Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 48

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avere vinto un Partito coll'altro, si dispone a superare il Parlamento;
nella necessità di aumentare cautele, si toglie dal fianco la moglie,
perchè, secondo l'ordinario, ciarliera; e allontana eziandio il
cappellano Price, come quello che non gli pareva abbastanza capace
a dissimulare. Invia Gumble a tenere bene edificato il Parlamento
con profferte di devozione, e per dargli pegno di fedeltà _gli fa
consegnare una lettera segreta, con la quale il Municipio di Londra
domandava il suo aiuto per rimettere in Parlamento i membri esclusi,
o convocarne uno nuovo libero e completo_.[693] E si avverta bene
che Monk intendeva fare, e fece appunto come il Municipio lo pregava;
qui fu che dette di una mazza sul capo a certo ufficiale che andava
vociferando dintorno: «Sta a vedere che questo Monk ci ricondurrà Carlo
Stuardo.» Al cappellano Price che, prima di lasciarlo, lo svegliava
raccomandandogli il Re, susurrava sommesso: «Lasciatemi fare, perchè
abbastanza sospettano di me.»
Il Parlamento spedisce verso Monk due commissarii, Scott e Robinson,
_sotto pretesto di complimentarlo: ma in sostanza per ispiarne gli
andamenti_;[694] e questo fecero ignobilmente, seguendolo da per
tutto, albergando nella medesima casa, e tentando perfino forare
i muri per udire e vedere quello ch'ei facesse o dicesse nella sua
stanza: ma il Monk teneva l'occhio fisso al pennello, e si mostrava
loro siffattamente sviscerato della Repubblica ch'eglino ne scrissero
a Londra celebrando il suo zelo pel Parlamento _lungo_. Monk giunto in
prossimità di Londra domanda che sieno licenziati i reggimenti rimasti
fedeli al Parlamento; per pretesto dava lo studio di evitare ogni
conflitto con le sue milizie: motivo vero era restare signore assoluto
della città; e gli riusciva. I reggimenti congedati dal Parlamento si
ammottinano. Il Popolo, côlto il destro, insorge a tumulto, e domanda
_Parlamento libero_. Monk sta fermo! — Arrivato in Londra il Generale
è accolto dal Parlamento che intende rovesciare, lo blandisce con ogni
maniera di sommissione. A Ludlow dice: «Dobbiamo vincere e morire per
la Repubblica!» Ad un altro dichiara che, malgrado il suo rispetto pel
Parlamento, non patirà mai che _accolga nel suo grembo uno dei membri
esclusi_. «Dissipava» scrive il Guizot «i sospetti rinascenti, e con la
solennità delle proteste assopiva le diffidenze più inquiete; sicchè
l'ammiraglio Lawson, il quale altre volte dubitò del Monk, ebbe a
dire a Ludlow, nell'uscire di casa sua: «Il Levita e il sagrificatore
sono passati vicino a noi senza soccorrerci; spero avere incontrato il
Sammaritano che ci salverà.»
La città commuovendosi a tumulto, il Popolo grida: «Parlamento libero!
Abbasso il Parlamento lungo!» Il Municipio ricusa pagare le imposte.
La ribellione si fa manifesta. Monk è chiamato in Parlamento. Il tempo
che desiderava è pur giunto; egli ricuserà andare; scoprendosi, al
fine si unirà al Popolo, e, cacciato via il Parlamento, restaurerà la
Monarchia. Niente di questo: parendo a lui che la occasione non fosse
a bastanza matura, va in Parlamento, _parteggia co' più arrabbiati,
esagera il bisogno di misure severe, offre reprimere la sommossa, e
malleva la riuscita_.[695] Alle parole tengono dietro i fatti; nel
9 febbraio 1660 invade la città con lo esercito, abbatte porte e
saracinesche, leva le catene dalle strade, e schianta i piuoli dove le
attaccavano; fa arrestare i Membri più autorevoli del Municipio. «Per
questi accidenti» scrive il Guizot «il Popolo di Londra rimase come
percosso da stupore; quello che vedevano non indovinavano; ormai che
cosa dovessero credere non sapevano; ogni loro idea era sconvolta. _È
questi_, esclamavano, _quel Monk che doveva ricondurre il Re? Egli è
un demonio scozzese. Signore! Che cosa mai avverrà di noi_? Vedevansi
con terrore arrestare i Municipali maggiormente diletti, e tradurre
prigionieri alla Torre. Ogni resistenza impedita. Il Popolo spaventato
fuggiva per le strade; Londra presentava lo spettacolo di città presa
di assalto. Il Parlamento trionfava, e grato al benemerito Generale
stanziava 50 lire sterline pel suo pranzo. Haslerig andava gridando:
_Adesso Giorgio appartiene a noi anima e corpo_.»
Se non che il Monk dagli eventi che si succedevano tolse motivo a
conoscere da un lato, come il _lungo_ Parlamento fosse caduto in
discredito, e mancasse di aderenze e di aiuti; dall'altro, quanto
universale e profonda animavversione il Popolo gli portasse; però, come
pilota che gira la ruota del timone, ad un tratto occupa i quartieri
della città, rassicura la moltitudine, si collega col Municipio, e
scrive lettere al Parlamento perchè nel 6 maggio si sciolga, dando
luogo a un Parlamento nuovo e libero: così scandagliata bene la
opinione pubblica per una serie continua di prove personali, la fa
compagna delle sue armi; e diventa arbitro delle sorti d'Inghilterra.
Ma non precipita ancora, e, dopo avere sostenuto impossibile la
riammissione dei membri esclusi nel Parlamento, adesso consiglia
armato che vedano aggiustarsi fra loro; appuntate le conferenze fra
i membri del Parlamento in carica e gli esclusi, questi discutono
molto e non si accordano in nulla, troppo essendo gli umori ed i fini
diversi. Tentate le vie della conciliazione e non riuscitegli a bene,
Monk delibera più gagliardo espediente, qual era quello di condurre,
senz'altro rispetto, i membri esclusi a riprendere per forza l'antico
posto nel Parlamento; ma ad infievolire la impressione, intento a
schivare _resistenza disperata dalla parte dei vinti_, manda fuori un
Manifesto nel quale molto si distende contro il ritorno dello Stuardo,
e contro lo Episcopato; parla della necessità di apparecchiare nuovo
Parlamento, e convocarlo pel 20 aprile. Ciò fatto, toglie in mezzo alle
guardie i membri esclusi e gli riconduce a Westminster. Alcuni Lordi,
cogliendo il destro, vollero aprire la Camera alta; Monk prevedendo
cotesto tentativo inopportuno, gli fa cacciare via duramente, onde si
tengano per avvertiti tutti coloro che volessero precipitare le cose,
o condurle in modo diverso da quello ch'egli aveva disegnato.
I Repubblicani, vedendo riprendere posto a canto di loro gli uomini
che avevano cacciato, si commuovono a maraviglioso furore; alcuni
vanno via, altri rimangono, parecchi degli usciti si ravvisano e
tornano. Il Parlamento completato elegge Monk Generale in capo dello
esercito inglese, rende alla città porte e catene, libera di prigione
i Municipali arrestati il 9 febbraio, proroga la convocazione del
nuovo Parlamento al 25 aprile. Monk manda fuori un altro Manifesto
nel quale, dopo aver dimostrata la necessità in cui si era trovato di
completare il Parlamento perchè le imposte si riscuotessero, finisce
raccomandando severamente sorvegliare e accusare in pubblico chiunque
macchinasse a favorire il ritorno di Carlo Stuardo.[696] Ad Haslerig,
che fattosi a trovare il Monk lo confortava a mantenersi saldo nella
causa repubblicana, questi toltosi il guanto, e posta la sua nella mano
di lui, diceva con sembiante solenne: «Io vi protesto che mi opporrò
con tutte le mie forze alla elevazione di Carlo Stuardo, al governo di
un solo, e alla Camera dei Pari.»
Haslerig e i Repubblicani più accorti gli oppongono: «Egli è chiaro
che qui si tende a richiamare il Re, e il voto del Parlamento lo
dà a sospettare pur troppo. Badate, Monk, che non vi avvenga come a
Stanley, che, per avere restituito il trono a Enrico VII, n'ebbe in
guiderdone la morte: egli è grande delitto presso i re avere troppo
meritato di loro.» Allora gli propongono il regno, ed egli ricusa; gli
danno la regia stanza di Hampton-Court per tenerselo bene edificato,
ed ei ricusa; gli stanziano ventimila lire di sterlini, ed ei se le
prende. — I Repubblicani ricorsero ad un'altra alzata d'ingegno, e fu
di fare presentare al Monk, dai più accesi fra i suoi ufficiali, una
dichiarazione perchè la firmasse, la quale consisteva nell'obbligarsi
a costringere il Parlamento onde decretasse che la Repubblica era
la forma definitiva del governo del Paese, e che verun Parlamento
successivo potesse avere abilità di alterarla. Monk, preso alla
sprovvista, si trovò sgomento, e non gli ricorrendo miglior partito
_propose aggiornare la firma all'indomani nel Consiglio Generale
degli Ufficiali_. Nello intervallo di tempo conferì co' suoi devoti,
e la mattina al Consiglio, invece di firmare il foglio, ammoniti
gravemente gli ufficiali esaltati del proprio dovere, vietava pel
seguito di simile sorta assemblee; e notati i più audaci, statuisce
licenziarli alla prima occasione: bene avrebbe potuto, adoperandovi
alquanto di forza, rompere gl'indugii, _ma repugnava, alla indole di
lui far capitare male persone alle quali lo legavano vincoli antichi,
e precipitare di crollo ciò che si poteva compiere pacificamente e di
quieto_.
Molte furono le arti praticate dal Monk affinchè il Parlamento _lungo_
si sciogliesse, la quale cosa ottenne nel 16 marzo 1668; prima di
separarsi, il Parlamento deliberò che nessuno ufficiale si accogliesse
se prima non approvasse con iscrittura la guerra impresa contro
l'ultimo Re, e che dal nuovo Parlamento si escludessero gli uomini
che avevano impugnato le armi contro il Parlamento _lungo_; e Monk lo
lasciò fare, anzi, nell'ultima Tornata, egli domandò che abolisse la
Legge su la milizia, perocchè, avendone commessa la organizzazione a
mani sospette, era da temersi che in onta dei buoni Repubblicani si
richiamasse Carlo Stuardo; ed ottenuto il Decreto, nel giorno stesso
fece stamparlo e pubblicarlo.
Il Popolo ad alte grida acclamava il Re; canzoni realiste si cantavano
pubblicamente per le vie; un tintore cancellava dal piedistallo, che
già sorresse la statua di Carlo I, la iscrizione: _exiit tyrannus regum
ultimus_ etc.; e Monk, contento di secondare segretamente il moto,
stava in apparenza così avviluppato nelle sue ambagi che una segreta
spia del Re ebbe a scrivere il 10 marzo al suo signore: «Monk, in
quanto riguarda Re e Lordi, si è scoperto parziale al Parlamento....
l'altro giorno ha detto che verserebbe l'ultima goccia di sangue prima
di consentire il ritorno degli Stuardi in Inghilterra.... stasera
però sembrava alquanto meglio disposto.» I Repubblicani, sempre più
agitati, s'ingegnano penetrare gli arcani consigli di Monk; e côlto
alla sprovvista Cristofano suo figliuolo di sette anni, con domande
suggestive e con doni gli fanno confessare avere udito certa notte suo
padre e sua madre, mentre giacevansi in letto, che favellavano del
ritorno del Re. Allora Enrico Martyn, legato di antica amicizia col
Monk, gli va incontro risoluto, e così gli favella: «Orsù via, diteci
una volta, che cosa intendete di fare?» — «Una Repubblica» risponde
Monk «io la volli sempre e la voglio.» — «Sarà» soggiunse Martyn, «ma
voi mi avete l'aria di quel tal sarto campagnuolo che fu incontrato
certo giorno con la vanga e la zappa in ispalla. — Dove ve ne andate?
gli domandarono. — Vado a prendere la misura di un vestito. — Come! con
la zappa e con la vanga? — Al giorno d'oggi così si fa.»
Ora, non che sia di mestieri al caso nostro, ma per completare il
racconto, è da sapersi come _il giorno dopo_, nella stanza di Morrice,
Giorgio Monk consentisse a ricevere dalle mani di Giovanni Greenville
la lettera di Carlo Stuardo scritta fino dal 21 luglio 1659. Questa
lettera diceva: «Io non posso credere che mi vogliate male: voi non ne
avete motivo, e quello che attendo da voi parmi così grande benefizio
pel vostro Paese che io spero che voi non vi ricuserete a farlo.»
Nelle istruzioni del Greenville occorreva questo altro passo, che pose
ugualmente sott'occhio al Generale: «Io vado persuaso che Monk non può
serbare in cuore alcuno mal volere per me; nè egli ha commesso cosa che
io non possa perdonare agevolmente: sta in lui farmi tale un favore del
quale io non saprò ricompensarlo mai come merita.»
Imprese subito le trattative, furono in breve concluse a questi
patti: 1º Oblio generale, tranne quelli che crederebbe escludere il
Parlamento; 2º Garanzia dei beni venduti, e pagamento del soldo allo
esercito; 3º Libertà di coscienza. — Carlo Stuardo condottosi a Breda
di leggieri concesse i patti, e gli avrebbe conceduti maggiori. Pel
25 aprile fu convocato il nuovo Parlamento, e nel 1º maggio fissata la
deliberazione _intorno alla forma di Governo conveniente a Inghilterra,
Scozia, ed Irlanda_. — In questo giorno Greenville si presenta al
Consiglio di Stato, e domanda favellare al Monk. Monk avvisato dal
colonnello Birch si accosta alla porta, dove Greenville gli consegna
lettere regie da parteciparsi al Consiglio e allo esercito.
Comecchè la cosa fosse concertata col Monk, egli finge stupore; ordina
con mal piglio a Greenville aspettasse, e alle guardie lo custodiscano;
rientra in Consiglio, che stupefatto davvero non sapeva a qual partito
appigliarsi. Il Birch deluso giurava al Monk essere ignaro di tutto,
e non importava che giurasse; fatto chiamare dentro il Greenville, e
interrogatolo dove avesse ricevuta la lettera dello Stuardo, risponde:
a Breda; — vogliono mandarlo in prigione; il Monk fece sicurtà per lui,
e tutti insieme decisero che la lettera dello Stuardo sarebbe aperta
in pieno Parlamento. Carlo Stuardo fu proclamato Re dal Parlamento e
dal Popolo, con gazzarre, luminarie, e falò, e allegrie altre cotali,
che fanno _dimenticare ai guastamestieri di tutti i Governi, come
sotto coteste apparenze covi pur sempre un Partito vinto, ma non
abbattuto, che può placarsi e guadagnarsi con miti consigli, inasprirsi
e allargarsi con insensate rigidezze_.
«Tanta fu la emulazione e la impazienza fra Lordi, Comuni e Municipio,
a chi sapesse meglio manifestare la propria gioia e reverenza, che per
servirmi delle parole di un nobile storico (probabilmente Clarendon)
riusciva impossibile non domandare con sorpresa, dove fossero coloro
che avevano commesso tanto male, ed impedito il Re per tanti anni di
godere la consolazione e l'appoggio di così ottimi sudditi. Il Re
stesso ebbe a dire più tardi: — Che il torto era suo, se non aveva
preso prima possesso del trono, dacchè trovava tutte le classi tanto
impegnate a promuovere la sua restaurazione.»[697] Il giorno dopo pare
sempre così; nei giorni avanti cammina diversa la bisogna.
Nel giorno dopo in Inghilterra fu vista accendersi gara fra Parlamento,
Municipio e Borghesi, a chi più mandava danaro al re Carlo, il quale
avevano pure sofferto che per tanti anni languisse in condizione
piuttosto misera, che augusta; e mentre il Municipio gli stanzia
lire diecimila di sterlini, ecco i Borghesi dargliene sedicimila, e
il Parlamento munificentissimo donargliene cinquantamila.[698] — Nel
giorno dopo quel desso che nella Camera del Parlamento aveva posto
le insegne della Repubblica, venuto in furore di Monarchia, fu visto
rabbiosissimamente stracciarle ed arderle.[699]
Nella regia patente, che amplissima fu largita al Monk, dopo la
esposizione dei beneficii operati da lui in vantaggio della Inghilterra
e del Re, si legge a modo di conclusione: «_Hæc omnia prudentia, ac
felicitate summa victor sine sanguine perfecit._» Veramente questo fu
principalissimo scopo, che il Monk si propose nella Restaurazione, e
gli fu bella gloria fra i suoi contemporanei; ed io non dubito, che gli
verrebbe confermata dai posteri, se come si auguravano senza eccezione
avesse ottenuto l'oblio dal Parlamento, e se le lettere private da
lui prodotte nel processo del marchese di Argyle non facessero andare
dubbiosa la Storia se deva cancellare cotesta lode, per le poche vite
che permise spente, o piuttosto lasciarla stare per le moltissime che
preservò.[700]
Facciamo adesso una supposizione: immaginiamo che poco innanzi delle
conferenze e dei patti stabiliti col Greenville, il Municipio di Londra
insieme col Popolo fosse giunto a rovesciare il Monk, terminando con
molta agevolezza, con impeto, e senza alcuna guarentigia, quello che
fra tante difficoltà era stato apparecchiato e quasi compíto da lui;
immaginiamo altresì che spinto prima in disonesto carcere, fosse
stato condotto poi davanti ai miei Giudici; come non lo avrebbero
eglino deriso? «Gli atti di distruzione» gli avrebbero detto «già
non ci darete ad intendere che fossero preparativi di Restaurazione.
Le manifestazioni ostili non comprendiamo come potessero condurre
allo scopo che adesso ci raccontate; dove sono gli atti _univoci_,
non _equivoci_, co' quali presumete convincerne? Dove le prove
_limpidissime_? Allo stringere delle tende, vedendo come fosse
impossibile avversare la Restaurazione, l'avete secondata; invano
però, chè tardo pentimento fu questo, e forse dovuto più che altro alla
opinione del signor De Bordeaux ministro di Francia.[701] — Con qual
fronte sostenete il disegno di restaurare il Principato, se pure ieri
il Popolo acclamante il Re disperdeste, il Municipio imprigionaste, i
Repubblicani con le vostre armi sovveniste, quelli che si mostravano
parziali al Principe di propria mano percuoteste, — impiccato, chiunque
il ritorno dello Stuardo procacciasse, voleste? I bandi, i proclami,
i manifesti per dichiararvi svisceratissimo al Parlamento _lungo_
pubblicavate forse in benefizio della Monarchia? Che cosa alla fin
fine avreste fatto? Vi sareste così destreggiato, finchè un Parlamento
libero pronunziasse intorno alle forme governative del Paese... Bello
sforzo invero, onde noi dobbiamo mandarvi assoluto, anzi decretarvi
la corona dell'alloro! O non vedevate come tutti noi con accese voglie
stavamo in agonia pel ritorno di Carlo Stuardo! Quali indugii erano i
vostri? _Dovevate pure indovinare quello che con saldo cuore vi diciamo
adesso_, noi essere vogliosi di mostrare col sangue nostro, con quello
della moglie, dei figli, dei servi e delle serve, il nostro sviscerato
zelo per il diletto capo di Carlo Stuardo. Quanto (e fu poco) operaste,
_dal complesso degli atti siamo autorizzati a ritenere, che il
faceste per mantenervi al potere_ tanto male da voi conseguito, tanto
pessimamente esercitato. Voi intendevate giuocare a partita vinta, e
tenere il piede in due staffe per gittarvi alla Fazione trionfante,
secondo che costumano le persone della vostra qualità, che di mal pelo
portano taccata la coda, anzi pure, _che hanno doppio il cuore_, come
ha detto una sentenza della Camera stellata, ai tempi di Enrico VIII,
oggi fa cento anni.»
Povero Monk, altro che ducati, e contee, e baronie, e pensioni, e
patenti col _victor sine sanguine_, se tu avessi avuto la fortuna di
nascere nel 1805 in Toscana come sono nato io! Tu stavi fresco con i
miei Giudici, o Giorgio Monk, tu stavi fresco....!
All'opposto, un uomo di Stato a cui nessuno per certo, comunque
da lui per opinioni diverso, vorrà negare pratica di negozii umani
grandissima, e capacità somma di speculare gli avvenimenti politici, il
signor Guizot, così giudica di Giorgio Monk:
«Anche in Inghilterra, ora sono dugento anni, diceasi la Monarchia
scomparsa per sempre, la sola Repubblica possibile. Monk conobbe
questo essere falso. Egli credè alla Monarchia quando la Repubblica
durava, quando tutti intorno a lui, sinceramente od ipocritamente, ed
egli stesso come gli altri, non parlavano che di Repubblica. E quando,
dopo la morte di Cronvello e la caduta di suo figlio Riccardo, si pose
avanti realmente la quistione tra i due governi, Monk si decise per la
Monarchia.
«Gli si è negato questo merito: e Monk, mirando al suo scopo,
ha tanto usato ed abusato della simulazione, che alcuni spiriti
_prevenuti e superficiali_ hanno realmente revocato in dubbio, che la
sua risoluzione fosse _precoce_, e _costante_. Ma quando da vicino
e profondamente si studiano i fatti ed i documenti, non può più
dubitarsi. Fino dal primo momento Monk si decise; e checchè facesse
o dicesse, egli fu saldo nella sua decisione sempre fino all'ultimo
giorno. Nel dubbio ed esitanza universali, egli avea una opinione
decisa ed un partito preso. Fu questo il primo suo atto di buon senso
politico.
«Se Monk fu deciso, fu ancora paziente. Seppe aspettare il buon
successo, preparandolo. Uomo di guerra, mentre il suo mezzo di azione
era l'armata, fu costantemente risoluto a _non rinnovare colpi violenti
e la guerra civile_. Comprese che la Monarchia, per essere solidamente
_ristabilita_, doveva esserlo _pacificamente, naturalmente, come una
necessità nazionale, e un supremo rifugio del Paese_. A dispetto di
tutte le impazienze e le diffidenze, seppe contenersi, dissimulare,
indugiare, attendere, fino a che l'evento quasi da sè stesso si
compiesse. E compiutosi l'evento, Monk volle che nelle patenti,
che consacravano la sua fortuna e la gloria, s'inserisse il motto:
VICTOR SINE SANGUINE (vincitore senza sparger sangue): tanto la sua
prudenza era figlia della riflessione e della volontà. I partigiani
della Monarchia eziandio fecero prova di molto discernimento. Alcuni
di loro avevano sostenuto la Rivoluzione, altri l'avevano combattuta;
asprissime guerre si erano fatte fra loro in pro o contro del Re, di
cui volevano porre in trono il figliuolo. Umori, passioni, interessi li
dividevano, e nonostante le discordie loro aggiornarono. Fino al giorno
della vittoria, passioni, genio e interesse ridussero nel supremo
intento comune: sottoposero le preferenze particolari alla necessità
di tutti; e questa è pietra di paragone vera del giudizio politico dei
Partiti.
«E fecero anche di più i promotori della Monarchia: confidarono la
esecuzione dei loro disegni nelle mani di uomo che sospettavano, ed
avevano ragione di sospettare. Monk aveva militato pel Re, per la
Rivoluzione, per la Repubblica, per Cronvello e pel Parlamento; egli
operava sovente, e favellava in varie guise, non pure diverse, ma
contrarie fra loro: simulava con risoluta franchezza da sgomentare
i più intimi. I partigiani della Monarchia stavano sul conto suo
pieni di dubbio, e d'inquietudine; dalla speranza facevano trapasso
alla paura, dalla luce alle tenebre: ma nè per isperanza, nè per
paura, nè per desiderio, nè per le ambagi del Monk, forviarono. Monk
somministrava a un punto, e imponeva la norma del come si avessero a
governare; però tutto sommando avevano maggiori motivi di confidare
che per diffidare.... non si commisero ciecamente in sua balía, ma lo
secondarono con discrezione, lo attirarono senza metterlo a cimento,
docili ai suoi consigli, vigili ma tranquilli dietro a lui come a capo
eletto, imperciocchè tali imprese abbisognano di un capo, nè vi sia
capo tranne quello, che, sostenendolo, lasciamo operare.»[702]
Ascoltiamo un altro Giudice, David Hume, solenne storico, il quale, se
non sedè Ministro nei consigli della Corona, durante la sua vita fece
professione di politica, e tenne carica di diplomatico. «Accorda meglio
alla ragione, e alla schiettezza, ritenere, che Monk appena mosse di
Scozia nutrisse il disegno di ristabilire il Re. Nè qualunque obiezione
si volesse dedurre dallo aver egli tutto taciuto, perfino allo stesso
Carlo, può essere tenuta in qualche conto, allorquando si rifletta,
che Monk era di natura riservato; che le sue circostanze richiedevano
dissimulazione; ch'egli sapeva il Re circondato da traditori e da spie;
che insomma sarebbe durezza interpretare _in discredito della probità
del Monk una condotta, che dovrebbe anzi sublimare in noi la idea che
ci formiamo della sua prudenza_.» Così a pag. 431 del Cap. 62 della
_Storia d'Inghilterra_, e poco oltre a pag. 442: «Malgrado questi
passi, che muovevansi verso la restaurazione della Monarchia, il Monk
proseguiva a mostrarsi caldo partigiano della Repubblica, nè aveva
peranco consentito ad aprire pratiche col Re. Convocare un Parlamento
libero, e restituire sul trono la famiglia regia, erano in quello
stato di cose due provvedimenti per necessità connessi fra loro. — Nè
era tenuto in conto di poca sincerità il silenzio da lui osservato nel
principio della impresa, dacchè ei si mantenne riservato del pari nel
tempo in cui, _secondo i dettami del senso comune, chiaro appariva che
non poteva nutrire altro disegno_.»
Nel Capitolo 65 poi il dabbene Hume, riportando in nota la notizia
della morte di Giorgio Monk, non si può trattenere di spendere altre
parole per giustificare la dissimulazione di lui. «È per verità una
singolare prova della strana possanza dello spirito di Parte, quella
che la malevolenza debba perseguitare la memoria di un signore il cui
tenore di vita non andò mai soggetto a censura, e che, col ristaurare
l'antico, legittimo e libero governo ne' tre Regni, che si trovavano
immersi nella più rovinosa anarchia, fu certamente fra gli abitanti
di queste isole quegli che, dal principio di quei tempi in poi, più
d'ogni altro rendesse servigii durevoli ed essenziali alla patria.
Neppure i mezzi, onde si valse per condurre a fine sì grande impresa,
vanno soggetti a grave sindacato; giacchè appena è biasimevole la
dissimulazione ch'ei seppe per qualche tempo tenere, e la quale, nel
caso suo, era assolutamente necessaria. Ei non godeva la confidenza
di quel bifronte, sedicente ed usurpatore Parlamento, cui balzò di
sgabello; perciò non poteva tradirlo. Negò persino di spingere una
tale dissimulazione sino a prestare il giuramento d'abiurare il Re.
Nullameno confesso che il reverendo dottor Douglas mi ha mostrato una
lettera, trovata nelle carte di Clarendon, tutta di pugno di Monk, e
diretta a sir Arturo Haslerig, che contiene le più calde, e quindi, nel
cuor suo, le più false proteste di zelo in favore della Repubblica.
Per verità, duole assai che un così degno e schietto uomo debba una
volta essersi trovato nella necessità di spingere cotanto innanzi la
dissimulazione. Il casato de' Monk s'estinse col figlio del Generale.»
Ecco pertanto come uomini di Stato e politici solenni giudicarono di
Giorgio Monk, lo esempio del quale mi piacque con lunghezza riferire,
non già perchè mi attagli, parendomi le sue dissimulazioni troppe, e
troppo profonde: onde mi riesce difficile a credere, che fossero tutte
costrette dalla necessità, e qualcheduna non ne usasse per compiacere
al suo genio.
Ancora, (e non importa che ne faccia protesta, perchè tutto il mondo lo
conosce a prova) a operare come feci mi mosse non cupidità di comodi
privati, bensì il rispetto che professai sempre al voto, che mi parve
ed era universale nel 1849 nei miei compatriotti; e lo amore di figlio
che porto al mio diletto Paese mi persuase a procurargli il maggiore
bene che per me si potesse, quantunque con gravissimo carico mio; onde
io spero con troppo migliore ragione meritarmi il nome di ONESTO,
che pure tributarono i contemporanei al Soldato inglese: chè se nel
naufragio della mia vita mi sarà concesso uscire alla riva sopra questa
tavola sola, e me lo assentirà la benevolenza degli uomini probi,
ciò recherà qualche conforto ai miei lunghi, atroci e non meritati
travagli.


XXX.
I giorni 11, 12 e 13 aprile 1849.

Io mi era tratto dal cuore lo stile del quale lo hanno trafitto, per
iscrivere una storia di tradimento con ferro grondante di sangue...
Ma un fiotto di voci scellerate mi percosse fino nel profondo del mio
carcere, e mi avvertì come, — nella guisa stessa che i selvaggi della
isola di Giava, incisa la scorza dell'albero _Upas_, lo circondano
cupidi, pure aspettando che ne coli il visco velenoso per intingere in
quello le freccie mortalissime, — una torma di lupi dalla faccia umana
stesse con le orecchie incollate a queste mura, per attrappare al varco
un grido di dolore, uno accento d'ira, per mescolarlo nel fiele di cui
contristano quotidianamente con effemeridi infami la veneranda Patria:
allora ruppi le carte e le gittai ludibrio dei venti. Io parlerò
sommesso, — io narrerò pacato; — e voi che leggete, pensate e dite se
mai vedeste affanno pari allo affanno mio.
Prima però della mia, udite la storia di questi giorni composta dal
Decreto del giugno 1850, riveduta e corretta dal Decreto del 7 gennaio
1851, e dall'Atto di Accusa.
«L'ora del riscatto era suonata (Il Decreto del 7 gennaio anch'egli
pone: _l'ora del riscatto era suonata_). Il Popolo Fiorentino disperde
gl'incomposti gruppi di armati (Il Decreto del 7 gennaio aggiunge
_soverchianti_), che imponevano alla città con bruttezza di modi e
di costumi. Nel giorno _12_ restaurava _la Monarchia, alla quale era
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