Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 60
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mancanza degli Archivii m'impedisce somministrare i documenti relativi;
però dai Dispacci telegrafici resulta quanto le arringhe del Pigli mi
turbassero. «Pigli, le tue parole dette al Teatro hanno sconcertato
tutti; amico mio, tu sei buono, e rovini noi e il Paese.» Dispaccio
telegrafico del 13 novembre 1848. — E più tardi, esortandolo a fare più
parca copia di sua favella al Popolo, lo confortava a imitare la Rosa,
la quale (io gli diceva)
Quanto si mostra men tanto è più bella.
[40] Il Governo in cotesta occasione pubblicava il seguente
Proclama. «Cittadini! Il Governo vuole che il Popolo domandi con
modi civili, non violenti. — _Gl'individui convinti di avere operate
le violenze del giorno di ieri, saranno sottoposti all'azione
ordinaria della Giustizia_. A reprimere le violenze dei pochi deve
bastare l'applicazione della Legge. Tornando vana la loro azione pel
rinnuovarsi dei deplorabili eccessi, il Ministero, anzichè provocare
un conflitto incompatibile con la fiducia di cui ebbe sì larghe prove,
darà la sua dimissione.»
[41] A Leigh Hunt portarono via il naso!
[42] Discorso su la Finanza Toscana, comparso nello _Statuto_.
[43] Dispacci telegrafici del 22 novembre 1848, ore 5 minuti 35:
«Qua sono state rotte le urne delle elezioni. Il tumulto è venuto su
la Piazza di Palazzo Vecchio. Una _deputazione è salita_ chiedendo
sospensione delle elezioni in Firenze, e che sieno posti in _istato
di accusa i due passati Ministeri_. Questa deputazione ha ricevuto
Mazzoni, e le ha risposto _con destrezza_. Il Prefetto di Firenze
aveva pubblicato un manifesto opportunissimo stamani mattina.» —
Detto giorno, ore 5, minuti 45. «Dopo il fatto della violenza ai
collegi elettorali, i Ministri Montanelli, Mazzoni e Franchini qui
presenti, col Prefetto di Firenze fanno premura al Ministro Guerrazzi
perchè torni immediatamente a Firenze per concertarsi _intorno ai
provvedimenti di estrema importanza_.» Risposta, detto giorno, ore
6, minuti 20. «Domani sarò presto a Firenze.» — Detto giorno, ore
8, minuti 20. «Domani vieni più presto che puoi, e appena arrivato
avvisami, e ci troveremo insieme per determinare che cosa si debba
fare. Stasera hanno avuto luogo nuove dimostrazioni.» — Risposta,
detto giorno, ore 9, minuti 50. «Domani sarò a Firenze a ore dieci.»
— Novembre 23, ore 1 antem. «Stasera hanno rotto le finestre a casa
Ridolfi, Ricasoli, Salvagnoli, e Capei. Questi eccessi sono commessi da
quegli stessi che hanno rotto le urne elettorali: sono _pochi_ ec.»
Il 23 novembre, passando da Pisa non potei fermarmi, perchè, come si
vede, ero atteso a Firenze. — Qui giunto, maravigliai non avessero
preso i provvedimenti opportuni: furono tosto presi da me, e facili, ed
efficaci, i quali consisterono, come ho detto, nel vigilare _io stesso
di persona_ col maggiore della Guardia Civica Fiorentina le elezioni
onde succedessero a dovere. In tutti i luoghi dove fecero violenza,
mercè le cure del Governo l'elezioni tanto si operarono libere, che
vennero eletti quei dessi, che pur volevansi esclusi. — Così a Pisa
sortirono deputati i signori Castinelli e Severi; a Signa il signor
Vasse, e credo rammentarmi, non senza raccomandazione del Ministro
Adami; a Firenze i signori Tabarrini e Marzucchi.
[44] I miei Segretarii presenti al fatto ne deporranno.
[45] _Monitore_, 8 gennaio 1849.
[46] Si referiscono a questo fatto le risposte alle interpellazioni di
cui a pag. 33. Dubitando, che il vergognoso oltraggio fosse istigato da
qualche agitatore, e venendomi referito, che il Niccolini si aggirava
fra la moltitudine, lo mandai a chiamare, e alla presenza _di parecchi
testimoni lo rimproverai acerbamente_, e minacciai; egli scusavasi
affermando essere accorso invero non già per eccitare _ma per sedare_.
[47] Ma e perchè dovrei tacerlo? — Il Sig. Fabbri, Gonfaloniere di
Livorno, nel 6 aprile 1849 mi scriveva, tutto infiammato di patria
carità per la difesa contro lo straniero, che riconciliandomi io
con G. Paolo Bartolomei, egli si riprometteva persuaderlo a condursi
alla frontiera. Gli mandavo per via telegrafica questa risposta: «Al
Gonfaloniere di Livorno. Sarei un infame se per private dispiacenze
ricusassi anche un bacio per la difesa della patria. Favorisci, ed
eccita G. P. Bartolomei: per ridonargli la mia amicizia anzi cotesta è
la unica via. Componga il battaglione subito. Appena fatto, lo manderò
in Garfagnana, o all'Abetone.» G. P. Bartolomei sovvenendo alla dura
necessità della mia condizione, ha protetto il mio nipote in Piemonte;
e venuto in Toscana, lo accolse in casa sua, guardandolo con amore e
diligenza paterna..... L'emulazioni allora soltanto nuocciono quando
sono codarde.
[48] Thiers, _Histoire de la Révolution_, Bruxelles, 1838, tom. I, cap.
3, pag. 34.
[49] È noto che il principe di Talleyrand, acuto conoscitore del cuore
umano, e delle sue infermità, quando alcuna cosa commetteva a qualche
subalterno gli diceva: «_e sopra tutto vi raccomando di non ci metter
troppo zelo_!»
[50] _Monitore_, 14 novembre 1848.
[51] Dispacci al Prefetto di Pisa, negati.
[52] _Monitore_ del 20 decembre 1848.
[53] Dispacci governativi negati.
[54] Detti Dispacci negati.
[55] Ordini al Prefetto Guidi Rontani negati.
[56] «Fu notata la improvvisa partenza del Ministro dell'Interno nel
mezzo dell'Adunanza. Pare che egli si fosse dovuto recare a prendere
le disposizioni opportune, onde ripristinare la calma della città
momentaneamente disturbata per improntitudini commesse ai danni di un
Cambia-monete.» — (_Conciliatore_ del 28 gennaio 1849.)
[57] _Conciliatore_ del 28, 29 gennaio, e 8 febbraio 1849.
[58] E questo deperimento mio ricordo, che il _generoso_ giornale
dell'Accusa, la _Vespa_, descriveva con dileggio per far ridere la
gente sopra un uomo, che si logorava l'anima e la salute nel vigilare
alla pubblica sicurezza.
[59] Atto di Accusa, § 83.
[60] Memorie, pag. 47.
[61] Il marchese Venturi è morto, ma vivono per attestare i fatti
narrati i signori Vivoli e Pistolesi, uomini di anni maturi, e devoti
al Governo di S. A.; di molti altri mi taccio.
[62] Vivono Domenico Orsini, Massaio del Monte a Livorno, e Consigliere
municipale, ed altri parecchi testimoni del fatto.
[63] In certi libri, scrittori, in questa parte pessimamente informati,
non dubitano affermare, che in Livorno fossero avanzi di sètte, e
settarii fra il popolo minuto. Quando potrà scriversi storia per utile
universale, e _senza ingiuria dei singoli_, dimostrerò a prova, come
non in Livorno, ma altrove occorressero sètte, di piccola importanza,
e, per la indole dei componenti loro, accademie piuttosto che altro.
[64]
La mala signoria, che sempre accora
Li popoli soggetti.
DANTE.
[65] «Lo spirito militare non può formarsi così facilmente, nè così
facilmente possono mutarsi le condizioni del Paese. — Non è poi cosa
tanto utile, come da alcuno si crede, formare questo spirito militare
fra noi. La educazione militare non può formarsi, se non faccia
scendere la Toscana da quel grado di civiltà nel quale si trova; e
se lo spirito militare ha da formarsi a questo prezzo, io non farò
mai voto a conseguir questo intento. — La Toscana ove la mezzeria è
generale, la proprietà così divisa, le fortune così repartite, come non
lo fu finora, non diverrà giammai militare.» (Discorso del già Ministro
Ridolfi nella Tornata del Consiglio Generale del 19 agosto 1848.)
Stupefacenti parole su i labbri del Deputato, che reggendo Ministro
bandì la guerra della Indipendenza, e ora sollevò gli animi (come si
disse) fino alla speranza di potere vincere il nemico a furia di sassi
e co' bastoni, ora promise accorrere co' suoi figliuoli alla guerra
se ne occorresse il bisogno; ora finalmente licenziò la gioventù, che
traeva dalle patrie dimore desiderosa di partecipare alla contesa per
la Indipendenza italiana. Quali conseguenze ne ricavasse la gente
attonita, è facile indovinare. Il _Nazionale_ del 10 gennaio 1849,
con molto senno e pari verità discorrendo gli avvenimenti successi
dal settembre 1847 in poi, adduce le ragioni dei varii Ministeri, e
le cause della loro caduta. Importa consultare cotesto organo, che si
mantenne mai sempre independente:
«La Toscana _da più di un anno_ abbandonata a sè stessa, può dirsi che
si governava a senno dei cittadini. _I Governi che si sono succeduti
dal settembre del 1847 in poi_ non hanno mai saputo prendere quella
forte iniziativa che spetta a chi regge lo Stato, e che è un dovere
assoluto in chi prende a governare un Paese appena sciolto dalle
fasce dell'assolutismo, e desideroso di lanciarsi nelle nuove vie
di una libertà lungamente sospirata. — Dov'era mestieri con mano
sapientemente audace riformare, resecando il vecchio, piantando il
nuovo, fortificando le libertà pur ora inaugurate coll'istruzione
che le facesse più universalmente conoscere e amare..... si fece
anzi un brutto innesto di vecchio e di nuovo; la tutela delle
istituzioni liberali si lasciò o si diede a mani inette, o da poco
tempo acquistate alla nuova causa, non mosse da convinzioni antiche,
ma dalle vicende della fortuna; si procedé _timidamente, lentamente,
fiaccamente_. — Accadde che nel reo impasto il nuovo isterilì e si
corruppe della sterilità e della corruzione del vecchio; le libere
istituzioni come pianta aduggiata languirono; lo Stato, siccome
corpo percosso da paralisi, rimanendo sana e vigorosa la mente, non
ubbidiva all'impulso delle volontà che lo guidavano, e strascicava;
le idee lo precorrevano, i fatti lo premevano; quando avanzava non
camminava, ma era spinto dall'urto prepotente delle idee e degli
avvenimenti che ne vincevano l'inerzia. — Oscillando, trabalzando per
una via, che si poteva correre nella maestà del trionfo, arrivarono
alla Costituzione arrivarono alla guerra..... Grandeggiavano intanto
i fatti d'Italia. La Lombardia sollevata ci chiamava oltre Po, dove
i Liguri e i Piemontesi già combattevano con lieti auspicii. _Noi nè
uomini, nè armi, nè danari avevamo parati alla grande e non inaspettata
impresa... Ma la fatale imprevidenza parve rea negligenza, e inasprì
gli animi delusi e accorati dall'esito infelice della guerra sacra_.
Innanzi al Parlamento pur or convocato il Governo si appresentava
nudo affatto di provvedimenti, della causa italiana pendente ancora,
delle sorti della guerra come dimentico. Il Governo di allora cadde
innanzi allo sdegno e al dispregio del Paese.... In mezzo a queste
circostanze nacque il Ministero Capponi. — _Delle infelici prove di
quel Ministero.... non faremo altre parole_....; solo diciamo come
nella Toscana agitata, inquieta, tumultuante, paresse necessità
venire al Ministero Montanelli..... — Il nuovo Ministero ebbe nome
di Ministero democratico: prendeva il potere in nome del Popolo:
_stretto da violenti antipatie da un lato, travagliato forse da
troppo intemperanti e cupide simpatie dall'altro, cominciò a porgere
parole di riconciliazione, e pose mano vigorosamente al governo_. Noi
crediamo che gli amici gli facessero mal servigio; poichè, come dice
il Machiavelli, non è cosa desiderabile prendere un magistrato o un
principato con estraordinaria opinione ec.....» — (_Nazionale_ del 10
gennaio 1849.)
E qui giovi notare una volta per sempre, che il _Nazionale_ non
fu Giornale sovvenuto, nè amico del Governo mio, anzi più spesso
oppositore acerbo così, che nel 24 febbraio 1849 ne fu ordinato
l'arresto con dispaccio telegrafico del presidente Mazzoni.
[66] A carte 40 dei Documenti, n. 66, vi è la minuta della lettera
scritta all'Avv. Giera, che si dimetteva dalla Commissione. In essa
si trova la verità del mio racconto. Il Governo _pregò_ la Commissione
a non dimettersi. Il sig. Giera, interpellato prima confidenzialmente
il Governo, sospese la sua dimissione, e dichiarò agli Ufficiali della
Guardia Civica essere _esattissimo_ tutto quello che io affermava in
proposito. Vedi esposizione inedita delle cose di Livorno del gennaio
1848 pubblicata fra i Documenti dell'Accusa, a pag. 60.
[67] Le carte, che mi furono perquisite allora, e poi rese stante il
Decreto onorevolissimo del Principe, che troncò cotesta procedura,
adesso perquisite da capo in questa nuova procedura, s'incontrano
nel volume dei Documenti a pag. 47, n. 79, a pag. 49, n. 82, a pag.
50, n. 83, a pag. 67, n. 100. — Si trattava di provvedere le armi dal
Municipio, e di trovare modo che le dimostrazioni cessassero, le unioni
parrocchiali si organizzassero.
[68] Al Popolo, che ingannato era venuto ad arrestarmi, tali
apparecchiava parole, come resulta dallo Scritto inedito pubblicato
dall'Accusa a c. 65 dei Documenti:
«Io l'ho detto, tra me e te, Popolo, noi non dobbiamo odiarci, nè lo
possiamo. Forse Aristide odiò la patria perchè bandito ingiustamente?
In certa notte, con pericolo di vita ruppe il bando, e fu la precedente
alla battaglia di Salamina, per avvisare Temistocle intorno alla
ragione dei venti, e all'ordine della flotta persiana. Gli antichi
esempii non saranno stati letti invano. I Veneziani supplicarono Carlo
Zeno imprigionato iniquamente onde salvasse la Patria dal pericolo
supremo da cui era minacciata: usciva, pugnava, vinceva, e poi altero
e costante tornava al carcere.
«Tra me e te ogni trista memoria è ormai obliata, e con _tutti fra
te_. Vi lasciai non liberi, vi trovo facultati a farvi liberi se
volete. A questo patto chi non avrebbe voluto soffrire la prigionia?
Stringiamo ora, che ne fa mestieri, più che mai i vincoli di famiglia.
Giù _rancori_, giù _discordie_; se volete essere forti contro il comune
nemico, io non so davvero come potrete riuscirvi con matte fazioni
tra voi. E sopra tutto, nè _viva_ a tale, nè _morte_ a tale altro. Il
secondo grido è crudele, e la nostra religione lo aborre; il primo
è segno di servitù. Oggimai non hanno a contare gl'individui, ma i
principii. Mi confortano, o Popolo, ad abbandonarti, e porre la mia
stanza altrove. Non posso farlo; le cose si amano pei sacrificii che
costano, e il mio paese mi costa assai: io qui ebbi nascimento, e qui
desidero sepoltura accanto alle ossa di mio padre e dei miei amici,
_che più felici di me mi precederono nella morte_: io continuerò,
secondo ch'è dato al mio povero ingegno, a onorarti come posso e devo;
ma tu, o Popolo, ricompensami con lo starti unito, col non fare _il mio
nome bandiera di fazioni e di tumulti_. Io te ne scongiuro per la mia
fama e più per la tua. Anche tu fosti accusato, e devi mostrare che lo
fosti a torto, a nessuno secondo tra i Popoli italiani, e a qualcheduno
primo. _Le petizioni offrono mezzi legali per manifestare i voti, e
tôrre d'inganno il Governo_: — attienti a queste.»
«Vediamo se alle parole corrispondessero i fatti. Francesco _Costantino
Marmocchi_, mentre io stava prigione a Portoferraio, si oppose alla
stampa nell'_Alba_ di parole in mia difesa; io non solo dimenticai
il malo ufficio, ma nelle elezioni di Dicomano lo purgai dalla
calunnia, e lo feci eleggere Segretario al Ministero dello Interno.
— _Giovanni Sorbi_, Tenente, o Capitano della Guardia Civica, che
fu a prendermi nella notte dell'8 gennaio, promossi a Pretore di
Santo Stefano, e credo che vi sia tuttora; e perchè tutto restringa
in uno, così rispondeva al Governo di Livorno, che mi consultava se
avessi acconsentito a far pace co' promotori dell'8 gennaio: «_Io ho
dimenticato sempre tutto; e saranno prima stanchi di offendermi, che io
di perdonarli_.» Dispaccio telegrafico del 9 aprile 1849.
[69] In questo tempo chiesi facoltà di stampare un Giornale, e mi fu
negata; a questo accenna la lettera, di cui si legge minuta a pag. 66
dei Documenti, n. 98, indirizzata al sig. Cons. Pezzella. Per intendere
a dovere cotesto Documento, si avverta che successe in quel torno una
baruffa sanguinosa tra fornaj; e i _matti avversarii_ propagavano,
nè più nè meno, che travestito da fornaio io avevo aizzato la gente
a ferirsi, e _forse_ aveva ferito io stesso! — Inoltre, un pazzo
furioso irrompendo fuori di casa incontra un soldato e lo uccide, altri
ferisce, e i _matti avversarii_ raccontano sul serio, che io ho spinto
il pazzo ad uccidere. Cose incredibili sono queste, e non pertanto
vere! Mentre era Ministro, moltissime persone s'interposero per la
grazia dei due fornaj feritori già condannati, uno dei quali ricordo
che si chiamava Morgantini. — La grazia fu negata.
[70] Partendo scriveva questa lettera:
«Signor Silvio Giannini.
Persuaso che la mia presenza somministrerebbe alla città pretesto di
collisione, per la quale essa avrebbe a pentirsene e vergognarsene
poi, io, come ogni dabbene cittadino deve fare, cedo alla invidia, e
mi allontano. Partendomi col corpo, io lascio i miei affetti entro un
paese che mi costa tanti sagrifizii e tanti dolori; — e con sincero
animo gli auguro tempi felici, menti più giuste, ed uomini che possano
amarlo molto meglio di me.
La reverisco.
Affez. D. GUERRAZZI.»
[71] _Corriere Livornese_ del 28 agosto 1848.
[72] A pag. 46, n. 77, dei Documenti, occorre la minuta della mia
lettera mandata ai Membri del Municipio, e ai componenti la Camera di
Commercio, dove io dico loro: «Voi sapete, che quattro volte _chiamato
dalle Commissioni, dal Municipio, e dalla Camera di Commercio, mi
astenni dal venire a Livorno_, parendomi la città nostra contenesse
copia di ottimi cittadini capaci di condurla traverso ogni più
duro caso. Non potei resistere all'ultima, _perchè avrei dimostrato
ostinazione somma, e poco affetto a chi mi ama_.» La riporteremo in
seguito per intero.
[73] A pag. 151 e seg. dei Documenti dell'Accusa trovo la narrazione
di questi successi esattissima; non si dichiara se scritta o no di mio
carattere; comunque sia, io non posso che ratificarla pienamente.
[74] «La Camera di Commercio, di consenso col Popolo adunavasi, e di
unanime accordo quattro negozianti partivano per Firenze onde dimandare
s'inviassero a comporre le cose di Livorno il generale Don Neri Corsini
e il deputato Guerrazzi. La Deputazione è partita. Il Governo pensi
alle conseguenze, se ricusa questa ultima prova della longanimità del
Popolo.» — (_Corriere Livornese_,4 settembre 1848.)
[75] Che fosse impresa da pensarci due volte, e poi non farne nulla,
lo dichiara la seguente lettera, la quale io mi conduco a pubblicare
con repugnanza, conciossiachè io dubiti forte porgere indizio di scarsa
modestia, se non mi assicurasse la speranza, che le angustie in cui
verso varranno a scusarmi presso i cortesi. Però nel riportarla mi
corre l'obbligo avvertire, che lo scrivente mosso da patria carità,
forse anche da voce più autorevole della mia, poco dopo lasciati
consorte, e prole amatissime e amantissime, e i dolci riposi della
villa e i cari studj, accorse anch'egli a travagliarsi a benefizio di
quella terra, che ama, ed onora pur tanto.
«Amico carissimo,
«Comunque i doveri di famiglia resi più solenni da qualche mese
di assenza al Campo, non mi abbiano concesso di condurmi a Livorno
per assumere l'ufficio del quale mi onorasti, io te ne protesto la
mia gratitudine, e ne vado lieto per l'unica ragione che la carica
affidatami mi è prova della tua leale amicizia.
«In ogni circostanza io ti corrisponderò con pari affetto, e nel mio
nulla se posso giovarti, adoprami; e (poichè anco i grandi uomini non
sdegnano ascoltare talvolta il parere dei piccoli) non ti sia molesto
se ti suggerisco d'essere cauto, perchè a mio avviso ardua è l'impresa,
e gravissimo è il fardello a cui ti sobbarchi; vero è peraltro che
ogni rovescio ha il suo diritto, e che se col tuo ingegno, e con la
tua influenza perverrai a ricomporre cotesta sconvolta città, sarai ben
largamente ricompensato col saluto non perituro di Padre della Patria.
«Addio, conservami la tua amicizia e credimi per sempre,
«Crespina, 11 settembre 1848.
«Tuo affez. amico
«L. FABBRI.»
[76] «Ieri sera circa le ore 10 giungeva con la Deputazione livornese
il Guerrazzi. La carrozza era seguita da una quantità di Popolo fino
al Palazzo Comunitativo, ove il Guerrazzi trattenevasi a conferire con
alcuni membri della Commissione fino a mezza notte. — Stamattina mentre
il Guerrazzi si recava al Palazzo del Municipio una grande moltitudine
si è affollata su i suoi passi applaudendo, nè si è disciolta, finchè
egli non si è mostrato al terrazzo ove ha detto poche e severe parole:
— non doversi applaudire gli uomini, ma gli onorevoli fatti; gli
applausi alle persone non essere degni di Popolo libero, ma segno di
schiavitù; essere egli venuto come cittadino a conferire con cittadini
su i modi di ricomporre le cose nostre, e di ristabilire in Livorno
_l'ordine e la quiete, che vi erano prima_; — stessero tranquilli, nè
disturbassero con clamori coloro, che si occupavano pel pubblico bene,
e di cose richiedenti tranquillità e maturità di consiglio. Un bravo
unanime ha accolto i suoi detti, e il Popolo si è dissipato. —
«Indi a poco nello stesso palazzo, dietro convocazione di _un priore
del Magistrato_, si sono adunati la Camera del Commercio, il Corpo dei
Legali, la Ufficialità della truppa di linea, della Civica, parecchi
delegati dei possidenti e dei Medici, alcuni membri del Clero, e
tre popolani di ogni quartiere, onde avvisare ai mezzi idonei _per
ricondurre la pace in Livorno e ristabilire l'autorità governativa_.»
— (_Corriere Livornese_ del 5 settembre 1848.)
[77] «Cittadini! Commosso dai casi della Patria, io mi riduco fra voi.
È un semplice cittadino, che ritorna in famiglia per provvedere in
comune al pubblico bene. Tento indagare le cause dei fatti, ascolto
i desiderii, le _apprensioni_, i voti vostri, e persuaso che ormai
saranno _conformi a giustizia_, io mi sforzerò che vengano esauditi.
Confido nella temperanza vostra, e _nella benevolenza che il Principe
professa avervi portata sempre, e tuttavia portarvi_, e in Dio, che
illumina il cuore degli uomini, onde, ogni discordia sopita, attendiamo
con voleri uniti e forze concordi alla difesa della Patria comune ec.
ec.
«Livorno, 5 settembre 1848.
«GUERRAZZI.»
[78] Convenzione del 4 settembre 1848 fra il cavaliere generale Torres,
tenente colonnello Reghini, ed altri ufficiali.
La Convenzione è intitolata così: — «Convenzione tra il signor Costa
Reghini tenente colonnello delle truppe attive toscane, attuale
comandante della Fortezza di Porta Murata, e il cavaliere generale
Torres comandante della forza armata popolare in Livorno.» Firmavano:
«Torres cavaliere generale. Costa Reghini tenente colonnello. A. Alieti
capitano. D. Ulacco capitano di artiglieria. F. Porciani, e L. Romei
capitani.»
«Torres _frammischiandosi col Popolo la sera del 3 era stato acclamato
da quelli che lo ascoltavano, come capo, e direttore della forza
armata. Egli presentavasi alla Commissione e annunciandosi eletto dal
Popolo si offriva a organizzare e a dirigere gli armati. La Commissione
verbalmente gli confermava il mandato. — Ma ieri mattina essa si
dimetteva in seguito di una scena cui diè luogo lo stesso signor Torres
nella sala del Palazzo Comunitativo ove si recò seguito da una turba di
Popolo ec. ec_.» — (_Corriere Livornese_ del 5 settembre 1848.)
Così questo Torres col quale gli ufficiali capitolavano, a cui le
Fortezze si consegnavano, le commissioni cittadine cedevano, da me
inerme era costretto a sgombrare la città..... e l'Accusa dignitosa e
schietta par che dubiti avere io aizzato cotesti moti.
In certa pubblicazione intitolata: _Storia del Processo politico di F.
D. Guerrazzi_, stampata in Firenze presso Mariani, si dice: che bandii
di Toscana il signor Torres quando fui membro del Governo Provvisorio;
è errore: lo feci accompagnare ai confini due volte mentre governavo
Ministro di S. A. (Vedi Dispacci telegrafici del 23 dicembre 1848.) —
Mi duole, che cotesta Storia fino dalla prima pagina appaia gremita di
falsità; così io non capitanai le Deputazioni livornesi che venivano
spesso a Firenze, ma venni una sola volta, il 6 settembre 1848. Prego
i Compilatori a studiare migliore esattezza, chè la materia lo merita.
[79] La petizione presentata dall'Abate Zacchi e da Vincenzo
Malenchini deputato, riguardava: 1º Opera efficace per la guerra. 2º
Guardia Civica ricomposta. 3º Prezzo del sale diminuito. 4º Pensioni
ridotte. 5º Migliorie alla Marina. 6º Tariffe giudiziarie diminuite. —
Corriere Livornese, 30 agosto 1848. Si riporta eziandio nei Documenti
dell'Accusa, a pag. 675.
[80] Nel Municipio di Livorno ha da trovarsi una Deliberazione, che
giustifica come se qualche irregolarità avvenne e' fu a cagione della
pressura popolare. Fabbri era Gonfaloniere, e però deve appartenere
alla seconda metà del mese di settembre 1848. Ho mosso domanda
per averla con le altre, che mi riguardano, per difendermi dalla
improntissima Accusa; ma senza superiore permesso non mi si possono
dare, e il superiore permesso peranche non viene; e poi dicono:
difendetevi!
[81] «Stamane, 6 settembre, un altro Popolano ferito dalla esplosione
delle polveri presso il Calambrone è stato portato a questo ospedale.
Questa notte tre dei feriti portativi ieri sera sono morti. Sei altri
rimasero morti alla Polveriera.» — (_Corriere Livornese del 6 settembre
1848_.)
[82] _Corriere Livornese_, 6 settembre 1848.
[83] _Corriere Livornese_, 6 settembre 1848.
[84] Duolmi non ricordare il suo nome; ma il colonnello Reghini potrà
nominarlo.
[85] È debito di riconoscenza avvertire, che sopraggiunse in fretta
mezzo spogliato Antonio Petracchi per acquietare cotesti arrabbiati.
Non si creda poi ch'egli fosse uomo ligio a me: all'opposto, egli
crebbe per favore dei partigiani del Ministro Ridolfi, _e fu di quelli
che vennero ad arrestarmi nella notte dell'8 gennaio_. Io poi dico
questo non per rancore che serbi contro di lui (Dio me ne guardi), ma
perchè penso che gli possa giovare.
[86] _Corriere Livornese_, 20 settembre 1848.
[87] _Corriere Livornese_, 7 settembre 1848.
[88] _Deliberazione con la quale si sopprimono tutte le Commissioni per
ordine del Ministero._
«Adunati servatis servandis
«Gl'Illustrissimi Signori _Gonfaloniere e Priori_, componenti il
Magistrato della Comunità di Livorno in numero sufficiente di otto per
trattare etc.
«Il Magistrato ha intesa in primo luogo l'intiera Lettura di un
Rapporto in data di questo stesso giorno presentato dai Signori
Avvocato Francesco Domenico Guerrazzi ed Antonio Petracchi Priori
aggiunti a questo consesso. Quindi tornando a esaminare le singole
proposizioni in esso contenute le ha ammesse nel modo e nell'ordine che
appresso.
«_Proposizione prima_. — Le Commissioni instituite dalla Commissione
Governativa Provvisoria di
«1. Finanza e Annona.
«2. Guerra.
«3. Lavori Pubblici.
«4. Sicurezza Pubblica.
«si ringraziano come quelle che hanno benemeritato della Patria, ed
avendo pienamente soddisfatto al loro scopo si sciolgono. — Girato il
Partito è tornato vinto ad unanimità di voti favorevoli.
«_Proposizione seconda_. — La Commissione di Pubblica Sicurezza come
necessarissima per l'assenza da Livorno delle Autorità ordinarie
si mantiene; e in quanto occorra si rielegge ex-integro sempre
provvisoriamente dal Municipio. — Approvata con Partito di voti
favorevoli ad unanimità.
«_Proposizione terza_. — La Commissione Governativa Provvisoria
installata per urgenza rimane sciolta. — Approvata ad unanimità di voti
favorevoli.
«_Proposizione quarta_. — Il Municipio elegge una Commissione
esecutiva dal proprio seno e le commette di provvedere con tutti i
mezzi contemplati con Dispaccio Ministeriale del 6 settembre corrente
per consolidare e mantenere la quiete nel Paese, nello stato normale
di ordine, e specialmente organizzare la Guardia Provvisoria, e la
Guardia Municipale, non meno che disimpegnare gli affari occorrenti
alla giornata sempre di concerto col Municipio; ben inteso che quando
però dai Dispacci telegrafici resulta quanto le arringhe del Pigli mi
turbassero. «Pigli, le tue parole dette al Teatro hanno sconcertato
tutti; amico mio, tu sei buono, e rovini noi e il Paese.» Dispaccio
telegrafico del 13 novembre 1848. — E più tardi, esortandolo a fare più
parca copia di sua favella al Popolo, lo confortava a imitare la Rosa,
la quale (io gli diceva)
Quanto si mostra men tanto è più bella.
[40] Il Governo in cotesta occasione pubblicava il seguente
Proclama. «Cittadini! Il Governo vuole che il Popolo domandi con
modi civili, non violenti. — _Gl'individui convinti di avere operate
le violenze del giorno di ieri, saranno sottoposti all'azione
ordinaria della Giustizia_. A reprimere le violenze dei pochi deve
bastare l'applicazione della Legge. Tornando vana la loro azione pel
rinnuovarsi dei deplorabili eccessi, il Ministero, anzichè provocare
un conflitto incompatibile con la fiducia di cui ebbe sì larghe prove,
darà la sua dimissione.»
[41] A Leigh Hunt portarono via il naso!
[42] Discorso su la Finanza Toscana, comparso nello _Statuto_.
[43] Dispacci telegrafici del 22 novembre 1848, ore 5 minuti 35:
«Qua sono state rotte le urne delle elezioni. Il tumulto è venuto su
la Piazza di Palazzo Vecchio. Una _deputazione è salita_ chiedendo
sospensione delle elezioni in Firenze, e che sieno posti in _istato
di accusa i due passati Ministeri_. Questa deputazione ha ricevuto
Mazzoni, e le ha risposto _con destrezza_. Il Prefetto di Firenze
aveva pubblicato un manifesto opportunissimo stamani mattina.» —
Detto giorno, ore 5, minuti 45. «Dopo il fatto della violenza ai
collegi elettorali, i Ministri Montanelli, Mazzoni e Franchini qui
presenti, col Prefetto di Firenze fanno premura al Ministro Guerrazzi
perchè torni immediatamente a Firenze per concertarsi _intorno ai
provvedimenti di estrema importanza_.» Risposta, detto giorno, ore
6, minuti 20. «Domani sarò presto a Firenze.» — Detto giorno, ore
8, minuti 20. «Domani vieni più presto che puoi, e appena arrivato
avvisami, e ci troveremo insieme per determinare che cosa si debba
fare. Stasera hanno avuto luogo nuove dimostrazioni.» — Risposta,
detto giorno, ore 9, minuti 50. «Domani sarò a Firenze a ore dieci.»
— Novembre 23, ore 1 antem. «Stasera hanno rotto le finestre a casa
Ridolfi, Ricasoli, Salvagnoli, e Capei. Questi eccessi sono commessi da
quegli stessi che hanno rotto le urne elettorali: sono _pochi_ ec.»
Il 23 novembre, passando da Pisa non potei fermarmi, perchè, come si
vede, ero atteso a Firenze. — Qui giunto, maravigliai non avessero
preso i provvedimenti opportuni: furono tosto presi da me, e facili, ed
efficaci, i quali consisterono, come ho detto, nel vigilare _io stesso
di persona_ col maggiore della Guardia Civica Fiorentina le elezioni
onde succedessero a dovere. In tutti i luoghi dove fecero violenza,
mercè le cure del Governo l'elezioni tanto si operarono libere, che
vennero eletti quei dessi, che pur volevansi esclusi. — Così a Pisa
sortirono deputati i signori Castinelli e Severi; a Signa il signor
Vasse, e credo rammentarmi, non senza raccomandazione del Ministro
Adami; a Firenze i signori Tabarrini e Marzucchi.
[44] I miei Segretarii presenti al fatto ne deporranno.
[45] _Monitore_, 8 gennaio 1849.
[46] Si referiscono a questo fatto le risposte alle interpellazioni di
cui a pag. 33. Dubitando, che il vergognoso oltraggio fosse istigato da
qualche agitatore, e venendomi referito, che il Niccolini si aggirava
fra la moltitudine, lo mandai a chiamare, e alla presenza _di parecchi
testimoni lo rimproverai acerbamente_, e minacciai; egli scusavasi
affermando essere accorso invero non già per eccitare _ma per sedare_.
[47] Ma e perchè dovrei tacerlo? — Il Sig. Fabbri, Gonfaloniere di
Livorno, nel 6 aprile 1849 mi scriveva, tutto infiammato di patria
carità per la difesa contro lo straniero, che riconciliandomi io
con G. Paolo Bartolomei, egli si riprometteva persuaderlo a condursi
alla frontiera. Gli mandavo per via telegrafica questa risposta: «Al
Gonfaloniere di Livorno. Sarei un infame se per private dispiacenze
ricusassi anche un bacio per la difesa della patria. Favorisci, ed
eccita G. P. Bartolomei: per ridonargli la mia amicizia anzi cotesta è
la unica via. Componga il battaglione subito. Appena fatto, lo manderò
in Garfagnana, o all'Abetone.» G. P. Bartolomei sovvenendo alla dura
necessità della mia condizione, ha protetto il mio nipote in Piemonte;
e venuto in Toscana, lo accolse in casa sua, guardandolo con amore e
diligenza paterna..... L'emulazioni allora soltanto nuocciono quando
sono codarde.
[48] Thiers, _Histoire de la Révolution_, Bruxelles, 1838, tom. I, cap.
3, pag. 34.
[49] È noto che il principe di Talleyrand, acuto conoscitore del cuore
umano, e delle sue infermità, quando alcuna cosa commetteva a qualche
subalterno gli diceva: «_e sopra tutto vi raccomando di non ci metter
troppo zelo_!»
[50] _Monitore_, 14 novembre 1848.
[51] Dispacci al Prefetto di Pisa, negati.
[52] _Monitore_ del 20 decembre 1848.
[53] Dispacci governativi negati.
[54] Detti Dispacci negati.
[55] Ordini al Prefetto Guidi Rontani negati.
[56] «Fu notata la improvvisa partenza del Ministro dell'Interno nel
mezzo dell'Adunanza. Pare che egli si fosse dovuto recare a prendere
le disposizioni opportune, onde ripristinare la calma della città
momentaneamente disturbata per improntitudini commesse ai danni di un
Cambia-monete.» — (_Conciliatore_ del 28 gennaio 1849.)
[57] _Conciliatore_ del 28, 29 gennaio, e 8 febbraio 1849.
[58] E questo deperimento mio ricordo, che il _generoso_ giornale
dell'Accusa, la _Vespa_, descriveva con dileggio per far ridere la
gente sopra un uomo, che si logorava l'anima e la salute nel vigilare
alla pubblica sicurezza.
[59] Atto di Accusa, § 83.
[60] Memorie, pag. 47.
[61] Il marchese Venturi è morto, ma vivono per attestare i fatti
narrati i signori Vivoli e Pistolesi, uomini di anni maturi, e devoti
al Governo di S. A.; di molti altri mi taccio.
[62] Vivono Domenico Orsini, Massaio del Monte a Livorno, e Consigliere
municipale, ed altri parecchi testimoni del fatto.
[63] In certi libri, scrittori, in questa parte pessimamente informati,
non dubitano affermare, che in Livorno fossero avanzi di sètte, e
settarii fra il popolo minuto. Quando potrà scriversi storia per utile
universale, e _senza ingiuria dei singoli_, dimostrerò a prova, come
non in Livorno, ma altrove occorressero sètte, di piccola importanza,
e, per la indole dei componenti loro, accademie piuttosto che altro.
[64]
La mala signoria, che sempre accora
Li popoli soggetti.
DANTE.
[65] «Lo spirito militare non può formarsi così facilmente, nè così
facilmente possono mutarsi le condizioni del Paese. — Non è poi cosa
tanto utile, come da alcuno si crede, formare questo spirito militare
fra noi. La educazione militare non può formarsi, se non faccia
scendere la Toscana da quel grado di civiltà nel quale si trova; e
se lo spirito militare ha da formarsi a questo prezzo, io non farò
mai voto a conseguir questo intento. — La Toscana ove la mezzeria è
generale, la proprietà così divisa, le fortune così repartite, come non
lo fu finora, non diverrà giammai militare.» (Discorso del già Ministro
Ridolfi nella Tornata del Consiglio Generale del 19 agosto 1848.)
Stupefacenti parole su i labbri del Deputato, che reggendo Ministro
bandì la guerra della Indipendenza, e ora sollevò gli animi (come si
disse) fino alla speranza di potere vincere il nemico a furia di sassi
e co' bastoni, ora promise accorrere co' suoi figliuoli alla guerra
se ne occorresse il bisogno; ora finalmente licenziò la gioventù, che
traeva dalle patrie dimore desiderosa di partecipare alla contesa per
la Indipendenza italiana. Quali conseguenze ne ricavasse la gente
attonita, è facile indovinare. Il _Nazionale_ del 10 gennaio 1849,
con molto senno e pari verità discorrendo gli avvenimenti successi
dal settembre 1847 in poi, adduce le ragioni dei varii Ministeri, e
le cause della loro caduta. Importa consultare cotesto organo, che si
mantenne mai sempre independente:
«La Toscana _da più di un anno_ abbandonata a sè stessa, può dirsi che
si governava a senno dei cittadini. _I Governi che si sono succeduti
dal settembre del 1847 in poi_ non hanno mai saputo prendere quella
forte iniziativa che spetta a chi regge lo Stato, e che è un dovere
assoluto in chi prende a governare un Paese appena sciolto dalle
fasce dell'assolutismo, e desideroso di lanciarsi nelle nuove vie
di una libertà lungamente sospirata. — Dov'era mestieri con mano
sapientemente audace riformare, resecando il vecchio, piantando il
nuovo, fortificando le libertà pur ora inaugurate coll'istruzione
che le facesse più universalmente conoscere e amare..... si fece
anzi un brutto innesto di vecchio e di nuovo; la tutela delle
istituzioni liberali si lasciò o si diede a mani inette, o da poco
tempo acquistate alla nuova causa, non mosse da convinzioni antiche,
ma dalle vicende della fortuna; si procedé _timidamente, lentamente,
fiaccamente_. — Accadde che nel reo impasto il nuovo isterilì e si
corruppe della sterilità e della corruzione del vecchio; le libere
istituzioni come pianta aduggiata languirono; lo Stato, siccome
corpo percosso da paralisi, rimanendo sana e vigorosa la mente, non
ubbidiva all'impulso delle volontà che lo guidavano, e strascicava;
le idee lo precorrevano, i fatti lo premevano; quando avanzava non
camminava, ma era spinto dall'urto prepotente delle idee e degli
avvenimenti che ne vincevano l'inerzia. — Oscillando, trabalzando per
una via, che si poteva correre nella maestà del trionfo, arrivarono
alla Costituzione arrivarono alla guerra..... Grandeggiavano intanto
i fatti d'Italia. La Lombardia sollevata ci chiamava oltre Po, dove
i Liguri e i Piemontesi già combattevano con lieti auspicii. _Noi nè
uomini, nè armi, nè danari avevamo parati alla grande e non inaspettata
impresa... Ma la fatale imprevidenza parve rea negligenza, e inasprì
gli animi delusi e accorati dall'esito infelice della guerra sacra_.
Innanzi al Parlamento pur or convocato il Governo si appresentava
nudo affatto di provvedimenti, della causa italiana pendente ancora,
delle sorti della guerra come dimentico. Il Governo di allora cadde
innanzi allo sdegno e al dispregio del Paese.... In mezzo a queste
circostanze nacque il Ministero Capponi. — _Delle infelici prove di
quel Ministero.... non faremo altre parole_....; solo diciamo come
nella Toscana agitata, inquieta, tumultuante, paresse necessità
venire al Ministero Montanelli..... — Il nuovo Ministero ebbe nome
di Ministero democratico: prendeva il potere in nome del Popolo:
_stretto da violenti antipatie da un lato, travagliato forse da
troppo intemperanti e cupide simpatie dall'altro, cominciò a porgere
parole di riconciliazione, e pose mano vigorosamente al governo_. Noi
crediamo che gli amici gli facessero mal servigio; poichè, come dice
il Machiavelli, non è cosa desiderabile prendere un magistrato o un
principato con estraordinaria opinione ec.....» — (_Nazionale_ del 10
gennaio 1849.)
E qui giovi notare una volta per sempre, che il _Nazionale_ non
fu Giornale sovvenuto, nè amico del Governo mio, anzi più spesso
oppositore acerbo così, che nel 24 febbraio 1849 ne fu ordinato
l'arresto con dispaccio telegrafico del presidente Mazzoni.
[66] A carte 40 dei Documenti, n. 66, vi è la minuta della lettera
scritta all'Avv. Giera, che si dimetteva dalla Commissione. In essa
si trova la verità del mio racconto. Il Governo _pregò_ la Commissione
a non dimettersi. Il sig. Giera, interpellato prima confidenzialmente
il Governo, sospese la sua dimissione, e dichiarò agli Ufficiali della
Guardia Civica essere _esattissimo_ tutto quello che io affermava in
proposito. Vedi esposizione inedita delle cose di Livorno del gennaio
1848 pubblicata fra i Documenti dell'Accusa, a pag. 60.
[67] Le carte, che mi furono perquisite allora, e poi rese stante il
Decreto onorevolissimo del Principe, che troncò cotesta procedura,
adesso perquisite da capo in questa nuova procedura, s'incontrano
nel volume dei Documenti a pag. 47, n. 79, a pag. 49, n. 82, a pag.
50, n. 83, a pag. 67, n. 100. — Si trattava di provvedere le armi dal
Municipio, e di trovare modo che le dimostrazioni cessassero, le unioni
parrocchiali si organizzassero.
[68] Al Popolo, che ingannato era venuto ad arrestarmi, tali
apparecchiava parole, come resulta dallo Scritto inedito pubblicato
dall'Accusa a c. 65 dei Documenti:
«Io l'ho detto, tra me e te, Popolo, noi non dobbiamo odiarci, nè lo
possiamo. Forse Aristide odiò la patria perchè bandito ingiustamente?
In certa notte, con pericolo di vita ruppe il bando, e fu la precedente
alla battaglia di Salamina, per avvisare Temistocle intorno alla
ragione dei venti, e all'ordine della flotta persiana. Gli antichi
esempii non saranno stati letti invano. I Veneziani supplicarono Carlo
Zeno imprigionato iniquamente onde salvasse la Patria dal pericolo
supremo da cui era minacciata: usciva, pugnava, vinceva, e poi altero
e costante tornava al carcere.
«Tra me e te ogni trista memoria è ormai obliata, e con _tutti fra
te_. Vi lasciai non liberi, vi trovo facultati a farvi liberi se
volete. A questo patto chi non avrebbe voluto soffrire la prigionia?
Stringiamo ora, che ne fa mestieri, più che mai i vincoli di famiglia.
Giù _rancori_, giù _discordie_; se volete essere forti contro il comune
nemico, io non so davvero come potrete riuscirvi con matte fazioni
tra voi. E sopra tutto, nè _viva_ a tale, nè _morte_ a tale altro. Il
secondo grido è crudele, e la nostra religione lo aborre; il primo
è segno di servitù. Oggimai non hanno a contare gl'individui, ma i
principii. Mi confortano, o Popolo, ad abbandonarti, e porre la mia
stanza altrove. Non posso farlo; le cose si amano pei sacrificii che
costano, e il mio paese mi costa assai: io qui ebbi nascimento, e qui
desidero sepoltura accanto alle ossa di mio padre e dei miei amici,
_che più felici di me mi precederono nella morte_: io continuerò,
secondo ch'è dato al mio povero ingegno, a onorarti come posso e devo;
ma tu, o Popolo, ricompensami con lo starti unito, col non fare _il mio
nome bandiera di fazioni e di tumulti_. Io te ne scongiuro per la mia
fama e più per la tua. Anche tu fosti accusato, e devi mostrare che lo
fosti a torto, a nessuno secondo tra i Popoli italiani, e a qualcheduno
primo. _Le petizioni offrono mezzi legali per manifestare i voti, e
tôrre d'inganno il Governo_: — attienti a queste.»
«Vediamo se alle parole corrispondessero i fatti. Francesco _Costantino
Marmocchi_, mentre io stava prigione a Portoferraio, si oppose alla
stampa nell'_Alba_ di parole in mia difesa; io non solo dimenticai
il malo ufficio, ma nelle elezioni di Dicomano lo purgai dalla
calunnia, e lo feci eleggere Segretario al Ministero dello Interno.
— _Giovanni Sorbi_, Tenente, o Capitano della Guardia Civica, che
fu a prendermi nella notte dell'8 gennaio, promossi a Pretore di
Santo Stefano, e credo che vi sia tuttora; e perchè tutto restringa
in uno, così rispondeva al Governo di Livorno, che mi consultava se
avessi acconsentito a far pace co' promotori dell'8 gennaio: «_Io ho
dimenticato sempre tutto; e saranno prima stanchi di offendermi, che io
di perdonarli_.» Dispaccio telegrafico del 9 aprile 1849.
[69] In questo tempo chiesi facoltà di stampare un Giornale, e mi fu
negata; a questo accenna la lettera, di cui si legge minuta a pag. 66
dei Documenti, n. 98, indirizzata al sig. Cons. Pezzella. Per intendere
a dovere cotesto Documento, si avverta che successe in quel torno una
baruffa sanguinosa tra fornaj; e i _matti avversarii_ propagavano,
nè più nè meno, che travestito da fornaio io avevo aizzato la gente
a ferirsi, e _forse_ aveva ferito io stesso! — Inoltre, un pazzo
furioso irrompendo fuori di casa incontra un soldato e lo uccide, altri
ferisce, e i _matti avversarii_ raccontano sul serio, che io ho spinto
il pazzo ad uccidere. Cose incredibili sono queste, e non pertanto
vere! Mentre era Ministro, moltissime persone s'interposero per la
grazia dei due fornaj feritori già condannati, uno dei quali ricordo
che si chiamava Morgantini. — La grazia fu negata.
[70] Partendo scriveva questa lettera:
«Signor Silvio Giannini.
Persuaso che la mia presenza somministrerebbe alla città pretesto di
collisione, per la quale essa avrebbe a pentirsene e vergognarsene
poi, io, come ogni dabbene cittadino deve fare, cedo alla invidia, e
mi allontano. Partendomi col corpo, io lascio i miei affetti entro un
paese che mi costa tanti sagrifizii e tanti dolori; — e con sincero
animo gli auguro tempi felici, menti più giuste, ed uomini che possano
amarlo molto meglio di me.
La reverisco.
Affez. D. GUERRAZZI.»
[71] _Corriere Livornese_ del 28 agosto 1848.
[72] A pag. 46, n. 77, dei Documenti, occorre la minuta della mia
lettera mandata ai Membri del Municipio, e ai componenti la Camera di
Commercio, dove io dico loro: «Voi sapete, che quattro volte _chiamato
dalle Commissioni, dal Municipio, e dalla Camera di Commercio, mi
astenni dal venire a Livorno_, parendomi la città nostra contenesse
copia di ottimi cittadini capaci di condurla traverso ogni più
duro caso. Non potei resistere all'ultima, _perchè avrei dimostrato
ostinazione somma, e poco affetto a chi mi ama_.» La riporteremo in
seguito per intero.
[73] A pag. 151 e seg. dei Documenti dell'Accusa trovo la narrazione
di questi successi esattissima; non si dichiara se scritta o no di mio
carattere; comunque sia, io non posso che ratificarla pienamente.
[74] «La Camera di Commercio, di consenso col Popolo adunavasi, e di
unanime accordo quattro negozianti partivano per Firenze onde dimandare
s'inviassero a comporre le cose di Livorno il generale Don Neri Corsini
e il deputato Guerrazzi. La Deputazione è partita. Il Governo pensi
alle conseguenze, se ricusa questa ultima prova della longanimità del
Popolo.» — (_Corriere Livornese_,4 settembre 1848.)
[75] Che fosse impresa da pensarci due volte, e poi non farne nulla,
lo dichiara la seguente lettera, la quale io mi conduco a pubblicare
con repugnanza, conciossiachè io dubiti forte porgere indizio di scarsa
modestia, se non mi assicurasse la speranza, che le angustie in cui
verso varranno a scusarmi presso i cortesi. Però nel riportarla mi
corre l'obbligo avvertire, che lo scrivente mosso da patria carità,
forse anche da voce più autorevole della mia, poco dopo lasciati
consorte, e prole amatissime e amantissime, e i dolci riposi della
villa e i cari studj, accorse anch'egli a travagliarsi a benefizio di
quella terra, che ama, ed onora pur tanto.
«Amico carissimo,
«Comunque i doveri di famiglia resi più solenni da qualche mese
di assenza al Campo, non mi abbiano concesso di condurmi a Livorno
per assumere l'ufficio del quale mi onorasti, io te ne protesto la
mia gratitudine, e ne vado lieto per l'unica ragione che la carica
affidatami mi è prova della tua leale amicizia.
«In ogni circostanza io ti corrisponderò con pari affetto, e nel mio
nulla se posso giovarti, adoprami; e (poichè anco i grandi uomini non
sdegnano ascoltare talvolta il parere dei piccoli) non ti sia molesto
se ti suggerisco d'essere cauto, perchè a mio avviso ardua è l'impresa,
e gravissimo è il fardello a cui ti sobbarchi; vero è peraltro che
ogni rovescio ha il suo diritto, e che se col tuo ingegno, e con la
tua influenza perverrai a ricomporre cotesta sconvolta città, sarai ben
largamente ricompensato col saluto non perituro di Padre della Patria.
«Addio, conservami la tua amicizia e credimi per sempre,
«Crespina, 11 settembre 1848.
«Tuo affez. amico
«L. FABBRI.»
[76] «Ieri sera circa le ore 10 giungeva con la Deputazione livornese
il Guerrazzi. La carrozza era seguita da una quantità di Popolo fino
al Palazzo Comunitativo, ove il Guerrazzi trattenevasi a conferire con
alcuni membri della Commissione fino a mezza notte. — Stamattina mentre
il Guerrazzi si recava al Palazzo del Municipio una grande moltitudine
si è affollata su i suoi passi applaudendo, nè si è disciolta, finchè
egli non si è mostrato al terrazzo ove ha detto poche e severe parole:
— non doversi applaudire gli uomini, ma gli onorevoli fatti; gli
applausi alle persone non essere degni di Popolo libero, ma segno di
schiavitù; essere egli venuto come cittadino a conferire con cittadini
su i modi di ricomporre le cose nostre, e di ristabilire in Livorno
_l'ordine e la quiete, che vi erano prima_; — stessero tranquilli, nè
disturbassero con clamori coloro, che si occupavano pel pubblico bene,
e di cose richiedenti tranquillità e maturità di consiglio. Un bravo
unanime ha accolto i suoi detti, e il Popolo si è dissipato. —
«Indi a poco nello stesso palazzo, dietro convocazione di _un priore
del Magistrato_, si sono adunati la Camera del Commercio, il Corpo dei
Legali, la Ufficialità della truppa di linea, della Civica, parecchi
delegati dei possidenti e dei Medici, alcuni membri del Clero, e
tre popolani di ogni quartiere, onde avvisare ai mezzi idonei _per
ricondurre la pace in Livorno e ristabilire l'autorità governativa_.»
— (_Corriere Livornese_ del 5 settembre 1848.)
[77] «Cittadini! Commosso dai casi della Patria, io mi riduco fra voi.
È un semplice cittadino, che ritorna in famiglia per provvedere in
comune al pubblico bene. Tento indagare le cause dei fatti, ascolto
i desiderii, le _apprensioni_, i voti vostri, e persuaso che ormai
saranno _conformi a giustizia_, io mi sforzerò che vengano esauditi.
Confido nella temperanza vostra, e _nella benevolenza che il Principe
professa avervi portata sempre, e tuttavia portarvi_, e in Dio, che
illumina il cuore degli uomini, onde, ogni discordia sopita, attendiamo
con voleri uniti e forze concordi alla difesa della Patria comune ec.
ec.
«Livorno, 5 settembre 1848.
«GUERRAZZI.»
[78] Convenzione del 4 settembre 1848 fra il cavaliere generale Torres,
tenente colonnello Reghini, ed altri ufficiali.
La Convenzione è intitolata così: — «Convenzione tra il signor Costa
Reghini tenente colonnello delle truppe attive toscane, attuale
comandante della Fortezza di Porta Murata, e il cavaliere generale
Torres comandante della forza armata popolare in Livorno.» Firmavano:
«Torres cavaliere generale. Costa Reghini tenente colonnello. A. Alieti
capitano. D. Ulacco capitano di artiglieria. F. Porciani, e L. Romei
capitani.»
«Torres _frammischiandosi col Popolo la sera del 3 era stato acclamato
da quelli che lo ascoltavano, come capo, e direttore della forza
armata. Egli presentavasi alla Commissione e annunciandosi eletto dal
Popolo si offriva a organizzare e a dirigere gli armati. La Commissione
verbalmente gli confermava il mandato. — Ma ieri mattina essa si
dimetteva in seguito di una scena cui diè luogo lo stesso signor Torres
nella sala del Palazzo Comunitativo ove si recò seguito da una turba di
Popolo ec. ec_.» — (_Corriere Livornese_ del 5 settembre 1848.)
Così questo Torres col quale gli ufficiali capitolavano, a cui le
Fortezze si consegnavano, le commissioni cittadine cedevano, da me
inerme era costretto a sgombrare la città..... e l'Accusa dignitosa e
schietta par che dubiti avere io aizzato cotesti moti.
In certa pubblicazione intitolata: _Storia del Processo politico di F.
D. Guerrazzi_, stampata in Firenze presso Mariani, si dice: che bandii
di Toscana il signor Torres quando fui membro del Governo Provvisorio;
è errore: lo feci accompagnare ai confini due volte mentre governavo
Ministro di S. A. (Vedi Dispacci telegrafici del 23 dicembre 1848.) —
Mi duole, che cotesta Storia fino dalla prima pagina appaia gremita di
falsità; così io non capitanai le Deputazioni livornesi che venivano
spesso a Firenze, ma venni una sola volta, il 6 settembre 1848. Prego
i Compilatori a studiare migliore esattezza, chè la materia lo merita.
[79] La petizione presentata dall'Abate Zacchi e da Vincenzo
Malenchini deputato, riguardava: 1º Opera efficace per la guerra. 2º
Guardia Civica ricomposta. 3º Prezzo del sale diminuito. 4º Pensioni
ridotte. 5º Migliorie alla Marina. 6º Tariffe giudiziarie diminuite. —
Corriere Livornese, 30 agosto 1848. Si riporta eziandio nei Documenti
dell'Accusa, a pag. 675.
[80] Nel Municipio di Livorno ha da trovarsi una Deliberazione, che
giustifica come se qualche irregolarità avvenne e' fu a cagione della
pressura popolare. Fabbri era Gonfaloniere, e però deve appartenere
alla seconda metà del mese di settembre 1848. Ho mosso domanda
per averla con le altre, che mi riguardano, per difendermi dalla
improntissima Accusa; ma senza superiore permesso non mi si possono
dare, e il superiore permesso peranche non viene; e poi dicono:
difendetevi!
[81] «Stamane, 6 settembre, un altro Popolano ferito dalla esplosione
delle polveri presso il Calambrone è stato portato a questo ospedale.
Questa notte tre dei feriti portativi ieri sera sono morti. Sei altri
rimasero morti alla Polveriera.» — (_Corriere Livornese del 6 settembre
1848_.)
[82] _Corriere Livornese_, 6 settembre 1848.
[83] _Corriere Livornese_, 6 settembre 1848.
[84] Duolmi non ricordare il suo nome; ma il colonnello Reghini potrà
nominarlo.
[85] È debito di riconoscenza avvertire, che sopraggiunse in fretta
mezzo spogliato Antonio Petracchi per acquietare cotesti arrabbiati.
Non si creda poi ch'egli fosse uomo ligio a me: all'opposto, egli
crebbe per favore dei partigiani del Ministro Ridolfi, _e fu di quelli
che vennero ad arrestarmi nella notte dell'8 gennaio_. Io poi dico
questo non per rancore che serbi contro di lui (Dio me ne guardi), ma
perchè penso che gli possa giovare.
[86] _Corriere Livornese_, 20 settembre 1848.
[87] _Corriere Livornese_, 7 settembre 1848.
[88] _Deliberazione con la quale si sopprimono tutte le Commissioni per
ordine del Ministero._
«Adunati servatis servandis
«Gl'Illustrissimi Signori _Gonfaloniere e Priori_, componenti il
Magistrato della Comunità di Livorno in numero sufficiente di otto per
trattare etc.
«Il Magistrato ha intesa in primo luogo l'intiera Lettura di un
Rapporto in data di questo stesso giorno presentato dai Signori
Avvocato Francesco Domenico Guerrazzi ed Antonio Petracchi Priori
aggiunti a questo consesso. Quindi tornando a esaminare le singole
proposizioni in esso contenute le ha ammesse nel modo e nell'ordine che
appresso.
«_Proposizione prima_. — Le Commissioni instituite dalla Commissione
Governativa Provvisoria di
«1. Finanza e Annona.
«2. Guerra.
«3. Lavori Pubblici.
«4. Sicurezza Pubblica.
«si ringraziano come quelle che hanno benemeritato della Patria, ed
avendo pienamente soddisfatto al loro scopo si sciolgono. — Girato il
Partito è tornato vinto ad unanimità di voti favorevoli.
«_Proposizione seconda_. — La Commissione di Pubblica Sicurezza come
necessarissima per l'assenza da Livorno delle Autorità ordinarie
si mantiene; e in quanto occorra si rielegge ex-integro sempre
provvisoriamente dal Municipio. — Approvata con Partito di voti
favorevoli ad unanimità.
«_Proposizione terza_. — La Commissione Governativa Provvisoria
installata per urgenza rimane sciolta. — Approvata ad unanimità di voti
favorevoli.
«_Proposizione quarta_. — Il Municipio elegge una Commissione
esecutiva dal proprio seno e le commette di provvedere con tutti i
mezzi contemplati con Dispaccio Ministeriale del 6 settembre corrente
per consolidare e mantenere la quiete nel Paese, nello stato normale
di ordine, e specialmente organizzare la Guardia Provvisoria, e la
Guardia Municipale, non meno che disimpegnare gli affari occorrenti
alla giornata sempre di concerto col Municipio; ben inteso che quando
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