Popolo Pistoiese.»
Nel 17 marzo 1849 si fa credere a Livorno, che io tramo di consegnare
la Toscana al Piemonte; a parare la insidia scrivo a Livorno, e induco
Montanelli ad accompagnare con la sua firma (poichè in lui riponevano
fede i Settarii) il Dispaccio del medesimo dì inviato al Governatore:
«Al Governatore di Livorno.
«Scrive il signor Demi, che si sparge voce come noi vogliamo consegnare
la Toscana al Piemonte. Quantunque noi crediamo che queste voci non
sussistano, pure vi autorizziamo a dichiarare, che il Governo crede,
e lo ha detto, che la Unione con Roma sarà proclamata come necessità.
Guardatevi dalle mene dei nemici, che si vestono in ogni maniera per
guastare la santa impresa.
«GUERRAZZI. — MONTANELLI.»
L'Accusa s'impadronisce di cotesto Dispaccio, e intende ritenerlo
per dimostrazione di animo: come se all'uomo politico posto a duro
partito non deva nè anche essere concesso con parole schermirsi. Le
quali parole poi, in confronto delle opere, spariscono; e considerate
tritamente, non esprimono cosa che valga: però che la opinione di un
fatto deva cedere davanti alla evidenza del fatto contrario.
Ma io potrei dire di più, se non mi ritenesse _la reverenza delle
somme chiavi_; potrei dire, che prima di accusare uno scritto, hassi a
conoscere la lingua nella quale e' fu dettato; e se la non si conosce,
allora tutte le Procedure ammaestrano ricorrere al Dragomanno. L'Accusa
pensa che la parola _Unione_ spieghi il rimescolare di due cose, per
modo che vengano a formare uno impasto solo; ed anche qui l'Accusa
s'inganna. Altro è _unire_, ed altro _unificare_; _unire_ significa, in
lingua italiana (che nei tempi antichi si chiamava fiorentina, perchè
sapevano parlare e scrivere egregiamente in Firenze tutti, compresi
anche Giudici), congiungere due cose in guisa che ognuna ritenga la
propria specialità: _unificare_ importa ridurre due cose ad unità per
modo, che, ognuna di loro perdendo la propria specialità, compongano
un tutto. Dove l'Accusa obiettasse che sono queste sottigliezze
filologiche, e che le parole voglionsi intendere pel senso politico,
che il tempo loro partecipa, nemmeno avrebbe ragione. Di ciò gli
faccia testimonianza primieramente il Farini, che io qui le richiamo
alla memoria: «Il Mazzini era giunto (in Toscana) il dì stesso che il
Granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con grande festa.
Egli si era dato a predicare la _Unificazione_ con Roma, che non voleva
chiamare _Fusione_, parola a lui ed ai suoi esosa, la quale voleva
dire lo stesso...... ma il Guerrazzi non voleva la _Unificazione_
ec.»[573] Più espresso poi il _Conciliatore_: «Colla parola _Unione_
intendemmo sempre stabilire un vincolo di federazione negl'interessi
politici, militari e commerciali, dei varii Stati d'Italia.»[574] E
poco oltre: «Quindi o si parla di _Unione_, e noi diciamo: si proclami
pure la Unione con Roma, ma si proclami al tempo stesso la Unione
col Piemonte.» Nella Seduta del 29 marzo 1849 il proponente la Legge
che aveva in iscopo la _confusione_ degli Stati Romano e Toscano, non
riputando la sola parola _Unione_ esprimesse il suo concetto, la chiamò
Legge per la _Unione assoluta con Roma_. Per le quali spiegazioni
filologiche e politiche, io vorrei che si persuadesse l'Accusa potersi
desiderare la _Unione_ degli Stati Italiani senza bisogno ch'ella
scappasse fuori con una Requisitoria di _Lesa Maestà_.
L'Accusa sa, o dovrebbe sapere, poichè nel suo Volume lo registra
a pagine 828, come io, favellando nel 12 febbraio dalla terrazza di
Palazzo Vecchio al Popolo ragunato per piantare l'Albero, dicessi, che
_forse_ cotesto atto di _unirsi_ con Roma sarebbe stato consentito
da tutta Toscana; per ora essere _prepotenza_ che le presumevano
imporre: — donde era agevole quanto onesto dedurre, anche senza porre
mente ai successi del tempo, che una legge suprema costringeva ad
usare cosiffatti ripari. Nel _Popolano_ del 18 marzo abbiamo veduto
appormi alla scoperta l'accusa di tradimento, e tradimento con
tremanti labbra i Settarii fremevano, e tradimento ogni ora nelle
oscure carte stampavano. Ad ogni caso inopinato, non solo in Firenze
ma nelle Provincie si gridava: tradimento.[575] Tradimento per Novara,
tradimento per Genova. Nel 29 marzo a Lucca, a Pisa e a Pescia spargono
la voce essere io partito per Gaeta a prendere il Granduca,[576] con
altre più strane novelle, — e trovano fede;[577] quindi la necessità
di stampare nel _Monitore_ del 30 marzo la Nota seguente, ma senza
pro: «Siamo autorizzati a smentire la voce che si va spargendo dello
invio, per la parte del Governo, di una Deputazione a Gaeta.» L'Accusa
non manca di acciuffare cotesto avviso; lo separa dalle circostanze
che conosce accompagnarlo (anzi le sopprime), lo appunta, lo arruota,
lo affila, e me lo scaglia addosso, come se spontaneo egli fosse,
e pubblicato solo per vaghezza di mostrarmi avverso al Granduca. Se
questa sia fede, conosca il Paese intero, e giudichi; e se a tale siamo
noi che possano per esercizio lodevole di professione usarsi arti, che
nel cittadino si rimprovererebbero come iniquissime, io incomincierò a
dubitare davvero, se la vita salvatica debba anteporsi a questo tanto
commendato nostro civile consorzio.
Nel 1º aprile i Settarii, i quali si affaticavano a screditarmi presso
lo universale, insinuando che, se avversavo la Repubblica, già non
intendevo a questo per amore che portassi al Paese, bensì per turpe
interesse, e per cagione di accordi già stabiliti col Principe,
ordiscono fra loro di muovermene improvvisa domanda; avvisato per
tempo, entrando all'Assemblea, preoccupo il passo e distruggo lo
artifizio, dicendo: «Domando la parola per un fatto personale. Innanzi
che io mi recassi in seno di questa onorevole Assemblea, ho appreso
come qualche Deputato ha proposto all'Assemblea stessa di fare una
interpellazione al Potere Esecutivo sopra la verità del supposto
invio di una Deputazione o che altro di simile a Gaeta, per ricondurre
quaggiù il fuggitivo nostro Principe. Debbo dichiarare che una simile
domanda è tanto trista per chi la fa, quanto è stupida per chi la
crede.»
Si levarono voci minaccievoli; di grida, di gesti rabbiosi non fu
penuria, ma per quel giorno squarciai la male composta trama. Intanto,
mentre in mezzo al fortunoso mareggiare di Fazioni smanianti la
mia fama preservo e la mia vita, del combattuto potere mi valgo a
difendere pertinacemente l'Assemblea dagli estremi conati della Setta,
promulgando il Proclama del 1º aprile 1849 già riportato a pag. 579-580
di questa _Apologia_.
Me ne valgo per richiamare l'Arcivescovo, e per resistere alle
crescenti e continue calunnie. L'Accusa rammenta e adopera contro me,
come subietto di Accusa, la dichiarazione del 5 aprile, che io con
tutti i Ministri firmai; ma non ricorda o non sa del cartello mantenuto
affisso, dopo il 3 aprile, all'Albero su la Piazza del Duomo; non sa o
non ricorda la congiura allo scopo di tôrmi di mezzo come traditore che
ha venduto Patria e coscienza; non ricorda, e si dovrebbe rammentare
come in piena Assemblea mi rinfacciassero nel 3 aprile di apparecchiare
le feste della Restaurazione con i due milioni stanziati per le spese
della guerra; non si ricorda, e lo dovrebbe sapere, che a motivo dei
veementi sospetti nella deliberazione dell'Assemblea Costituente fu
apposto il vincolo solenne di non risolvere intorno alle sorti della
Toscana senza il concorso e l'annuenza dell'Assemblea, a pena di
nullità, e di essere punito come traditore della Patria. Crescendo
pertanto il perseguire infestissimo, irrequieto, dei Settarii, per
tutela di vita, e per condurre a compimento il concepito disegno, feci
e consigliai gli altri a fare la dichiarazione seguente:
«Il Capo del Potere Esecutivo e il Ministero dichiarano sopra l'anima e
onore loro, essere calunnioso, che per essi siasi operato o si operi,
direttamente o indirettamente, pratica, trattato, insinuazione, ed
anche principio alcuno o preliminare di proposta, parlato o scritto,
tendente alla Restaurazione in Toscana della Dinastia della Casa
di Lorena. Il Potere Esecutivo sente e ricorda l'ordine imposto
dall'Assemblea, e l'obbligo da sè medesimo assunto, che non si possa
in verun modo mutare la forma politica della Patria nostra senza
consultare l'Assemblea Costituente. — Firenze, 5 aprile 1849.»
Dei firmati, ne fecero colpa allo egregio amico P. A. Adami; e
questi non tacque averla sottoscritta, perchè la conobbe provvidenza
necessaria a salvarmi e a salvarsi da pericolo imminentissimo; e fu
reputato sincero: così che la porta del carcere gli venne dischiusa;
— certo non avranno ommesso di rampognare il defunto Colonnello
Manganaro, uomo di molta virtù; ma egli sembra che avesse la fortuna,
la quale a me non arrise finora, di trovare orecchie alla persuasione
non disperatamente impenetrabili, conciossiachè i giorni che visse
ultimi della vita onorata non gli furono fatti amari con lo squallore
del carcere infame.[578]
La Seduta del 29 marzo si apre con le dimostrazioni del Partito
Repubblicano avverse al voto della notte del 28: voglionsi pubblicati
i nomi dei consenzienti e dei dissidenti, per esporli alla popolare
indignazione. Il Deputato Manganaro[579] contradice la proposta, ma
dichiara: «Frattanto ho _il coraggio_ di asserire, che io votai per il
Potere Esecutivo conferito al Cittadino Guerrazzi; _e nulla temo avere
opinato_ in tal modo.» Così eravamo arrivati a tal punto col Partito
Repubblicano, che era _pericolo_ procedermi amico, e per dichiararlo vi
abbisognava _coraggio_; e questo avrebbe dovuto avvertire chi giudica.
Un Deputato propone la Legge di cui lo scopo è la _Unione assoluta
con Roma_, e però implicitamente la dichiarazione della Repubblica
e la decadenza del Principe. Nella Seduta del 30 marzo il Deputato
Marinelli riassume la interpellazione mossa nel 29 dal Deputato Giotti
per sapere da me se avessi mandato _una Deputazione a Gaeta_: intende
che vi risponda pubblicamente, _perchè simile notizia si va insinuando
fra il Popolo_! Altri v'insiste. Lo scopo di questa interpellazione
era di diffidare sul mio contegno i Repubblicani fanatici, e spingerli
a qualche estremità. A me parve necessario riparare alla insidia,
dichiarando a voce e in iscritto, non essere vero, sì perchè lo invio
della Deputazione a Gaeta fosse veramente menzogna, sì perchè, come
altrove ho detto e qui ripeto, e di ripetere mi giova, volevo condurre
con la persuasione i dissidenti ad aderire alla Restaurazione; non
già per via di trame, nè per violenza, o per basso motivo di privato
interesse. — Il Deputato Venturucci troppo presto avventura la
proposta: «Gettiamo uno sguardo sopra gli avvenimenti che occasionarono
la esistenza di questa Assemblea. Mancò uno dei Poteri; il Governo si
trovò incompleto; fu interrogato con suffragio universale il Paese come
intendeva provvedere al suo avvenire. Ebbene! Ora non possiamo, che
rispondere: il Paese, di cui siamo i Rappresentanti, accetta la Carta
del 1848. Così avremo una Costituzione concessa, ma consentita. Noi non
avremo fatto una Rivoluzione, saremo in terreno legale, o _almeno la
Rivoluzione non sarà colpa nostra_. Non nasceranno interni dissidii,
si eviteranno gli esterni nemici, avremo serbato le nostre forze per
un migliore avvenire, e daremo il nobile esempio, giusta la sentenza
di Sallustio, di avere voluto seguire la ragione piuttosto che la
fantasia.»
Questo era il concetto del Rappresentante del Potere Esecutivo. Ma
Venturucci col suo affrettarsi indisciplinato l'ebbe a mettere in
repentaglio gravissimo.[580] — Si levarono grida di disapprovazione,
nelle tribune alte in ispecie. Un Deputato del Partito contrario
obietta la proposta di dichiarare l'Assemblea solidale della
Rivoluzione. Un altro afferma che l'Assemblea ha ricevuto mandato
ristretto dal Popolo, vale a dire determinato a proclamare la
Repubblica e la Unione con Roma. — Dannata sentenza era questa,
imperciocchè con siffatto mandato imperativo non faceva mestieri
discussione, e l'adunanza compariva simulacro inane.
Il Deputato Nespoli, ad evitare che il partito Busi fosse approvato
per acclamazione, fa la proposta che prima si provveda al modo di
resistere; penseremo dopo alla forma del Governo. Venturucci protesta
contro qualunque voto per acclamazione; Nespoli gagliardamente
lo appoggia; Palmi nota, che il proponimento della patria difesa
votato dall'Assemblea è nullo, se non venga seguíto dallo effetto;
per conoscere questo, bisogna consultare il Popolo intero; e quindi
propone lo invio di Commissarii in provincia. Turchetti si unisce a
questi oratori, concludendo perchè il voto nella quistione agitata si
sospendesse. Questi tutti formavano parte della maggiorità creata dal
Governo, ma _andavano disseminando, e anche anticipando incautamente_
i varii partiti discorsi nelle conferenze: invero i Repubblicani,
prevalendosi di cotesta sconnessità, si sforzano a far discutere
il partito Busi come pregiudiciale. Turchetti, e principalmente il
Deputato Sestini che muove dubbio se possa deliberarsi così grave
negozio, senza il concorso dei 120 Deputati, vengono derisi. I
Settarii, sparsi nelle tribune alte, prorompono in grida di minaccia.
La più parte dei Costituzionali balena. Fu allora che io, domandata
la parola, uscii in quella proposta, di cui, elogiando così, faceva
la storia il _Conciliatore_ del 1º aprile 1849: «Alle parole degli
opponenti alla _fusione immediata_ con Roma strepitando le tribune,
e togliendo così ai Deputati la libertà delle loro opinioni, il
deputato Guerrazzi si è alzato, e rivoltosi con _nobile fierezza_ al
Presidente della Camera, disse: _Signor Presidente, io domando che
sia a me data la forza di cui ella dispone; ed io come capo del Potere
Esecutivo andrò a fare sgombrare le tribune a tutti questi scellerati
ed iniqui perturbatori._ Queste parole sono state accolte co' più vivi
applausi.»[581]
I Deputati della maggiorità, e il Popolo non educato dal Circolo,
m'interruppero con applausi di conforto. Palmi e Venturucci, ripreso
coraggio, orano per la sospensione del partito Busi, fino a mutate
condizioni politiche. Modena, e altri Deputati, conflittano la
sospensione, e intendono si deliberi sopra la Unione, e subito. Si
va ai voti. Sessantasei Deputati si trovano presenti: 42 votano pel
Governo, 24 per la parte repubblicana. La maggiorità governativa
sommava quasi a due terzi.
Quanto è vero dunque ciò che afferma l'Accusa, che io avversassi la
Repubblica, solo per farla proclamare dall'Assemblea? Gl'idi di marzo
erano venuti; dunque perchè non la feci dichiarare, non la favorii
io? Anzi, perchè l'avversai? — La notizia della disfatta novarese ti
aveva sopito nell'animo il genio repubblicano, — oppone l'Accusa; ma
io ripeto che nel 25 marzo questa mai sempre dolente novella non era
arrivata, anzi in quel giorno inebbriava, piena nel suo bel fiore, la
speranza.
I Repubblicani, secondo che vedevano inclinare le cose alla
restaurazione dello Statuto, s'inviperivano a sospingere il Paese
nella Repubblica. Urgeva contenerli, e affrettarmi a sgombrare le
vie, affinchè il voto universale, nelle vicende che precipitavano, si
manifestasse solenne e trionfante: a questo intento mando Montanelli,
che lo chiedeva, in Francia; pubblico il Proclama del 1º aprile, e
alla fine dichiaro non potersi provvedere alla salute della patria: 1º
Se non si proroghi l'Assemblea, con obbligo nel Potere Esecutivo di
non risolvere intorno alle sorti del Paese senza consultarla; 2º Si
sospenda ogni questione intorno alla forma del Governo; 3º Rimangano
i Deputati a Firenze per condursi, a richiesta del Capo del Potere
Esecutivo, in qualità di Commissarii per la guerra nelle Provincie, o
_sovvenirlo in altra maniera_.
Prima che per me si manifesti il motivo di cosiffatta proposta, vedasi
come l'accogliessero i Repubblicani. Essi tornano passionatamente su le
cose decise, — perchè, come il Popolo avrà coraggio, essi dicevano, per
prendere le armi, se l'Assemblea non l'ha per proclamare la Repubblica?
— I Settarii fremono nelle tribune; il Deputato Del Sarto procura
placarli con accomodate parole, ma cresce il rumore. Il Deputato
Manganaro valorosamente dichiara: «Che Popolo e non Popolo? Nessuno
ha diritto di chiamarsi Popolo nel nostro cospetto. _È una frazione
del Popolo che ce ne vorrebbe imporre._ Noi soli, eletti dal suffragio
universale, possiamo parlare in nome del Popolo, e provvedere alla
salute di lui.»
Il tumulto a queste parole scoppia per modo violento e scandaloso,
che il Ministro dello Interno dichiara: la dignità dei Ministri non
consentire che rimanessero. _Biondi esclama che i Deputati avranno
il coraggio di morire; e nessuno abbandoni il posto_ (e questo si
chiama sapere sostenere le parti di Deputato). Turchetti corre a dare
ordini per isgombrare le tribune. Il Ministro dello Interno grida al
Presidente: «Io le ho mandato 180 uomini, che ne fa ella?»
Nel 3 aprile si tornò a discutere intorno alla mia proposta. Il
Deputato Pigli, sempre nello intento d'indurre l'Assemblea a riporsi
dalle cose decise, si oppone che il partito del Capo del Potere
Esecutivo venga preso in considerazione, finchè non sia decretato
intorno alla forma di reggimento: egli vota per la Repubblica. «Il
Partito Repubblicano» prosegue l'oratore «dicono poco numeroso in
Toscana: _gli uomini si pesano, non si contano_. Gli uomini della
Rivoluzione vincono con la Rivoluzione. Prudenza e opportunità
essere istrumenti da tiranni. Voi dite non vedere il Popolo invaso
da entusiasmo; e sia: ma dovete dirmi, che _avete fatto tutto per
eccitarlo_, che _tutto avete fatto perchè non andasse spento e
distrutto_. I principi sono fuggiti, _i troni sono restati_. Voi
chiamate il Popolo a difendere le frontiere, _ma non gli date armi, nè
danaro e divise_. Volete che il Popolo risponda davvero? proclamate
la Repubblica.» Protesta contro le parole del Deputato Venturucci,
che dichiarò la _Toscana soddisfatta dello Statuto del 1848_. Così, a
sentire il Pigli, la Repubblica era _di Elena il nepente_, che avrebbe
somministrato non solo uomini, ma danari, armi, cannoni e cavalli,
_anche quando il Governo non gli avesse somministrati_; ed egli
ignorava quello, che altrove ho narrato, che richiesto dai Repubblicani
Romani a mandare a Bologna per instituirvi una Commissione di reciproca
difesa, vi aveva spedito Manganaro e Araldi, i quali, _poichè ebbero
atteso più giorni indarno_, si ridussero non so se più sconfortati,
o incolleriti, per non avere potuto vedere in faccia un Commissario
Romano!!![582]
Le opinioni di Carlo Pigli udivo, in quei tempi, andare su le
bocche degli uomini accesi da inestimabile entusiasmo, ed anche
oggi leggo ripetute nei libri che essi stampano. La dura esperienza
dovrebbe averli sgannati; ma non è così. Io ho sempre tenuto come
perniciosissima la invasione della fantasia nel dominio della ragione;
e tanto le volli anche materialmente separate, che, in casa mia (quando
la ebbi!), tenni due stanze: in una delle quali scriveva quanto mi
dettava la immaginazione, e in un'altra trattava negozii. La Repubblica
è una voce; niente più, niente meno; nè le voci a un tratto, meno
quelle di Dio, operano prodigii. In quanto a spirito pubblico, non
vogliono intendere i Repubblicani che essi non operarono rivoluzione
in Toscana, ma andarono oltre perchè trovarono sgombra la via; se il
Principe teneva fermo, il Partito Repubblicano non avrebbe allora mai,
nè anche un momento, prevalso; e in quanto agli ordini militari, ci
vogliono tempo, concordia e sapere. Le armi, i danari, e le assise non
difettavano; mancavano chi le volesse e sapesse maneggiare e vestire;
e le cose affermate in questo proposito, a carico del Governo, erano
sfrontatezze, e niente altro. Deh! non ci nuoccia perpetuamente la
nostra matta prosunzione; e di più non dico.
A Pigli subentra il Deputato Mazzoni; egli pone essere stata
intendimento universale la Repubblica; venire tardi i consigli della
paura. Il Popolo avere conferito ai Deputati mandato imperativo. Adesso
trattarsi di Repubblica, o di Restaurazione. Per richiamare il Principe
Costituzionale, mancare l'Assemblea di facoltà. — Si obietta il Popolo
restío allo appello del Governo; l'Assemblea faccia il suo dovere:
se il Popolo non farà il suo, peggio per lui. La proposta del Potere
Esecutivo non somministrare veruno vantaggio, anzi recare danno. Con la
Restaurazione non può trattare l'Assemblea.
Il Deputato Mazzoni erra manifestamente su la natura del mandato,
il quale era impressionato dalla formula proposta dal Decreto del 6
marzo: _se, e come Toscana deva unirsi a Roma_. Aveva ragione trattarsi
adesso di Repubblica o di Restaurazione; non aveva ragione a credere
i Deputati propensi alla Repubblica prima dello infortunio novarese,
mutati dopo; perchè prima di allora erasi dato opera ad agitare fra
i Deputati i concetti, che verrò esponendo. Rigidi i suoi principii,
non giusti. E quando anche veri e giusti, vi ha qualche cosa nel
mondo, davanti alla quale ha da cedere il rigore del raziocinio, ed
è la carità della Patria. Perano piuttosto venti sillogismi, che un
uomo solo! La carità del luogo natío persuade a procurare al Popolo
il maggior bene possibile anche a carico della propria reputazione.
Pur troppo col Deputato Mazzoni, uomo d'altronde per integrità di
vita santissimo, procedevo diverso. Questo motivo mi costrinse a non
partecipargli i miei consigli: sarebbe stato lo stesso che persuadere
il David di Michelangiolo. Propugnarono pel concetto repubblicano
i Deputati Modena, Bichi, Giotti, Menichelli, Vannucci, Trinci
Bartolommeo, Cipriani; lo avversarono i Deputati Carrara, Palmi,
Micciarelli, e Socci. Gli oratori favorevoli al Governo, e contrarii
alla immediata proclamazione della Repubblica, vennero vilmente
oltraggiati dal Popolo tuttora parteggiante pei Circoli. Più volte fu
ordinato lo arresto dei perturbatori, e lo sgombro delle tribune.
Pigli, per confondere le cose e ritardare la votazione, dichiara
volere interpellare il Governo: non gli riesce, e si passa ai voti.
Quarantatrè sono per la sospensione, 29 contro; il Deputato Taddei si
astiene dal votare perchè non aveva assistito alla discussione.
La parte del Governo in questo nuovo sperimento acquista un voto,
quella dei Repubblicani cinque; _e ciò perchè il Partito dei pretesi
ortodossi costituzionali di Firenze, invece di venire a rafforzare il
nostro concetto, disertava la causa; e non fu bene_.
I Repubblicani dell'Assemblea non si sgomentarono per questo,
ed insisterono perchè le interpellazioni del Deputato Pigli si
ammettessero: il Ministero o il Capo del Potere Esecutivo vi
rispondessero pubblicamente. Io pure gli avevo _più volte_ nei giorni
antecedenti, ed anche poche ore avanti, ragguagliati con coscienza di
quanto volevano adesso sapere di nuovo.[583] Ora perchè questo? Non
senza astuzia era il trovato. Il Ministero repugnerà, essi pensavano,
per prudenza a manifestare le condizioni nostre di fronte alle Potenze
estere, e, per pudore della Patria, la fiacchezza dei Toscani; allora
scompariranno le cause della oppugnata proclamazione della Repubblica,
e discutendo gli articoli potrà essere rigettata la Legge proposta dal
Potere Esecutivo. Ultimo tentativo per l'agognata Repubblica. Essi
s'ingannarono; i Ministri Marmocchi e Mordini risposero in modo da
tôrre loro ogni baldanza. Quivi Marmocchi non dubitò di posporre tutto
alla verità, e dichiarò pochi i Repubblicani, contrario lo spirito
del Paese a cotesta forma di Governo, arduo eccitare i Popoli alla
difesa delle frontiere; allegò fatti, confermò la sua sentenza con
raziocinii. Il Ministro degli Esteri _smentì i conforti di Francia
e d'Inghilterra asseriti falsamente dal signor Rusconi_. Il Deputato
Pigli comprendendo quanta e quale impressione avrebbero fatto coteste
solenni dichiarazioni nell'universale, dopo averle provocate, si
oppose perchè fossero pubblicate; — e così presumono illuminare
il Popolo, e servire agl'interessi di lui! Questi paionmi, e sono
tranelli di Settario, non concetti, non ispiriti di uomo di Stato. Ai
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