Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 34
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e in benefizio di cotesti paesi. Quanto fosse in noi l'obbligo e lo
interesse di difenderli, ho esposto altrove; se fosse necessario
confermare in qual conto da noi Toscani meritamente si tenessero,
io non avrei a fare altro che allegare le istruzioni dal Ministero
Capponi conferite nel 22 settembre 1848 al Marchese Ridolfi inviato
straordinario e ministro plenipotenziario del Granduca di Toscana alle
conferenze di Brusselle, in quella parte in cui queste provincie gli si
raccomandano:
«.... Ciò che il Governo granducale chiede, e lo chiede opinando di
avere molti titoli per ottenerlo, è la conservazione dei suoi attuali
confini, quali furono determinati dall'atto di accettazione del 12
maggio 1848. La perdita di questi territorii nuovamente aggregati
alla Toscana sarebbe per essa cagione di vivissimo rammarico; e ciò
non tanto per la diminuzione che essa soffrirebbe del suo territorio
o per altro fine di proprio e particolare interesse, ma perchè
il Governo granducale è sinceramente convinto che i popoli della
Lunigiana e della Garfagnana, recentemente aggregati, siano toscani
e per geografica posizione e per rapporti commerciali e per affetto,
e che la prosperità, che ai medesimi può derivare dal far parte della
famiglia toscana, non sia per essi possibile di trovare nella unione
con qualsivoglia altro Stato. I voti e l'affetto di queste popolazioni,
la lealtà costantemente dimostrata dal Governo di S. A. R. nella
questione italiana, i sacrifizii da esso fatti per la causa nazionale
costituiscono altrettanti titoli degnissimi di considerazione, per i
quali questo desiderio della Toscana non potrebbe senza ingiustizia non
appagarsi....»[469]
Certo le parole contenute nella estrema parte di cotesto mio appunto,
dimostrerebbero animo mal disposto pel Principe là dove spontanee mi
fossero uscite dalla penna. Ma quando furono esse vergate? Vogliasi
rammentare: nel giorno 14 febbraio 1849, in quel giorno stesso nel
quale, come confido avere dimostrato nelle pagine precedenti, la
prepotenza della Fazione mi costringeva a spedire al Governatore di
Livorno l'ordine di apparecchiare gente onde essere poi inviata per
la Maremma. Agl'Inquisitori e' fu mestieri fare copia della lettera
del Regio Delegato; accesi quindi gli avvisi e i comandi; coteste
espressioni contengono l'eco di quanto stampavasi pubblicamente,
e predicavasi; ed io scrissi lo appunto in discorso per acquietare
cotesti arrabbiati; ma la ricerca, che doveva proporsi l'Accusa, e
sopra la quale avrebbe potuto fondarsi, allorchè fosse stata quella
scrittura spontanea, consisteva nel conoscere se il foglio fu spedito,
se ricevuto dal Conte; se, adoperando gli argomenti indicati, ei si era
fatto a scrollare la fede del generale Laugier.
Ora tutto questo non prova l'Accusa, e non fu. Perchè non interrogò
ella i miei Segretarii, tanto gli _eletti_ quanto i _reprobi_, voglio
dire tanto i mantenuti in carica, quanto i congedati, se compilarono
Dispaccio alcuno sopra le traccie di cotesto appunto? Perchè non ne
ricercarono lo egregio conte Del Medico? Veramente, a cagione del suo
amore per la Toscana, male gl'incolse, e forse, mentre io tribolava in
carcere sotto le torture degl'interrogatorii, questo illustre amico
mutava in terra non sua gli amari passi dello esilio; ma nel modo
(ed è questo uno dei singolari trovati della presente Procedura) che
i dimoranti in Firenze, per lettere s'interpellavano; anzi un po' a
voce, e con giuramento, e un po' per via di epistole s'invitavano a
raccontare il fatto loro; potevasi col medesimo mezzo richiamare anche
il Conte, a somministrare schiarimenti in proposito.
Veramente l'Accusa, sommando i suoi addebiti, di cotesta lettera non
fa capo d'incolpazione, ma intanto ella la cita, ella la converte in
risposta, la suppone spedita, e ricevuta; le giova nella composizione
non giusta nè leale dell'atmosfera criminosa, nella quale si studiò
sempre e si studia immergermi dentro.
Io penso avere provato quanto la pressione da me patita fosse materiale
e continua, tale da soddisfare la Legge anche nei casi ordinarii; ma
per chiarire come altre forze e di altra maniera necessità valgano
a costringere gli uomini politici, mi giovi riportare certa sentenza
profferita da Odilon Barrot nella Seduta dell'Assemblea di Francia del
19 luglio 1851 che mi cade adesso sott'occhio: «Bisogna confessare,
che occorrevano allora una certa corrente d'idee, tali e siffatte
preoccupazioni degli spiriti, certe morali necessità, le quali fanno
sempre sentire la loro pressione sopra gli uomini politici. Quante
volte nelle nostre secrete discussioni intorno ai punti che adesso si
affacciano, circa i pericoli che avevamo preveduto, e la esperienza
confermò, quante volte non intesi io rispondermi: — Certo voi avete
ragione, non oggi però; più tardi: adesso lo stato degli umori, la
corrente, le preoccupazioni impediscono ad accettare le vostre idee!»
§ 8. _Minaccie d'incendii e di saccheggi._
E poichè sento in cuore carità di patria, andando, confidai prevenire
i casi pei quali tutta guerra civile viene esecrata meritamente. La
fortuna (ed io perciò le perdono ben molte offese) di tanto mi era
in questa parte benigna, che lo esito rispose alla speranza. Onde io
rimasi sbigottito davvero, quando mi conobbi accusato di avere incusso
timore di saccheggio e d'incendii. Questa turpe accusa è scomparsa,
come piace a Dio, nel Decreto del 7 gennaio 1851 e nell'Atto di Accusa;
ma fu scritta nel Decreto del 10 giugno 1850: onde riesce pieno di
sconforto pensare come uomini cristiani possano con tanta leggerezza
aggravare di scellerate accuse il capo di un uomo cristiano.
Di me troppo era consapevole, avvegnadio quasi per iniziare il
carattere di cotesta Spedizione, appena giunto in Empoli, volli
ogni trascorso rimesso agli Empolesi, e riceverli in grazia come
buoni fratelli: e già mostrai in che guisa premurosamente ammonissi
i Livornesi, passando per Empoli, ad osservare _buona condotta, e a
rammentarsi che cotesti popoli, comecchè momentaneamente traviati, ci
erano pur sempre fratelli_. Tanto riposi solertissima cura a inspirare
sensi di umanità in tali fortunose vicende, dove la voce di lei per
ordinario si fa meno ascoltare! Nonostante rilessi affannoso se per
avventura taluno vi avesse aggiunto qualche espressione maligna, e la
Dio mercè di simile minaccia io non trovai vestigio. Questa sarebbe
stata contradizione al mio scopo, il quale fu implorare pace, e
portarla; impedire effusione di sangue; appena nata, sopprimere la
guerra civile. Di ciò dia prova, che informato come la colonna condotta
dal Petracchi si avanzasse sopra Pietrasanta precorrendo la colonna
D'Apice, nello intento di ovviare ogni probabile conflitto, anzi ogni
ingiuria, e anche semplice iattanza, non meno che per istudio della
militare disciplina, non esitai ad avventurarmi solo per vie non
sicure; e giunto in tempo, le ordinai riprendesse la via di Viareggio.
L'ordine venne eseguito, non ostante la stanchezza dei soldati, e il
_non celere_ obbedire.[470] Ne sieno prova il comando ai soldati di
portare fronde di olivo nella bocca dello archibugio scarico e su i
caschi, e il perdono concesso largamente a tutti. Se questo non feci
a De Laugier, ciò avvenne, perchè prima di attendere la risposta
si era fuggito; però ai signori Compagni e Salvioni, intercedenti
per lui, dissi che non sarebbe stato senza grave pericolo rimanersi
allora in Toscana, e che lo consigliavo a ritirarsi in Piemonte, _dove
liberissimo intendevo lasciarlo andare_.
In qual parte, pertanto, incussi timore di saccheggio e d'incendii?
Forse nel Dispaccio da Pisa inviato _nel 21 febbraio 1849_ al Prefetto
di Lucca? Quivi si parla del Decreto del Presidente del Governo
Provvisorio contro De Laugier; si protesta ritenere _per apocrifi
gli atti di lui, perchè nè il Governo nè il Municipio ha ricevuto
da Leopoldo II veruna dichiarazione autentica in proposito_; avere
il Governo sentito il bisogno di reprimere la guerra civile nei suoi
primordii; venire io mandato con 3,000 uomini e D'Apice generale, a
disperdere gli autori dello attentato.
Per avventura i saccheggi e gl'incendii s'incontrano nell'Ordine del
Giorno ai Soldati, in data di Lucca, del 21 febbraio? Ma no, quivi
anzi si palesa il modo col quale intendevo mandare ad esecuzione il
Decreto, che poneva il Generale De Laugier fuori della Legge: — _fugga,
sgombri dalla nostra terra_; — e quivi è l'ordine di non combattere:
«Portate un ramo di olivo sopra i vostri caschi, perchè voi non venite
a suscitare, ma a reprimere la guerra civile.» Con quale, non dirò
probità, ma fronte, avrei potuto io nel giorno 22 febbraio volgermi
ai Cittadini, ponendo la condotta del Governo in parallelo con quella
del Laugier, se avessi minacciato gli orrori dello incendio e del
saccheggio?
«Cittadini! — Un soldato ribelle ordina si straccino le Notificazioni
del Governo Provvisorio, eletto dall'Assemblea nazionale e dal
Popolo. Il Governo Provvisorio all'opposto ordina, che le stampe
di cotesto soldato vengano diffuse e affisse sopra le cantonate. Il
Governo intende che il Popolo, confrontando, giudichi e veda: come il
soldato adoperi parole di menzogna, il Governo di verità; — il soldato
ecciti la maledetta guerra civile, il Governo si affatichi richiamare
i fratelli a concordia, necessaria sempre, santissima adesso che
l'Austriaco torna a minacciare la desolazione nel nostro diletto Paese;
— il soldato tolga il presidio alle frontiere, il Governo spinga la
gioventù, atta alle armi, a difenderle; — il soldato calpesti la legge
e la nazione, il Governo legge e nazione sostenga; — il soldato tenti
spegnere la civile libertà nel sangue dei cittadini, il Governo procuri
conservarla intera; — il soldato semini l'anarchia, susciti la Patria
a sanguinose reazioni, il Governo voglia conservare l'ordine e gridi
_pace, pace_.
«Tacciano le discordi opinioni, tregua alle parti. Soldati toscani,
il vostro posto non è contro il soldato toscano, ma sì alle frontiere
contro il comune nemico. Cittadini, l'odio vostro non contro voi, ma
deve volgersi contro l'Austriaco, che vede le vostre discordie, e ride.
Il Governo co' voti più ardenti del suo cuore supplica Dio che cessi,
appena nata, l'empia guerra: richiama i traviati ad avere pietà se non
di altrui almeno di sè stessi; spera dovergli bastare a questo fine una
parola di affetto, desidera essere risparmiato da più penoso ufficio;
ma quando accadesse diversamente, sappiano i perversi pertinaci avere
dichiarato il Governo, chiunque con parole, con scritture, o con fatti
si adoperi aizzare la guerra civile, traditore della Patria, e come
tale doversi punire con tutto il rigore della Legge. Il Governo farà
in modo, che la sua dichiarazione non rimanga parola vana, e lo abbiano
per inteso.»[471]
Vedasi il Proclama diretto ai soldati del Generale Laugier in data
di Camaiore, del 22 febbraio (il quale non pervenne loro, e fu
inutile, perchè già eransi sbandati): in quello io dico, «che voglio
abbracciarli, dimenticare ogni trascorso, perdonare lo involontario
fallo; tornino in famiglia per combattere il solo nemico che abbiamo,
lo straniero.» Vedasi la Notificazione datata da Camaiore nel medesimo
giorno, essendomi qui pervenuta nuova della intenzione manifestata da
alcuni di arrestare la madre del Generale Laugier;....[472] di qual
tenore ella fosse vedete qui sotto. Mi risponderanno, preservare uno
annoso ed innocente capo dalle furie di uomini perversi, fu dovere,
nè può somministrare adesso argomento d'ingenerosa iattanza. Ed io
dico: sta bene; dovere fu, non argomento di lode; non mi si dia, non la
cerco; ma neppure si converta il dovere in subietto di accusa. Ed io mi
difendo da accuse. Se poi taluno volesse appuntarmi per l'espressioni
che adoperai in cotesto Proclama, lo pregherei a tenere sempre fisso
nella mente lo esempio del Lafayette e del Fauchet, che non dubitarono
valersi di parole bene altramente gravi, per salvare Foulon, o Luigi
XVI; e la Storia, invece di biasimarli, gli loda per l'arguta loro
pietà.[473]
Nelle tempeste rivoluzionarie se si avesse a guardare le parole, che
la necessità pone su le labbra, o su la penna, guai a tutti quelli, che
sederono, sedono, e sederanno Ministri! Sarebbe più agevole far passare
un cammello traverso la cruna dell'ago, che assolvere un Ministro da
queste stolide imputazioni; gli uomini di Stato e i Politici opinano
così: è opera di Accusa, quando _speculando il suo calendario crede
il sole entrato nel segno del mastino_, andare a cercare il nodo nel
giunco, e dai detti e dai gesti ricavare materia di perduellione.
Non senza raccapriccio, io credo, gli Storici prudenti noteranno, e
già hanno notato, come la Riforma Leopoldina del 1789 di cosiffatte
esorbitanze purgava la Toscana. Del progresso abbiamo avuto assai: oh!
chi ci fa stornare, di grazia, sessantadue anni!......
Nulla d'incendio e di saccheggio nel Dispaccio spedito al Presidente
del Governo Provvisorio datato parimente da Camaiore il 22 febbraio;
il quale mi giova riferire non solo per mostrare che non fu mai
proposito ricorrere a questo mezzo ch'è infamia dei popoli civili, ma
eziandio che non ve ne fosse bisogno, atteso l'arrendevolezza per tutto
incontrata.
«Al Presidente del Governo Provvisorio.
«Al mio giungere in Lucca, senza perdere tempo, deliberai correre
_contro_ Laugier e _verso_ i nostri fratelli in tre punti. Uno per la
strada littorale di Viareggio, dove mandammo i Livornesi con ordine
che fossero sostenuti per mare dal Vapore il _Giglio_. In Val di
Serchio furono lasciati in riserva i Civici Pisani. Il secondo verso
il Monte-Chiesa, dove il Maggior Petracchi si era spinto col solito
generoso ardore, distendendosi fino a Macellarino. Il terzo per la
via di San Quirico verso Camaiore, dove Laugier aveva raccolto maggior
copia di gente e posto tre pezzi di artiglieria.
«Era ordine _a tutti di procedere a schioppo scarico con ramoscelli di
olivo nella bocca del medesimo e sui caschi; dove avessero incontrato
resistenza fossero andati innanzi, domandando se per la empietà di un
uomo i fratelli dovessero trucidare i fratelli_. L'anima mi esulta nel
poterle dire che i Toscani ingannati da Laugier, appena seppero che per
la parte di San Quirico mi avvicinava col General D'Apice, protestarono
che non intendevano combattere contro i loro concittadini, onde da
Montemagno, ove Laugier aveva posto un pezzo d'artiglieria e diverse
compagnie, si ripiegarono sopra Camaiore, e quinci, per quanto ci viene
riferito, sopra Pietrasanta. _Entriamo adesso a Camaiore, alle 5 e
mezza pomeridiane, fra il suono delle campane e gli applausi di tutte
le popolazioni accorse dalle campagne circostanti, che acclamavano al
Governo Provvisorio, alla Italia, alla Libertà. Il Municipio indirizza
la protesta che si compiega qui dentro_.
«Appena riposati qualche ora, è proponimento nostro passare oltre. Qui
mi giunge la consolante notizia che il Petracchi con la sua colonna è
entrato in Viareggio _in virtù delle medesime disposizioni dei nostri
fratelli Toscani_.
«Nessuna nuova di perviene di mosse piemontesi, anzi avendo mandato
un amico mio[474] e del Gioberti a Sarzana per sapere un po' se, egli
Ministro, i Piemontesi avessero a comprimere la Libertà in Toscana, con
promessa che, ove trovasse dato simile ordine al Generale Piemontese
colà stanziato, sarebbe tornato ad avvisarmi, od altrimenti avrebbe
proseguito per Torino, non si è più visto; e tutto porta a credere che
la invasione Piemontese _fosse una brutta calunnia del Laugier_. Dove,
contro il diritto delle genti e lo interesse medesimo dei Piemontesi,
questi passassero la frontiera, noi anderemo loro incontro collo stesso
ulivo in cima alle armi, e gl'interrogheremo se i nemici dei Piemontesi
sono i Toscani o se gli Stranieri, e gli costringeremo a nome della
Patria e della Libertà a procedere uniti con noi alla difesa della
Patria. Credo debbano esser queste per tutti i cuori generosi liete
novelle. Nella fiducia di potergliene partecipare ben presto anche
migliori, mi dichiaro di Lei ec.
«Camaiore, 22 febbraio 1849.»
Perchè incutere timore di saccheggio e d'incendio, se le popolazioni
mostravansi lietissime di accoglierci, e noi invitavano a liberarle con
incessanti messaggi? Dove dalle mie labbra fosse uscita la immanissima
minaccia, come avrei avuto abilità di lasciare ai Lucchesi il seguente
Manifesto? Io vado lieto per averlo dettato, perchè spira intero
l'anima mia. Del mio intelletto ho, com'è debito, opinione rimessa; ma
non così leggermente concedo che altri possa vincermi per altezza di
cuore.
«Lucchesi!
«I deboli nella inaspettata vittoria _si mostrano crudeli_. Il Popolo
nel trionfo dei suoi diritti, come colui che si sente fortissimo,
è _sempre generoso_. Il Governo, nelle cui mani fu confidata la
rappresentanza del Popolo, sa mantenersi all'altezza del suo mandato:
_egli non ricorda le ingiurie disoneste ed ingiuste di cui era posto
segno ne' tempi passati; e se le ricorda, le perdona. Come vinse i
suoi nemici armati con fronde d'ulivo, così egli intende vincere i
suoi detrattori colla persuasione e con la magnanimità. Si assicurino
pertanto tutti i suoi avversarii, perchè la passata malevoglienza,
invece di somministrare al Governo argomento di persecuzione, dà
titolo loro di amplissima tutela_. Quelli soltanto che le procedure
iniziate paleseranno cospiratori contro la Patria saranno _giudicati
a norma delle leggi veglianti_; depongano il pensiero che il Governo
intenda procedere _a modo di Dittatore e rinnovare le proscrizioni
sillane. Egli assunse il carico di mantenere tranquillo il Paese,
finchè l'Assemblea nazionale non decida delle sue sorti: questo intende
fare, e questo con ogni supremo sforzo farà_. Il Governo darà opera
infaticabile a stringersi con gli altri Stati Italiani per combattere
la sacra guerra della Indipendenza. Tutti quelli che sentono carità
di Patria devono cospirare a questo scopo. Il Governo indirizza le
sue preghiere ad ogni classe di cittadini, e segnatamente poi _ai
Sacerdoti, onde essere sostenuto nell'arduo assunto_. I copiosi di beni
terreni ricordino che con poco danaro dato alla Patria acquisteranno
onore grande e sicurezza di non rimanere disfatti dai rapaci
stranieri. I Sacerdoti tengano in mente che l'albero della Libertà
deve crescere fortunato accanto alla Croce. Una volta la Libertà
fu bandita coll'abolizione di ogni culto divino; adesso si predica
Cristo iniziatore di Libertà. _Noi abbiamo fatto molti passi verso
i Ministri dell'Altare; deh! ne muovano essi uno solo verso di noi_.
Anche la Libertà è una Religione nutrita di lacrime di popoli desolati,
santificata col sangue dei Martiri, ed essa pure merita la benedizione
del Cielo. Non sieno i Sacerdoti ribelli ai voleri di Dio, perocchè
Dio con segni manifesti protegga visibilmente la Causa Santa della
Libertà e della Indipendenza Italiana.[475] Possano queste parole, che
ci partono dal cuore, avere virtù di vincere gli animi più renitenti,
_indurli a deporre gli odii e gli sdegni, e ad unirsi una volta nel
concorde volere di dare salute alla povera Patria, che a mani giunte a
tutti i suoi figliuoli supplica_ PACE.
«Lucca, 26 febbraio 1849.»
Se io con gli atti smentii le mie parole; se la lingua dolosa
pronunziava ipocriti accenti, sorga l'accusatore, e mi vituperi:
possano i miei avversarii, come me in questa parte, aspettare il
giudizio degli uomini e di Dio senza paura.
A completare i Documenti che furono mia fattura, mi giova citare una
frase del Dispaccio telegrafico del 21 febbraio 1849 riportato a pagine
487 del Volume dell'Accusa: «Le cose andranno bene. Penso al Piemonte;»
e l'altra contenuta nella lettera del 22 febbraio riportata poc'anzi:
«ho mandato a Sarzana uno amico del Gioberti, e mio.» Come pensavo io
al Piemonte? In che guisa? Con quali termini? Certo gl'Inquisitori dei
Circoli non mi si staccavano dai fianchi, ma adesso, in Lucca, era
più libero; mi confidava con persona amica in procinto di partire.
A Pasquale Berghini io consegnava questo scritto pel Ministero
Piemontese:
«Berghini,
«Siete amico mio, e più della Patria; quindi vi dichiaro essere la
verità:
«Che la Costituente Italiana fu liberamente accettata dal Principe col
consiglio del Ministro d'Inghilterra.
«Che partì da Firenze sempre promettendo sollecito il ritorno.
«Che tardando a tornare, e mandandogli noi la nostra dimissione,
rispose, stessimo al nostro posto, sarebbe quanto prima tornato.
«Che dopo simulata infermità andava via senza indicare il luogo ove
intendeva celarsi.
«Che il Ministero, considerando da una parte offeso il patto
costituzionale, dall'altra la impossibilità di governare, depose, come
doveva, i suoi poteri nel seno dell'Assemblea.
«Che l'Assemblea e il Popolo elessero il Governo Provvisorio per
provvedere alla quiete e all'ordine del Paese. Sostenere adesso da
taluno dei Deputati che non votarono con libertà, è menzogna:
«1º Perchè la necessità li costringeva ad eleggere un Governo
Provvisorio;
«2º Perchè nella Sala delle Conferenze anche prima di entrare in
Seduta pubblica, e prima che il Popolo invadesse l'emiciclo della sala,
avevano determinato l'elezione del Governo Provvisorio;
«3º Perchè i Deputati in parte uscirono, ma per le mie veementi
rimostranze, cacciato via il Popolo, i Deputati tornarono, mentre
nessuno li costringeva, unitamente al Presidente, e votarono, dopo
discussione, all'unanimità.
«Il Governo non poteva governare con Camere nate da legge elettorale
conosciuta difettosa, e perciò le ha convocate di nuovo sulla base
del voto universale. Queste Camere sono convocate pel 15 marzo: più
presto non si poteva. _Il Popolo irrompe e vuole Repubblica_. Il
Governo con tutte le forze ricusa prendere la iniziativa per dichiarare
la Repubblica, e la fusione con Roma. Intende che tutta la Nazione
rappresentata legittimamente, e con maturità di consiglio, decida
delle sue sorti. Ma sforzato da questa posizione, che gli sembra ed è
legalissima, in primo luogo si difenderà dalle ingiuste aggressioni,
ed in secondo luogo, _ritirandosi_, lascierà a cui spetta, tutta la
odiosità d'avere protetto, mentre invadeva il comune nemico tedesco, la
guerra civile in Italia.
«Lucca, 21 febbraio 1849.
«GUERRAZZI.»
Lo scrissi allora, nè mi sembra dovermene pentire adesso. Se Vincenzo
Gioberti, invece di essere preso da quella sua caldezza che parve
soverchia, e se invece di stimarmi, a torto, dei maneggi politici di
Giuseppe Mazzini svisceratissimo, avesse voluto sperimentare da sè, io
vado convinto che noi ci saremmo trovati d'accordo; però che io non
mi senta presuntuoso così da ostinarmi nel mio concetto, e quanti mi
conoscono sanno che di buon grado ascolto, e, dove trovi avere errato,
di leggieri il confesso. La mia scrittura pertanto apriva l'adito
a interrogazioni e a schiarimenti, e a senno mio le prime potevano
ridursi a due: Perchè la Convocazione dell'Assemblea col suffragio
universale? Qual fine ve ne ripromettete voi? Io gli avrei risposto,
con parlare succinto, quello che verrò diffusamente ragionando fra
poco, e allora io penso che il Ministro Gioberti avrebbe potuto, con
vantaggio grande della Patria comune, interporsi mediatore fra il Paese
e il Principe; certificarlo dello scopo mio, e confortarlo ad aspettare
lo esito del rimedio proposto, siccome quello che si addiceva meglio ai
tempi, al Paese, al decoro, e alla contentezza dell'universale.[476]
Il signor Farini nel tomo III della Opera altrove citata a pag. 223
afferma: «Queste dichiarazioni del Guerrazzi erano consentanee a
quelle che il Governo Provvisorio aveva già pubblicate, nè a mutare
le risoluzioni del Governo Piemontese potevano essere efficaci.» In
primo luogo ha da notarsi, che lo intervento piemontese in Toscana
fu concetto particolare a Vincenzo Gioberti, non già del Governo
Piemontese, se dobbiamo ritenere per vere le dichiarazioni parlate
da Urbano Ratazzi nella Seduta del 21 febbraio 1849 della Camera
dei Deputati piemontesi, e le scritte da Domenico Buffa, che in quei
giorni governava Genova. In secondo luogo domando: e perchè le mie
dichiarazioni non dovevano avere la virtù di mutare il concetto di
Vincenzo Gioberti intorno allo intervento piemontese in Toscana?
Forse la bandita Costituente toscana chiudeva irrevocabilmente
l'adito a qualsivoglia mezzano partito? La Costituente doveva per
necessità sopprimere il Governo Costituzionale in Toscana? I rimedii
vi erano, e buoni, e lo stesso signor Farini gli ha scritti, ma non ha
meditato, come agli storiografi si addice, a sufficienza su quelli;
o forse gli obliò, o forse, e questo parrebbe più grave, gli ha
voluti dimenticare. Quando Roma nel gennaio del 1849 ebbe bandita la
Costituente, Vincenzo Gioberti non reputò rotta ogni via di accordo
col Pontefice; all'opposto tenne, che per essa potesse condursi a fine
la pratica di onorevole e fortunata conciliazione. «Illustrissimo
signor Presidente. — Ricevo da Gaeta la lieta notizia, che il conte
Martini fu accolto amichevolmente dal Santo Padre in qualità di nostro
ambasciadore. Tra le molte cose che gli disse il Santo Padre pel conto
degli affari correnti, questi mostrò di vedere di buon occhio che il
Governo Piemontese s'interponesse amichevolmente presso i rettori ed il
popolo di Roma per venire ad una conciliazione. Io mi credo in debito
di ragguagliarla di questa entratura, affinchè ella ne faccia quell'uso
che le parrà più opportuno. Se ella mi permette di aprirle il mio
pensiero in questo proposito, crederei che il Governo romano dovesse
prima di tutto usare influenza, acciocchè la Costituente che sta per
aprirsi riconosca per primo suo atto i diritti costituzionali del
Santo Padre. Fatto questo preambolo, la Costituente dovrebbe dichiarare
che per determinare i diritti costituzionali del pontefice uopo è che
questi abbia i suoi delegati e rappresentanti nell'assemblea medesima,
ovvero in una commissione nominata e autorizzata da essa Costituente.
Senza questa condizione il papa non accetterà mai le conclusioni della
Costituente, ancorchè fossero moderatissime, non potendo ricevere
la legge dai proprii sudditi senza lesione manifesta non solo dei
diritti antichi, ma della medesima costituzione. Se si ottengono questi
due punti, l'accordo non sarà impossibile. Il nostro Governo farà
ogni suo potere presso il pontefice affinchè egli accetti di farsi
rappresentare, come principe costituzionale, dinnanzi alla commissione
o per via diretta, od almeno indirettamente: ed io adoprerò al medesimo
effetto eziandio la diplomazia estera, per quanto posso disporne.
Questo spediente sarà ben veduto dalla Francia e dall'Inghilterra,
perchè conciliativo, perchè necessario ad evitare il pericolo d'una
guerra generale.»[477]
Perchè Vincenzo Gioberti, che sì manieroso mostravasi a Roma, voleva
dare alla Toscana il pane con la balestra? Hassi a ritenere pertanto,
che Gioberti un po' per isdegno concepito per mendaci rapporti, un po'
cedendo alle insistenti suggestioni di cui non importa dire, deviasse
in questa faccenda dalla prudente gravità dell'uomo di Stato.
Questi Documenti, la difesa del mio onore mi ha persuaso allegare;
e non tanto per respingere da me la temeraria imputazione appostami
dal Decreto del 10 giugno 1850, ma molto più ancora, perchè porgono
manifesta testimonianza di tre cose a ritenersi notabili:
_Prima_, come io reputassi e dovessi reputare la mossa del Generale
Laugier operata senza il consenso della Corona, e contraria
agl'interessi della Patria, a parte qualunque quistione intorno alla
forma di reggimento.
_Seconda_, come in tutti questi atti emanati da me, sempre circuito
dallo inquieto sospetto degli Inquisitori rivoluzionarii, pure lontano
alquanto dalla violenza immediata io non adoperassi verbo nè facessi
allusione alcuna relativa alla Repubblica: riscontro sicurissimo
dell'animo mio intorno a questo particolare.
_Terza_, come per me non fossero incarcerati, nè si ordinasse
incarcerarsi Sacerdoti; i quali no, mai, se Sacerdoti davvero, io mi
condurrò a credere nemici della Patria nostra, a noi tutti, quanti
interesse di difenderli, ho esposto altrove; se fosse necessario
confermare in qual conto da noi Toscani meritamente si tenessero,
io non avrei a fare altro che allegare le istruzioni dal Ministero
Capponi conferite nel 22 settembre 1848 al Marchese Ridolfi inviato
straordinario e ministro plenipotenziario del Granduca di Toscana alle
conferenze di Brusselle, in quella parte in cui queste provincie gli si
raccomandano:
«.... Ciò che il Governo granducale chiede, e lo chiede opinando di
avere molti titoli per ottenerlo, è la conservazione dei suoi attuali
confini, quali furono determinati dall'atto di accettazione del 12
maggio 1848. La perdita di questi territorii nuovamente aggregati
alla Toscana sarebbe per essa cagione di vivissimo rammarico; e ciò
non tanto per la diminuzione che essa soffrirebbe del suo territorio
o per altro fine di proprio e particolare interesse, ma perchè
il Governo granducale è sinceramente convinto che i popoli della
Lunigiana e della Garfagnana, recentemente aggregati, siano toscani
e per geografica posizione e per rapporti commerciali e per affetto,
e che la prosperità, che ai medesimi può derivare dal far parte della
famiglia toscana, non sia per essi possibile di trovare nella unione
con qualsivoglia altro Stato. I voti e l'affetto di queste popolazioni,
la lealtà costantemente dimostrata dal Governo di S. A. R. nella
questione italiana, i sacrifizii da esso fatti per la causa nazionale
costituiscono altrettanti titoli degnissimi di considerazione, per i
quali questo desiderio della Toscana non potrebbe senza ingiustizia non
appagarsi....»[469]
Certo le parole contenute nella estrema parte di cotesto mio appunto,
dimostrerebbero animo mal disposto pel Principe là dove spontanee mi
fossero uscite dalla penna. Ma quando furono esse vergate? Vogliasi
rammentare: nel giorno 14 febbraio 1849, in quel giorno stesso nel
quale, come confido avere dimostrato nelle pagine precedenti, la
prepotenza della Fazione mi costringeva a spedire al Governatore di
Livorno l'ordine di apparecchiare gente onde essere poi inviata per
la Maremma. Agl'Inquisitori e' fu mestieri fare copia della lettera
del Regio Delegato; accesi quindi gli avvisi e i comandi; coteste
espressioni contengono l'eco di quanto stampavasi pubblicamente,
e predicavasi; ed io scrissi lo appunto in discorso per acquietare
cotesti arrabbiati; ma la ricerca, che doveva proporsi l'Accusa, e
sopra la quale avrebbe potuto fondarsi, allorchè fosse stata quella
scrittura spontanea, consisteva nel conoscere se il foglio fu spedito,
se ricevuto dal Conte; se, adoperando gli argomenti indicati, ei si era
fatto a scrollare la fede del generale Laugier.
Ora tutto questo non prova l'Accusa, e non fu. Perchè non interrogò
ella i miei Segretarii, tanto gli _eletti_ quanto i _reprobi_, voglio
dire tanto i mantenuti in carica, quanto i congedati, se compilarono
Dispaccio alcuno sopra le traccie di cotesto appunto? Perchè non ne
ricercarono lo egregio conte Del Medico? Veramente, a cagione del suo
amore per la Toscana, male gl'incolse, e forse, mentre io tribolava in
carcere sotto le torture degl'interrogatorii, questo illustre amico
mutava in terra non sua gli amari passi dello esilio; ma nel modo
(ed è questo uno dei singolari trovati della presente Procedura) che
i dimoranti in Firenze, per lettere s'interpellavano; anzi un po' a
voce, e con giuramento, e un po' per via di epistole s'invitavano a
raccontare il fatto loro; potevasi col medesimo mezzo richiamare anche
il Conte, a somministrare schiarimenti in proposito.
Veramente l'Accusa, sommando i suoi addebiti, di cotesta lettera non
fa capo d'incolpazione, ma intanto ella la cita, ella la converte in
risposta, la suppone spedita, e ricevuta; le giova nella composizione
non giusta nè leale dell'atmosfera criminosa, nella quale si studiò
sempre e si studia immergermi dentro.
Io penso avere provato quanto la pressione da me patita fosse materiale
e continua, tale da soddisfare la Legge anche nei casi ordinarii; ma
per chiarire come altre forze e di altra maniera necessità valgano
a costringere gli uomini politici, mi giovi riportare certa sentenza
profferita da Odilon Barrot nella Seduta dell'Assemblea di Francia del
19 luglio 1851 che mi cade adesso sott'occhio: «Bisogna confessare,
che occorrevano allora una certa corrente d'idee, tali e siffatte
preoccupazioni degli spiriti, certe morali necessità, le quali fanno
sempre sentire la loro pressione sopra gli uomini politici. Quante
volte nelle nostre secrete discussioni intorno ai punti che adesso si
affacciano, circa i pericoli che avevamo preveduto, e la esperienza
confermò, quante volte non intesi io rispondermi: — Certo voi avete
ragione, non oggi però; più tardi: adesso lo stato degli umori, la
corrente, le preoccupazioni impediscono ad accettare le vostre idee!»
§ 8. _Minaccie d'incendii e di saccheggi._
E poichè sento in cuore carità di patria, andando, confidai prevenire
i casi pei quali tutta guerra civile viene esecrata meritamente. La
fortuna (ed io perciò le perdono ben molte offese) di tanto mi era
in questa parte benigna, che lo esito rispose alla speranza. Onde io
rimasi sbigottito davvero, quando mi conobbi accusato di avere incusso
timore di saccheggio e d'incendii. Questa turpe accusa è scomparsa,
come piace a Dio, nel Decreto del 7 gennaio 1851 e nell'Atto di Accusa;
ma fu scritta nel Decreto del 10 giugno 1850: onde riesce pieno di
sconforto pensare come uomini cristiani possano con tanta leggerezza
aggravare di scellerate accuse il capo di un uomo cristiano.
Di me troppo era consapevole, avvegnadio quasi per iniziare il
carattere di cotesta Spedizione, appena giunto in Empoli, volli
ogni trascorso rimesso agli Empolesi, e riceverli in grazia come
buoni fratelli: e già mostrai in che guisa premurosamente ammonissi
i Livornesi, passando per Empoli, ad osservare _buona condotta, e a
rammentarsi che cotesti popoli, comecchè momentaneamente traviati, ci
erano pur sempre fratelli_. Tanto riposi solertissima cura a inspirare
sensi di umanità in tali fortunose vicende, dove la voce di lei per
ordinario si fa meno ascoltare! Nonostante rilessi affannoso se per
avventura taluno vi avesse aggiunto qualche espressione maligna, e la
Dio mercè di simile minaccia io non trovai vestigio. Questa sarebbe
stata contradizione al mio scopo, il quale fu implorare pace, e
portarla; impedire effusione di sangue; appena nata, sopprimere la
guerra civile. Di ciò dia prova, che informato come la colonna condotta
dal Petracchi si avanzasse sopra Pietrasanta precorrendo la colonna
D'Apice, nello intento di ovviare ogni probabile conflitto, anzi ogni
ingiuria, e anche semplice iattanza, non meno che per istudio della
militare disciplina, non esitai ad avventurarmi solo per vie non
sicure; e giunto in tempo, le ordinai riprendesse la via di Viareggio.
L'ordine venne eseguito, non ostante la stanchezza dei soldati, e il
_non celere_ obbedire.[470] Ne sieno prova il comando ai soldati di
portare fronde di olivo nella bocca dello archibugio scarico e su i
caschi, e il perdono concesso largamente a tutti. Se questo non feci
a De Laugier, ciò avvenne, perchè prima di attendere la risposta
si era fuggito; però ai signori Compagni e Salvioni, intercedenti
per lui, dissi che non sarebbe stato senza grave pericolo rimanersi
allora in Toscana, e che lo consigliavo a ritirarsi in Piemonte, _dove
liberissimo intendevo lasciarlo andare_.
In qual parte, pertanto, incussi timore di saccheggio e d'incendii?
Forse nel Dispaccio da Pisa inviato _nel 21 febbraio 1849_ al Prefetto
di Lucca? Quivi si parla del Decreto del Presidente del Governo
Provvisorio contro De Laugier; si protesta ritenere _per apocrifi
gli atti di lui, perchè nè il Governo nè il Municipio ha ricevuto
da Leopoldo II veruna dichiarazione autentica in proposito_; avere
il Governo sentito il bisogno di reprimere la guerra civile nei suoi
primordii; venire io mandato con 3,000 uomini e D'Apice generale, a
disperdere gli autori dello attentato.
Per avventura i saccheggi e gl'incendii s'incontrano nell'Ordine del
Giorno ai Soldati, in data di Lucca, del 21 febbraio? Ma no, quivi
anzi si palesa il modo col quale intendevo mandare ad esecuzione il
Decreto, che poneva il Generale De Laugier fuori della Legge: — _fugga,
sgombri dalla nostra terra_; — e quivi è l'ordine di non combattere:
«Portate un ramo di olivo sopra i vostri caschi, perchè voi non venite
a suscitare, ma a reprimere la guerra civile.» Con quale, non dirò
probità, ma fronte, avrei potuto io nel giorno 22 febbraio volgermi
ai Cittadini, ponendo la condotta del Governo in parallelo con quella
del Laugier, se avessi minacciato gli orrori dello incendio e del
saccheggio?
«Cittadini! — Un soldato ribelle ordina si straccino le Notificazioni
del Governo Provvisorio, eletto dall'Assemblea nazionale e dal
Popolo. Il Governo Provvisorio all'opposto ordina, che le stampe
di cotesto soldato vengano diffuse e affisse sopra le cantonate. Il
Governo intende che il Popolo, confrontando, giudichi e veda: come il
soldato adoperi parole di menzogna, il Governo di verità; — il soldato
ecciti la maledetta guerra civile, il Governo si affatichi richiamare
i fratelli a concordia, necessaria sempre, santissima adesso che
l'Austriaco torna a minacciare la desolazione nel nostro diletto Paese;
— il soldato tolga il presidio alle frontiere, il Governo spinga la
gioventù, atta alle armi, a difenderle; — il soldato calpesti la legge
e la nazione, il Governo legge e nazione sostenga; — il soldato tenti
spegnere la civile libertà nel sangue dei cittadini, il Governo procuri
conservarla intera; — il soldato semini l'anarchia, susciti la Patria
a sanguinose reazioni, il Governo voglia conservare l'ordine e gridi
_pace, pace_.
«Tacciano le discordi opinioni, tregua alle parti. Soldati toscani,
il vostro posto non è contro il soldato toscano, ma sì alle frontiere
contro il comune nemico. Cittadini, l'odio vostro non contro voi, ma
deve volgersi contro l'Austriaco, che vede le vostre discordie, e ride.
Il Governo co' voti più ardenti del suo cuore supplica Dio che cessi,
appena nata, l'empia guerra: richiama i traviati ad avere pietà se non
di altrui almeno di sè stessi; spera dovergli bastare a questo fine una
parola di affetto, desidera essere risparmiato da più penoso ufficio;
ma quando accadesse diversamente, sappiano i perversi pertinaci avere
dichiarato il Governo, chiunque con parole, con scritture, o con fatti
si adoperi aizzare la guerra civile, traditore della Patria, e come
tale doversi punire con tutto il rigore della Legge. Il Governo farà
in modo, che la sua dichiarazione non rimanga parola vana, e lo abbiano
per inteso.»[471]
Vedasi il Proclama diretto ai soldati del Generale Laugier in data
di Camaiore, del 22 febbraio (il quale non pervenne loro, e fu
inutile, perchè già eransi sbandati): in quello io dico, «che voglio
abbracciarli, dimenticare ogni trascorso, perdonare lo involontario
fallo; tornino in famiglia per combattere il solo nemico che abbiamo,
lo straniero.» Vedasi la Notificazione datata da Camaiore nel medesimo
giorno, essendomi qui pervenuta nuova della intenzione manifestata da
alcuni di arrestare la madre del Generale Laugier;....[472] di qual
tenore ella fosse vedete qui sotto. Mi risponderanno, preservare uno
annoso ed innocente capo dalle furie di uomini perversi, fu dovere,
nè può somministrare adesso argomento d'ingenerosa iattanza. Ed io
dico: sta bene; dovere fu, non argomento di lode; non mi si dia, non la
cerco; ma neppure si converta il dovere in subietto di accusa. Ed io mi
difendo da accuse. Se poi taluno volesse appuntarmi per l'espressioni
che adoperai in cotesto Proclama, lo pregherei a tenere sempre fisso
nella mente lo esempio del Lafayette e del Fauchet, che non dubitarono
valersi di parole bene altramente gravi, per salvare Foulon, o Luigi
XVI; e la Storia, invece di biasimarli, gli loda per l'arguta loro
pietà.[473]
Nelle tempeste rivoluzionarie se si avesse a guardare le parole, che
la necessità pone su le labbra, o su la penna, guai a tutti quelli, che
sederono, sedono, e sederanno Ministri! Sarebbe più agevole far passare
un cammello traverso la cruna dell'ago, che assolvere un Ministro da
queste stolide imputazioni; gli uomini di Stato e i Politici opinano
così: è opera di Accusa, quando _speculando il suo calendario crede
il sole entrato nel segno del mastino_, andare a cercare il nodo nel
giunco, e dai detti e dai gesti ricavare materia di perduellione.
Non senza raccapriccio, io credo, gli Storici prudenti noteranno, e
già hanno notato, come la Riforma Leopoldina del 1789 di cosiffatte
esorbitanze purgava la Toscana. Del progresso abbiamo avuto assai: oh!
chi ci fa stornare, di grazia, sessantadue anni!......
Nulla d'incendio e di saccheggio nel Dispaccio spedito al Presidente
del Governo Provvisorio datato parimente da Camaiore il 22 febbraio;
il quale mi giova riferire non solo per mostrare che non fu mai
proposito ricorrere a questo mezzo ch'è infamia dei popoli civili, ma
eziandio che non ve ne fosse bisogno, atteso l'arrendevolezza per tutto
incontrata.
«Al Presidente del Governo Provvisorio.
«Al mio giungere in Lucca, senza perdere tempo, deliberai correre
_contro_ Laugier e _verso_ i nostri fratelli in tre punti. Uno per la
strada littorale di Viareggio, dove mandammo i Livornesi con ordine
che fossero sostenuti per mare dal Vapore il _Giglio_. In Val di
Serchio furono lasciati in riserva i Civici Pisani. Il secondo verso
il Monte-Chiesa, dove il Maggior Petracchi si era spinto col solito
generoso ardore, distendendosi fino a Macellarino. Il terzo per la
via di San Quirico verso Camaiore, dove Laugier aveva raccolto maggior
copia di gente e posto tre pezzi di artiglieria.
«Era ordine _a tutti di procedere a schioppo scarico con ramoscelli di
olivo nella bocca del medesimo e sui caschi; dove avessero incontrato
resistenza fossero andati innanzi, domandando se per la empietà di un
uomo i fratelli dovessero trucidare i fratelli_. L'anima mi esulta nel
poterle dire che i Toscani ingannati da Laugier, appena seppero che per
la parte di San Quirico mi avvicinava col General D'Apice, protestarono
che non intendevano combattere contro i loro concittadini, onde da
Montemagno, ove Laugier aveva posto un pezzo d'artiglieria e diverse
compagnie, si ripiegarono sopra Camaiore, e quinci, per quanto ci viene
riferito, sopra Pietrasanta. _Entriamo adesso a Camaiore, alle 5 e
mezza pomeridiane, fra il suono delle campane e gli applausi di tutte
le popolazioni accorse dalle campagne circostanti, che acclamavano al
Governo Provvisorio, alla Italia, alla Libertà. Il Municipio indirizza
la protesta che si compiega qui dentro_.
«Appena riposati qualche ora, è proponimento nostro passare oltre. Qui
mi giunge la consolante notizia che il Petracchi con la sua colonna è
entrato in Viareggio _in virtù delle medesime disposizioni dei nostri
fratelli Toscani_.
«Nessuna nuova di perviene di mosse piemontesi, anzi avendo mandato
un amico mio[474] e del Gioberti a Sarzana per sapere un po' se, egli
Ministro, i Piemontesi avessero a comprimere la Libertà in Toscana, con
promessa che, ove trovasse dato simile ordine al Generale Piemontese
colà stanziato, sarebbe tornato ad avvisarmi, od altrimenti avrebbe
proseguito per Torino, non si è più visto; e tutto porta a credere che
la invasione Piemontese _fosse una brutta calunnia del Laugier_. Dove,
contro il diritto delle genti e lo interesse medesimo dei Piemontesi,
questi passassero la frontiera, noi anderemo loro incontro collo stesso
ulivo in cima alle armi, e gl'interrogheremo se i nemici dei Piemontesi
sono i Toscani o se gli Stranieri, e gli costringeremo a nome della
Patria e della Libertà a procedere uniti con noi alla difesa della
Patria. Credo debbano esser queste per tutti i cuori generosi liete
novelle. Nella fiducia di potergliene partecipare ben presto anche
migliori, mi dichiaro di Lei ec.
«Camaiore, 22 febbraio 1849.»
Perchè incutere timore di saccheggio e d'incendio, se le popolazioni
mostravansi lietissime di accoglierci, e noi invitavano a liberarle con
incessanti messaggi? Dove dalle mie labbra fosse uscita la immanissima
minaccia, come avrei avuto abilità di lasciare ai Lucchesi il seguente
Manifesto? Io vado lieto per averlo dettato, perchè spira intero
l'anima mia. Del mio intelletto ho, com'è debito, opinione rimessa; ma
non così leggermente concedo che altri possa vincermi per altezza di
cuore.
«Lucchesi!
«I deboli nella inaspettata vittoria _si mostrano crudeli_. Il Popolo
nel trionfo dei suoi diritti, come colui che si sente fortissimo,
è _sempre generoso_. Il Governo, nelle cui mani fu confidata la
rappresentanza del Popolo, sa mantenersi all'altezza del suo mandato:
_egli non ricorda le ingiurie disoneste ed ingiuste di cui era posto
segno ne' tempi passati; e se le ricorda, le perdona. Come vinse i
suoi nemici armati con fronde d'ulivo, così egli intende vincere i
suoi detrattori colla persuasione e con la magnanimità. Si assicurino
pertanto tutti i suoi avversarii, perchè la passata malevoglienza,
invece di somministrare al Governo argomento di persecuzione, dà
titolo loro di amplissima tutela_. Quelli soltanto che le procedure
iniziate paleseranno cospiratori contro la Patria saranno _giudicati
a norma delle leggi veglianti_; depongano il pensiero che il Governo
intenda procedere _a modo di Dittatore e rinnovare le proscrizioni
sillane. Egli assunse il carico di mantenere tranquillo il Paese,
finchè l'Assemblea nazionale non decida delle sue sorti: questo intende
fare, e questo con ogni supremo sforzo farà_. Il Governo darà opera
infaticabile a stringersi con gli altri Stati Italiani per combattere
la sacra guerra della Indipendenza. Tutti quelli che sentono carità
di Patria devono cospirare a questo scopo. Il Governo indirizza le
sue preghiere ad ogni classe di cittadini, e segnatamente poi _ai
Sacerdoti, onde essere sostenuto nell'arduo assunto_. I copiosi di beni
terreni ricordino che con poco danaro dato alla Patria acquisteranno
onore grande e sicurezza di non rimanere disfatti dai rapaci
stranieri. I Sacerdoti tengano in mente che l'albero della Libertà
deve crescere fortunato accanto alla Croce. Una volta la Libertà
fu bandita coll'abolizione di ogni culto divino; adesso si predica
Cristo iniziatore di Libertà. _Noi abbiamo fatto molti passi verso
i Ministri dell'Altare; deh! ne muovano essi uno solo verso di noi_.
Anche la Libertà è una Religione nutrita di lacrime di popoli desolati,
santificata col sangue dei Martiri, ed essa pure merita la benedizione
del Cielo. Non sieno i Sacerdoti ribelli ai voleri di Dio, perocchè
Dio con segni manifesti protegga visibilmente la Causa Santa della
Libertà e della Indipendenza Italiana.[475] Possano queste parole, che
ci partono dal cuore, avere virtù di vincere gli animi più renitenti,
_indurli a deporre gli odii e gli sdegni, e ad unirsi una volta nel
concorde volere di dare salute alla povera Patria, che a mani giunte a
tutti i suoi figliuoli supplica_ PACE.
«Lucca, 26 febbraio 1849.»
Se io con gli atti smentii le mie parole; se la lingua dolosa
pronunziava ipocriti accenti, sorga l'accusatore, e mi vituperi:
possano i miei avversarii, come me in questa parte, aspettare il
giudizio degli uomini e di Dio senza paura.
A completare i Documenti che furono mia fattura, mi giova citare una
frase del Dispaccio telegrafico del 21 febbraio 1849 riportato a pagine
487 del Volume dell'Accusa: «Le cose andranno bene. Penso al Piemonte;»
e l'altra contenuta nella lettera del 22 febbraio riportata poc'anzi:
«ho mandato a Sarzana uno amico del Gioberti, e mio.» Come pensavo io
al Piemonte? In che guisa? Con quali termini? Certo gl'Inquisitori dei
Circoli non mi si staccavano dai fianchi, ma adesso, in Lucca, era
più libero; mi confidava con persona amica in procinto di partire.
A Pasquale Berghini io consegnava questo scritto pel Ministero
Piemontese:
«Berghini,
«Siete amico mio, e più della Patria; quindi vi dichiaro essere la
verità:
«Che la Costituente Italiana fu liberamente accettata dal Principe col
consiglio del Ministro d'Inghilterra.
«Che partì da Firenze sempre promettendo sollecito il ritorno.
«Che tardando a tornare, e mandandogli noi la nostra dimissione,
rispose, stessimo al nostro posto, sarebbe quanto prima tornato.
«Che dopo simulata infermità andava via senza indicare il luogo ove
intendeva celarsi.
«Che il Ministero, considerando da una parte offeso il patto
costituzionale, dall'altra la impossibilità di governare, depose, come
doveva, i suoi poteri nel seno dell'Assemblea.
«Che l'Assemblea e il Popolo elessero il Governo Provvisorio per
provvedere alla quiete e all'ordine del Paese. Sostenere adesso da
taluno dei Deputati che non votarono con libertà, è menzogna:
«1º Perchè la necessità li costringeva ad eleggere un Governo
Provvisorio;
«2º Perchè nella Sala delle Conferenze anche prima di entrare in
Seduta pubblica, e prima che il Popolo invadesse l'emiciclo della sala,
avevano determinato l'elezione del Governo Provvisorio;
«3º Perchè i Deputati in parte uscirono, ma per le mie veementi
rimostranze, cacciato via il Popolo, i Deputati tornarono, mentre
nessuno li costringeva, unitamente al Presidente, e votarono, dopo
discussione, all'unanimità.
«Il Governo non poteva governare con Camere nate da legge elettorale
conosciuta difettosa, e perciò le ha convocate di nuovo sulla base
del voto universale. Queste Camere sono convocate pel 15 marzo: più
presto non si poteva. _Il Popolo irrompe e vuole Repubblica_. Il
Governo con tutte le forze ricusa prendere la iniziativa per dichiarare
la Repubblica, e la fusione con Roma. Intende che tutta la Nazione
rappresentata legittimamente, e con maturità di consiglio, decida
delle sue sorti. Ma sforzato da questa posizione, che gli sembra ed è
legalissima, in primo luogo si difenderà dalle ingiuste aggressioni,
ed in secondo luogo, _ritirandosi_, lascierà a cui spetta, tutta la
odiosità d'avere protetto, mentre invadeva il comune nemico tedesco, la
guerra civile in Italia.
«Lucca, 21 febbraio 1849.
«GUERRAZZI.»
Lo scrissi allora, nè mi sembra dovermene pentire adesso. Se Vincenzo
Gioberti, invece di essere preso da quella sua caldezza che parve
soverchia, e se invece di stimarmi, a torto, dei maneggi politici di
Giuseppe Mazzini svisceratissimo, avesse voluto sperimentare da sè, io
vado convinto che noi ci saremmo trovati d'accordo; però che io non
mi senta presuntuoso così da ostinarmi nel mio concetto, e quanti mi
conoscono sanno che di buon grado ascolto, e, dove trovi avere errato,
di leggieri il confesso. La mia scrittura pertanto apriva l'adito
a interrogazioni e a schiarimenti, e a senno mio le prime potevano
ridursi a due: Perchè la Convocazione dell'Assemblea col suffragio
universale? Qual fine ve ne ripromettete voi? Io gli avrei risposto,
con parlare succinto, quello che verrò diffusamente ragionando fra
poco, e allora io penso che il Ministro Gioberti avrebbe potuto, con
vantaggio grande della Patria comune, interporsi mediatore fra il Paese
e il Principe; certificarlo dello scopo mio, e confortarlo ad aspettare
lo esito del rimedio proposto, siccome quello che si addiceva meglio ai
tempi, al Paese, al decoro, e alla contentezza dell'universale.[476]
Il signor Farini nel tomo III della Opera altrove citata a pag. 223
afferma: «Queste dichiarazioni del Guerrazzi erano consentanee a
quelle che il Governo Provvisorio aveva già pubblicate, nè a mutare
le risoluzioni del Governo Piemontese potevano essere efficaci.» In
primo luogo ha da notarsi, che lo intervento piemontese in Toscana
fu concetto particolare a Vincenzo Gioberti, non già del Governo
Piemontese, se dobbiamo ritenere per vere le dichiarazioni parlate
da Urbano Ratazzi nella Seduta del 21 febbraio 1849 della Camera
dei Deputati piemontesi, e le scritte da Domenico Buffa, che in quei
giorni governava Genova. In secondo luogo domando: e perchè le mie
dichiarazioni non dovevano avere la virtù di mutare il concetto di
Vincenzo Gioberti intorno allo intervento piemontese in Toscana?
Forse la bandita Costituente toscana chiudeva irrevocabilmente
l'adito a qualsivoglia mezzano partito? La Costituente doveva per
necessità sopprimere il Governo Costituzionale in Toscana? I rimedii
vi erano, e buoni, e lo stesso signor Farini gli ha scritti, ma non ha
meditato, come agli storiografi si addice, a sufficienza su quelli;
o forse gli obliò, o forse, e questo parrebbe più grave, gli ha
voluti dimenticare. Quando Roma nel gennaio del 1849 ebbe bandita la
Costituente, Vincenzo Gioberti non reputò rotta ogni via di accordo
col Pontefice; all'opposto tenne, che per essa potesse condursi a fine
la pratica di onorevole e fortunata conciliazione. «Illustrissimo
signor Presidente. — Ricevo da Gaeta la lieta notizia, che il conte
Martini fu accolto amichevolmente dal Santo Padre in qualità di nostro
ambasciadore. Tra le molte cose che gli disse il Santo Padre pel conto
degli affari correnti, questi mostrò di vedere di buon occhio che il
Governo Piemontese s'interponesse amichevolmente presso i rettori ed il
popolo di Roma per venire ad una conciliazione. Io mi credo in debito
di ragguagliarla di questa entratura, affinchè ella ne faccia quell'uso
che le parrà più opportuno. Se ella mi permette di aprirle il mio
pensiero in questo proposito, crederei che il Governo romano dovesse
prima di tutto usare influenza, acciocchè la Costituente che sta per
aprirsi riconosca per primo suo atto i diritti costituzionali del
Santo Padre. Fatto questo preambolo, la Costituente dovrebbe dichiarare
che per determinare i diritti costituzionali del pontefice uopo è che
questi abbia i suoi delegati e rappresentanti nell'assemblea medesima,
ovvero in una commissione nominata e autorizzata da essa Costituente.
Senza questa condizione il papa non accetterà mai le conclusioni della
Costituente, ancorchè fossero moderatissime, non potendo ricevere
la legge dai proprii sudditi senza lesione manifesta non solo dei
diritti antichi, ma della medesima costituzione. Se si ottengono questi
due punti, l'accordo non sarà impossibile. Il nostro Governo farà
ogni suo potere presso il pontefice affinchè egli accetti di farsi
rappresentare, come principe costituzionale, dinnanzi alla commissione
o per via diretta, od almeno indirettamente: ed io adoprerò al medesimo
effetto eziandio la diplomazia estera, per quanto posso disporne.
Questo spediente sarà ben veduto dalla Francia e dall'Inghilterra,
perchè conciliativo, perchè necessario ad evitare il pericolo d'una
guerra generale.»[477]
Perchè Vincenzo Gioberti, che sì manieroso mostravasi a Roma, voleva
dare alla Toscana il pane con la balestra? Hassi a ritenere pertanto,
che Gioberti un po' per isdegno concepito per mendaci rapporti, un po'
cedendo alle insistenti suggestioni di cui non importa dire, deviasse
in questa faccenda dalla prudente gravità dell'uomo di Stato.
Questi Documenti, la difesa del mio onore mi ha persuaso allegare;
e non tanto per respingere da me la temeraria imputazione appostami
dal Decreto del 10 giugno 1850, ma molto più ancora, perchè porgono
manifesta testimonianza di tre cose a ritenersi notabili:
_Prima_, come io reputassi e dovessi reputare la mossa del Generale
Laugier operata senza il consenso della Corona, e contraria
agl'interessi della Patria, a parte qualunque quistione intorno alla
forma di reggimento.
_Seconda_, come in tutti questi atti emanati da me, sempre circuito
dallo inquieto sospetto degli Inquisitori rivoluzionarii, pure lontano
alquanto dalla violenza immediata io non adoperassi verbo nè facessi
allusione alcuna relativa alla Repubblica: riscontro sicurissimo
dell'animo mio intorno a questo particolare.
_Terza_, come per me non fossero incarcerati, nè si ordinasse
incarcerarsi Sacerdoti; i quali no, mai, se Sacerdoti davvero, io mi
condurrò a credere nemici della Patria nostra, a noi tutti, quanti
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