Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 41
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piantano l'Albero della Libertà davanti il Palazzo. Il Circolo Popolare
decreta Legge uniforme. I Popoli accorsi sopra la Piazza, con immense
strida, dichiarano decaduto il Principe, la Repubblica, la Unione con
Roma, e Laugier traditore; migliaia di furiosi presentano al Governo i
plebisciti _perchè gli accetti e ratifichi_. — Come potessi schivarmi
in quella tremenda giornata, ho esposto altrove. Nondimeno _Circolo_ e
_Giornali_ annunziano, bugiardamente, essere stata accolta con giubbilo
cotesta dimostrazione, — avere aderito, il Governo, a proclamare la
Repubblica; mentiscono parole, falsificano proclami: ma accortisi
che il Governo teneva il fermo a non lasciarsi strascinare, di nuovo
tramano altro più formidabile apparecchio pel 1º marzo, onde mandare
ad effetto la proclamazione della Repubblica. Non essendo soppressa la
Legge Stataria, pubblicata dai miei Colleghi per reprimere la reazione,
io la mantengo per reprimere le minacciate violenze dei Faziosi; e lo
annunzio col Proclama del 27 febbraio, il quale, accorso (per parare
il colpo) il 26 da Lucca, persuasi i miei Colleghi, ottengo che sia
pubblicato a Firenze. — In Consiglio mi secondarono tutti i Ministri.
Il Circolo ruppe in aperte minaccie, più che mai palesò i danni dello
indugio, e sospinse alla Repubblica; protestò contro il Governo, ci
fece sentire prossimo lo stato di accusa; me appellò, bruttamente,
traditore; ma il 1º marzo l'assembramento fu prevenuto. Il giorno
successivo tolsi via la Legge, _dichiarando che si aveva ad aspettare
la deliberazione dell'Assemblea eletta col voto universale_.[559]
Le vicende accadute nel tempo intermedio mi avevano purgato agli occhi
dei più di ben molte calunnie, quantunque, e lo vedremo in breve,
non cessassero di lavorarmi di straforo con arti proditorie. Comprese
allora il mondo, e più comprenderà adesso, che, se contrastavo alla
tumultuaria e violenta Repubblica, io già nol facessi per tradire la
Patria, non per concerti presi col Principe lontano, non per mantenermi
al Potere, non per rendermi necessario a tutti i Partiti, non in
grazia di futuri comodi, o talento di titoli (vanità sempre, in questo
caso vergogna); comprenderà che se ogni esordio di guerra civile ed
attentato contro la sicurezza pubblica o privata io diligentemente
attesi a comprimere, già nol facessi io in odio del Principato
Costituzionale. Nella mia condotta io non ho riguardato me, nè altri:
ho considerato quello che mi pareva meglio pel mio Paese: e al mio
Paese ho sempre tenuto diritti la mente e il cuore. Questo ho voluto:
questo ho operato con pericolo passato, e con danno presente. Non
importa: meglio sventura onorata, che fortuna con vituperio. «Io sono
per la Patria, e per Lei» dissi certa volta a Leopoldo II; «nè che
metta prima la Patria vorrà V. A. adontarsi, perchè anch'ella l'ama con
cuore di figlio.» Il Principe blando assentiva al detto; ed io, quello
che parlai quando saliva i gradini della magione reale, penso potere
ripetere ora che ho sceso gli scaglioni del carcere.
Poichè ogni resistenza felice aumenta nel resistente il credito che
scema nello assalitore, così in breve io mi sentii forte abbastanza
per avventurare un passo, che sostengo decisivo, come quello che, se
non finiva la Rivoluzione, ormai la sottometteva; le sue ultime prove
erano fatte, e per necessità di cose doveva andare di mano in mano
digradando.
Lo spirito pubblico riassicurato incominciava, comecchè timidamente,
a farsi sentire, e bisbigliava sommesso: che se la Toscana dovesse
unirsi a Roma, non si aveva a discutere davanti all'Assemblea _Romana_,
ma sì davanti all'Assemblea _Toscana_. I Settarii se ne commossero
maravigliosamente; quale mi minacciò, quale mi interpellò; quale
infine, ostentando sicurezza, diceva ormai la quistione decisa: la
Unificazione con Roma e la forma del Governo doversi deliberare a Roma.
L'_Alba_ del 4 marzo stringeva il Governo Provvisorio con le seguenti
parole:
«_Alcune interpellazioni al Governo Provvisorio._
«Fino dal giorno in cui il Governo Provvisorio toscano ascese al
Potere, _chiamatovi dalla volontà unanime del Popolo e dal consenso
del Parlamento_, fu sua prima cura di circondarsi dei Rappresentanti
del Popolo, liberamente eletti per suffragio universale diretto, onde
dar forza alla sua nascente autorità e coadiuvarlo nel soddisfare alle
gravi bisogne dello Stato.
«A quest'effetto il Governo, abolendo da un lato il _Consiglio
generale_ ed il _Senato_, convocava immediatamente un'Assemblea
_legislativa_ di centoventi Rappresentanti, determinando i modi della
elezione, e _promettendo di sottoporle colla maggiore sollecitudine il
progetto di Legge per l'attuazione della Costituente Italiana_.
«Questa Assemblea doveva concentrare in sè stessa tutti i poteri
legislativi, per esercitarli in unione al Governo Provvisorio, il quale
si riservava, oltre alla sua parte d'iniziativa, l'esclusiva sanzione
e promulgazione delle Leggi.
«Il giorno appresso, una Dichiarazione governativa, inserita nel
_Monitore_, modificava in parte il precedente Decreto e restringeva
nei suoi giusti limiti l'autorità del Provvisorio Governo; annunziando
_che la volontà liberamente espressa dai Rappresentanti del Popolo
toscano, eletti per suffragio universale diretto, sarebbe stata legge
pel Governo, il quale avrebbe primo dato l'esempio della più perfetta
obbedienza al volere del Popolo sovrano_.
«Ma accortosi bentosto come la precipitanza nel convocare l'Assemblea
_toscana_ non gli avesse concesso di maturarne bastantemente la natura,
i modi ed i limiti; _avvedutosi come non bastasse alle esigenze
del Paese_ la presenza di un'Assemblea meramente _legislativa_, la
quale dall'indole stessa del proprio mandato sarebbe stata limitata
esclusivamente alla interna amministrazione dello Stato; e come il
Paese, _rimasto privo di uno dei tre Poteri costituiti_, abbisognasse
di una _Assemblea sovrana Costituente, la quale decretasse la forma
politica dello Stato e le norme del nuovo patto sociale_; il Governo
Provvisorio pensò che fosse necessario sopperire immediatamente a
questo pressante bisogno, ed a questo effetto pubblicò poco appresso
il Decreto del 14 febbraio, col quale intendeva ad un tempo di _dotare
la Toscana di un'Assemblea Costituente che determinasse la forma di
Governo con cui dovrebbe reggersi il Paese, e di soddisfare al voto
unanime e concorde manifestato dal Popolo Toscano e dal Popolo Romano
per la Unione immediata dei due Stati in una Italia Centrale_.
«Se ci atteniamo al contesto di questi Decreti, i quali a dir vero
spesso si elidono e si contraddicono in più d'una parte, non può cader
dubbio che il concetto del Governo Provvisorio non sia stato quello
di deferire le questioni di ordinamento, tanto quelle relative alla
forma dello Stato, come quelle relative alla Unione con Roma, _di
deferirle, diciamo, ai 37 Deputati della Costituente, i quali, raccolti
coi Deputati Romani in Assemblea unica e sovrana, decreterebbero la
Unificazione dei due Stati, determinando in appresso il patto sociale
e le sorti dello Stato comune_.
«Le parole infatti dei Decreti governativi parlano troppo chiaro, a chi
voglia e sappia intenderle, perchè si possa revocare in dubbio a quale
delle due Assemblee debba appartenere la questione dell'ordinamento
politico.
«Il Decreto dell'11 febbraio stabilisce che _la forma del Governo
della Toscana, come parte d'Italia, dovrà essere stabilita dalla
Costituente Italiana_. Il successivo Decreto del 14 febbraio, ordinando
la elezione dei 37 Deputati ed il loro invio a Roma, _il quale sarebbe
troppo ritardato se la Legge per la Costituente dovesse essere sancita
dalla Assemblea Legislativa Toscana_, allega come ragione di questa
sollecitudine: _che la Unione della Italia Centrale, già operata
nei comuni desiderii e nei comuni bisogni, aspetta il suo compimento
dall'invio dei nostri Deputati alla Costituente Italiana_.
«Ad onta però di queste chiare e lucide espressioni, parecchi organi
della stampa periodica (tratti forse in errore dalle non poche e
non lievi incongruenze dei due Decreti; da certi termini dubbii ed
oscuri contenuti nella Dichiarazione del 12, di cui abbiamo sopra
accennato, e nel Proclama del 27; e finalmente dalla convinzione della
incompatibilità di due Assemblee che reciprocamente si elidono e si
distruggono) _hanno stranamente travisata la natura dei due Decreti,
e ne hanno falsata la interpretazione, sostenendo che la questione
dell'ordinamento politico sarebbe sottoposta all'Assemblea Legislativa,
e restringendo la sfera e l'autorità della Costituente, fino a
ridurla in qualche guisa soggetta e subordinata ai Decreti dell'altra
Assemblea_.
«Questa erronea opinione, portata dal Giornalismo nell'arringo dei
Circoli e delle altre Associazioni politiche, ha falsati i giudizii,
contorte le opinioni, ed ha sparso nel Pubblico l'incertezza, il
dubbio e la esitanza; di guisa che la Stampa ed i Circoli nel proporre
le liste elettorali, e gli Elettori nel compilare le loro schede, si
trovano tuttavia nel maggiore imbarazzo, ignorando la natura e l'indole
respettive delle due Assemblee, non meno che i limiti del mandato da
darsi ai 120 Deputati della _Legislativa_ ed ai 37 della _Costituente_.
«Ora questa incertezza, questi dubbii, e questi imbarazzi debbono
cessare immantinente.
«Noi chiediamo quindi formalmente al Governo Provvisorio di mettere
in chiara luce questa delicatissima e troppo stranamente complicata
questione; _di disvelare il concetto che lo animava nel dettare i due
Decreti; di dichiarare infine solennemente a quale delle due Assemblee
egli intenda rimettere la discussione della forma che dovrà assumere la
Toscana, e della sua Unione con Roma_.
«Non esitiamo a credere che il Governo vorrà dare una pronta e adeguata
risposta a questa nostra interpellanza, nè vorrà nascondersi nel velo
del mistero o dell'obblio, come ha fatto per la precedente inchiesta
fattagli nel nostro Numero di mercoledì. _Si rammenti il Governo che
in assenza dei Parlamenti, e presso un regime libero e popolare, il
diritto d'interpellare il Governo sui suoi atti appartiene ad ogni
Cittadino, e sovra tutto a quei corpi morali, i Circoli e la Stampa
periodica, che ne rappresentano i bisogni, i voti e le speranze; e
che debito del Governo si è di darvi pronta, sincera e soddisfacente
risposta_.»
La _Costituente Italiana_ del 6 marzo 1849, dopo avere censurato
tutti gli atti del Governo Provvisorio, così prosegue: «Ora taluno
vorrebbe turbare il corso logico delle idee, revocare in dubbio a cui
competa decidere della forma del Governo toscano, e consumare l'atto
più eminente di sovranità popolare. Il dubbio è nato dal cammino
ondeggiante, traverso al quale si sviluppavano le decisioni del
Governo Provvisorio. Il dubbio è grave. I nostri amici dell'_Alba_
hanno _solennemente_ chiesto che venga in modo esplicito dissipato, e
noi non possiamo che fare eco ad essi, ed alle loro legittime istanze
congiungere anche le nostre. _A noi però il concetto fondamentale
della Costituente Italiana, i limiti del mandato legislativo, e
le considerazioni stesse che precedono i due Decreti dei 10 e 14
febbraio, stanno dinanzi allo sguardo e insegnano necessariamente la
soluzione più logica di questa difficoltà. — Dopo dichiarazioni sì
esplicite, nessuna pretesa invaditrice potrebbe essere messa in campo
dall'Assemblea Legislativa senza disconoscere la legittimità della sua
origine, e attaccare il sovrano mandato deferito alla Costituente_.
L'Assemblea Legislativa non esiste che come istituzione transitoria e
secondaria, come garanzia speciale accordata alla Toscana a propria
tutela duranti i pericoli e la necessità della situazione presente:
collo esercizio incoato della sovranità nazionale nella Costituente,
anche i Poteri legislativi debbono cessare, perchè in quella
soltanto debbono concentrarsi. Noi non riguardammo, e non possiamo
riguardare l'Assemblea Legislativa, che come elemento di soccorso,
congiuntosi al Governo Provvisorio per fortificarlo; che al cessare
di esso rientra nelle brevi limitazioni di un'autorità consultiva
provinciale. Tali almeno sono le deduzioni naturali, invincibili,
della Unione. _Noi quindi respingiamo assolutamente qualunque dottrina
che tentasse, contro la parola e lo spirito della Legge, trasportare
all'Assemblea Legislativa quelle facoltà che sono irrevocabilmente e
solo acquisite alla Costituente_.» E qui continua facendosi l'obietto
se _la forma definitiva del Governo della Toscana_ deva decidersi dai
Deputati _Toscani_ congiuntamente ai Deputati _Romani_, o se da loro
esclusivamente; e, come è da aspettarci, _si mostra parziale del primo
partito_.
Eccomi giunto alle Forche Caudine. Stretto in questa maniera, era
forza spiegarmi. Lo invio di 37 Deputati Toscani a Roma, perchè,
congiuntamente co' Deputati Romani, deliberassero sopra la forma del
Governo della Toscana, mi suonava vergognosissimo inganno. Che cosa
avessero a deliberare, con Assemblea che già aveva proclamata la
Repubblica, davvero non sapeva comprendere. Sul principio non poteva
cadere questione, a meno che l'Assemblea Romana, abrogato il Decreto
del giorno 8 febbraio, non avesse consentito a tornare da capo; il che
appariva assurdo. Supposto che lo avesse concesso, o potuto concedere,
il brutto inganno non veniva meno, avvegnadio il numero dei Deputati
Romani superasse troppo quello dei Toscani. — Nè meno sarebbe stato
festoso mettere a partito, nell'Assemblea degli Stati Romani, stremi
di moneta, con carta che non trovavano da esitare nemmeno a vilissimo
prezzo, se avesse voluto ricevere caritatevolmente la Toscana,
tuttavia florida e con un attivo nel suo patrimonio sempre superiore al
passivo.[560] Ma questi, nel linguaggio acceso degli uomini di parte,
e' sono _positivismi_ insensati. Io, per me, non desidererei meglio che
i cittadini altra moneta non possedessero tranne di rame; dei cibi, non
compri, dispensati dall'orticello, si contentassero; sempre _brodetto
nero_ bevessero: ma dipende forse da me, se gli uomini questo benedetto
amore di sostanza non vogliono abbandonare? Se sia buono o cattivo
costume quello di stare attaccati al proprio avere, io non voglio
discutere adesso; per certo egli è vecchio, nè facile a farlo smettere,
e credo che se ne siano potuti accorgere anche il signor Rusconi e
i suoi compagni; però si astengono da confessarlo, perchè, appo la
Chiesa loro, presumono la infallibilità della dottrina che negli altri
contrastano: e così sempre dei Partiti succede. — Le due Costituenti,
promesse dal Governo, non potevano senza pericolo revocarsi; _ma,
sottoposti i Deputati per la Costituente Italiana alla decisione della
Costituente Toscana, il Paese tornava assoluto padrone di sè stesso_.
Il Governo, che minacciava cascare giù in piazza fra le moltitudini,
senza che alcuno osasse impedirlo, _era da me raccolto, e riposto
in mano del Partito Costituzionale_. Ora stava a questo accorrere, e
farsi vivo. Non avevo adempito, con industria pari al pericolo, anche
quello che gli uomini del _Conciliatore_ avevano consigliato? A chi
ben guarda, il Decreto del 6 marzo era _infinitamente_ più ristrettivo
della Legge della Costituente già proposta dal signor Montanelli.
Invero, l'Assemblea _Toscana_ si trovava investita di facoltà sì ampie,
che il Consiglio Generale non immaginò possedere giammai. All'Assemblea
spetta deliberare _se voglia_ unirsi con Roma: — quindi, ella poteva
decidere _non volere_; non volendo questa Unione, le competeva, a
un punto, il diritto e il dovere di ordinarsi in Repubblica o in
Principato Costituzionale separatamente; e, scegliendo il Principato,
nessuno poteva impedirle di restaurare la Casa di Lorena. _Tutto stava
in lei._
Considerando, pertanto, gli uomini capaci per le faccende politiche
non abbondare in Toscana, pensai, che su molti sarebbe caduta doppia
nomina per le due Assemblee; e questo concessi per avere maggiore
sicurezza che i Deputati alla Costituente Italiana, partendo prima
delle deliberazioni prese dalla Toscana, non somministrassero pretesto
a soverchierie rivoluzionarie. Al quale intento, provvidi ancora che
le formalità per lo spoglio dei Deputati alla Costituente Italiana si
eseguissero con lentezza; e di vero, non furono mai principiate.[561]
Se in mezzo agli sconvolgimenti politici, o per virtù o per fortuna,
mi venne fatto condurre a questa riva lo Stato, l'Accusa, per onore
suo, si ritiri, anzi si penta e si dolga di avermi offeso, e prometta
fermamente di pensare, in seguito, a quello che scriverà. Nè creda essa
che io in questo modo per vana iattanza mi esprima; mai no: se io il
faccio, è segno che ho da opporle un testimone a cui ella dee fare di
berretta; una prova che ella almeno ha da credere; una autorità, che
da lei alla più trista vuolsi rispettare, e questa autorità è la sua;
questo testimone egli è dessa.... propriamente l'Accusa....
Il Decreto del 10 giugno 1850 dichiara con parole solenni: «Il
Popolo Fiorentino restaurava la Monarchia» (il Decreto non mette
_costituzionale_, ma ce lo metto io, credendo servire allo amore della
Patria e alla reverenza del Principe) «_alla quale era devoto, ed a
cui si era mantenuto, in mezzo alla tristezza dei tempi, costantemente
fedele_.»[562] E sia così, poichè così dice. Lo incubo rivoluzionario
fu quegli che, aggravandosi sul petto a questo Popolo, gl'impediva la
voce e la conoscenza; ora, poichè dallo incubo io lo liberava, dandogli
abilità e modo di manifestare la sua devozione, egli è evidente che,
anche a giudizio dell'Accusa, merito lode, non biasimo. Di qui non si
esce: o crede, o non crede a sè stessa l'Accusa? Io devo supporre che
a sè creda; e allora, dove trova materia a quel brutto delitto che si
chiama _tradimento_? Ella potrebbe sospettare, come fa, quando fosse
persuasa che io immaginassi il voto universale nemico al Principato
Costituzionale, o che per me si volessero praticare violenze e inganni,
per estorcere un voto contrario al desiderio dei Popoli; ma no, chè
io ho provato, e proverò ancora, come nessuno con sicurezza maggiore
alla mia sapesse gli umori dei Toscani; e in quanto a brogli, per
preoccupare la libera votazione, nessuno, e neppur essa (ed è tutto
dire!), ha mai pensato accusarmi.[563] Forse ella avrebbe potuto
criticare il mio concetto, preferire un metodo ad un altro; e su questo
ognuno ha i suoi consigli. A me le violenze non garbano, di qualunque
colore elle sieno, e quando una cosa può ottenersi in palazzo, con modi
civili e fra uomini di senno, non comprendo la ragione nè la necessità
di andarla a pescare fra le commosse moltitudini in piazza. Ma poichè
prevedo che con l'Accusa non si può fare a fidanza, così sarà prudente
consiglio continuare il mio ragionamento.
Io riporterò questo Decreto, affinchè si conosca come con la prudenza,
aspettata la opportunità, possano ottenersi giuste e ragionevoli cose,
senza ricorrere a partiti disperati.
«Il Governo Provvisorio Toscano
«Decreta:
«Art. 1º L'Assemblea Toscana è investita del _Potere Costituente_ a due
distinti effetti, cioè:
«(_a_) _Per decretare, se e con quali condizioni lo Stato Toscano debba
unirsi a Roma._
«(_b_) Per comporre insieme ai Deputati dello Stato Romano la
Costituente dell'Italia Centrale.
«Art. 2º Tenuta ferma la nomina dei trentasette Deputati per
l'Assemblea Costituente Italiana, e la contemporanea ma distinta
votazione per l'Assemblea Toscana, non sarà per altro incompatibile
che si riuniscano in uno stesso individuo la rappresentanza sì
nell'Assemblea Toscana, come nella Costituente Italiana.
«Art. 3º Il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento dello Interno
è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto.
«Dato in Firenze li sei marzo milleottocentoquarantanove.
«F. D. GUERRAZZI
«_Presidente del Governo Provvisorio_.»
Non è da dirsi se Circoli e Giornali si tenessero offesi; accorrendo
pronti al riparo, si dettero sollecitamente a mutare le note dei
Deputati, transfondendo nella Costituente Toscana i più sviscerati
Repubblicani, affinchè la Repubblica e la Unificazione con Roma fossero
proclamate per acclamazione dall'Assemblea appena convocata.
Che più? Io vengo apertamente oltraggiato come avverso alla Repubblica.
Il Circolo minaccia rivoluzione, se l'Assemblea Costituente _Toscana_
non dichiara la _Unificazione_ con Roma; esamina gli eligendi, e, se
non si obbligano a sostenere questo concetto con le armi, rigettansi
con vituperio.[564] I Giornali repubblicani, infervorando gli animi
alla scoperta, bandiscono la _guerra civile_, se l'Assemblea Toscana
non proclama la Repubblica, e subito. E queste cose abbiamo veduto
altrove; ma specialmente intorno al Decreto del 6 marzo il _Nazionale_
muove querela perchè gli sembra alla onnipotenza del Popolo ingiurioso;
e a parere mio s'inganna, imperciocchè lo studio di formulare
dirittamente il partito non si sa comprendere in che cosa o come
offendesse la libertà di risolverlo.[565] La _Costituente_ provoca
il Popolo, affinchè riparando la ostinata resistenza del Governo a
proclamare la Unificazione con Roma, in onta alla volontà manifesta
del Paese, mandi all'Assemblea Costituente _Toscana_ gli uomini che
l'acclameranno spontanea e unanime; e di queste iattanze mi prendevo
cura mediocre, conciossiachè io troppo bene sapessi che i Settarii
rimasti delirassero, ed i partiti avessero ottimamente compreso, che
questa Unificazione, non essendo stata vinta di assalto, ormai per
bloccatura non riusciva altramente possibile.[566] Il _Popolano_,
tra perchè il Governo non buchera l'elezioni, e tra perchè la Legge
pessima genererà un Assemblea di Retrogradi e di Conservatori, mi viene
intuonando da capo la minaccia della guerra civile.[567] Come se fosse
fede quella di convocare i comizii universali, perchè liberissimi dieno
il voto, e maneggiarli poi perchè lo depositino nell'urna a modo tuo; e
lasciata la fede, bel senno davvero sarebbe, per conoscere e rispettare
il sentimento di tutto il Popolo, industriarti con ogni arte a farlo
attestare del tuo. Questo si chiama nel sistema dei Settarii consultare
il Popolo; e se non si obbedisce, o ci dichiarano la guerra, o ci
congiurano contro, o ci calunniano con vituperii di cui nessun Partito
oggimai più si vergogna; — nessuno.
La solerzia del Governo non mancò alla Patria. Il Ministro dello
Interno stampò e diffuse una lista di Deputati di opinione moderata,
per rettitudine insigni; altro non poteva fare, e non fece, chè senno
e probità lo vietavano. Il Prefetto ebbe ordine raddoppiare vigilanza
sopra i Circoli, e sopra le moltitudini. Io raccolsi la Guardia Civica
nel Giardino di Boboli. Quello che io le dicessi vuolsi ricavare
dal _Monitore_ del 12 marzo 1849: «La Guardia Nazionale di Firenze,
in numero di meglio che 2000 uomini, è stata stamane passata in
rivista dal Generale Zannetti su la Piazza _Maria Antonia_. Quindi,
marciando per plotoni, si è recata nel Giardino di Boboli, dove il
cittadino F. D. Guerrazzi Presidente del Governo Provvisorio l'ha
arringata, _interpellandola se fosse deliberata a tutelare l'ordine,
ad aiutare della sua forza il Governo, fermo nel volere la libertà
delle elezioni e la indipendenza degli eletti Rappresentanti_. A queste
interpellazioni la Guardia Nazionale ha risposto con manifesta ed
unanime adesione alla mente del Governo.»[568]
Ora esaminiamo un po' come cotesto atto venisse commentato dai Faziosi:
«Ecco, dicevano essi, apparecchiarsi il terreno perchè le Assemblee non
pronuncino la Unificazione con Roma, e conseguentemente la decadenza
della famiglia di Lorena, e la Repubblica: questo non può succedere,
nè succederà; ma quando mai per caso inopinato accadesse, noi allora
profitteremo _di ogni mezzo_ ci presentino le circostanze, affine di
salvare il Paese nostro da un giogo aborrito, che imporre si volesse a
nome della legalità e di una servile rappresentanza.»
I Repubblicani non temono che la Guardia Nazionale voglia suscitare
nel Paese la guerra civile, facendo fuoco sopra i suoi fratelli, che
«_traditi_ nei loro voti, e vedute _strozzate_ le loro speranze dal
capestro delle legali formalità, usassero l'estremo loro appiglio, la
suprema loro ragione — _la forza e la violenza_.» E neppure i Settarii
temono che i Deputati possano sopportare l'obbrobrio del rifiuto
delle tre Leggi indicate; ma «dove questo obbrobrio dovesse pesare
su di essi, certo, ad onta di tutte le esortazioni del Guerrazzi, non
peserà su la Toscana l'obbrobrio assai maggiore di avere pazientemente
sopportato il _tradimento_; e la Toscana saprà consumare la sua Unione
con Roma, e saprà subirne tutte le conseguenze, anche ad onta dei suoi
Rappresentanti, e degli uomini del Governo Provvisorio.[569]
I Repubblicani strepitano e minacciano a cagione dell'Assemblea
Costituente _toscana_, dichiarando che la si vuole da me instituita
per decretare la Restaurazione; — il Procuratore Regio Paoli, e
dietro a lui gli Auditori Marrucchi, Bambagini e Ciaccheri, e dietro
a loro i Consiglieri Orsini, Aiazzi e Pieri, e Regio Procuratore
generale Bicchierai, strepitano e accusano a cagione dell'Assemblea
Costituente _toscana_, che la si volle instituita da me per decretare
la Repubblica. I Repubblicani mi chiamano alla scoperta traditore per
volerla convocare; — i Procuratori Regii, Auditori e Consiglieri, gli
uni dietro agli altri, m'incolpano di tradimento per averla convocata.
In verità, sarebbe questa farsa gioconda da rallegrare le genti, se non
l'avessero rappresentata su le lagrimevoli scene di un carcere, che da
29 mesi divora la salute degli uomini e delle famiglie.
I Repubblicani, per quanto venni informato, e i Circoli e i Giornali
manifestavano, tentarono un colpo estremo. La Legge Stataria non era
più da richiamarsi in vigore a Firenze. Il 1º aprile per contenerli
dall'avventurarsi a disperati partiti, mandai fuori la Notificazione,
che già fu da me riportata a pag. 518 di questa _Apologia_.
Premesse queste considerazioni e questi fatti, lascio a quanti fanno
studio di onestà giudicare, se sieno consentanee al vero ed al giusto
le seguenti proposizioni dell'Atto di Accusa, § 85.
«Quanto alla Repubblica ed alla fusione con Roma, non si vuol
conoscere se il Guerrazzi l'ha creduta sempre, od in massima, forma
buona ed accettabile per la Toscana, _quando si sa_, che servì di
elemento disorganizzatore; che in questo senso fu lasciata operare
_liberamente_;[570] che _tutto_ il suo sforzo si ridusse in _qualche_
contingenza a persuadere ed agire perchè non venisse attuata troppo
sollecitamente, o _prima che venisse approvata dal voto nazionale_; e
ad interpellare su la fusione il Consiglio di Stato; e che, sia questa,
sia altra forma di Governo per la Toscana, non che il giudizio sul
Principe e sul Principato, _era ormai abbandonato anche per fatto suo
al potere illimitato dell'Assemblea Costituente Italiana!_»
Sì, certo, pretendere e sostenere che il voto _nazionale toscano_
pronunziasse intorno alle sorti toscane non era piccola impresa, però
che nei miei presagi importasse esclusione di Repubblica, e richiamo
del Principato Costituzionale. Il successo poi dichiara, e lo ardore
dei Repubblicani a impedirlo rivela, come io al vero mi apponessi.
Inoltre, per mostrarvi come i denti dell'Accusa, comecchè mordano, pure
tentennino, avvertano di grazia i miei lettori: l'Accusa afferma, che
io altro non feci che procrastinare la dichiarazione della Repubblica
all'apertura dell'Assemblea. Quel giorno venne; ebbene, fu ella
proclamata la Repubblica? No: nè allora, nè poi. L'Accusa opporrà:
«No, perchè Novara ti aveva messo in cervello.» Nemmeno; nel giorno 25
marzo, imitando lo esempio dato da Roma nell'8 febbraio, dove avessi
voluto, poteva essere decretata la Repubblica per acclamazione. Chi
mai lo avrebbe impedito? L'Accusa da capo obietterà: «Sì, potevi, ma
per quanto?» Questo è un altro discorso: — quanto sarebbe bastato per
sentire qualche Requisitoria contro i perversi perturbatori dell'ordine
repubblicano.....
Il 25 marzo il signor Montanelli apriva l'Assemblea Costituente
Toscana;[571] nel 27 sopraggiunse la notizia lacrimevole della disfatta
decreta Legge uniforme. I Popoli accorsi sopra la Piazza, con immense
strida, dichiarano decaduto il Principe, la Repubblica, la Unione con
Roma, e Laugier traditore; migliaia di furiosi presentano al Governo i
plebisciti _perchè gli accetti e ratifichi_. — Come potessi schivarmi
in quella tremenda giornata, ho esposto altrove. Nondimeno _Circolo_ e
_Giornali_ annunziano, bugiardamente, essere stata accolta con giubbilo
cotesta dimostrazione, — avere aderito, il Governo, a proclamare la
Repubblica; mentiscono parole, falsificano proclami: ma accortisi
che il Governo teneva il fermo a non lasciarsi strascinare, di nuovo
tramano altro più formidabile apparecchio pel 1º marzo, onde mandare
ad effetto la proclamazione della Repubblica. Non essendo soppressa la
Legge Stataria, pubblicata dai miei Colleghi per reprimere la reazione,
io la mantengo per reprimere le minacciate violenze dei Faziosi; e lo
annunzio col Proclama del 27 febbraio, il quale, accorso (per parare
il colpo) il 26 da Lucca, persuasi i miei Colleghi, ottengo che sia
pubblicato a Firenze. — In Consiglio mi secondarono tutti i Ministri.
Il Circolo ruppe in aperte minaccie, più che mai palesò i danni dello
indugio, e sospinse alla Repubblica; protestò contro il Governo, ci
fece sentire prossimo lo stato di accusa; me appellò, bruttamente,
traditore; ma il 1º marzo l'assembramento fu prevenuto. Il giorno
successivo tolsi via la Legge, _dichiarando che si aveva ad aspettare
la deliberazione dell'Assemblea eletta col voto universale_.[559]
Le vicende accadute nel tempo intermedio mi avevano purgato agli occhi
dei più di ben molte calunnie, quantunque, e lo vedremo in breve,
non cessassero di lavorarmi di straforo con arti proditorie. Comprese
allora il mondo, e più comprenderà adesso, che, se contrastavo alla
tumultuaria e violenta Repubblica, io già nol facessi per tradire la
Patria, non per concerti presi col Principe lontano, non per mantenermi
al Potere, non per rendermi necessario a tutti i Partiti, non in
grazia di futuri comodi, o talento di titoli (vanità sempre, in questo
caso vergogna); comprenderà che se ogni esordio di guerra civile ed
attentato contro la sicurezza pubblica o privata io diligentemente
attesi a comprimere, già nol facessi io in odio del Principato
Costituzionale. Nella mia condotta io non ho riguardato me, nè altri:
ho considerato quello che mi pareva meglio pel mio Paese: e al mio
Paese ho sempre tenuto diritti la mente e il cuore. Questo ho voluto:
questo ho operato con pericolo passato, e con danno presente. Non
importa: meglio sventura onorata, che fortuna con vituperio. «Io sono
per la Patria, e per Lei» dissi certa volta a Leopoldo II; «nè che
metta prima la Patria vorrà V. A. adontarsi, perchè anch'ella l'ama con
cuore di figlio.» Il Principe blando assentiva al detto; ed io, quello
che parlai quando saliva i gradini della magione reale, penso potere
ripetere ora che ho sceso gli scaglioni del carcere.
Poichè ogni resistenza felice aumenta nel resistente il credito che
scema nello assalitore, così in breve io mi sentii forte abbastanza
per avventurare un passo, che sostengo decisivo, come quello che, se
non finiva la Rivoluzione, ormai la sottometteva; le sue ultime prove
erano fatte, e per necessità di cose doveva andare di mano in mano
digradando.
Lo spirito pubblico riassicurato incominciava, comecchè timidamente,
a farsi sentire, e bisbigliava sommesso: che se la Toscana dovesse
unirsi a Roma, non si aveva a discutere davanti all'Assemblea _Romana_,
ma sì davanti all'Assemblea _Toscana_. I Settarii se ne commossero
maravigliosamente; quale mi minacciò, quale mi interpellò; quale
infine, ostentando sicurezza, diceva ormai la quistione decisa: la
Unificazione con Roma e la forma del Governo doversi deliberare a Roma.
L'_Alba_ del 4 marzo stringeva il Governo Provvisorio con le seguenti
parole:
«_Alcune interpellazioni al Governo Provvisorio._
«Fino dal giorno in cui il Governo Provvisorio toscano ascese al
Potere, _chiamatovi dalla volontà unanime del Popolo e dal consenso
del Parlamento_, fu sua prima cura di circondarsi dei Rappresentanti
del Popolo, liberamente eletti per suffragio universale diretto, onde
dar forza alla sua nascente autorità e coadiuvarlo nel soddisfare alle
gravi bisogne dello Stato.
«A quest'effetto il Governo, abolendo da un lato il _Consiglio
generale_ ed il _Senato_, convocava immediatamente un'Assemblea
_legislativa_ di centoventi Rappresentanti, determinando i modi della
elezione, e _promettendo di sottoporle colla maggiore sollecitudine il
progetto di Legge per l'attuazione della Costituente Italiana_.
«Questa Assemblea doveva concentrare in sè stessa tutti i poteri
legislativi, per esercitarli in unione al Governo Provvisorio, il quale
si riservava, oltre alla sua parte d'iniziativa, l'esclusiva sanzione
e promulgazione delle Leggi.
«Il giorno appresso, una Dichiarazione governativa, inserita nel
_Monitore_, modificava in parte il precedente Decreto e restringeva
nei suoi giusti limiti l'autorità del Provvisorio Governo; annunziando
_che la volontà liberamente espressa dai Rappresentanti del Popolo
toscano, eletti per suffragio universale diretto, sarebbe stata legge
pel Governo, il quale avrebbe primo dato l'esempio della più perfetta
obbedienza al volere del Popolo sovrano_.
«Ma accortosi bentosto come la precipitanza nel convocare l'Assemblea
_toscana_ non gli avesse concesso di maturarne bastantemente la natura,
i modi ed i limiti; _avvedutosi come non bastasse alle esigenze
del Paese_ la presenza di un'Assemblea meramente _legislativa_, la
quale dall'indole stessa del proprio mandato sarebbe stata limitata
esclusivamente alla interna amministrazione dello Stato; e come il
Paese, _rimasto privo di uno dei tre Poteri costituiti_, abbisognasse
di una _Assemblea sovrana Costituente, la quale decretasse la forma
politica dello Stato e le norme del nuovo patto sociale_; il Governo
Provvisorio pensò che fosse necessario sopperire immediatamente a
questo pressante bisogno, ed a questo effetto pubblicò poco appresso
il Decreto del 14 febbraio, col quale intendeva ad un tempo di _dotare
la Toscana di un'Assemblea Costituente che determinasse la forma di
Governo con cui dovrebbe reggersi il Paese, e di soddisfare al voto
unanime e concorde manifestato dal Popolo Toscano e dal Popolo Romano
per la Unione immediata dei due Stati in una Italia Centrale_.
«Se ci atteniamo al contesto di questi Decreti, i quali a dir vero
spesso si elidono e si contraddicono in più d'una parte, non può cader
dubbio che il concetto del Governo Provvisorio non sia stato quello
di deferire le questioni di ordinamento, tanto quelle relative alla
forma dello Stato, come quelle relative alla Unione con Roma, _di
deferirle, diciamo, ai 37 Deputati della Costituente, i quali, raccolti
coi Deputati Romani in Assemblea unica e sovrana, decreterebbero la
Unificazione dei due Stati, determinando in appresso il patto sociale
e le sorti dello Stato comune_.
«Le parole infatti dei Decreti governativi parlano troppo chiaro, a chi
voglia e sappia intenderle, perchè si possa revocare in dubbio a quale
delle due Assemblee debba appartenere la questione dell'ordinamento
politico.
«Il Decreto dell'11 febbraio stabilisce che _la forma del Governo
della Toscana, come parte d'Italia, dovrà essere stabilita dalla
Costituente Italiana_. Il successivo Decreto del 14 febbraio, ordinando
la elezione dei 37 Deputati ed il loro invio a Roma, _il quale sarebbe
troppo ritardato se la Legge per la Costituente dovesse essere sancita
dalla Assemblea Legislativa Toscana_, allega come ragione di questa
sollecitudine: _che la Unione della Italia Centrale, già operata
nei comuni desiderii e nei comuni bisogni, aspetta il suo compimento
dall'invio dei nostri Deputati alla Costituente Italiana_.
«Ad onta però di queste chiare e lucide espressioni, parecchi organi
della stampa periodica (tratti forse in errore dalle non poche e
non lievi incongruenze dei due Decreti; da certi termini dubbii ed
oscuri contenuti nella Dichiarazione del 12, di cui abbiamo sopra
accennato, e nel Proclama del 27; e finalmente dalla convinzione della
incompatibilità di due Assemblee che reciprocamente si elidono e si
distruggono) _hanno stranamente travisata la natura dei due Decreti,
e ne hanno falsata la interpretazione, sostenendo che la questione
dell'ordinamento politico sarebbe sottoposta all'Assemblea Legislativa,
e restringendo la sfera e l'autorità della Costituente, fino a
ridurla in qualche guisa soggetta e subordinata ai Decreti dell'altra
Assemblea_.
«Questa erronea opinione, portata dal Giornalismo nell'arringo dei
Circoli e delle altre Associazioni politiche, ha falsati i giudizii,
contorte le opinioni, ed ha sparso nel Pubblico l'incertezza, il
dubbio e la esitanza; di guisa che la Stampa ed i Circoli nel proporre
le liste elettorali, e gli Elettori nel compilare le loro schede, si
trovano tuttavia nel maggiore imbarazzo, ignorando la natura e l'indole
respettive delle due Assemblee, non meno che i limiti del mandato da
darsi ai 120 Deputati della _Legislativa_ ed ai 37 della _Costituente_.
«Ora questa incertezza, questi dubbii, e questi imbarazzi debbono
cessare immantinente.
«Noi chiediamo quindi formalmente al Governo Provvisorio di mettere
in chiara luce questa delicatissima e troppo stranamente complicata
questione; _di disvelare il concetto che lo animava nel dettare i due
Decreti; di dichiarare infine solennemente a quale delle due Assemblee
egli intenda rimettere la discussione della forma che dovrà assumere la
Toscana, e della sua Unione con Roma_.
«Non esitiamo a credere che il Governo vorrà dare una pronta e adeguata
risposta a questa nostra interpellanza, nè vorrà nascondersi nel velo
del mistero o dell'obblio, come ha fatto per la precedente inchiesta
fattagli nel nostro Numero di mercoledì. _Si rammenti il Governo che
in assenza dei Parlamenti, e presso un regime libero e popolare, il
diritto d'interpellare il Governo sui suoi atti appartiene ad ogni
Cittadino, e sovra tutto a quei corpi morali, i Circoli e la Stampa
periodica, che ne rappresentano i bisogni, i voti e le speranze; e
che debito del Governo si è di darvi pronta, sincera e soddisfacente
risposta_.»
La _Costituente Italiana_ del 6 marzo 1849, dopo avere censurato
tutti gli atti del Governo Provvisorio, così prosegue: «Ora taluno
vorrebbe turbare il corso logico delle idee, revocare in dubbio a cui
competa decidere della forma del Governo toscano, e consumare l'atto
più eminente di sovranità popolare. Il dubbio è nato dal cammino
ondeggiante, traverso al quale si sviluppavano le decisioni del
Governo Provvisorio. Il dubbio è grave. I nostri amici dell'_Alba_
hanno _solennemente_ chiesto che venga in modo esplicito dissipato, e
noi non possiamo che fare eco ad essi, ed alle loro legittime istanze
congiungere anche le nostre. _A noi però il concetto fondamentale
della Costituente Italiana, i limiti del mandato legislativo, e
le considerazioni stesse che precedono i due Decreti dei 10 e 14
febbraio, stanno dinanzi allo sguardo e insegnano necessariamente la
soluzione più logica di questa difficoltà. — Dopo dichiarazioni sì
esplicite, nessuna pretesa invaditrice potrebbe essere messa in campo
dall'Assemblea Legislativa senza disconoscere la legittimità della sua
origine, e attaccare il sovrano mandato deferito alla Costituente_.
L'Assemblea Legislativa non esiste che come istituzione transitoria e
secondaria, come garanzia speciale accordata alla Toscana a propria
tutela duranti i pericoli e la necessità della situazione presente:
collo esercizio incoato della sovranità nazionale nella Costituente,
anche i Poteri legislativi debbono cessare, perchè in quella
soltanto debbono concentrarsi. Noi non riguardammo, e non possiamo
riguardare l'Assemblea Legislativa, che come elemento di soccorso,
congiuntosi al Governo Provvisorio per fortificarlo; che al cessare
di esso rientra nelle brevi limitazioni di un'autorità consultiva
provinciale. Tali almeno sono le deduzioni naturali, invincibili,
della Unione. _Noi quindi respingiamo assolutamente qualunque dottrina
che tentasse, contro la parola e lo spirito della Legge, trasportare
all'Assemblea Legislativa quelle facoltà che sono irrevocabilmente e
solo acquisite alla Costituente_.» E qui continua facendosi l'obietto
se _la forma definitiva del Governo della Toscana_ deva decidersi dai
Deputati _Toscani_ congiuntamente ai Deputati _Romani_, o se da loro
esclusivamente; e, come è da aspettarci, _si mostra parziale del primo
partito_.
Eccomi giunto alle Forche Caudine. Stretto in questa maniera, era
forza spiegarmi. Lo invio di 37 Deputati Toscani a Roma, perchè,
congiuntamente co' Deputati Romani, deliberassero sopra la forma del
Governo della Toscana, mi suonava vergognosissimo inganno. Che cosa
avessero a deliberare, con Assemblea che già aveva proclamata la
Repubblica, davvero non sapeva comprendere. Sul principio non poteva
cadere questione, a meno che l'Assemblea Romana, abrogato il Decreto
del giorno 8 febbraio, non avesse consentito a tornare da capo; il che
appariva assurdo. Supposto che lo avesse concesso, o potuto concedere,
il brutto inganno non veniva meno, avvegnadio il numero dei Deputati
Romani superasse troppo quello dei Toscani. — Nè meno sarebbe stato
festoso mettere a partito, nell'Assemblea degli Stati Romani, stremi
di moneta, con carta che non trovavano da esitare nemmeno a vilissimo
prezzo, se avesse voluto ricevere caritatevolmente la Toscana,
tuttavia florida e con un attivo nel suo patrimonio sempre superiore al
passivo.[560] Ma questi, nel linguaggio acceso degli uomini di parte,
e' sono _positivismi_ insensati. Io, per me, non desidererei meglio che
i cittadini altra moneta non possedessero tranne di rame; dei cibi, non
compri, dispensati dall'orticello, si contentassero; sempre _brodetto
nero_ bevessero: ma dipende forse da me, se gli uomini questo benedetto
amore di sostanza non vogliono abbandonare? Se sia buono o cattivo
costume quello di stare attaccati al proprio avere, io non voglio
discutere adesso; per certo egli è vecchio, nè facile a farlo smettere,
e credo che se ne siano potuti accorgere anche il signor Rusconi e
i suoi compagni; però si astengono da confessarlo, perchè, appo la
Chiesa loro, presumono la infallibilità della dottrina che negli altri
contrastano: e così sempre dei Partiti succede. — Le due Costituenti,
promesse dal Governo, non potevano senza pericolo revocarsi; _ma,
sottoposti i Deputati per la Costituente Italiana alla decisione della
Costituente Toscana, il Paese tornava assoluto padrone di sè stesso_.
Il Governo, che minacciava cascare giù in piazza fra le moltitudini,
senza che alcuno osasse impedirlo, _era da me raccolto, e riposto
in mano del Partito Costituzionale_. Ora stava a questo accorrere, e
farsi vivo. Non avevo adempito, con industria pari al pericolo, anche
quello che gli uomini del _Conciliatore_ avevano consigliato? A chi
ben guarda, il Decreto del 6 marzo era _infinitamente_ più ristrettivo
della Legge della Costituente già proposta dal signor Montanelli.
Invero, l'Assemblea _Toscana_ si trovava investita di facoltà sì ampie,
che il Consiglio Generale non immaginò possedere giammai. All'Assemblea
spetta deliberare _se voglia_ unirsi con Roma: — quindi, ella poteva
decidere _non volere_; non volendo questa Unione, le competeva, a
un punto, il diritto e il dovere di ordinarsi in Repubblica o in
Principato Costituzionale separatamente; e, scegliendo il Principato,
nessuno poteva impedirle di restaurare la Casa di Lorena. _Tutto stava
in lei._
Considerando, pertanto, gli uomini capaci per le faccende politiche
non abbondare in Toscana, pensai, che su molti sarebbe caduta doppia
nomina per le due Assemblee; e questo concessi per avere maggiore
sicurezza che i Deputati alla Costituente Italiana, partendo prima
delle deliberazioni prese dalla Toscana, non somministrassero pretesto
a soverchierie rivoluzionarie. Al quale intento, provvidi ancora che
le formalità per lo spoglio dei Deputati alla Costituente Italiana si
eseguissero con lentezza; e di vero, non furono mai principiate.[561]
Se in mezzo agli sconvolgimenti politici, o per virtù o per fortuna,
mi venne fatto condurre a questa riva lo Stato, l'Accusa, per onore
suo, si ritiri, anzi si penta e si dolga di avermi offeso, e prometta
fermamente di pensare, in seguito, a quello che scriverà. Nè creda essa
che io in questo modo per vana iattanza mi esprima; mai no: se io il
faccio, è segno che ho da opporle un testimone a cui ella dee fare di
berretta; una prova che ella almeno ha da credere; una autorità, che
da lei alla più trista vuolsi rispettare, e questa autorità è la sua;
questo testimone egli è dessa.... propriamente l'Accusa....
Il Decreto del 10 giugno 1850 dichiara con parole solenni: «Il
Popolo Fiorentino restaurava la Monarchia» (il Decreto non mette
_costituzionale_, ma ce lo metto io, credendo servire allo amore della
Patria e alla reverenza del Principe) «_alla quale era devoto, ed a
cui si era mantenuto, in mezzo alla tristezza dei tempi, costantemente
fedele_.»[562] E sia così, poichè così dice. Lo incubo rivoluzionario
fu quegli che, aggravandosi sul petto a questo Popolo, gl'impediva la
voce e la conoscenza; ora, poichè dallo incubo io lo liberava, dandogli
abilità e modo di manifestare la sua devozione, egli è evidente che,
anche a giudizio dell'Accusa, merito lode, non biasimo. Di qui non si
esce: o crede, o non crede a sè stessa l'Accusa? Io devo supporre che
a sè creda; e allora, dove trova materia a quel brutto delitto che si
chiama _tradimento_? Ella potrebbe sospettare, come fa, quando fosse
persuasa che io immaginassi il voto universale nemico al Principato
Costituzionale, o che per me si volessero praticare violenze e inganni,
per estorcere un voto contrario al desiderio dei Popoli; ma no, chè
io ho provato, e proverò ancora, come nessuno con sicurezza maggiore
alla mia sapesse gli umori dei Toscani; e in quanto a brogli, per
preoccupare la libera votazione, nessuno, e neppur essa (ed è tutto
dire!), ha mai pensato accusarmi.[563] Forse ella avrebbe potuto
criticare il mio concetto, preferire un metodo ad un altro; e su questo
ognuno ha i suoi consigli. A me le violenze non garbano, di qualunque
colore elle sieno, e quando una cosa può ottenersi in palazzo, con modi
civili e fra uomini di senno, non comprendo la ragione nè la necessità
di andarla a pescare fra le commosse moltitudini in piazza. Ma poichè
prevedo che con l'Accusa non si può fare a fidanza, così sarà prudente
consiglio continuare il mio ragionamento.
Io riporterò questo Decreto, affinchè si conosca come con la prudenza,
aspettata la opportunità, possano ottenersi giuste e ragionevoli cose,
senza ricorrere a partiti disperati.
«Il Governo Provvisorio Toscano
«Decreta:
«Art. 1º L'Assemblea Toscana è investita del _Potere Costituente_ a due
distinti effetti, cioè:
«(_a_) _Per decretare, se e con quali condizioni lo Stato Toscano debba
unirsi a Roma._
«(_b_) Per comporre insieme ai Deputati dello Stato Romano la
Costituente dell'Italia Centrale.
«Art. 2º Tenuta ferma la nomina dei trentasette Deputati per
l'Assemblea Costituente Italiana, e la contemporanea ma distinta
votazione per l'Assemblea Toscana, non sarà per altro incompatibile
che si riuniscano in uno stesso individuo la rappresentanza sì
nell'Assemblea Toscana, come nella Costituente Italiana.
«Art. 3º Il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento dello Interno
è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto.
«Dato in Firenze li sei marzo milleottocentoquarantanove.
«F. D. GUERRAZZI
«_Presidente del Governo Provvisorio_.»
Non è da dirsi se Circoli e Giornali si tenessero offesi; accorrendo
pronti al riparo, si dettero sollecitamente a mutare le note dei
Deputati, transfondendo nella Costituente Toscana i più sviscerati
Repubblicani, affinchè la Repubblica e la Unificazione con Roma fossero
proclamate per acclamazione dall'Assemblea appena convocata.
Che più? Io vengo apertamente oltraggiato come avverso alla Repubblica.
Il Circolo minaccia rivoluzione, se l'Assemblea Costituente _Toscana_
non dichiara la _Unificazione_ con Roma; esamina gli eligendi, e, se
non si obbligano a sostenere questo concetto con le armi, rigettansi
con vituperio.[564] I Giornali repubblicani, infervorando gli animi
alla scoperta, bandiscono la _guerra civile_, se l'Assemblea Toscana
non proclama la Repubblica, e subito. E queste cose abbiamo veduto
altrove; ma specialmente intorno al Decreto del 6 marzo il _Nazionale_
muove querela perchè gli sembra alla onnipotenza del Popolo ingiurioso;
e a parere mio s'inganna, imperciocchè lo studio di formulare
dirittamente il partito non si sa comprendere in che cosa o come
offendesse la libertà di risolverlo.[565] La _Costituente_ provoca
il Popolo, affinchè riparando la ostinata resistenza del Governo a
proclamare la Unificazione con Roma, in onta alla volontà manifesta
del Paese, mandi all'Assemblea Costituente _Toscana_ gli uomini che
l'acclameranno spontanea e unanime; e di queste iattanze mi prendevo
cura mediocre, conciossiachè io troppo bene sapessi che i Settarii
rimasti delirassero, ed i partiti avessero ottimamente compreso, che
questa Unificazione, non essendo stata vinta di assalto, ormai per
bloccatura non riusciva altramente possibile.[566] Il _Popolano_,
tra perchè il Governo non buchera l'elezioni, e tra perchè la Legge
pessima genererà un Assemblea di Retrogradi e di Conservatori, mi viene
intuonando da capo la minaccia della guerra civile.[567] Come se fosse
fede quella di convocare i comizii universali, perchè liberissimi dieno
il voto, e maneggiarli poi perchè lo depositino nell'urna a modo tuo; e
lasciata la fede, bel senno davvero sarebbe, per conoscere e rispettare
il sentimento di tutto il Popolo, industriarti con ogni arte a farlo
attestare del tuo. Questo si chiama nel sistema dei Settarii consultare
il Popolo; e se non si obbedisce, o ci dichiarano la guerra, o ci
congiurano contro, o ci calunniano con vituperii di cui nessun Partito
oggimai più si vergogna; — nessuno.
La solerzia del Governo non mancò alla Patria. Il Ministro dello
Interno stampò e diffuse una lista di Deputati di opinione moderata,
per rettitudine insigni; altro non poteva fare, e non fece, chè senno
e probità lo vietavano. Il Prefetto ebbe ordine raddoppiare vigilanza
sopra i Circoli, e sopra le moltitudini. Io raccolsi la Guardia Civica
nel Giardino di Boboli. Quello che io le dicessi vuolsi ricavare
dal _Monitore_ del 12 marzo 1849: «La Guardia Nazionale di Firenze,
in numero di meglio che 2000 uomini, è stata stamane passata in
rivista dal Generale Zannetti su la Piazza _Maria Antonia_. Quindi,
marciando per plotoni, si è recata nel Giardino di Boboli, dove il
cittadino F. D. Guerrazzi Presidente del Governo Provvisorio l'ha
arringata, _interpellandola se fosse deliberata a tutelare l'ordine,
ad aiutare della sua forza il Governo, fermo nel volere la libertà
delle elezioni e la indipendenza degli eletti Rappresentanti_. A queste
interpellazioni la Guardia Nazionale ha risposto con manifesta ed
unanime adesione alla mente del Governo.»[568]
Ora esaminiamo un po' come cotesto atto venisse commentato dai Faziosi:
«Ecco, dicevano essi, apparecchiarsi il terreno perchè le Assemblee non
pronuncino la Unificazione con Roma, e conseguentemente la decadenza
della famiglia di Lorena, e la Repubblica: questo non può succedere,
nè succederà; ma quando mai per caso inopinato accadesse, noi allora
profitteremo _di ogni mezzo_ ci presentino le circostanze, affine di
salvare il Paese nostro da un giogo aborrito, che imporre si volesse a
nome della legalità e di una servile rappresentanza.»
I Repubblicani non temono che la Guardia Nazionale voglia suscitare
nel Paese la guerra civile, facendo fuoco sopra i suoi fratelli, che
«_traditi_ nei loro voti, e vedute _strozzate_ le loro speranze dal
capestro delle legali formalità, usassero l'estremo loro appiglio, la
suprema loro ragione — _la forza e la violenza_.» E neppure i Settarii
temono che i Deputati possano sopportare l'obbrobrio del rifiuto
delle tre Leggi indicate; ma «dove questo obbrobrio dovesse pesare
su di essi, certo, ad onta di tutte le esortazioni del Guerrazzi, non
peserà su la Toscana l'obbrobrio assai maggiore di avere pazientemente
sopportato il _tradimento_; e la Toscana saprà consumare la sua Unione
con Roma, e saprà subirne tutte le conseguenze, anche ad onta dei suoi
Rappresentanti, e degli uomini del Governo Provvisorio.[569]
I Repubblicani strepitano e minacciano a cagione dell'Assemblea
Costituente _toscana_, dichiarando che la si vuole da me instituita
per decretare la Restaurazione; — il Procuratore Regio Paoli, e
dietro a lui gli Auditori Marrucchi, Bambagini e Ciaccheri, e dietro
a loro i Consiglieri Orsini, Aiazzi e Pieri, e Regio Procuratore
generale Bicchierai, strepitano e accusano a cagione dell'Assemblea
Costituente _toscana_, che la si volle instituita da me per decretare
la Repubblica. I Repubblicani mi chiamano alla scoperta traditore per
volerla convocare; — i Procuratori Regii, Auditori e Consiglieri, gli
uni dietro agli altri, m'incolpano di tradimento per averla convocata.
In verità, sarebbe questa farsa gioconda da rallegrare le genti, se non
l'avessero rappresentata su le lagrimevoli scene di un carcere, che da
29 mesi divora la salute degli uomini e delle famiglie.
I Repubblicani, per quanto venni informato, e i Circoli e i Giornali
manifestavano, tentarono un colpo estremo. La Legge Stataria non era
più da richiamarsi in vigore a Firenze. Il 1º aprile per contenerli
dall'avventurarsi a disperati partiti, mandai fuori la Notificazione,
che già fu da me riportata a pag. 518 di questa _Apologia_.
Premesse queste considerazioni e questi fatti, lascio a quanti fanno
studio di onestà giudicare, se sieno consentanee al vero ed al giusto
le seguenti proposizioni dell'Atto di Accusa, § 85.
«Quanto alla Repubblica ed alla fusione con Roma, non si vuol
conoscere se il Guerrazzi l'ha creduta sempre, od in massima, forma
buona ed accettabile per la Toscana, _quando si sa_, che servì di
elemento disorganizzatore; che in questo senso fu lasciata operare
_liberamente_;[570] che _tutto_ il suo sforzo si ridusse in _qualche_
contingenza a persuadere ed agire perchè non venisse attuata troppo
sollecitamente, o _prima che venisse approvata dal voto nazionale_; e
ad interpellare su la fusione il Consiglio di Stato; e che, sia questa,
sia altra forma di Governo per la Toscana, non che il giudizio sul
Principe e sul Principato, _era ormai abbandonato anche per fatto suo
al potere illimitato dell'Assemblea Costituente Italiana!_»
Sì, certo, pretendere e sostenere che il voto _nazionale toscano_
pronunziasse intorno alle sorti toscane non era piccola impresa, però
che nei miei presagi importasse esclusione di Repubblica, e richiamo
del Principato Costituzionale. Il successo poi dichiara, e lo ardore
dei Repubblicani a impedirlo rivela, come io al vero mi apponessi.
Inoltre, per mostrarvi come i denti dell'Accusa, comecchè mordano, pure
tentennino, avvertano di grazia i miei lettori: l'Accusa afferma, che
io altro non feci che procrastinare la dichiarazione della Repubblica
all'apertura dell'Assemblea. Quel giorno venne; ebbene, fu ella
proclamata la Repubblica? No: nè allora, nè poi. L'Accusa opporrà:
«No, perchè Novara ti aveva messo in cervello.» Nemmeno; nel giorno 25
marzo, imitando lo esempio dato da Roma nell'8 febbraio, dove avessi
voluto, poteva essere decretata la Repubblica per acclamazione. Chi
mai lo avrebbe impedito? L'Accusa da capo obietterà: «Sì, potevi, ma
per quanto?» Questo è un altro discorso: — quanto sarebbe bastato per
sentire qualche Requisitoria contro i perversi perturbatori dell'ordine
repubblicano.....
Il 25 marzo il signor Montanelli apriva l'Assemblea Costituente
Toscana;[571] nel 27 sopraggiunse la notizia lacrimevole della disfatta
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