Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 09
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giustizia, forza è che dichiari parermi questa imputazione assurda.
Montanelli giungeva in Livorno il giorno 7 ottobre, e il giorno 8
manifestava al Pubblico il suo disegno; ora non è verosimile che
col primo suo atto, poche ore dopo la sua elezione, volesse così
apertamente contrariare il Ministero che lo aveva creato. Inoltre
il Ministero _non lo disapprovò mai ora nè poi_; ancora egli rimase,
come prima, amico del Capponi, e il Capponi di lui, e _queste siffatte
paionmi gherminelle da guastare ogni più salda amicizia_. Finalmente
nella seduta del Consiglio Generale del 31 gennaio 1849,[107] egli
con risentite parole si esprimeva così: «Fu detto che io proclamando
la Costituente a Livorno tradiva il mandato che mi era stato affidato
dal Ministero. Quando le accuse cadono su persona privata io le
disprezzo...; ma quando cadono su persona pubblica è dovere smentirle.
Ora, Signori, io dirò, che prima di andare a Livorno manifestai qual
era il mio programma. Il capo del Ministero, _il venerabile Gino
Capponi può rendere testimonianza di questa mia schiettezza_. Io gli
diceva come credessi la Costituente solo rimedio alla divisione degli
animi, bandiera sola di nazionalità. Io diceva, che _se fossi andato a
Livorno ove mi richiamava l'acclamazione del Popolo, non avrei potuto
non manifestare questo mio programma_; ed il Presidente del Consiglio
al quale faceva queste dichiarazioni, mi rispondeva: _andassi, facessi
quello che la coscienza m'inspirava. Qui sono persone che possono
testimoniarlo_. Così rispondo a queste indegne accuse che mi pesano sul
cuore.»
A sostenere queste cose in modo siffatto, in occasione tanto solenne,
quando non fossero vere, si vorrebbe avere faccia di granito nero;
nè la impudentissima audacia gli avrebbe bastato, avvegnachè alle
sue parole si trovassero presenti tre Ministri, i signori Mazzei,
Samminiatelli e Marzucchi, i quali lo avrebbero certamente (se
bugiardo) smentito; e supposto ancora ch'eglino avessero per peritanza
su quel subito taciuto, soccorreva la stampa liberissima per protestare
contro la calunnia.
Adesso poi protestare contro allo esule sarebbe non pur facile, ma
meritorio; e nonostante si tacciono....
Finalmente l'Accusa, a pagina 899 dei Documenti, riporta questa
risposta di Giuseppe Montanelli al signor Massari. «È _menzogna_
che io, nominato Governatore a Livorno, ritorcessi il mandato contro
chi me lo aveva dato. La mia condotta fu conforme alle spiegazioni
avute col Ministero e col Granduca. Quando avrò fatto conoscere i
precedenti di quella nomina, si vedrà la delicatezza estrema con la
quale procedei prima di accettare quel difficile incarico, di cui
previdi e dimostrai tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.»
Ma io che conosco a prova come le Accuse tutte in generale, e la mia
in particolare, troppo meglio del popolo ebreo meritino il titolo di
dura cervice, neanche a ciò mi rimango, e per chiarire l'Accusa che
bisogna andare adagio ai ma' passi, le dirò, che io possiedo nelle mie
mani, e gliela porrò negli atti del processo, proprio la minuta del
Proclama del signor Montanelli ai Livornesi, letto ai signori Capponi,
Giorgini e Samminiatelli prima ch'ei partisse per Livorno, emendato,
a dettatura di uno di loro, nella frase: «Le condizioni che proponeste
alla vostra riconciliazione col Potere;» cui con evidente convenienza
surrogò quest'altra: «i desiderii che esponeste al Potere.» Donde, per
conseguenza inesorata, deriva che tutte le altre espressioni di quel
Programma, su le quali l'Accusa perfidia con malevola sofisticheria,
come quello che furono lasciate stare, o non contengano tutta la
nicotina che immagina, o, se venefiche sono, ne abbia a chiedere
conto principalmente a coloro ai quali incombeva l'alto ufficio di
sopprimerle, e non le soppressero. — Però io metto l'alternativa, così
per guisa di discorso, che so troppo bene essere parole innocentissime
coteste, e so eziandio, che, ora che io gliel'ho detto, l'Accusa
anch'essa quasi le reputa tali.
A me rincresce supporre che il Ministero _scegliesse piuttosto dannarsi
col Montanelli che salvarsi con me_:[108] almeno per quanto concerne
Gino Capponi, che un giorno fu amico! Io credo che questo personaggio,
speculatore arguto delle vicende politiche, e per genio studioso non
solo delle passate storie, ma eziandio di quanto accade alla giornata,
avesse considerato, come dal corso impetuoso che precipitava la più
parte di Europa alle forme repubblicane, lo Stato nostro, per le
sue condizioni altra volta discorse, sarebbesi trovato stravolto nel
turbinío prodigioso a modo di una foglia secca; e però la Costituente
montanelliana accettasse, come quella che gli dava comodo a soffermarsi
sul pendío, e stare a vedere dove le mondiali sorti piegassero, onde
preservare il paese da moti ciechi e irreparabili. Queste speculazioni
poi o non sa fare l'Accusa, e dimostra la incapacità sua a giudicare
dei negozii politici; o sapendole fare non le ha fatte, e dimostra la
stemperatezza con la quale procede a immaginare colpe là dove i tempi
grossi persuadevano provvedimenti straordinarii.
Comunque sia, io mi chiamo estraneo al bando della Costituente.
Il Ministero Capponi si dimetteva, e doveva costituzionalmente
dimettersi, perchè la sua Legge intorno alle adunanze politiche gli
era stata _mutata affatto dalla Commissione_. Altre cause concorsero
senza dubbio, come suole avvenire in qualsivoglia altra rassegna
ministeriale, ma la causa parlamentaria fu quella. In Inghilterra,
a modo di esempio, è regola di Parlamento, che il Ministero non
si dimetta mai dall'ufficio apparentemente per motivi di politica
esterna, e non pertanto questi motivi determinano spesso la sua
renunzia. Allora si promuove qualche incidente di politica interna,
e da quello si ricava argomento per rassegnare i portafogli. Questa
pratica, c'insegnano i pubblicisti, è dovuta all'orgoglio inglese, che
non consente confessare che le faccende altrui possano avere virtù
di sconcertare le proprie. Narra l'Accusa, ed è vero, che in varie
città della Toscana (essa rammenta Livorno, Arezzo e Lucca) avvennero
manifestazioni, affinchè S. A., Montanelli e me chiamasse al Ministero.
S. A. però, secondo che ne corse fama, commetteva lo incarico di
comporre il Ministero al barone Bettino Ricasoli, il quale dopo varii
tentativi rassegnò al Principe il mandato. Però ella è cosa sopra modo
notabile, e dall'Accusa punto avvertita, come i Toscani prendessero a
commuoversi fieramente allora soltanto che corse pubblica la fama avere
S. A. incumbensato il Barone Bettino Ricasoli a comporre un Ministero.
Ora predicava la gente, e voglio credere a torto, il Barone zelasse
caldissimo per le parti di Carlo Alberto; nel quale concetto veniva per
avventura confermata dal _piemonteggiare_, che pareva allora soverchio,
del giornale _La Patria_, mantenuto a sue spese; e dalla presenza di
3, o 4000 (che io non bene ricordo il numero) soldati sardi in Toscana.
Nel falso immaginare, il Popolo temeva che il Principe non desse dentro
in qualche tranello, e il suo commuoversi non mirò già a comporgli un
Ministero, sibbene a salvarlo da quello che reputava rovina. Di questo
l'Accusa, se avesse voluto, poteva raccogliere copia di prove: a me
non è lecito farlo: solo mi basti dimostrare che in Livorno il Popolo
si acquietò, quando seppe non anche composto il Ministero: «Atteso una
lettera che assicura non essere ancora composto il _nuovo Ministero_,
e in seguito di un discorso analogo del Governatore, il Popolo ha
riaperto le porte, e se ne andò nell'aspettativa che i suoi voti sieno
adempiti.»[109]
Fallito il disegno del Ministero Ricasoli, si chiamava il Governatore
di Livorno a Firenze. Il signor Montanelli, giunto alla Capitale,
nè venne a cercarmi, nè si concertò meco, ed invano si sforzerebbe
provarlo l'Accusa, e non lo tenta nemmeno. Una Deputazione della
Guardia Civica si presentò al Principe per supplicarlo a incaricare
il signor Montanelli per la formazione del Ministero. Grande fu la
mia maraviglia quando leggeva il Dispaccio telegrafico del 22 ottobre
1848, del signor Montanelli, annunziatore della mia partecipazione
al Ministero; e maggiore quando egli _improvviso, per la prima volta
dopo il suo ritorno da Inspruck_, circondato da numerosa e onorevole
comitiva, mi si presentava davanti per confermarmelo a voce.
Qui importa notare come l'Accusa ritenga con molta persistenza una
cosa, quasi tornasse a sommo disdoro del signor Montanelli e mio, ed
è: che quantunque _egli assicurasse una Deputazione di cittadini di
tenermi lontano dal Potere_, — malgrado lo _scherno_ prodigatomi con i
suoi detti e nei _suoi scritti_, e il consigliato arresto per _delitti
a lui noti_, egli mi proponesse al Principe per Ministro.
Lascio per ora della pretesa promessa di tenermi lontano dal Potere
perchè a me ignota; dirò delle parole profferite dal signor Montanelli
appena mi vide, e furono queste: «Confessare essere stato indotto in
errore per le altrui calunnie sul conto mio; chiedermene scusa alla
presenza di quei rispettabili cittadini; _non egli avere dettato gli
articoli a me ingiuriosi_, pure meritare rimprovero per non averli
reietti dal suo Giornale;[110] dovermi una splendida riparazione;
averlo sentito nell'anima, e intendere farmela adesso con lo invitarmi
ad essergli compagno nel Ministero.» Così mi favellava persona da me
lungamente riverita ed amata; tornava dalla guerra italiana dove aveva
sparso il suo sangue; era soffrente per la ricevuta ferita; una mano
teneva fasciata al collo; sporgeva la sana in traccia della mia per
pegno di pace.... Mi era parso fin qui che l'oblio delle ingiurie fosse
insegnamento di Cristo; adesso al precetto di religione si aggiungeva
carità di Patria.... io lo abbracciai con tenerezza, e lo baciai. Ora
poi imparo dall'Accusa, che in questo modo procedendo Montanelli ed
io, commettevamo infamie. — Anche questa mi toccava a sentire in Paese
cristiano!
Le politiche emulazioni forte commovendo gli spiriti, avviene che
questi nello ardore del contrasto sovente trascorrano fin dove non
vorrebbero andare, e fu veduto una volta gli odii di parte perpetuarsi
feroci. I Partiti, pur troppo, non serbano modo nelle accuse perchè
contendono per avere ad ogni costo ragione, e questo so e provo. La
parola scocca come saetta dalle labbra adoperate a modo di arco, e
lo stesso furore agita tutte le guerre, sieno di armi, di scritti
o di discorso; nè finchè bolle la zuffa, alla ragione delle offese
si abbada; anzi più piacciono quanto meglio mortali, come quelle
che affidano di sollecita vittoria. Nella Inghilterra, paese nella
pratica della libertà antichissimo, i convizii parlamentari giungono
a tale, che nessuno, per quanto si senta tremare ii cuore in corpo,
può sopportare, ed io ne lessi di quelli avventati da O'Connell
contro lord Brougham, che mi cacciavano i brividi addosso. Ora anche
mettendo la religione a parte, che raccomanda il perdono della
ingiuria, come debito principalissimo del Cristiano, la prudenza
umana persuadeva, che là dove i motivi della ingiuria moltiplicavansi,
quivi si apparecchiasse eziandio copia proporzionata di placamenti.
Però in Inghilterra, quando due Deputati accesi d'ira si avvicendano
ingiurie che a gentiluomo non è dato dissimulare, officiosi amici
interponendosi operano in guisa, che comunque suoni la sconcia favella,
purchè dichiarino, che non intesero denigrare la buona estimazione
scambievole, ciò si ritiene per soddisfazione sufficiente ed onorata.
Ora il sig. Montanelli mi profferiva scuse non già di avere scritto, ma
di avere patito che altri stampasse nella Italia gli articoli che mi
avevano offeso, e me ne domandava perdono. Doveva rifiutarglielo io?
Pare che l'Accusa creda che abbia ad essere _qualche grave scandalo_
conoscere il proprio torto, confessarlo ingenuo, con parole oneste
raumiliare l'animo inacerbito, e dall'odio, che pesa così grave al
cuore dell'uomo, ritornare benigni a quella pace per cui
. . . . . . . quaggiù si gode,
E la strada del ciel si trova aperta.
Intanto il Montanelli protesta: _essere menzogna, che nel gennaio
del 1848 contribuisse al mio arresto, ed afferma averne dissuaso il
Ridolfi, predicendogli che da uno arresto fatto senza elementi di vera
colpabilità ne sarebbe avvenuto quello che realmente avvenne_.[111]
So che Monsignore Buoninsegni assicura, il signor Montanelli avere
parlato ben diverse parole in cotesta occasione; ma vorrà, in grazia,
Monsignore Buoninsegni essermi cortese di non sapermi mal grado se
io credo più che a lui al signor Montanelli quantunque Monsignore
non sia? Rispetto poi al signor Massari ed alla sua trista opinione,
io mi permetterò domandargli se si rammenta quando egli, e per sè e
mandato dal sig. Gioberti, venne a invitarmi a casa per conferire col
Filosofo italiano?[112] E se ricorda quando il Ministro Gioberti con
lettera pressantissima m'invitava a consiglio diplomatico a Torino?
Certo io non ebbi la fortuna di trovarmi d'accordo col suo Maestro;
conosco l'attaccamento ch'egli ha per lui, e di questo lo lodo; so
ancora come il signor Massari sia amico di coloro che non sono amici
miei; ma tutto questo ed altro ancora, non mi pare che gli dia abilità
a dire che il sig. Montanelli fece molto per la rovina d'Italia,
quando mi scelse collega nel Ministero: io vorrei provargli per filo
e per segno tutto il contrario: ma il sig. Massari, che imploro non
meno cortese di Monsignor Buoninsegni, persuadendosi che il carcere
ov'io giaccio, appena vivo, non è il luogo più acconcio per sostenere
simile controversia, senta vergogna di avere provocato chi non gli può
rispondere, senta vergogna di avere vergato sconsigliatamente carte che
meritarono essere raccolte dall'Accusa a danno nostro; — nè peggiore
pena, potendo, io vorrei dargli di questa.
Ma in quanto alla offerta del Montanelli per formar secolui parte
del Ministero, mi schermiva adducendo di varia sorta ragioni,
imperciocchè tanto più mi sembrasse dovermi ostinare nel rifiuto,
in quanto che riputava il suo disegno esorbitante. Però egli e gli
altri mi stavano attorno con preghiere, e con parole che stringono
più veementi delle preghiere, intendo dire il dubbio della sincerità
della riconciliazione, se a ricusargli il mio consenso persistessi:
tuttavolta nemmeno per queste fervorose istanze accettai; mi riservai
dare risposta dopo avere conferito col Principe, che mi fu detto
aspettarmi.[113]
Infatti S. A. mi aspettava. Di questo colloquio basti adesso riferire,
che innanzi tutto supplicai il Principe a dichiararmi s'egli intendeva
eleggermi Ministro di sua piena ed assoluta volontà; alla quale
richiesta sotto la sua fede mi assicurava _eleggermi di sua piena
e liberissima volontà alla carica di Ministro_. In altra occasione,
pregandolo io ad essermi più largo della sua fiducia, il Principe in
suono di mite rimprovero: «E non le detti prova di fiducia, rispose,
quando l'assunsi all'alto grado che occupa?» E penso non ingannarmi
affermando, che S. A. mi dicesse eziandio il marchese Gino Capponi
essere stato mio promotore presso di lui, e Lord Giorgio Hamilton avere
proposto con istanza, che a me la presidenza del Consiglio affidasse,
la quale cosa mi venne confermata più tardi dallo stesso onorevole
Lord.
Ora come può sostenersi, non dico criminalmente ma onestamente, che
io _pervenissi al Potere con mezzi riprovevoli_, e più ancora che
il Principe mi eleggesse _sforzato_ dal timore della guerra civile?
L'Accusa dunque intende smentire la parola del Granduca? Chi di
noi due è il temerario? Io, che su la fede data dal Principe mi
appoggio, o l'Accusa che questa fede disprezza? — E poniamo pur vere
le manifestazioni a mio favore di Livorno, di Arezzo e di Lucca;
forse non accade sovente nei liberi paesi acclamare o disapprovare il
Ministero, e tale chiedere che sia innalzato, e tale altro dimesso?
Intanto si prova come le dimostrazioni livornesi, che per certo
dovevano apprendersi come le più stringenti, fossero esposte al
Principe dentro i limiti costituzionali di semplici espressioni di
desiderio;[114] quelle poi di Lucca e di Arezzo tanto avevano virtù
di muovere gli animi a Firenze, quanto la nebbia dell'anno passato:
e stando all'Accusa, la Deputazione fiorentina non pure non instò per
avermi Ministro, all'opposto pose quasi per patto al Montanelli, che
da me più che da viperino sangue aborrisse. Dunque come io arrivassi
con mezzi riprovevoli al Potere, se l'Accusa non ce lo spiega, riuscirà
davvero malagevole intendere; — finalmente il Principe, anzichè patire
violenza, avrebbe potuto e saputo allontanarsi[115].... Ma io mi
vergogno andare in cerca di argomenti là dove la fede del Principe
mi assicura. Anche una volta lo intenda l'Accusa, dalle labbra reali
uscì la parola, che mi diceva eletto con grato e libero volere; questa
parola rispetti. E se l'Accusa non mi fosse proceduta così acerbamente
nemica, forse poteva conoscere, che se io alla fine accettai, e' fu per
salvare chi incauto troppo si avventurava a perigliose fortune! — Altra
parte importantissima del mio colloquio con S. A. riferirò più tardi.
Avendo acconsentito a formare parte del Ministero Montanelli,
considerando la ragione dei tempi e gli umori dei Popoli, conobbi come
noi fossimo eletti quasi argine estremo allo irrompente precipitare
della Europa verso la Repubblica. Disposto a combattere pel Principato
Costituzionale _come quello che sapevo essere unico desiderio della
massima parte del Popolo toscano_, m'ingegnai formare un Ministero
capace a sostenere la tempesta, raccogliendo gli uomini meglio cospicui
del Partito Costituzionale. A questo scopo con buoni argomenti, che
menerebbe troppo in lungo esporre, persuasi il Sig. Montanelli _a
offrire la presidenza del Consiglio al marchese Gino Capponi_; nè la
pratica si rimase sterile consiglio, chè egli andò a farne ufficio
presso il Marchese; se non che riuscite vane le premure, Montanelli
tornava riportando a me, e a parecchi onorevoli cittadini, che con non
mediocre ansietà attendevamo: «con grato animo _avere accolto il Sig.
Capponi_ questa dimostrazione di stima per lui; doversi però astenere
dallo accettare per cagione di salute; promettere ad ogni modo il suo
appoggio al nuovo Ministero;» e questa promessa veramente mantenne.
Del marchese Ridolfi per essere assente, e per altri rispetti, non
era a parlare. Il barone Ricasoli aveva poco anzi fallito nella
composizione di un Ministero, nè ci procedeva favorevole; con tristo
presagio mi convenne deporre il pensiero di guadagnarci persona la
quale rappresentasse a un punto la nobiltà fiorentina e la parte più
conservatrice della Camera. Tentammo il Professore Eliseo Regny per la
Finanza, ma anch'egli allegando la incerta salute ricusava. D'Ayala,
onoratissimo personaggio e di virtù antica, era ed è illustre in Italia
per fama di dottrina, e per moderati consigli. Franchini, gentiluomo di
buone lettere, zelante della patria, probo, e mite. Mazzoni, piuttosto
rigido osservatore della onestà che ordinariamente onesto. Adami, dal
braccio traboccante dell'Accusa fu misurato, e rinvenuto giusto di
misura! E credo che cotesto egregio uomo, anche in questo momento,
Uscito fuor del _pelago_ alla riva
Si volga _all'acqua perigliosa_, e guati.
Egli, compiacendo ai miei desiderii, sagrificava alla patria non poco,
lasciando i negozii floridissimi della sua Banca, reputata meritamente
sostegno del Commercio livornese. Ed ecco come fu composto il Ministero
contro il quale la dignitosa Accusa e schietta avventa il torchio
di cera gialla acceso in fuoco di maladizione gridando: _anathema
sit_![116] Pertanto io penso potere con sicurezza concludere, che
legittimamente ascesi al Potere al pari di ogni altro Ministro venuto
al mondo con la grazia di Dio, essendovi stato chiamato in virtù dello
esercizio liberissimo della prerogativa reale.[117]
X.
Costituente.
Parliamo della Costituente. Innanzi tutto fa di mestieri sapere come
nella prima conferenza che ebbi con S. A. io le domandassi quali
dovevano essere le condizioni del Ministero. Il Granduca rispondeva
interrogando: «E non gliele ha esposte il sig. Montanelli?» — «Sì
certo, replicai, me le ha esposte; ma io desidero udirle confermare
dalla bocca dell'A. V.» Allora il Granduca stesso, con le sue labbra,
mi dichiarò, programma del nuovo Ministero sarebbe stata la Costituente
del sig. Montanelli, — e questo mi disse senza ambagi, assoluto,
non parlando punto di condizioni, o di riserve. — Rimasi percosso;
e mi ricordo avere soggiunto: «Altezza, io soprattutto mi studio
essere onesto.» E il Granduca: «Ed io pure sono tale.» — «Non vi ha
dubbio, ripresi, e quindi non devo astenermi dal cerziorarla che l'A.
V. può correre eventualmente il risico di perdere la corona con la
Costituente del sig. Montanelli; ora mi permetta, Altezza, che io le
domandi se ella ha bene pensato a queste accidentalità.» — «Io ci ho
pensato, replicò S. A., e quantunque io fossi parato anche a questo
per benefizio del mio Popolo, pure, a parlare schietto, non lo temo,
perchè la mia famiglia ha bene meritato della Toscana, ed io penso, ai
meriti paterni avere aggiunto qualche cosa di mio; laonde _il Popolo
consultato non vorrà scambiarmi per un altro, e credo che voterà pel
Principato Costituzionale e per me_.» — «Lo credo ancora io, ripresi;
ma era mio dovere avvertirla;» e ammirando la fiducia del Principe,
e volendo come per me si poteva corrispondervi in quel punto stesso,
continuai: «Non era da aspettarsi meno dal suo cuore; ma se (e qui con
l'atto della mano accompagnai le parole), _ma se per mutate vicende
V. A. avesse a pentirsi della consentita Costituente, ora per allora
la prego a volermelo confidare, chè io le prometto industriarmi in
maniera, che spero V. A. potrà dimettere il nuovo Ministero piuttosto
con aumento che con iscapito della sua reputazione._»
Qui l'Accusa, secondo il suo stile, aggruppa insieme varie circostanze
a me estranee, per lo intento (secondo la egregia espressione del
Guizot) d'immergermi dentro una atmosfera di preordinazione criminosa.
Parla primieramente d'invio ordinato da Giuseppe Montanelli di
Giovanni La Cecilia a Roma, _dopo la partenza del Pontefice da cotesta
città_, allo scopo di procurare che il dominio temporale cessasse, una
Costituente si bandisse, _Leopoldo Secondo a presidente si eleggesse_,
la unione di Toscana con gli Stati Romani si operasse, senza fare per
_allora_ quistione di _dinastia_ o di _repubblica_. Inoltre, l'Accusa
espone, come, proclamata la Costituente a Roma, il Montanelli scrivendo
al Ministro Bargagli la combattesse, come quella che imponeva limite
ai poteri dei Deputati, e rispettava _la personalità e le condizioni
organiche dei singoli Stati italiani_.
Intorno a questo particolare rispondo, che di rado il signore
Montanelli mi partecipava gli atti del suo Ministero, ed io immaginando
che li concertasse col Principe, taceva; ond'ebbi a maravigliarmi non
poco certo giorno, che S. A. mi domandava, che cosa vi fosse di nuovo.
Alla quale domanda risposi: «Chi meglio informato di V. A., che avrà
ricevuto in giornata le partecipazioni del Ministro degli Esteri?»
Ed egli a me: «Io non so nulla; mi si fanno mancare le necessarie
notizie.» Mi permisi rispettosamente osservargli, che di me non poteva
lamentarsi, perchè non mancavo di giorno in giorno tenerlo informato di
tutto, _anzi pure di ora in ora così di giorno come di notte_, quando
ce n'era il bisogno; in quanto agli altri Ministri avrei provveduto; ed
infatti tornato allo Uffizio, mi dolsi col sig. Montanelli, che tanta
poca diligenza ponesse a compire non pure un riguardo verso persona
tanto autorevole, ma un dovere costituzionale verso il Capo dello
Stato. Queste lettere, questi trattati a cui accenna l'Accusa, io non
conosco; non mi furono esibiti; ignoro qual carattere rivestano; non
sono chiamato a rispondere di loro.
Con questa riserva esaminandoli, osservo che egli spediva lo Incaricato
segreto quando _già il Papa si era allontanato_, e quando le cose
romane versavano manifestamente alla Repubblica, onde impedire che
questa fiamma in paese confinante si accendesse e su noi si avventasse,
procurare che aderisse a Governo ordinato, promuovere, in qualunque
vicenda (e tutte erano temibili o sperabili allora), gl'interessi del
Principe nostro colà; frattanto nè di principato, nè di repubblica
si favellasse. Se io non isbaglio, mi sembra che il Montanelli in
questo modo operando, mettesse in pratica lo ammaestramento del sommo
Politico, che nelle improvvise e non riparabili fortune, il meglio è,
potendo, aspettare: _da cosa nasce cosa, e tempo la governa_. Ed anche
acconsentendo che il Montanelli si affaticasse in prevenzione a volgere
a pro del suo paese lo esito probabile di cotesti tramutamenti, io non
so come e in che lo si voglia incolpare.
Nel volume dei Documenti, a pag. 543, trovo lettera particolare
del sig. Montanelli al conte Bargagli Ministro Toscano a Roma: «_Se
Roma convoca immediatamente la Costituente, e vota la Presidenza di
Leopoldo, noi avremo ottenuto un doppio effetto: 1º Fusione dei due
Stati dell'Italia Centrale. 2º Centro italiano, al quale il Piemonte
e certo anche Napoli dovranno concorrere._» (28 novembre 1848.) — Più
sotto, a pag. 544: «Colla Costituente sarebbe tutto rimediato (ogni
padre ama i suoi figliuoli).... _I Repubblicani non farebbero colpi
di mano. Gli Albertiani sarebbero temperati nelle loro ambizioni
dinastiche ecc._» (Senza data.) — «_Tocca agli Stati a decidere se
convenga meglio Deputati con mandato senza limiti o con limiti._» (pag.
545). — «_Sebbene, qual è stata proclamata, la Costituente romana
non sia d'accordo con quella proposta in Toscana, pur non ostante è
sentita la necessità di astenerci da tutto ciò che può essere causa
di discordia, e l'adesione Toscana, alla Costituente non mancherà._»
(Senza data.) — «Sterbini...... assentì molto volentieri, che la
Costituente fosse proclamata a Roma sotto la _Presidenza di Leopoldo
Secondo_.» (Rapporto di La Cecilia del 30 novembre 1848, pag. 547.) —
Di qui scendono le conseguenze: 1º Che Montanelli trattava comporre uno
Stato della Italia Centrale, che servisse nelle prevedibili eventualità
di equilibrio fra Napoli e Torino. 2º Che si adoperava a prevenire la
_Repubblica_. 3º Che s'ingegnava di comporlo a benefizio di Leopoldo
II. Io comprendo ottimamente che al Governo Pontificio questo possa e
debba riuscire amarissimo; ma in che, e come possa essere argomento
di crimenlese di faccia alla Toscana, io non veggo. E neppure mi
persuado in che guisa questi trattati offendano la pietà cristiana del
signor Montanelli. — Carlo V imperatore teneva imprigionato il papa
Clemente VII in Castel S. Angiolo, e faceva nei suoi Stati esporre
il SS. per lui; di più, egli fu persecutore acerrimo della Riforma
Luterana, e morì santamente da frate nel convento di S. Giusto. Nè
tacciarono il Bossuet di empietà per avere composto nel 1682 gli
articoli della Libertà della Chiesa gallicana sotto Luigi XIV; nè empio
chiamarono Napoleone quando elesse suo figlio Re di Roma. Chi conosce
le conferenze dei trattati di Vienna, sa come i sovrani più religiosi
e cattolici stessero per tôrre al Pontefice lo Stato, il quale gli fu
salvo mercè la destrezza del cardinale Consalvi, e l'appoggio della
Inghilterra, ma non sì che in qualche parte non gli venisse tarpato.
La premura del sig. Montanelli per impedire la limitazione del mandato
dei Deputati alla Costituente, sia intorno alle cose, sia intorno
alle persone, era conseguenza del suo Programma accettato dalla Corona
come condizione del Ministero; ma non si opponeva che gli altri Stati
conferissero mandato limitato; nè ricusava aderire alla Costituente
comunque fosse. Qui non vi è delitto; o se vi fosse, sarebbe delitto
da essere accusato dalla Camera dei Deputati, giudicato dai Senatori;
ma nè Deputati accuserebbero, nè Senatori giudicherebbero, però che
essi alla unanimità votassero la Legge della Costituente. Strano suona
poi lo addebito al Montanelli di avere difeso energicamente il suo
progetto, avvegnadio pei Ministri Costituzionali questo è dovere, come
quello delle Camere, se non piace, disapprovarlo con le orazioni,
Montanelli giungeva in Livorno il giorno 7 ottobre, e il giorno 8
manifestava al Pubblico il suo disegno; ora non è verosimile che
col primo suo atto, poche ore dopo la sua elezione, volesse così
apertamente contrariare il Ministero che lo aveva creato. Inoltre
il Ministero _non lo disapprovò mai ora nè poi_; ancora egli rimase,
come prima, amico del Capponi, e il Capponi di lui, e _queste siffatte
paionmi gherminelle da guastare ogni più salda amicizia_. Finalmente
nella seduta del Consiglio Generale del 31 gennaio 1849,[107] egli
con risentite parole si esprimeva così: «Fu detto che io proclamando
la Costituente a Livorno tradiva il mandato che mi era stato affidato
dal Ministero. Quando le accuse cadono su persona privata io le
disprezzo...; ma quando cadono su persona pubblica è dovere smentirle.
Ora, Signori, io dirò, che prima di andare a Livorno manifestai qual
era il mio programma. Il capo del Ministero, _il venerabile Gino
Capponi può rendere testimonianza di questa mia schiettezza_. Io gli
diceva come credessi la Costituente solo rimedio alla divisione degli
animi, bandiera sola di nazionalità. Io diceva, che _se fossi andato a
Livorno ove mi richiamava l'acclamazione del Popolo, non avrei potuto
non manifestare questo mio programma_; ed il Presidente del Consiglio
al quale faceva queste dichiarazioni, mi rispondeva: _andassi, facessi
quello che la coscienza m'inspirava. Qui sono persone che possono
testimoniarlo_. Così rispondo a queste indegne accuse che mi pesano sul
cuore.»
A sostenere queste cose in modo siffatto, in occasione tanto solenne,
quando non fossero vere, si vorrebbe avere faccia di granito nero;
nè la impudentissima audacia gli avrebbe bastato, avvegnachè alle
sue parole si trovassero presenti tre Ministri, i signori Mazzei,
Samminiatelli e Marzucchi, i quali lo avrebbero certamente (se
bugiardo) smentito; e supposto ancora ch'eglino avessero per peritanza
su quel subito taciuto, soccorreva la stampa liberissima per protestare
contro la calunnia.
Adesso poi protestare contro allo esule sarebbe non pur facile, ma
meritorio; e nonostante si tacciono....
Finalmente l'Accusa, a pagina 899 dei Documenti, riporta questa
risposta di Giuseppe Montanelli al signor Massari. «È _menzogna_
che io, nominato Governatore a Livorno, ritorcessi il mandato contro
chi me lo aveva dato. La mia condotta fu conforme alle spiegazioni
avute col Ministero e col Granduca. Quando avrò fatto conoscere i
precedenti di quella nomina, si vedrà la delicatezza estrema con la
quale procedei prima di accettare quel difficile incarico, di cui
previdi e dimostrai tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.»
Ma io che conosco a prova come le Accuse tutte in generale, e la mia
in particolare, troppo meglio del popolo ebreo meritino il titolo di
dura cervice, neanche a ciò mi rimango, e per chiarire l'Accusa che
bisogna andare adagio ai ma' passi, le dirò, che io possiedo nelle mie
mani, e gliela porrò negli atti del processo, proprio la minuta del
Proclama del signor Montanelli ai Livornesi, letto ai signori Capponi,
Giorgini e Samminiatelli prima ch'ei partisse per Livorno, emendato,
a dettatura di uno di loro, nella frase: «Le condizioni che proponeste
alla vostra riconciliazione col Potere;» cui con evidente convenienza
surrogò quest'altra: «i desiderii che esponeste al Potere.» Donde, per
conseguenza inesorata, deriva che tutte le altre espressioni di quel
Programma, su le quali l'Accusa perfidia con malevola sofisticheria,
come quello che furono lasciate stare, o non contengano tutta la
nicotina che immagina, o, se venefiche sono, ne abbia a chiedere
conto principalmente a coloro ai quali incombeva l'alto ufficio di
sopprimerle, e non le soppressero. — Però io metto l'alternativa, così
per guisa di discorso, che so troppo bene essere parole innocentissime
coteste, e so eziandio, che, ora che io gliel'ho detto, l'Accusa
anch'essa quasi le reputa tali.
A me rincresce supporre che il Ministero _scegliesse piuttosto dannarsi
col Montanelli che salvarsi con me_:[108] almeno per quanto concerne
Gino Capponi, che un giorno fu amico! Io credo che questo personaggio,
speculatore arguto delle vicende politiche, e per genio studioso non
solo delle passate storie, ma eziandio di quanto accade alla giornata,
avesse considerato, come dal corso impetuoso che precipitava la più
parte di Europa alle forme repubblicane, lo Stato nostro, per le
sue condizioni altra volta discorse, sarebbesi trovato stravolto nel
turbinío prodigioso a modo di una foglia secca; e però la Costituente
montanelliana accettasse, come quella che gli dava comodo a soffermarsi
sul pendío, e stare a vedere dove le mondiali sorti piegassero, onde
preservare il paese da moti ciechi e irreparabili. Queste speculazioni
poi o non sa fare l'Accusa, e dimostra la incapacità sua a giudicare
dei negozii politici; o sapendole fare non le ha fatte, e dimostra la
stemperatezza con la quale procede a immaginare colpe là dove i tempi
grossi persuadevano provvedimenti straordinarii.
Comunque sia, io mi chiamo estraneo al bando della Costituente.
Il Ministero Capponi si dimetteva, e doveva costituzionalmente
dimettersi, perchè la sua Legge intorno alle adunanze politiche gli
era stata _mutata affatto dalla Commissione_. Altre cause concorsero
senza dubbio, come suole avvenire in qualsivoglia altra rassegna
ministeriale, ma la causa parlamentaria fu quella. In Inghilterra,
a modo di esempio, è regola di Parlamento, che il Ministero non
si dimetta mai dall'ufficio apparentemente per motivi di politica
esterna, e non pertanto questi motivi determinano spesso la sua
renunzia. Allora si promuove qualche incidente di politica interna,
e da quello si ricava argomento per rassegnare i portafogli. Questa
pratica, c'insegnano i pubblicisti, è dovuta all'orgoglio inglese, che
non consente confessare che le faccende altrui possano avere virtù
di sconcertare le proprie. Narra l'Accusa, ed è vero, che in varie
città della Toscana (essa rammenta Livorno, Arezzo e Lucca) avvennero
manifestazioni, affinchè S. A., Montanelli e me chiamasse al Ministero.
S. A. però, secondo che ne corse fama, commetteva lo incarico di
comporre il Ministero al barone Bettino Ricasoli, il quale dopo varii
tentativi rassegnò al Principe il mandato. Però ella è cosa sopra modo
notabile, e dall'Accusa punto avvertita, come i Toscani prendessero a
commuoversi fieramente allora soltanto che corse pubblica la fama avere
S. A. incumbensato il Barone Bettino Ricasoli a comporre un Ministero.
Ora predicava la gente, e voglio credere a torto, il Barone zelasse
caldissimo per le parti di Carlo Alberto; nel quale concetto veniva per
avventura confermata dal _piemonteggiare_, che pareva allora soverchio,
del giornale _La Patria_, mantenuto a sue spese; e dalla presenza di
3, o 4000 (che io non bene ricordo il numero) soldati sardi in Toscana.
Nel falso immaginare, il Popolo temeva che il Principe non desse dentro
in qualche tranello, e il suo commuoversi non mirò già a comporgli un
Ministero, sibbene a salvarlo da quello che reputava rovina. Di questo
l'Accusa, se avesse voluto, poteva raccogliere copia di prove: a me
non è lecito farlo: solo mi basti dimostrare che in Livorno il Popolo
si acquietò, quando seppe non anche composto il Ministero: «Atteso una
lettera che assicura non essere ancora composto il _nuovo Ministero_,
e in seguito di un discorso analogo del Governatore, il Popolo ha
riaperto le porte, e se ne andò nell'aspettativa che i suoi voti sieno
adempiti.»[109]
Fallito il disegno del Ministero Ricasoli, si chiamava il Governatore
di Livorno a Firenze. Il signor Montanelli, giunto alla Capitale,
nè venne a cercarmi, nè si concertò meco, ed invano si sforzerebbe
provarlo l'Accusa, e non lo tenta nemmeno. Una Deputazione della
Guardia Civica si presentò al Principe per supplicarlo a incaricare
il signor Montanelli per la formazione del Ministero. Grande fu la
mia maraviglia quando leggeva il Dispaccio telegrafico del 22 ottobre
1848, del signor Montanelli, annunziatore della mia partecipazione
al Ministero; e maggiore quando egli _improvviso, per la prima volta
dopo il suo ritorno da Inspruck_, circondato da numerosa e onorevole
comitiva, mi si presentava davanti per confermarmelo a voce.
Qui importa notare come l'Accusa ritenga con molta persistenza una
cosa, quasi tornasse a sommo disdoro del signor Montanelli e mio, ed
è: che quantunque _egli assicurasse una Deputazione di cittadini di
tenermi lontano dal Potere_, — malgrado lo _scherno_ prodigatomi con i
suoi detti e nei _suoi scritti_, e il consigliato arresto per _delitti
a lui noti_, egli mi proponesse al Principe per Ministro.
Lascio per ora della pretesa promessa di tenermi lontano dal Potere
perchè a me ignota; dirò delle parole profferite dal signor Montanelli
appena mi vide, e furono queste: «Confessare essere stato indotto in
errore per le altrui calunnie sul conto mio; chiedermene scusa alla
presenza di quei rispettabili cittadini; _non egli avere dettato gli
articoli a me ingiuriosi_, pure meritare rimprovero per non averli
reietti dal suo Giornale;[110] dovermi una splendida riparazione;
averlo sentito nell'anima, e intendere farmela adesso con lo invitarmi
ad essergli compagno nel Ministero.» Così mi favellava persona da me
lungamente riverita ed amata; tornava dalla guerra italiana dove aveva
sparso il suo sangue; era soffrente per la ricevuta ferita; una mano
teneva fasciata al collo; sporgeva la sana in traccia della mia per
pegno di pace.... Mi era parso fin qui che l'oblio delle ingiurie fosse
insegnamento di Cristo; adesso al precetto di religione si aggiungeva
carità di Patria.... io lo abbracciai con tenerezza, e lo baciai. Ora
poi imparo dall'Accusa, che in questo modo procedendo Montanelli ed
io, commettevamo infamie. — Anche questa mi toccava a sentire in Paese
cristiano!
Le politiche emulazioni forte commovendo gli spiriti, avviene che
questi nello ardore del contrasto sovente trascorrano fin dove non
vorrebbero andare, e fu veduto una volta gli odii di parte perpetuarsi
feroci. I Partiti, pur troppo, non serbano modo nelle accuse perchè
contendono per avere ad ogni costo ragione, e questo so e provo. La
parola scocca come saetta dalle labbra adoperate a modo di arco, e
lo stesso furore agita tutte le guerre, sieno di armi, di scritti
o di discorso; nè finchè bolle la zuffa, alla ragione delle offese
si abbada; anzi più piacciono quanto meglio mortali, come quelle
che affidano di sollecita vittoria. Nella Inghilterra, paese nella
pratica della libertà antichissimo, i convizii parlamentari giungono
a tale, che nessuno, per quanto si senta tremare ii cuore in corpo,
può sopportare, ed io ne lessi di quelli avventati da O'Connell
contro lord Brougham, che mi cacciavano i brividi addosso. Ora anche
mettendo la religione a parte, che raccomanda il perdono della
ingiuria, come debito principalissimo del Cristiano, la prudenza
umana persuadeva, che là dove i motivi della ingiuria moltiplicavansi,
quivi si apparecchiasse eziandio copia proporzionata di placamenti.
Però in Inghilterra, quando due Deputati accesi d'ira si avvicendano
ingiurie che a gentiluomo non è dato dissimulare, officiosi amici
interponendosi operano in guisa, che comunque suoni la sconcia favella,
purchè dichiarino, che non intesero denigrare la buona estimazione
scambievole, ciò si ritiene per soddisfazione sufficiente ed onorata.
Ora il sig. Montanelli mi profferiva scuse non già di avere scritto, ma
di avere patito che altri stampasse nella Italia gli articoli che mi
avevano offeso, e me ne domandava perdono. Doveva rifiutarglielo io?
Pare che l'Accusa creda che abbia ad essere _qualche grave scandalo_
conoscere il proprio torto, confessarlo ingenuo, con parole oneste
raumiliare l'animo inacerbito, e dall'odio, che pesa così grave al
cuore dell'uomo, ritornare benigni a quella pace per cui
. . . . . . . quaggiù si gode,
E la strada del ciel si trova aperta.
Intanto il Montanelli protesta: _essere menzogna, che nel gennaio
del 1848 contribuisse al mio arresto, ed afferma averne dissuaso il
Ridolfi, predicendogli che da uno arresto fatto senza elementi di vera
colpabilità ne sarebbe avvenuto quello che realmente avvenne_.[111]
So che Monsignore Buoninsegni assicura, il signor Montanelli avere
parlato ben diverse parole in cotesta occasione; ma vorrà, in grazia,
Monsignore Buoninsegni essermi cortese di non sapermi mal grado se
io credo più che a lui al signor Montanelli quantunque Monsignore
non sia? Rispetto poi al signor Massari ed alla sua trista opinione,
io mi permetterò domandargli se si rammenta quando egli, e per sè e
mandato dal sig. Gioberti, venne a invitarmi a casa per conferire col
Filosofo italiano?[112] E se ricorda quando il Ministro Gioberti con
lettera pressantissima m'invitava a consiglio diplomatico a Torino?
Certo io non ebbi la fortuna di trovarmi d'accordo col suo Maestro;
conosco l'attaccamento ch'egli ha per lui, e di questo lo lodo; so
ancora come il signor Massari sia amico di coloro che non sono amici
miei; ma tutto questo ed altro ancora, non mi pare che gli dia abilità
a dire che il sig. Montanelli fece molto per la rovina d'Italia,
quando mi scelse collega nel Ministero: io vorrei provargli per filo
e per segno tutto il contrario: ma il sig. Massari, che imploro non
meno cortese di Monsignor Buoninsegni, persuadendosi che il carcere
ov'io giaccio, appena vivo, non è il luogo più acconcio per sostenere
simile controversia, senta vergogna di avere provocato chi non gli può
rispondere, senta vergogna di avere vergato sconsigliatamente carte che
meritarono essere raccolte dall'Accusa a danno nostro; — nè peggiore
pena, potendo, io vorrei dargli di questa.
Ma in quanto alla offerta del Montanelli per formar secolui parte
del Ministero, mi schermiva adducendo di varia sorta ragioni,
imperciocchè tanto più mi sembrasse dovermi ostinare nel rifiuto,
in quanto che riputava il suo disegno esorbitante. Però egli e gli
altri mi stavano attorno con preghiere, e con parole che stringono
più veementi delle preghiere, intendo dire il dubbio della sincerità
della riconciliazione, se a ricusargli il mio consenso persistessi:
tuttavolta nemmeno per queste fervorose istanze accettai; mi riservai
dare risposta dopo avere conferito col Principe, che mi fu detto
aspettarmi.[113]
Infatti S. A. mi aspettava. Di questo colloquio basti adesso riferire,
che innanzi tutto supplicai il Principe a dichiararmi s'egli intendeva
eleggermi Ministro di sua piena ed assoluta volontà; alla quale
richiesta sotto la sua fede mi assicurava _eleggermi di sua piena
e liberissima volontà alla carica di Ministro_. In altra occasione,
pregandolo io ad essermi più largo della sua fiducia, il Principe in
suono di mite rimprovero: «E non le detti prova di fiducia, rispose,
quando l'assunsi all'alto grado che occupa?» E penso non ingannarmi
affermando, che S. A. mi dicesse eziandio il marchese Gino Capponi
essere stato mio promotore presso di lui, e Lord Giorgio Hamilton avere
proposto con istanza, che a me la presidenza del Consiglio affidasse,
la quale cosa mi venne confermata più tardi dallo stesso onorevole
Lord.
Ora come può sostenersi, non dico criminalmente ma onestamente, che
io _pervenissi al Potere con mezzi riprovevoli_, e più ancora che
il Principe mi eleggesse _sforzato_ dal timore della guerra civile?
L'Accusa dunque intende smentire la parola del Granduca? Chi di
noi due è il temerario? Io, che su la fede data dal Principe mi
appoggio, o l'Accusa che questa fede disprezza? — E poniamo pur vere
le manifestazioni a mio favore di Livorno, di Arezzo e di Lucca;
forse non accade sovente nei liberi paesi acclamare o disapprovare il
Ministero, e tale chiedere che sia innalzato, e tale altro dimesso?
Intanto si prova come le dimostrazioni livornesi, che per certo
dovevano apprendersi come le più stringenti, fossero esposte al
Principe dentro i limiti costituzionali di semplici espressioni di
desiderio;[114] quelle poi di Lucca e di Arezzo tanto avevano virtù
di muovere gli animi a Firenze, quanto la nebbia dell'anno passato:
e stando all'Accusa, la Deputazione fiorentina non pure non instò per
avermi Ministro, all'opposto pose quasi per patto al Montanelli, che
da me più che da viperino sangue aborrisse. Dunque come io arrivassi
con mezzi riprovevoli al Potere, se l'Accusa non ce lo spiega, riuscirà
davvero malagevole intendere; — finalmente il Principe, anzichè patire
violenza, avrebbe potuto e saputo allontanarsi[115].... Ma io mi
vergogno andare in cerca di argomenti là dove la fede del Principe
mi assicura. Anche una volta lo intenda l'Accusa, dalle labbra reali
uscì la parola, che mi diceva eletto con grato e libero volere; questa
parola rispetti. E se l'Accusa non mi fosse proceduta così acerbamente
nemica, forse poteva conoscere, che se io alla fine accettai, e' fu per
salvare chi incauto troppo si avventurava a perigliose fortune! — Altra
parte importantissima del mio colloquio con S. A. riferirò più tardi.
Avendo acconsentito a formare parte del Ministero Montanelli,
considerando la ragione dei tempi e gli umori dei Popoli, conobbi come
noi fossimo eletti quasi argine estremo allo irrompente precipitare
della Europa verso la Repubblica. Disposto a combattere pel Principato
Costituzionale _come quello che sapevo essere unico desiderio della
massima parte del Popolo toscano_, m'ingegnai formare un Ministero
capace a sostenere la tempesta, raccogliendo gli uomini meglio cospicui
del Partito Costituzionale. A questo scopo con buoni argomenti, che
menerebbe troppo in lungo esporre, persuasi il Sig. Montanelli _a
offrire la presidenza del Consiglio al marchese Gino Capponi_; nè la
pratica si rimase sterile consiglio, chè egli andò a farne ufficio
presso il Marchese; se non che riuscite vane le premure, Montanelli
tornava riportando a me, e a parecchi onorevoli cittadini, che con non
mediocre ansietà attendevamo: «con grato animo _avere accolto il Sig.
Capponi_ questa dimostrazione di stima per lui; doversi però astenere
dallo accettare per cagione di salute; promettere ad ogni modo il suo
appoggio al nuovo Ministero;» e questa promessa veramente mantenne.
Del marchese Ridolfi per essere assente, e per altri rispetti, non
era a parlare. Il barone Ricasoli aveva poco anzi fallito nella
composizione di un Ministero, nè ci procedeva favorevole; con tristo
presagio mi convenne deporre il pensiero di guadagnarci persona la
quale rappresentasse a un punto la nobiltà fiorentina e la parte più
conservatrice della Camera. Tentammo il Professore Eliseo Regny per la
Finanza, ma anch'egli allegando la incerta salute ricusava. D'Ayala,
onoratissimo personaggio e di virtù antica, era ed è illustre in Italia
per fama di dottrina, e per moderati consigli. Franchini, gentiluomo di
buone lettere, zelante della patria, probo, e mite. Mazzoni, piuttosto
rigido osservatore della onestà che ordinariamente onesto. Adami, dal
braccio traboccante dell'Accusa fu misurato, e rinvenuto giusto di
misura! E credo che cotesto egregio uomo, anche in questo momento,
Uscito fuor del _pelago_ alla riva
Si volga _all'acqua perigliosa_, e guati.
Egli, compiacendo ai miei desiderii, sagrificava alla patria non poco,
lasciando i negozii floridissimi della sua Banca, reputata meritamente
sostegno del Commercio livornese. Ed ecco come fu composto il Ministero
contro il quale la dignitosa Accusa e schietta avventa il torchio
di cera gialla acceso in fuoco di maladizione gridando: _anathema
sit_![116] Pertanto io penso potere con sicurezza concludere, che
legittimamente ascesi al Potere al pari di ogni altro Ministro venuto
al mondo con la grazia di Dio, essendovi stato chiamato in virtù dello
esercizio liberissimo della prerogativa reale.[117]
X.
Costituente.
Parliamo della Costituente. Innanzi tutto fa di mestieri sapere come
nella prima conferenza che ebbi con S. A. io le domandassi quali
dovevano essere le condizioni del Ministero. Il Granduca rispondeva
interrogando: «E non gliele ha esposte il sig. Montanelli?» — «Sì
certo, replicai, me le ha esposte; ma io desidero udirle confermare
dalla bocca dell'A. V.» Allora il Granduca stesso, con le sue labbra,
mi dichiarò, programma del nuovo Ministero sarebbe stata la Costituente
del sig. Montanelli, — e questo mi disse senza ambagi, assoluto,
non parlando punto di condizioni, o di riserve. — Rimasi percosso;
e mi ricordo avere soggiunto: «Altezza, io soprattutto mi studio
essere onesto.» E il Granduca: «Ed io pure sono tale.» — «Non vi ha
dubbio, ripresi, e quindi non devo astenermi dal cerziorarla che l'A.
V. può correre eventualmente il risico di perdere la corona con la
Costituente del sig. Montanelli; ora mi permetta, Altezza, che io le
domandi se ella ha bene pensato a queste accidentalità.» — «Io ci ho
pensato, replicò S. A., e quantunque io fossi parato anche a questo
per benefizio del mio Popolo, pure, a parlare schietto, non lo temo,
perchè la mia famiglia ha bene meritato della Toscana, ed io penso, ai
meriti paterni avere aggiunto qualche cosa di mio; laonde _il Popolo
consultato non vorrà scambiarmi per un altro, e credo che voterà pel
Principato Costituzionale e per me_.» — «Lo credo ancora io, ripresi;
ma era mio dovere avvertirla;» e ammirando la fiducia del Principe,
e volendo come per me si poteva corrispondervi in quel punto stesso,
continuai: «Non era da aspettarsi meno dal suo cuore; ma se (e qui con
l'atto della mano accompagnai le parole), _ma se per mutate vicende
V. A. avesse a pentirsi della consentita Costituente, ora per allora
la prego a volermelo confidare, chè io le prometto industriarmi in
maniera, che spero V. A. potrà dimettere il nuovo Ministero piuttosto
con aumento che con iscapito della sua reputazione._»
Qui l'Accusa, secondo il suo stile, aggruppa insieme varie circostanze
a me estranee, per lo intento (secondo la egregia espressione del
Guizot) d'immergermi dentro una atmosfera di preordinazione criminosa.
Parla primieramente d'invio ordinato da Giuseppe Montanelli di
Giovanni La Cecilia a Roma, _dopo la partenza del Pontefice da cotesta
città_, allo scopo di procurare che il dominio temporale cessasse, una
Costituente si bandisse, _Leopoldo Secondo a presidente si eleggesse_,
la unione di Toscana con gli Stati Romani si operasse, senza fare per
_allora_ quistione di _dinastia_ o di _repubblica_. Inoltre, l'Accusa
espone, come, proclamata la Costituente a Roma, il Montanelli scrivendo
al Ministro Bargagli la combattesse, come quella che imponeva limite
ai poteri dei Deputati, e rispettava _la personalità e le condizioni
organiche dei singoli Stati italiani_.
Intorno a questo particolare rispondo, che di rado il signore
Montanelli mi partecipava gli atti del suo Ministero, ed io immaginando
che li concertasse col Principe, taceva; ond'ebbi a maravigliarmi non
poco certo giorno, che S. A. mi domandava, che cosa vi fosse di nuovo.
Alla quale domanda risposi: «Chi meglio informato di V. A., che avrà
ricevuto in giornata le partecipazioni del Ministro degli Esteri?»
Ed egli a me: «Io non so nulla; mi si fanno mancare le necessarie
notizie.» Mi permisi rispettosamente osservargli, che di me non poteva
lamentarsi, perchè non mancavo di giorno in giorno tenerlo informato di
tutto, _anzi pure di ora in ora così di giorno come di notte_, quando
ce n'era il bisogno; in quanto agli altri Ministri avrei provveduto; ed
infatti tornato allo Uffizio, mi dolsi col sig. Montanelli, che tanta
poca diligenza ponesse a compire non pure un riguardo verso persona
tanto autorevole, ma un dovere costituzionale verso il Capo dello
Stato. Queste lettere, questi trattati a cui accenna l'Accusa, io non
conosco; non mi furono esibiti; ignoro qual carattere rivestano; non
sono chiamato a rispondere di loro.
Con questa riserva esaminandoli, osservo che egli spediva lo Incaricato
segreto quando _già il Papa si era allontanato_, e quando le cose
romane versavano manifestamente alla Repubblica, onde impedire che
questa fiamma in paese confinante si accendesse e su noi si avventasse,
procurare che aderisse a Governo ordinato, promuovere, in qualunque
vicenda (e tutte erano temibili o sperabili allora), gl'interessi del
Principe nostro colà; frattanto nè di principato, nè di repubblica
si favellasse. Se io non isbaglio, mi sembra che il Montanelli in
questo modo operando, mettesse in pratica lo ammaestramento del sommo
Politico, che nelle improvvise e non riparabili fortune, il meglio è,
potendo, aspettare: _da cosa nasce cosa, e tempo la governa_. Ed anche
acconsentendo che il Montanelli si affaticasse in prevenzione a volgere
a pro del suo paese lo esito probabile di cotesti tramutamenti, io non
so come e in che lo si voglia incolpare.
Nel volume dei Documenti, a pag. 543, trovo lettera particolare
del sig. Montanelli al conte Bargagli Ministro Toscano a Roma: «_Se
Roma convoca immediatamente la Costituente, e vota la Presidenza di
Leopoldo, noi avremo ottenuto un doppio effetto: 1º Fusione dei due
Stati dell'Italia Centrale. 2º Centro italiano, al quale il Piemonte
e certo anche Napoli dovranno concorrere._» (28 novembre 1848.) — Più
sotto, a pag. 544: «Colla Costituente sarebbe tutto rimediato (ogni
padre ama i suoi figliuoli).... _I Repubblicani non farebbero colpi
di mano. Gli Albertiani sarebbero temperati nelle loro ambizioni
dinastiche ecc._» (Senza data.) — «_Tocca agli Stati a decidere se
convenga meglio Deputati con mandato senza limiti o con limiti._» (pag.
545). — «_Sebbene, qual è stata proclamata, la Costituente romana
non sia d'accordo con quella proposta in Toscana, pur non ostante è
sentita la necessità di astenerci da tutto ciò che può essere causa
di discordia, e l'adesione Toscana, alla Costituente non mancherà._»
(Senza data.) — «Sterbini...... assentì molto volentieri, che la
Costituente fosse proclamata a Roma sotto la _Presidenza di Leopoldo
Secondo_.» (Rapporto di La Cecilia del 30 novembre 1848, pag. 547.) —
Di qui scendono le conseguenze: 1º Che Montanelli trattava comporre uno
Stato della Italia Centrale, che servisse nelle prevedibili eventualità
di equilibrio fra Napoli e Torino. 2º Che si adoperava a prevenire la
_Repubblica_. 3º Che s'ingegnava di comporlo a benefizio di Leopoldo
II. Io comprendo ottimamente che al Governo Pontificio questo possa e
debba riuscire amarissimo; ma in che, e come possa essere argomento
di crimenlese di faccia alla Toscana, io non veggo. E neppure mi
persuado in che guisa questi trattati offendano la pietà cristiana del
signor Montanelli. — Carlo V imperatore teneva imprigionato il papa
Clemente VII in Castel S. Angiolo, e faceva nei suoi Stati esporre
il SS. per lui; di più, egli fu persecutore acerrimo della Riforma
Luterana, e morì santamente da frate nel convento di S. Giusto. Nè
tacciarono il Bossuet di empietà per avere composto nel 1682 gli
articoli della Libertà della Chiesa gallicana sotto Luigi XIV; nè empio
chiamarono Napoleone quando elesse suo figlio Re di Roma. Chi conosce
le conferenze dei trattati di Vienna, sa come i sovrani più religiosi
e cattolici stessero per tôrre al Pontefice lo Stato, il quale gli fu
salvo mercè la destrezza del cardinale Consalvi, e l'appoggio della
Inghilterra, ma non sì che in qualche parte non gli venisse tarpato.
La premura del sig. Montanelli per impedire la limitazione del mandato
dei Deputati alla Costituente, sia intorno alle cose, sia intorno
alle persone, era conseguenza del suo Programma accettato dalla Corona
come condizione del Ministero; ma non si opponeva che gli altri Stati
conferissero mandato limitato; nè ricusava aderire alla Costituente
comunque fosse. Qui non vi è delitto; o se vi fosse, sarebbe delitto
da essere accusato dalla Camera dei Deputati, giudicato dai Senatori;
ma nè Deputati accuserebbero, nè Senatori giudicherebbero, però che
essi alla unanimità votassero la Legge della Costituente. Strano suona
poi lo addebito al Montanelli di avere difeso energicamente il suo
progetto, avvegnadio pei Ministri Costituzionali questo è dovere, come
quello delle Camere, se non piace, disapprovarlo con le orazioni,
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