Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 30
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«L'articolo che togliamo dalla _Costituente Italiana_ è lo esatto
ragguaglio di quanto ieri accadeva sulla Piazza del Popolo di Firenze
e dentro il Palazzo della Signoria.
«Il documento è un Proclama che va sfornito di taluni adempimenti di
voti nostri e del Popolo, di cui cotesti fatti eran promessa, di cui le
misure iniziate dal Governo eran garanzia, ma va per altro arricchito
da una grata e lieta novella, cosicchè lo acquisto per l'una parte
compensa la mancanza che appare dall'altro lato.
«Mancanza è, e per la _Costituente_ (giornale) e per noi, _la
proclamazione definitiva della Unione Repubblicana_, che il Governo
aveva detto di rimettere allo indomani (cioè oggi), _affinchè avesse
luogo con quella solennità e in quello apparato di forza che esige un
atto nazionale_.» (Sono parole della _Costituente_.)
«Acquisto prezioso si è la certezza pervenuta nel corso della notte al
Governo, che stolta e infame invenzione del traditore De Laugier era
la nuova starsi pronti 20,000 Piemontesi ad invader la Toscana, per
riporre l'ultimo Leopoldo sopra un trono cui volontariamente egli aveva
rinunciato fuggendo e lasciando senza timone la nave sdrucita dello
Stato.
«I Piemontesi protestavano solennemente contro la taccia che dar gli
voleva _l'uomo del 29 maggio_ di satelliti di tirannia, di degeneri
Italiani, di uomini che per passività di obbedienza fosser pronti
a mostrarsi fratricidi; e insanguinare la sacra terra d'Italia di
italiano sangue. I Piemontesi protestavano, giammai voler porre
ostacolo al riordinamento della Toscana, e intendere lasciarla libera
di reggersi secondo la forma politica che più fosse per piacerle:
volerci Toscani fratelli e compagni nella guerra contro il comune
nemico — l'Austriaco: ma giammai volerci nemici e combattenti sovra
limiti di provincia che un dì o l'altro debbono esser totalmente
remossi, per dar luogo ad un solo e potente Stato: — la Italia Una e
Repubblicana.
«Ed altra notizia, ella pure aggraditissima e inaspettata, era lo
appoggio e l'amicizia di una grande e formidabile potenza, alla cui
ombra è oggi lecito alla Repubblica della Italia Centrale il metter
salde radici e con minor precipitazione che non li avvenimenti
minacciati dall'imminente avvenire ci facessero ieri parere
indispensabile.
«In grazia di tali rassicuranti novelle, noi consentiamo a subire
in santa pace quella specie (ci si perdoni la inconvenienza della
espressione) di giuoco di bussolotti accaduto fra ieri ed oggi nel
Palazzo della Signoria.
«Ad onta di tutto ciò, ad onta di sentirci coll'animo più libero, e
colla mente meno angustiata da funesti pensieri, noi non cessiamo però,
nè cesseremo giammai, dal deplorare i danni del _provvisorio_, dallo
invocarne il pronto e definitivo termine. Noi non cessiamo nè cesseremo
di deplorare, come una perpetua e feconda sorgente di discordia e di
guerra civile, la presenza di Leopoldo di Austria in Toscana.»
L'aria dintorno diventa densa, e infuocata; già si scrivono e già si
leggono parole somiglievoli alle grosse goccie di pioggia precorritrici
della tempesta; e tempesta di sangue temevasi: nel Popolano del 21
febbraio si dichiara, che la seguente scrittura era dettata fino dal
giorno 19:
«La grande tela ordita dai Principi è compiuta. Tocca ora ai Popoli il
metterla in brani colla punta delle loro baionette e colla mitraglia
dei loro cannoni.
«La condotta dei Regnanti Italiani si svela oggimai ed apparisce nella
sua piena luce.
«Pio IX, Carlo Alberto, Re Bomba e Leopoldo d'Austria van perfettamente
d'accordo, e congiurano ad un sol fine, ad operare dietro un solo
impulso, in un medesimo momento.
«Se sulla infamia e sul tradimento di tutti costoro restasse alcun
dubbio in qualche credula mente, basterebbe a dissiparlo il vedere, il
riflettere come contemporaneamente Radetzky occupi Ferrara, Re Bomba
ingrossi le sue truppe ai confini romani, Carlo Alberto le sue spedisca
in gran furia a quei di Toscana, e Pio IX, senz'armi e senza eserciti,
per far qualcosa, fulmini nuove proteste colla affiochita sua voce
dalle spiaggie di Gaeta.
«Noi siamo lieti, grandemente lieti di questa potente congiura,
perocchè essa è il segnale del definitivo scioglimento della grande
questione italiana.
«Noi siamo lieti, grandemente lieti nello udire che i Tedeschi sono
vicini; e a noi par quasi sentire il nitrito dei loro feroci destrieri,
già ci par vedere lo sperpero delle campagne e la fuga de' nobili
signori ch'eransi iti a rintanare nei loro aristocratici covi per
congiurare contro la patria e contro la libertà.
«Nobili infami!... A che cosa vi sarà valso il congiurare, e il
seminare reazioni, divisioni, disordini? il far gridare: _Viva il
Tedesco, Viva Leopoldo II_?
«Oh vedrete, vedrete, insensati quanto iniqui, se il vostro Leopoldo
II vi salverà lo scrigno dall'artiglio croato; vedrete, vedrete,
codardi, se vi varrà plaudirne lo arrivo per risparmiare le vostre
figlie all'oltraggio, i vostri campi e le vostre ville al saccheggio,
le vostre fortune al forzato tributo!...
«Noi siamo lieti, grandemente lieti, che l'ora della strage, l'ora
del sangue sia venuta: ora vedremo, per Dio, quanti siamo d'Italiani
in Italia, ora ci conteremo tutti, e il sangue dei traditori bagnerà,
insiem con quello del Tedesco, le nostre vie che han d'uopo di un
battesimo di sangue acciò lavarne l'onta delle passate ignominie
per i corsi romorosi, per le sciocche dimostrazioni, per le festose
processioni; per avere, insomma, sostenuto tanti e tanti anni i passi
oziosi e lenti di tanti e tanti cittadini inerti, baloccheggianti,
perduti dietro puerili vaneggiamenti, immersi in discussioni ozjose,
parolaj senza fatti e senza azioni.
* * * * *
«Si fondano in cannoni le campane, si spoglino le chiese dei vani
ori e dei male spesi argenti: si reclutino, marcino, combattano e
frati e monaci e preti, come in altri paesi fu fatto; si costringa i
contadini a marciare per la difesa comune, e i recalcitranti si pongano
dinanzi ai cannoni o ci servano di mitraglia ai nemici: ogni pezzo di
ferro, ogni pezzo di bastone sia messo a profitto: ai pali si aggiunga
una ferrea punta, e servano ad armar lancieri: si riempiano pure le
carceri, purchè si vuoti di nemici lo interno dello Stato. In quanto
a noi, ne facciamo sacramento a Dio ed alla Patria, appena la campana
del Popolo suonerà a stormo, getteremo a terra la penna, e, impugnando
il fucile, sdegneremo riprenderla finchè l'ultimo dei Tedeschi non
abbia sgombrato l'Italia, — finchè l'Italia non sia più un nome, ma una
nazione libera e vincitrice.
«E se questo momento sarà domani, i lettori nostri si tengano per
avvertiti, — il nostro Giornale non apparirà che col riapparire del
vittorioso vessillo repubblicano fralle mura della redenta Firenze.
«Queste nostre parole erano scritte 24 ore innanzi degli avvenimenti di
ieri sera.»
Più cauta in parole, ma di partiti violenti punto meno bramosa, la
_Costituente_ del 21 febbraio predicava:
«Cittadini del Governo Provvisorio di Toscana. — Il Paese è minacciato,
l'Italia ci domanda soccorso; voi pure avete un debito da adempire, un
debito grave e solenne verso la gran madre comune. Gridammo armi ed
armati, gridammo denari, energia, impeto di rivoluzione, e di patria
carità ardente ed efficace; or come fummo ascoltati?
«Battete a dritta ed a manca, _sospingete, sforzate_. Le risorse vi
sono, la buona volontà vi corrisponda; l'ardimento dei più vi sorregge;
camminate adunque, camminate adunque, camminate liberi e forti. _I
ricchi paghino il proprio debito di oro_, come il Popolo generoso
offre il proprio sangue; non ismarritevi nell'inestricabile labirinto
di minute preoccupazioni, ma seguite la via larga delle misure vaste
e risolute. I giorni passano, i giorni sono preziosi e numerati; — che
non trascorrano più lungamente senza frutto! —
* * * * *
«Debbe (il Governo) agire fortemente a reprimere qualunque rinnovazione
di minaccie così inique, qualunque possibilità e principio di tumulti.
Versiamo in circostanze straordinarie, in mezzo a pericoli supremi; —
si adoprino misure straordinarie, mezzi supremi. — L'esempio di Romagna
non è da disprezzarsi: si proclami la Legge Eccezionale; essa emana
dalla legge normale della salute della patria.
«Debbe agire fortemente, per raccogliere denaro, subito e molto.
_Prenderlo dov'è, senza troppa esitanza_, poichè ogni altra trafila
finanziera non corrisponde alla gravezza istantanea del bisogno. Ori e
argenti di tutti, prestito forzato. I Croati a Ferrara, mentre porgono
l'esempio, danno stimolo a tutti a concorrere per non subire con
vergogna e paura una simile sorte.
«E soldati, per Dio! soldati vogliamo. La Guardia Nazionale
riorganizzata si offre, anela forse a una mobilizzazione. Ma per questo
ha bisogno di esser educata, di avere quel corredo di istituzioni e
di armi speciali che possano farla entrare in campagna; si provveda
a tutto questo, — si incominci almeno a provvedere. Poi fa d'uopo
anche pensare alle armi, di cui vi ha visibile scarsezza. Noi siam
ben lontani dall'avere in pronto i mezzi per l'armamento universale
del Popolo, qual è nella nostra mente, e qual è _forse_ nel pensiero
dello stesso Governo; si procurino dunque le armi, e possibilmente
da Venezia, o altrove, nel minore spazio di tempo che può essere
concesso. _Armi, soldati e danaro_: è la nostra parola d'ordine, il
nostro grido giornaliero, il ritornello incessante a cui siamo legati
per coscienza. _Armi, soldati, danaro; Unione con Roma di diritto e
di fatto immediata_, è il nostro programma, il codice della nostra
politica nelle circostanze presenti. Noi lo verremo sempre ripetendo e
insegnando, ec.»[415]
Per questi successi ed eccitamenti, Toscana agitavasi tutta. Il
Governatore Pigli, non curata la condizione apposta dal Governo al
proclama della Repubblica, la bandisce assolutamente:
«La Repubblica è proclamata. Il Popolo è Re. — Guai a chi tentasse
strapparti lo scettro pagato per lunghi secoli con le lacrime, e il
sangue, e le opere della più sublime virtù, della quale ti conserverai,
ne sono certo, indefettibil campione.
«Popolo, compi i tuoi gloriosi destini! Pensa, che la tua capitale è
Roma, che la tua patria è la Italia; chi ti conferisce lo imperio è il
tuo diritto! Chi ti consacra è Dio. Viva l'Italia. Viva la Repubblica.
«Livorno, 19 febbraio 1849. — C. PIGLI.»
E senza neppure consultare il Governo, nella ebbrezza del trionfo, ed
ormai considerandosi dei Capi, o prossimo a diventarlo, della bandita
Repubblica, ecco istituire un giorno di feriato, con tutte le sue
sequele; al quale scopo è necessaria una legge, che per certo non istà
nelle attribuzioni di un Governatore promulgare.
«Cittadini!
«Per festeggiare il presente memorabile giorno, viene disposto che
il medesimo a tutti gli effetti di ragione debba considerarsi come
feriato solenne, e che non si possa quindi procedere al protesto delle
cambiali, ed altri recapiti mercantili.
«Livorno, 19 febbraio 1849.
«C. PIGLI.»
E in altro Proclama affermava:
«La Repubblica è stata proclamata ieri in Firenze con l'adesione del
Governo, _il quale ha bensì impegnato quella città_ a dare in questo
stesso giorno 2000 uomini.»[416]
Questo non era vero. Il Governo aveva mandato: «La Repubblica è
stata proclamata. _Il Governo l'ha accettata a patto, che il Popolo
fiorentino dia per domani 2000 uomini armati_.»[417]
Ma al Pigli, ed ai suoi nuovi amici, importava far credere
diversamente. Su l'ora della mezzanotte _le Deputazioni_, forse unite
in gran parte, e certo indettate con i partigiani di Firenze, piuttosto
stizzite che vinte, volendo sgarare chela Repubblica andasse innanzi ad
ogni modo, con bande, gridi e schiamazzo infinito, destano la città, e
abbindolati i cittadini piantano l'Albero della Libertà, e proclamano
la Repubblica.
«Tutto era calma e tranquillità per la fiducia degli uomini che
reggevano il Governo: quando alla mezza notte il ritorno improvviso
delle Deputazioni da Firenze spargeva la lieta novella della
proclamazione della Repubblica in Toscana, dell'adesione di quei
Tribuni generosi alle volontà manifeste di un Popolo ivi raccolto
da tutte le Provincie. Livorno sebbene a quell'ora tarda prendeva
immediatamente un aspetto festivo: bande musicali percorrevano le vie,
ed il Popolo acclamava con mille evviva a quell'atto solenne d'italiana
rigenerazione. Un Albero della Libertà contornato di bandiere tricolori
era piantato come per incanto nel mezzo della piazza, fra il suono
a festa di tutte le campane e le grida alla Repubblica, a Roma, a
Venezia, a Sicilia, a tutti i fratelli d'Italia: il nuovo sole sorgeva
ad illuminare il più gran fatto nel nostro risorgimento.»[418]
Il Governatore di Livorno intanto, come colui che guarda per vedere
se il tiro ha colto nel segno, scrive a ore tre pomeridiane del 19
febbraio al Ministro dello Interno:
«Qui è stata fatta una solenne manifestazione per festeggiare la
Repubblica _Toscana_. Oggi alle quattro si canterà il _Te Deum_. È
necessario bensì smentire immediatamente una voce, che comincia a
circolare _intorno la dimissione del Guerrazzi_ e del Montanelli, e
la istallazione al Governo di soggetti che non sarebbero graditi. È di
assoluta necessità pronta risposta.»[419]
Che cosa fu risposto? L'Accusa dagli Archivii Governativi ha tolto
quello che le piacque, poi chiudendoli si è posta la chiave in tasca, e
ha detto a me che li voleva esaminare per conto mio: «Concedertelo non
dipende da me, figliuolo; e quando dipendesse da me, tu devi indovinare
prima, o rammentare quello che contengono, ed esporne il contenuto:
allora giudicherò io quali delle carte possono fare al caso tuo, e
quali no; lasciati governare da me, rimettiti nelle mie braccia: vieni,
addormentati sul mio seno; se le mie mammelle contenessero latte, te le
porgerei a poppare. Ad ogni modo, avendo me per tutrice, sto per dire
che tu se' nato vestito, io provvedo a tutto, e credi che lo _todo lo
que hazo, lo hazo per to bien_.» Tenerissima Accusa!
Da Pisa il Prefetto Martini, a ore 1 pomeridiana, avvisa il Ministro
dello Interno, per via telegrafica:
«Il Popolo è adunato numeroso volendo proclamare la Repubblica, sia
_vera_ o _falsa_ la notizia che lo stesso è avvenuto a Firenze. _Molti
cittadini s'interesseranno per trattenere questo atto_, ma ormai pare
inevitabile. Batte la generale. Si dice fatto altrettanto a Livorno,
quindi la mossa di Pisa.»[420]
Il tenore di questo Dispaccio dimostra chiaro, che il Prefetto Martini,
corrispondendo alle istruzioni del Governo, s'ingegnava con altri a
parare quel colpo, ma che disperava venirne a capo.
A Siena già nel giorno 20 febbraio, erano tutti Repubblicani per
convinzione o per paura.[421]
Grosseto nel 20 febbraio bandiva anch'essa la Repubblica, e piantava
l'Albero.[422] Partito appena S. A. da Porto Santo Stefano, fu nel
giorno 22 di febbraio salutata la Repubblica.[423]
Intanto in Firenze si agitava segreta la cospirazione, che scoppiò
nella notte del 21 febbraio 1849; infaustissima fu quella notte, ma
più infausto giorno le poteva tenere dietro. Il _Monitore_ ne dava
ragguaglio nella guisa che già fu detto a pagine 279-282 di questa
Apologia.
Ho esposto altrove, e con documenti provato, come Giuseppe Montanelli
facesse opera veramente cristiana salvando dal furore del Popolo
la gente arrestata, e come in tanto stremo il Governo con provvido
consiglio ricorresse al Circolo medesimo, impegnandolo a mandare taluno
dei suoi concionatori tanto efficaci a rimescolare le moltitudini,
perchè inspirasse loro sensi di carità e di mansuetudine. Se poi mi
domandassero perchè io affermi essere stato cotesto savio consiglio,
mi parrebbe dovere rispondere, che gli uomini i quali non sieno del
tutto perduti ordinariamente s'ingegnano mostrarsi meritevoli della
fiducia, che in essi viene riposta, e quantunque ai giorni nostri i
traditori non sieno appesi, e molto meno s'impicchino da sè, pure quel
brutto nome di Scariotte a nessuno accomoda. Così Lamartine condotto
dal medesimo concetto, che animò (ne sono convinto) i miei Colleghi,
creava la _Guardia mobile_ a Parigi togliendo al disordine le forze
per conservare l'ordine: egli se ne loda, e credo, che in questa parte
abbia ragione.[424]
E qui faccio tregua con le citazioni, osservando, che se lo edifizio
non riuscì come avrei desiderato completo, non è mia la colpa; però
desiderando, piuttosto che sperando, non essere tratto a compirlo,
basterà quello che fu detto per somministrare notizia dei tempi;
imperciocchè
Ogni erba si conosce per lo seme.
Ora io voglio un poco confrontare questi nostri successi con altri, i
quali, a un punto più celebri e più terribili, hanno dato al mondo una
lezione di spavento.
§ 2. _Confronto storico._
Nel 1792 erano in Francia uomini infiammati nei cerebri dai vapori
delle speculazioni astratte, i quali reputando, che il male degli
uomini derivasse non già dalle ree passioni che gli agitano, bensì
dalla forma della Società, come se non fossero essi e le opere loro
che gli hanno ridotti nello stato in cui sono, drizzarono la mente a
capovolgerla di cima in fondo. Però non tutti accordavano su i fini,
nè penso, come allora, in futuro saranno per accordarsi giammai; e
questo è sommo bene. Alcuni di loro intendevano, mercè le riforme
politiche, arrivare alle sociali; altri alla rovescia, nè tutti
volevano trascorrere fino al punto di abolire la fede di Dio; e
quelli che pur volevano cassato Dio, più che altro sembravano Titani
ciechi brancolanti in cerca di scogli per avventarli contro il cielo;
e negli scritti e nei ragionamenti loro manifestavano piuttosto la
convulsione della rabbia, che un discorso considerato della mente.
Spettava ai giorni nostri sopportare la vista di uomini, che lontani
dai ravvolgimenti politici, con la pacatezza del filosofo, e la
soavità dell'uomo dabbene, si affaticano a dimostrarti per filo e
per segno, che tu non sarai felice mai là dove tutta questa macchina
morale, civile, religiosa e politica, non vada in fascio. Certo, chi
dette simile impulso ai moti rivoluzionarii del tempo, sortì grande
la potenza dello ingegno. Lo spirito del male lo deve avere baciato
proprio su la fronte dicendogli: tu sei il figliuolo della mia
predilezione. La grande maggiorità dei diseredati, che forma la base
della piramide sociale, gl'infiniti figliuoli della Natura, che dalla
madre loro credono essere stati benedetti con uno schiaffo, poco si
commuovono per Repubblica o per Monarchia; imbestiati dal miserabile
costume i grossolani appetiti è forza gratificare dapprima; più
tardi verranno i bisogni dello spirito, e il desiderio di razionale
reggimento, tanto più duraturo quanto meglio gli uomini saranno ad
apprezzarlo capaci. Lasciamo che questo avviso assai si rassomigli a
quello di dar fuoco alla casa, nella speranza che ci venga rifabbricata
più bella; egli è certo che per isconvolgere la Società non si poteva
inventare leva più pericolosa, nè più sicura di questa. — Noi vediamo
ordinariamente i Partiti intenti a distruggere, venire a capo dei
concetti disegni per due precipui motivi: primo, perchè su le mosse
vanno di accordo, quantunque più tardi pieghino chi a destra, e chi a
sinistra, chi di loro vuole trascorrere, e chi stare fermo; tuttavolta
siffatte discrepanze lo Stato già sconvolto rendono infermissimo:
secondo, perchè l'assalto procede sempre più fervido della difesa,
nè lo assalito può in un punto da tante parti salvarsi, e l'assalto
gli sopraggiunge addosso continuo, impreveduto, e difficilmente
prevedibile. Un rimedio ci è, o almeno, se non basta questo, agli altri
è inutile pensare; ma lo vedo respinto, però che come tutti i farmachi
sappia un po' di ostico a cui ha il gusto avvezzato a malsani dolciumi.
Gli umori rivoluzionarii tengono della natura di quelle infermità,
che, per ispogliarle del maligno, bisogna inocularle. Il reggimento
costituzionale, da senno praticato, sarebbe la vaccina salutare; ma
tanto è, le vecchie balie non ne vogliono sapere, e gli armano contro
tutti gli errori per questa volta non popolari, ma signorili; intanto
il male cova, e a tempo debito se non ucciderà il fanciullo, te lo
lascerà concio, che Dio ve lo dica per me.
Le grandi Assemblee di rado trascendono ad enormezze, o, se pure
irrompono in quelle, durano poco; e là dove per istituto si ragiona,
se qualche volta la passione accieca, anche a tastoni, la via diritta
smarrita io ho veduto ritrovare sempre; però i Rivoluzionarii di
professione le Assemblee e i Poteri costituiti detestano, o se gli
sopportano, vogliono ad ogni patto dominarli. I Rivoluzionarii in
Francia avevano, a vero dire, seguito grande nell'Assemblea legislativa
in virtù dei Deputati che per sedere sopra i più eccelsi scanni
si chiamavano Montanari, e per la pressione delle conventicole; e
nonostante questo, non pareva loro essere sicuri a bastanza, ove del
tutto non la riducevano in servitù. Se l'Assemblea voleva vivere,
doveva rassegnarsi, ed essere nelle costoro mani quasi un suggello,
per legalizzare le immanità che si accingevano a commettere. Così,
per siffatto disegno, la Comune accanto all'Assemblea a poco a poco
diventò Governo; in seguito più che Governo. Nel Palazzo Municipale
si radunarono i più violenti; di là spaventarono, quivi usurparono, là
ordirono in segreto quanto in palese non avrebbero mai osato, non che
fare, dire.
Qui fra noi mancava l'Assemblea. La eletta con l'antica legge
elettorale, oltre all'essere stata disciolta per volere del Popolo, nè
si sarebbe attentata di adunarsi, e se adunata, avrebbe fornito materia
allo infuriare della moltitudine, che pure si voleva attutire. Ora
io ho veduto che per placare il toro, non gli si agita mica davanti
gli occhi la bandiera vermiglia che odia, e trema; ed è eziandio
così da avvertirsi, come da evitarsi che le prime offese chiamino
le seconde; imperciocchè la vittoria insuperbisca, e quello che ti
riesce ottenere dalla paura, che poca o molta accompagna sempre la
prima esperienza della forza, invano chiederai dopo la prova riuscita
prosperosa per coloro che intendi reprimere. Però di questo a suo
luogo più copiosamente. Intanto reggeva il Governo Provvisorio; per
sua natura debole; sostenitore degli ufficiali governativi piuttosto,
che sostenuto da quelli. A questo gli ufficiali tutti, a questo
i cittadini, amorevoli o no, pongano mente, poichè all'Accusa non
preme badarvi: che il Governo Provvisorio potè salvare uomini e cose,
fondato appunto sul transitorio, che gli serviva di pretesto a non
imprendere mutamenti; — uscendo nel definitivo per impeto di passioni
rivoluzionarie, pensate un po' voi dove vi avrebbe balestrato cotesto
turbine. La Fazione violenta riusciva a sforzarmi in molte cose, non in
tutte, nè nella suprema in ispecie, presso cui le altre erano nulla: di
qui l'agonia di volere ad ogni patto imposta la Repubblica a tumulto,
e di qui, trovatomi oppositore e custode dei diritti dell'universo
Popolo, il proponimento palese in molti, segreto in taluno, di
sostituire al Governo Provvisorio un Governo che la desiderata
Repubblica proclamasse.
In Francia la stampa della Opposizione, spaventata, tace; dei tipi e
dei torchj si spoglia, e ai propagatori delle opinioni rivoluzionarie
si donano: qui pure alla stampa, nemica della violenza, voleva imporsi
silenzio.
In Francia i Rivoluzionarii intendono impadronirsi di quella facoltà,
la quale mentre dura la tempesta degli sconvolgimenti politici non
merita più essere chiamata Giustizia, e neppure diritto di punire, ma
sì piuttosto potenza di mal fare, conciossiachè, ottimamente avverte
il Thiers,[425] arrestare e perseguitare i supposti nemici formi per
i Faziosi principalissima e ambitissima libidine. — Quale e quanta
poi sia la tristizia e la rabbia delle persecuzioni politiche, non
importa discorrere! — Donde nascesse la prima radice dei Tribunali
rivoluzionarii di Francia, insieme con gli altri Storici lo dichiara
Luigi Blanc: «La mollezza e la esitanza dei Poteri governativi da una
parte, e dall'altra il sospetto e la paura fanno nascere la prima idea
del Tribunale rivoluzionario. Dupont di Nemours fu che il propose; e
per questo modo dalle mani di un Consigliere di Parlamento furono poste
le basi del Tribunale rivoluzionario.»[426]
La Storia, non senza che le tremi nella destra lo stilo, registra
nelle sue tavole, come a sbramare le rabbie della scapigliata licenza
e del bilioso assolutismo non fecero mai difetto uomini tristi; i
quali comecchè vestissero toga nè nome di Magistrati meritarono,
nè Magistrati furono; come per vetro traverso a loro si vedeva il
carnefice. E che cosa importarono quei luridi scartafacci curialeschi,
martirio della ragione umana, e scuola di calunnia? Chi ingannarono?
Dio forse, o la coscienza propria, o gli uomini? Ah! nessuno, nessuno
ingannarono; avrebbero operato più presto e più lealmente, a prendere
una pietra e mettersi ad affilare il taglio della mannaia. Deve essere
profonda davvero la satanica voluttà di abbracciare il male, e dirgli:
«Tu sei il mio bene!» se la vendetta umana spesso, e la divina sempre,
il disprezzo presente, la esecrazione dei posteri, e le visioni della
notte e i terrori del giorno, non bastarono a rattenere dal truce
mestiere. Ahimè! Che importa che Fouquier-Tinville, giudice carnefice
della tirannide libertina, muoia come Ciro nel sangue che ha versato?
Che giova che Jefferies, giudice carnefice della tirannide regia, spiri
ammaccato dai colpi come un lupo? La morte loro non richiamerà dal
sepolcro l'illustre Bailly, la egregia Madama Roland, le pie Granut e
Lady Lisle, e Cornish innocentissimo. Io non ardisco interrogarlo, — ma
è ben profondo, ben soverchiante la ragione nostra, il consiglio — per
cui vedemmo per le Storie la nequissima stirpe di cotesti due togati
carnefici rinnovellarsi copiosa, mentre fu scarsa quella di Papiniano
che osò guardare in volto Caracalla, e dirgli: «essere più facile
commettere il fratricidio che scusarlo.»
E qui non pure tra noi si pretendeva che il Governo instituisse
Tribunali rivoluzionarii; ma i Faziosi, già già diventati Governo
da per sè stessi, siffatti Tribunali creavano, i loro Giudici
carnefici eleggevano, uno esercito di mille cagnotti ad accompagnarli
disegnavano. Il Governo Provvisorio queste infamie impediva, e,
fingendo adempire egli alle sformate voglie della Fazione, mutava
in comune salvezza quello che nelle mani altrui sarebbe stato esizio
universale. Lo impugnate voi? Su, vengano innanzi le vedove che abbiamo
fatto, escano fuori gli orfani per causa nostra, e ci pongano accusa.
La pena più lunga, che fu applicata dal Romanelli, questo nuovo Carrier
del contado aretino, non arriva al terzo della nostra carcere di
custodia!
In Francia, a Parigi segnatamente, spaventavano le persone, solite a
trovarsi in tutte le Capitali, per costume depravate, d'istinto feroci,
per abitudine di trambusto fatte convulse, perpetuamente oscillanti
fra lo ergastolo e la taverna; tanto più rese terribili adesso, che
sciagurati predicatori le ammaestravano a colorire le inique passioni
con la politica. — Fra noi terribili erano gli scherani nostri, e
non pochi, ma non sì, che, come in numero, in ferocia non venissero
superati da quelli che ci mandava la vicina Romagna, cui pure adesso
con molta fatica contiene grossa mano di armati, vigilanti ai confini.
Vedete in Francia uomini improvidi del domani, non aborrire accendere
oggi uno incendio, che non sapranno più spegnere, e dal quale eglino
stessi rimarranno a posta loro distrutti; e Cammillo Desmoulins,
stracciando lo ingegno bellissimo, gittarne i brani al Popolo
feroce, per vie più inferocirlo. «Abbiamo uno esercito, egli diceva,
latente sì, ma ordinato e in procinto. Nè causa al mondo fu della
nostra più sacra per combattere; nè premio maggiore destinato alla
vittoria. Quarantamila palazzi, case, castelli, due quinti delle terre
ragguaglio di quanto ieri accadeva sulla Piazza del Popolo di Firenze
e dentro il Palazzo della Signoria.
«Il documento è un Proclama che va sfornito di taluni adempimenti di
voti nostri e del Popolo, di cui cotesti fatti eran promessa, di cui le
misure iniziate dal Governo eran garanzia, ma va per altro arricchito
da una grata e lieta novella, cosicchè lo acquisto per l'una parte
compensa la mancanza che appare dall'altro lato.
«Mancanza è, e per la _Costituente_ (giornale) e per noi, _la
proclamazione definitiva della Unione Repubblicana_, che il Governo
aveva detto di rimettere allo indomani (cioè oggi), _affinchè avesse
luogo con quella solennità e in quello apparato di forza che esige un
atto nazionale_.» (Sono parole della _Costituente_.)
«Acquisto prezioso si è la certezza pervenuta nel corso della notte al
Governo, che stolta e infame invenzione del traditore De Laugier era
la nuova starsi pronti 20,000 Piemontesi ad invader la Toscana, per
riporre l'ultimo Leopoldo sopra un trono cui volontariamente egli aveva
rinunciato fuggendo e lasciando senza timone la nave sdrucita dello
Stato.
«I Piemontesi protestavano solennemente contro la taccia che dar gli
voleva _l'uomo del 29 maggio_ di satelliti di tirannia, di degeneri
Italiani, di uomini che per passività di obbedienza fosser pronti
a mostrarsi fratricidi; e insanguinare la sacra terra d'Italia di
italiano sangue. I Piemontesi protestavano, giammai voler porre
ostacolo al riordinamento della Toscana, e intendere lasciarla libera
di reggersi secondo la forma politica che più fosse per piacerle:
volerci Toscani fratelli e compagni nella guerra contro il comune
nemico — l'Austriaco: ma giammai volerci nemici e combattenti sovra
limiti di provincia che un dì o l'altro debbono esser totalmente
remossi, per dar luogo ad un solo e potente Stato: — la Italia Una e
Repubblicana.
«Ed altra notizia, ella pure aggraditissima e inaspettata, era lo
appoggio e l'amicizia di una grande e formidabile potenza, alla cui
ombra è oggi lecito alla Repubblica della Italia Centrale il metter
salde radici e con minor precipitazione che non li avvenimenti
minacciati dall'imminente avvenire ci facessero ieri parere
indispensabile.
«In grazia di tali rassicuranti novelle, noi consentiamo a subire
in santa pace quella specie (ci si perdoni la inconvenienza della
espressione) di giuoco di bussolotti accaduto fra ieri ed oggi nel
Palazzo della Signoria.
«Ad onta di tutto ciò, ad onta di sentirci coll'animo più libero, e
colla mente meno angustiata da funesti pensieri, noi non cessiamo però,
nè cesseremo giammai, dal deplorare i danni del _provvisorio_, dallo
invocarne il pronto e definitivo termine. Noi non cessiamo nè cesseremo
di deplorare, come una perpetua e feconda sorgente di discordia e di
guerra civile, la presenza di Leopoldo di Austria in Toscana.»
L'aria dintorno diventa densa, e infuocata; già si scrivono e già si
leggono parole somiglievoli alle grosse goccie di pioggia precorritrici
della tempesta; e tempesta di sangue temevasi: nel Popolano del 21
febbraio si dichiara, che la seguente scrittura era dettata fino dal
giorno 19:
«La grande tela ordita dai Principi è compiuta. Tocca ora ai Popoli il
metterla in brani colla punta delle loro baionette e colla mitraglia
dei loro cannoni.
«La condotta dei Regnanti Italiani si svela oggimai ed apparisce nella
sua piena luce.
«Pio IX, Carlo Alberto, Re Bomba e Leopoldo d'Austria van perfettamente
d'accordo, e congiurano ad un sol fine, ad operare dietro un solo
impulso, in un medesimo momento.
«Se sulla infamia e sul tradimento di tutti costoro restasse alcun
dubbio in qualche credula mente, basterebbe a dissiparlo il vedere, il
riflettere come contemporaneamente Radetzky occupi Ferrara, Re Bomba
ingrossi le sue truppe ai confini romani, Carlo Alberto le sue spedisca
in gran furia a quei di Toscana, e Pio IX, senz'armi e senza eserciti,
per far qualcosa, fulmini nuove proteste colla affiochita sua voce
dalle spiaggie di Gaeta.
«Noi siamo lieti, grandemente lieti di questa potente congiura,
perocchè essa è il segnale del definitivo scioglimento della grande
questione italiana.
«Noi siamo lieti, grandemente lieti nello udire che i Tedeschi sono
vicini; e a noi par quasi sentire il nitrito dei loro feroci destrieri,
già ci par vedere lo sperpero delle campagne e la fuga de' nobili
signori ch'eransi iti a rintanare nei loro aristocratici covi per
congiurare contro la patria e contro la libertà.
«Nobili infami!... A che cosa vi sarà valso il congiurare, e il
seminare reazioni, divisioni, disordini? il far gridare: _Viva il
Tedesco, Viva Leopoldo II_?
«Oh vedrete, vedrete, insensati quanto iniqui, se il vostro Leopoldo
II vi salverà lo scrigno dall'artiglio croato; vedrete, vedrete,
codardi, se vi varrà plaudirne lo arrivo per risparmiare le vostre
figlie all'oltraggio, i vostri campi e le vostre ville al saccheggio,
le vostre fortune al forzato tributo!...
«Noi siamo lieti, grandemente lieti, che l'ora della strage, l'ora
del sangue sia venuta: ora vedremo, per Dio, quanti siamo d'Italiani
in Italia, ora ci conteremo tutti, e il sangue dei traditori bagnerà,
insiem con quello del Tedesco, le nostre vie che han d'uopo di un
battesimo di sangue acciò lavarne l'onta delle passate ignominie
per i corsi romorosi, per le sciocche dimostrazioni, per le festose
processioni; per avere, insomma, sostenuto tanti e tanti anni i passi
oziosi e lenti di tanti e tanti cittadini inerti, baloccheggianti,
perduti dietro puerili vaneggiamenti, immersi in discussioni ozjose,
parolaj senza fatti e senza azioni.
* * * * *
«Si fondano in cannoni le campane, si spoglino le chiese dei vani
ori e dei male spesi argenti: si reclutino, marcino, combattano e
frati e monaci e preti, come in altri paesi fu fatto; si costringa i
contadini a marciare per la difesa comune, e i recalcitranti si pongano
dinanzi ai cannoni o ci servano di mitraglia ai nemici: ogni pezzo di
ferro, ogni pezzo di bastone sia messo a profitto: ai pali si aggiunga
una ferrea punta, e servano ad armar lancieri: si riempiano pure le
carceri, purchè si vuoti di nemici lo interno dello Stato. In quanto
a noi, ne facciamo sacramento a Dio ed alla Patria, appena la campana
del Popolo suonerà a stormo, getteremo a terra la penna, e, impugnando
il fucile, sdegneremo riprenderla finchè l'ultimo dei Tedeschi non
abbia sgombrato l'Italia, — finchè l'Italia non sia più un nome, ma una
nazione libera e vincitrice.
«E se questo momento sarà domani, i lettori nostri si tengano per
avvertiti, — il nostro Giornale non apparirà che col riapparire del
vittorioso vessillo repubblicano fralle mura della redenta Firenze.
«Queste nostre parole erano scritte 24 ore innanzi degli avvenimenti di
ieri sera.»
Più cauta in parole, ma di partiti violenti punto meno bramosa, la
_Costituente_ del 21 febbraio predicava:
«Cittadini del Governo Provvisorio di Toscana. — Il Paese è minacciato,
l'Italia ci domanda soccorso; voi pure avete un debito da adempire, un
debito grave e solenne verso la gran madre comune. Gridammo armi ed
armati, gridammo denari, energia, impeto di rivoluzione, e di patria
carità ardente ed efficace; or come fummo ascoltati?
«Battete a dritta ed a manca, _sospingete, sforzate_. Le risorse vi
sono, la buona volontà vi corrisponda; l'ardimento dei più vi sorregge;
camminate adunque, camminate adunque, camminate liberi e forti. _I
ricchi paghino il proprio debito di oro_, come il Popolo generoso
offre il proprio sangue; non ismarritevi nell'inestricabile labirinto
di minute preoccupazioni, ma seguite la via larga delle misure vaste
e risolute. I giorni passano, i giorni sono preziosi e numerati; — che
non trascorrano più lungamente senza frutto! —
* * * * *
«Debbe (il Governo) agire fortemente a reprimere qualunque rinnovazione
di minaccie così inique, qualunque possibilità e principio di tumulti.
Versiamo in circostanze straordinarie, in mezzo a pericoli supremi; —
si adoprino misure straordinarie, mezzi supremi. — L'esempio di Romagna
non è da disprezzarsi: si proclami la Legge Eccezionale; essa emana
dalla legge normale della salute della patria.
«Debbe agire fortemente, per raccogliere denaro, subito e molto.
_Prenderlo dov'è, senza troppa esitanza_, poichè ogni altra trafila
finanziera non corrisponde alla gravezza istantanea del bisogno. Ori e
argenti di tutti, prestito forzato. I Croati a Ferrara, mentre porgono
l'esempio, danno stimolo a tutti a concorrere per non subire con
vergogna e paura una simile sorte.
«E soldati, per Dio! soldati vogliamo. La Guardia Nazionale
riorganizzata si offre, anela forse a una mobilizzazione. Ma per questo
ha bisogno di esser educata, di avere quel corredo di istituzioni e
di armi speciali che possano farla entrare in campagna; si provveda
a tutto questo, — si incominci almeno a provvedere. Poi fa d'uopo
anche pensare alle armi, di cui vi ha visibile scarsezza. Noi siam
ben lontani dall'avere in pronto i mezzi per l'armamento universale
del Popolo, qual è nella nostra mente, e qual è _forse_ nel pensiero
dello stesso Governo; si procurino dunque le armi, e possibilmente
da Venezia, o altrove, nel minore spazio di tempo che può essere
concesso. _Armi, soldati e danaro_: è la nostra parola d'ordine, il
nostro grido giornaliero, il ritornello incessante a cui siamo legati
per coscienza. _Armi, soldati, danaro; Unione con Roma di diritto e
di fatto immediata_, è il nostro programma, il codice della nostra
politica nelle circostanze presenti. Noi lo verremo sempre ripetendo e
insegnando, ec.»[415]
Per questi successi ed eccitamenti, Toscana agitavasi tutta. Il
Governatore Pigli, non curata la condizione apposta dal Governo al
proclama della Repubblica, la bandisce assolutamente:
«La Repubblica è proclamata. Il Popolo è Re. — Guai a chi tentasse
strapparti lo scettro pagato per lunghi secoli con le lacrime, e il
sangue, e le opere della più sublime virtù, della quale ti conserverai,
ne sono certo, indefettibil campione.
«Popolo, compi i tuoi gloriosi destini! Pensa, che la tua capitale è
Roma, che la tua patria è la Italia; chi ti conferisce lo imperio è il
tuo diritto! Chi ti consacra è Dio. Viva l'Italia. Viva la Repubblica.
«Livorno, 19 febbraio 1849. — C. PIGLI.»
E senza neppure consultare il Governo, nella ebbrezza del trionfo, ed
ormai considerandosi dei Capi, o prossimo a diventarlo, della bandita
Repubblica, ecco istituire un giorno di feriato, con tutte le sue
sequele; al quale scopo è necessaria una legge, che per certo non istà
nelle attribuzioni di un Governatore promulgare.
«Cittadini!
«Per festeggiare il presente memorabile giorno, viene disposto che
il medesimo a tutti gli effetti di ragione debba considerarsi come
feriato solenne, e che non si possa quindi procedere al protesto delle
cambiali, ed altri recapiti mercantili.
«Livorno, 19 febbraio 1849.
«C. PIGLI.»
E in altro Proclama affermava:
«La Repubblica è stata proclamata ieri in Firenze con l'adesione del
Governo, _il quale ha bensì impegnato quella città_ a dare in questo
stesso giorno 2000 uomini.»[416]
Questo non era vero. Il Governo aveva mandato: «La Repubblica è
stata proclamata. _Il Governo l'ha accettata a patto, che il Popolo
fiorentino dia per domani 2000 uomini armati_.»[417]
Ma al Pigli, ed ai suoi nuovi amici, importava far credere
diversamente. Su l'ora della mezzanotte _le Deputazioni_, forse unite
in gran parte, e certo indettate con i partigiani di Firenze, piuttosto
stizzite che vinte, volendo sgarare chela Repubblica andasse innanzi ad
ogni modo, con bande, gridi e schiamazzo infinito, destano la città, e
abbindolati i cittadini piantano l'Albero della Libertà, e proclamano
la Repubblica.
«Tutto era calma e tranquillità per la fiducia degli uomini che
reggevano il Governo: quando alla mezza notte il ritorno improvviso
delle Deputazioni da Firenze spargeva la lieta novella della
proclamazione della Repubblica in Toscana, dell'adesione di quei
Tribuni generosi alle volontà manifeste di un Popolo ivi raccolto
da tutte le Provincie. Livorno sebbene a quell'ora tarda prendeva
immediatamente un aspetto festivo: bande musicali percorrevano le vie,
ed il Popolo acclamava con mille evviva a quell'atto solenne d'italiana
rigenerazione. Un Albero della Libertà contornato di bandiere tricolori
era piantato come per incanto nel mezzo della piazza, fra il suono
a festa di tutte le campane e le grida alla Repubblica, a Roma, a
Venezia, a Sicilia, a tutti i fratelli d'Italia: il nuovo sole sorgeva
ad illuminare il più gran fatto nel nostro risorgimento.»[418]
Il Governatore di Livorno intanto, come colui che guarda per vedere
se il tiro ha colto nel segno, scrive a ore tre pomeridiane del 19
febbraio al Ministro dello Interno:
«Qui è stata fatta una solenne manifestazione per festeggiare la
Repubblica _Toscana_. Oggi alle quattro si canterà il _Te Deum_. È
necessario bensì smentire immediatamente una voce, che comincia a
circolare _intorno la dimissione del Guerrazzi_ e del Montanelli, e
la istallazione al Governo di soggetti che non sarebbero graditi. È di
assoluta necessità pronta risposta.»[419]
Che cosa fu risposto? L'Accusa dagli Archivii Governativi ha tolto
quello che le piacque, poi chiudendoli si è posta la chiave in tasca, e
ha detto a me che li voleva esaminare per conto mio: «Concedertelo non
dipende da me, figliuolo; e quando dipendesse da me, tu devi indovinare
prima, o rammentare quello che contengono, ed esporne il contenuto:
allora giudicherò io quali delle carte possono fare al caso tuo, e
quali no; lasciati governare da me, rimettiti nelle mie braccia: vieni,
addormentati sul mio seno; se le mie mammelle contenessero latte, te le
porgerei a poppare. Ad ogni modo, avendo me per tutrice, sto per dire
che tu se' nato vestito, io provvedo a tutto, e credi che lo _todo lo
que hazo, lo hazo per to bien_.» Tenerissima Accusa!
Da Pisa il Prefetto Martini, a ore 1 pomeridiana, avvisa il Ministro
dello Interno, per via telegrafica:
«Il Popolo è adunato numeroso volendo proclamare la Repubblica, sia
_vera_ o _falsa_ la notizia che lo stesso è avvenuto a Firenze. _Molti
cittadini s'interesseranno per trattenere questo atto_, ma ormai pare
inevitabile. Batte la generale. Si dice fatto altrettanto a Livorno,
quindi la mossa di Pisa.»[420]
Il tenore di questo Dispaccio dimostra chiaro, che il Prefetto Martini,
corrispondendo alle istruzioni del Governo, s'ingegnava con altri a
parare quel colpo, ma che disperava venirne a capo.
A Siena già nel giorno 20 febbraio, erano tutti Repubblicani per
convinzione o per paura.[421]
Grosseto nel 20 febbraio bandiva anch'essa la Repubblica, e piantava
l'Albero.[422] Partito appena S. A. da Porto Santo Stefano, fu nel
giorno 22 di febbraio salutata la Repubblica.[423]
Intanto in Firenze si agitava segreta la cospirazione, che scoppiò
nella notte del 21 febbraio 1849; infaustissima fu quella notte, ma
più infausto giorno le poteva tenere dietro. Il _Monitore_ ne dava
ragguaglio nella guisa che già fu detto a pagine 279-282 di questa
Apologia.
Ho esposto altrove, e con documenti provato, come Giuseppe Montanelli
facesse opera veramente cristiana salvando dal furore del Popolo
la gente arrestata, e come in tanto stremo il Governo con provvido
consiglio ricorresse al Circolo medesimo, impegnandolo a mandare taluno
dei suoi concionatori tanto efficaci a rimescolare le moltitudini,
perchè inspirasse loro sensi di carità e di mansuetudine. Se poi mi
domandassero perchè io affermi essere stato cotesto savio consiglio,
mi parrebbe dovere rispondere, che gli uomini i quali non sieno del
tutto perduti ordinariamente s'ingegnano mostrarsi meritevoli della
fiducia, che in essi viene riposta, e quantunque ai giorni nostri i
traditori non sieno appesi, e molto meno s'impicchino da sè, pure quel
brutto nome di Scariotte a nessuno accomoda. Così Lamartine condotto
dal medesimo concetto, che animò (ne sono convinto) i miei Colleghi,
creava la _Guardia mobile_ a Parigi togliendo al disordine le forze
per conservare l'ordine: egli se ne loda, e credo, che in questa parte
abbia ragione.[424]
E qui faccio tregua con le citazioni, osservando, che se lo edifizio
non riuscì come avrei desiderato completo, non è mia la colpa; però
desiderando, piuttosto che sperando, non essere tratto a compirlo,
basterà quello che fu detto per somministrare notizia dei tempi;
imperciocchè
Ogni erba si conosce per lo seme.
Ora io voglio un poco confrontare questi nostri successi con altri, i
quali, a un punto più celebri e più terribili, hanno dato al mondo una
lezione di spavento.
§ 2. _Confronto storico._
Nel 1792 erano in Francia uomini infiammati nei cerebri dai vapori
delle speculazioni astratte, i quali reputando, che il male degli
uomini derivasse non già dalle ree passioni che gli agitano, bensì
dalla forma della Società, come se non fossero essi e le opere loro
che gli hanno ridotti nello stato in cui sono, drizzarono la mente a
capovolgerla di cima in fondo. Però non tutti accordavano su i fini,
nè penso, come allora, in futuro saranno per accordarsi giammai; e
questo è sommo bene. Alcuni di loro intendevano, mercè le riforme
politiche, arrivare alle sociali; altri alla rovescia, nè tutti
volevano trascorrere fino al punto di abolire la fede di Dio; e
quelli che pur volevano cassato Dio, più che altro sembravano Titani
ciechi brancolanti in cerca di scogli per avventarli contro il cielo;
e negli scritti e nei ragionamenti loro manifestavano piuttosto la
convulsione della rabbia, che un discorso considerato della mente.
Spettava ai giorni nostri sopportare la vista di uomini, che lontani
dai ravvolgimenti politici, con la pacatezza del filosofo, e la
soavità dell'uomo dabbene, si affaticano a dimostrarti per filo e
per segno, che tu non sarai felice mai là dove tutta questa macchina
morale, civile, religiosa e politica, non vada in fascio. Certo, chi
dette simile impulso ai moti rivoluzionarii del tempo, sortì grande
la potenza dello ingegno. Lo spirito del male lo deve avere baciato
proprio su la fronte dicendogli: tu sei il figliuolo della mia
predilezione. La grande maggiorità dei diseredati, che forma la base
della piramide sociale, gl'infiniti figliuoli della Natura, che dalla
madre loro credono essere stati benedetti con uno schiaffo, poco si
commuovono per Repubblica o per Monarchia; imbestiati dal miserabile
costume i grossolani appetiti è forza gratificare dapprima; più
tardi verranno i bisogni dello spirito, e il desiderio di razionale
reggimento, tanto più duraturo quanto meglio gli uomini saranno ad
apprezzarlo capaci. Lasciamo che questo avviso assai si rassomigli a
quello di dar fuoco alla casa, nella speranza che ci venga rifabbricata
più bella; egli è certo che per isconvolgere la Società non si poteva
inventare leva più pericolosa, nè più sicura di questa. — Noi vediamo
ordinariamente i Partiti intenti a distruggere, venire a capo dei
concetti disegni per due precipui motivi: primo, perchè su le mosse
vanno di accordo, quantunque più tardi pieghino chi a destra, e chi a
sinistra, chi di loro vuole trascorrere, e chi stare fermo; tuttavolta
siffatte discrepanze lo Stato già sconvolto rendono infermissimo:
secondo, perchè l'assalto procede sempre più fervido della difesa,
nè lo assalito può in un punto da tante parti salvarsi, e l'assalto
gli sopraggiunge addosso continuo, impreveduto, e difficilmente
prevedibile. Un rimedio ci è, o almeno, se non basta questo, agli altri
è inutile pensare; ma lo vedo respinto, però che come tutti i farmachi
sappia un po' di ostico a cui ha il gusto avvezzato a malsani dolciumi.
Gli umori rivoluzionarii tengono della natura di quelle infermità,
che, per ispogliarle del maligno, bisogna inocularle. Il reggimento
costituzionale, da senno praticato, sarebbe la vaccina salutare; ma
tanto è, le vecchie balie non ne vogliono sapere, e gli armano contro
tutti gli errori per questa volta non popolari, ma signorili; intanto
il male cova, e a tempo debito se non ucciderà il fanciullo, te lo
lascerà concio, che Dio ve lo dica per me.
Le grandi Assemblee di rado trascendono ad enormezze, o, se pure
irrompono in quelle, durano poco; e là dove per istituto si ragiona,
se qualche volta la passione accieca, anche a tastoni, la via diritta
smarrita io ho veduto ritrovare sempre; però i Rivoluzionarii di
professione le Assemblee e i Poteri costituiti detestano, o se gli
sopportano, vogliono ad ogni patto dominarli. I Rivoluzionarii in
Francia avevano, a vero dire, seguito grande nell'Assemblea legislativa
in virtù dei Deputati che per sedere sopra i più eccelsi scanni
si chiamavano Montanari, e per la pressione delle conventicole; e
nonostante questo, non pareva loro essere sicuri a bastanza, ove del
tutto non la riducevano in servitù. Se l'Assemblea voleva vivere,
doveva rassegnarsi, ed essere nelle costoro mani quasi un suggello,
per legalizzare le immanità che si accingevano a commettere. Così,
per siffatto disegno, la Comune accanto all'Assemblea a poco a poco
diventò Governo; in seguito più che Governo. Nel Palazzo Municipale
si radunarono i più violenti; di là spaventarono, quivi usurparono, là
ordirono in segreto quanto in palese non avrebbero mai osato, non che
fare, dire.
Qui fra noi mancava l'Assemblea. La eletta con l'antica legge
elettorale, oltre all'essere stata disciolta per volere del Popolo, nè
si sarebbe attentata di adunarsi, e se adunata, avrebbe fornito materia
allo infuriare della moltitudine, che pure si voleva attutire. Ora
io ho veduto che per placare il toro, non gli si agita mica davanti
gli occhi la bandiera vermiglia che odia, e trema; ed è eziandio
così da avvertirsi, come da evitarsi che le prime offese chiamino
le seconde; imperciocchè la vittoria insuperbisca, e quello che ti
riesce ottenere dalla paura, che poca o molta accompagna sempre la
prima esperienza della forza, invano chiederai dopo la prova riuscita
prosperosa per coloro che intendi reprimere. Però di questo a suo
luogo più copiosamente. Intanto reggeva il Governo Provvisorio; per
sua natura debole; sostenitore degli ufficiali governativi piuttosto,
che sostenuto da quelli. A questo gli ufficiali tutti, a questo
i cittadini, amorevoli o no, pongano mente, poichè all'Accusa non
preme badarvi: che il Governo Provvisorio potè salvare uomini e cose,
fondato appunto sul transitorio, che gli serviva di pretesto a non
imprendere mutamenti; — uscendo nel definitivo per impeto di passioni
rivoluzionarie, pensate un po' voi dove vi avrebbe balestrato cotesto
turbine. La Fazione violenta riusciva a sforzarmi in molte cose, non in
tutte, nè nella suprema in ispecie, presso cui le altre erano nulla: di
qui l'agonia di volere ad ogni patto imposta la Repubblica a tumulto,
e di qui, trovatomi oppositore e custode dei diritti dell'universo
Popolo, il proponimento palese in molti, segreto in taluno, di
sostituire al Governo Provvisorio un Governo che la desiderata
Repubblica proclamasse.
In Francia la stampa della Opposizione, spaventata, tace; dei tipi e
dei torchj si spoglia, e ai propagatori delle opinioni rivoluzionarie
si donano: qui pure alla stampa, nemica della violenza, voleva imporsi
silenzio.
In Francia i Rivoluzionarii intendono impadronirsi di quella facoltà,
la quale mentre dura la tempesta degli sconvolgimenti politici non
merita più essere chiamata Giustizia, e neppure diritto di punire, ma
sì piuttosto potenza di mal fare, conciossiachè, ottimamente avverte
il Thiers,[425] arrestare e perseguitare i supposti nemici formi per
i Faziosi principalissima e ambitissima libidine. — Quale e quanta
poi sia la tristizia e la rabbia delle persecuzioni politiche, non
importa discorrere! — Donde nascesse la prima radice dei Tribunali
rivoluzionarii di Francia, insieme con gli altri Storici lo dichiara
Luigi Blanc: «La mollezza e la esitanza dei Poteri governativi da una
parte, e dall'altra il sospetto e la paura fanno nascere la prima idea
del Tribunale rivoluzionario. Dupont di Nemours fu che il propose; e
per questo modo dalle mani di un Consigliere di Parlamento furono poste
le basi del Tribunale rivoluzionario.»[426]
La Storia, non senza che le tremi nella destra lo stilo, registra
nelle sue tavole, come a sbramare le rabbie della scapigliata licenza
e del bilioso assolutismo non fecero mai difetto uomini tristi; i
quali comecchè vestissero toga nè nome di Magistrati meritarono,
nè Magistrati furono; come per vetro traverso a loro si vedeva il
carnefice. E che cosa importarono quei luridi scartafacci curialeschi,
martirio della ragione umana, e scuola di calunnia? Chi ingannarono?
Dio forse, o la coscienza propria, o gli uomini? Ah! nessuno, nessuno
ingannarono; avrebbero operato più presto e più lealmente, a prendere
una pietra e mettersi ad affilare il taglio della mannaia. Deve essere
profonda davvero la satanica voluttà di abbracciare il male, e dirgli:
«Tu sei il mio bene!» se la vendetta umana spesso, e la divina sempre,
il disprezzo presente, la esecrazione dei posteri, e le visioni della
notte e i terrori del giorno, non bastarono a rattenere dal truce
mestiere. Ahimè! Che importa che Fouquier-Tinville, giudice carnefice
della tirannide libertina, muoia come Ciro nel sangue che ha versato?
Che giova che Jefferies, giudice carnefice della tirannide regia, spiri
ammaccato dai colpi come un lupo? La morte loro non richiamerà dal
sepolcro l'illustre Bailly, la egregia Madama Roland, le pie Granut e
Lady Lisle, e Cornish innocentissimo. Io non ardisco interrogarlo, — ma
è ben profondo, ben soverchiante la ragione nostra, il consiglio — per
cui vedemmo per le Storie la nequissima stirpe di cotesti due togati
carnefici rinnovellarsi copiosa, mentre fu scarsa quella di Papiniano
che osò guardare in volto Caracalla, e dirgli: «essere più facile
commettere il fratricidio che scusarlo.»
E qui non pure tra noi si pretendeva che il Governo instituisse
Tribunali rivoluzionarii; ma i Faziosi, già già diventati Governo
da per sè stessi, siffatti Tribunali creavano, i loro Giudici
carnefici eleggevano, uno esercito di mille cagnotti ad accompagnarli
disegnavano. Il Governo Provvisorio queste infamie impediva, e,
fingendo adempire egli alle sformate voglie della Fazione, mutava
in comune salvezza quello che nelle mani altrui sarebbe stato esizio
universale. Lo impugnate voi? Su, vengano innanzi le vedove che abbiamo
fatto, escano fuori gli orfani per causa nostra, e ci pongano accusa.
La pena più lunga, che fu applicata dal Romanelli, questo nuovo Carrier
del contado aretino, non arriva al terzo della nostra carcere di
custodia!
In Francia, a Parigi segnatamente, spaventavano le persone, solite a
trovarsi in tutte le Capitali, per costume depravate, d'istinto feroci,
per abitudine di trambusto fatte convulse, perpetuamente oscillanti
fra lo ergastolo e la taverna; tanto più rese terribili adesso, che
sciagurati predicatori le ammaestravano a colorire le inique passioni
con la politica. — Fra noi terribili erano gli scherani nostri, e
non pochi, ma non sì, che, come in numero, in ferocia non venissero
superati da quelli che ci mandava la vicina Romagna, cui pure adesso
con molta fatica contiene grossa mano di armati, vigilanti ai confini.
Vedete in Francia uomini improvidi del domani, non aborrire accendere
oggi uno incendio, che non sapranno più spegnere, e dal quale eglino
stessi rimarranno a posta loro distrutti; e Cammillo Desmoulins,
stracciando lo ingegno bellissimo, gittarne i brani al Popolo
feroce, per vie più inferocirlo. «Abbiamo uno esercito, egli diceva,
latente sì, ma ordinato e in procinto. Nè causa al mondo fu della
nostra più sacra per combattere; nè premio maggiore destinato alla
vittoria. Quarantamila palazzi, case, castelli, due quinti delle terre
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