Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 53
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questo soggetto_.» Ma sapete voi, signor Conte, che la vostra memoria
è veramente infelice?
Nè qui soltanto Guglielmo Conte Digny è d'infelice memoria; ma basti
per ora. Forse il Conte si lagnerà che non gli si abbiano i debiti
riguardi, ed anche in questo avrà torto; conciossiachè, se io dovessi
prendere da lui lo esempio del punto rispetto che a sè stesso porta,
davvero che io temerei incorrere la taccia di sboccato; e, al fine
che lo asserto non vada disgiunto da prova, cred'egli che io vorrei
smentirlo quattro volte sopra la medesima cosa com'egli fa? — In certa
parte del suo deposto narra come egli venisse la sera a trovarmi nel
mio appartamento in Palazzo Vecchio, _dove io lo aveva chiamato fino
dalle 4 del pomeriggio_ per dirgli che voleva andare a Livorno, ma
egli _nulla rispose_! In altra parte, narrando il medesimo fatto:
«Guerrazzi insisteva col Zannetti e con me per andare a Livorno, ma NOI
adducemmo le grida e il tumulto _per consigliarlo a non pensarvi per
ora_;» dunque parlava, e sinistre parole, se io male non mi appongo?
— In altra parte: «È vero.... _che col Guerrazzi e Zannetti si parlò
di partenza_;» dunque, che siate benedetto, signor Conte, parlaste
ancora di partire? — In altra parte: «La conversazione si aggirò sulla
possibilità di una partenza del Guerrazzi, ma io non ho memoria di
avervi messo che poche parole e insignificanti....; credo rammentarmi
che _condizionalmente si parlasse di treni speciali_.» Dunque prima
non parlaste; poi parlaste che non potevo partire, e parmi questa
_significantissima cosa_; poi parlaste parole insignificanti, dopo
averle parlate significantissime; finalmente parlaste di treni speciali
sotto condizione. Qual mai condizione? — Signor Conte, sapete voi come
nel nostro Paese si appellino coloro che quattro volte smentiscono sè
stessi? — Io glielo direi se non mi trovassi dove mercè sua mi trovo;
o piuttosto, tutto bene considerato, mi sembra che non glielo direi. A
lui basti sapere ch'è il testimone di predilezione dell'Accusa!
Cinque furono testimoni presenti al fatto; e siccome essi non hanno
battuto, come Rosignolo, il capo nel bastimento, così non importa
tenere su questo proposito più lungo discorso, molto più che dalle cose
successive viene maravigliosamente confermato.
Adesso cresce intorno al Palazzo un tumulto di plebe ed uno schiamazzo
di gridi: _Morte! morte al Guerrazzi!_ Chi poi cotesti urli incitasse,
io non dirò; dirò soltanto la contesa infame che dalla ringhiera che
guarda Via della Ninna udimmo più tardi, nella notte, agitarsi lì sotto
al lampione. I gridatori non trovavano modo di spartirsi la moneta
ricevuta per la egregia opera di maledire e imprecare morte a cui non
conoscevano, e non gli aveva offesi mai, e nelle vecchie frenesie loro
trattenuti. Gli adulti, per assottigliare il _prezzo_ ai garzoncelli,
adducevano la ragione che, avendo meno voce, _men forte_ avessero
gridato _Morte al Guerrazzi_; e i garzoncelli non si arrendendo allo
argomento, comunque affiochiti, strepitavano, che era stato promesso
a tutti (_come agli Operaj della vigna_) mercede uguale; che quanto e
più di loro avevano strillato: _Morte a Guerrazzi!_ e che non volevano
soffrire bindolerie. E qui da una parte e dall'altra un bisticciarsi
da fare piangere gli Angioli, e ridere i Demonii. Ahi sciagurati! Il
fanciullo che avvezzaste a vendere l'anima sua a prezzo di poca moneta
per gridare morte a un uomo, gliela darà più tardi per rubargliela. Voi
renderete conto a Dio di quel delitto e di quel sangue. Tali erano le
opere civili e cristiane che nella notte del 12 aprile si commettevano
a Firenze!
Di lì a breve fu inteso romore come di gente che prorompe; e poi
spalancata la porta del mio quartiere, tra una mano di Guardie
Nazionali, comparvero alcuni del Popolo; e il Generale Zannetti venuto
per me mi pregava a mostrarmi, ed io andai; e con accento commosso
volgendomi ai Popolani, dissi: «Che cosa volete da me? In che vi ho
offeso? Qual peccato voi mi rimproverate?» Essi tacquero; non una
parola, non un grido profferirono: io sarei stato curioso davvero
di sapere quale colpa il Popolo fiorentino mi apponesse. Però non
cessavano in Piazza il tumulto e lo schiamazzo, onde quei dieci o
dodici che stavano quivi dentro rinchiusi meco, fra servi, custodi,
segretarii, e la mia nipote giovinetta pure ora uscita di Convento, e
la sua governante, si mostravano sgomenti, e lo dirò con compiacenza,
assai più per me che per loro. Temendo che la Plebe rompesse le porte,
alcuni tentarono a questo estremo caso un riparo. — Io auguro a tutti
quelli che mi hanno offeso di non trovarsi mai in simili strette,
perchè all'uomo può forse bastare il coraggio per sè fino in fondo; ma
quel trovarsi intorno gente atterrita, e di tutti avere a confortare
gli spiriti smarriti, è tale uno sfinimento a cui mal regge l'anima
umana. Non pertanto l'Accusa acuta e sottile si studia mettermi la mano
sul cuore, e sentire com'egli mi battesse. — Egli batteva come deve
battere il cuore dell'uomo, che sa quali mali possono fare gli uomini,
e sente non meritarli.[741]
E poichè, — lasciamo da parte il volere, — sembrava che i nuovi
Governanti non avessero il potere di opporsi alla plebe, che ad ogni
ora ci dicevano in procinto di sbarattare la Guardia Nazionale,
e fracassate le imposte irrompere dentro a far carne; parecchi
dei racchiusi meco procuravano spiare luogo di salute, là dove
questo estremo accadesse, e qui pure il mio pensiero si consola,
rammentando che quantunque mi fossero per la più parte sconosciuti,
nondimeno queste apprensioni per me sentissero, queste diligenze
per me facessero. In che queste ricerche consistessero, a qual fine
fossero dirette, e qual parte io vi prendessi, sarà bene lasciare
referire ai testimoni, perchè nel ricordare quel tempo parmi che il
mio strazio si rinnovelli. Però mi maraviglio, e non posso astenermi
di rimproverare a nome della Legge l'Accusa, che omise interrogare
testimoni su punti capitali, e con tanta compiacenza si allargò su
questi particolari, forse per argomentare dal mio spavento e dai miei
conati di fuga la coscienza colpevole, e poi non ne trasse costrutto
essendole tornati contrarii; come se potesse apprendersi quale indizio
di colpa, lo studio di sottrarsi ai bestiali furori di plebe avvinata
e indracata.[742]
Dopo parecchie ore di tediosa aspettazione, standoci, la mia famiglia
ed io, in procinto di partire, ecco una Guardia Nazionale, dopo l'ora
fissata alla partenza, portarmi un biglietto del Generale Zannetti, il
quale diceva: «_Alcuni_ non volere lasciare libero il passo; opinare la
Commissione di trasferirmi pel corridore dei Pitti in Belvedere, donde
remossi i Veliti avrebbe messo la Nazionale: però questo accadrebbe
nella prossima mattina; non dubitassi di niente, stessi tranquillo;
andassi a prendere per qualche ora riposo, che giudicava doverne
avere di mestieri.»[743] Questo biglietto _unii_ alla lettera, che nel
tumulto di angosciose passioni io scrissi sotto gli occhi del signor
Galeotti, castellano di San Giorgio (poichè tale era l'ordine; e le
cose necessarie a scrivere di lasciare in potestà mia si negava!),
e mandai a Gino Capponi e agli altri Componenti la Commissione
Governativa il 25 aprile 1849. Questo biglietto è stato _soppresso_!
Così tentavasi abolire ogni prova del patto violato a mio danno, e me
seppellire sotto la lapide del tradimento, senza neppure lasciarmi la
consolazione di potere dire al mondo: «Popoli civili e anche barbari,
vedete come si tiene fede a Firenze!» Ma ciò, come a Dio piacque, non
valse al fiero disegno. Mi stava su l'anima una amarezza infinita,
come un Zannetti, che pure mi parve angelica natura, avesse potuto
avvilirsi tanto da sostenere meco le parti di brutto Giuda Scariotte,
e tuttavia mi pesa per Gino Capponi... e mentre scrivo queste righe
infelici... la mano mi trema, e gli occhi mi si offuscano di lacrime, —
ma non per me. Un'aura di refrigerio penetrando nello infame carcere,
mi portò che avessi a deporre ogni amarezza contro il Generale
Zannetti, avvegnadio fosse stato ingannato, non ingannatore; quasi nel
punto stesso mi capitava sott'occhio il suo _Rendiconto generale del
servizio sanitario dell'armata toscana spedita in Lombardia per la
guerra della Indipendenza_, dove trovai scritto il nome di Domenico
Guerrazzi,[744] giovane accademico, rimasto ferito di mitraglia
nell'avambraccio sinistro, nella sempre onorata e sempre dolorosa
battaglia di Montanara, e di qui trassi argomento per dirgli, che io
avevo dubitato di lui, ma oggimai, saputo il vero, avergli ridonato la
mia stima; si consolasse: continuare io a ritenerlo, come lo reputai
sempre, quanta lealtà viveva al mondo; ond'egli subito, per riparare al
_mal soppresso biglietto_, mi scriveva la lettera seguente, che, senza
sentirsi più spessi sussultare i polsi, io non credo si possa leggere
da uomo vivente, amico, od avverso, che sia.
«Pregiatissimo Amico.
«9 settembre 1850.
«LA LETTERA CHE MI DIRIGEVI L'ALTRO JERI, FU A ME CARISSIMA E DI
VERACE CONFORTO. INFATTI, IL PENSIERO DI DOVERE NELL'ANIMO TUO
ESSERE CONSIDERATO COME UOMO SLEALE, COME VILISSIMO TRADITORE, ED
OGNI TRADITORE ED INGANNATORE È VIGLIACCHISSIMO UOMO, MI GRAVAVA
POTENTEMENTE SU L'ANIMA. VERO È PERÒ, CHE DOPO I MIEI COSTITUTI QUEL
GRAVAME SI ALLEGGERIVA NON POCO; VERO È, CHE ALMENO ALLO AVVOCATO TUO
DIFENSORE LA DOVUTAGLI LETTURA DEL PROCESSO DOVEVA PALESARE QUANTO IO
MI FOSSI STATO LEALE IN COTESTA EPOCA. PURE ESSERE OGGI FATTO CONSCIO,
CHE TU PURE LO SAI, E NON MI REPUTI REO IN VERUNA PARTICOLA DI QUEL
TURPISSIMO FALLO DELLA COMMISSIONE GOVERNATIVA, AGEVOLMENTE IMMAGINERAI
CHE MI FU, ED È DI SOLENNE CONSOLAZIONE. PERÒ ACCOGLI SINCERO IL
RINGRAZIAMENTO PER LA LETTERA CHE MI SCRIVESTI, E PEL GENTILE PENSIERO
CHE TI PRESE DI ME DAL FONDO DEL TUO SEPOLCRO, MONUMENTO STORICO
DI VERGOGNA... TI LASCIO COL DESIDERIO CHE PRESTO TU POSSA ESSERE
CONFORTATO DAL TERMINE DI UNA PROCEDURA, CHE GIÀ GIÀ PER LA SUA
LUNGHEZZA HA INDIGNATO I CITTADINI, ED ANCO I PIÙ AVVERSI A TE....»
Così mi scriveva il Generale Zannetti or fa un anno e 20 giorni! — Ed
io gli rispondeva:
«Caro Amico.
«Ti ringrazio della lettera e del libro. Certo la condizione del
tradito è dura, ma troppo peggio è quella del traditore. Questo mi dà
conforto nel disonesto carcere. Il tempo poi conduce le sue giustizie,
e in ciò confido. Aspettare e sperare sono fondamento di sapienza
umana. Tra noi non abbisogna più lungo discorso. Addio; ci rivedremo:
io su la panca degli accusati, tu nel seggio dei testimoni.»
Come io dormissi, lascio che altri pensi; — sul fare del giorno scrissi
una lettera alla Commissione, e questa pure è stata soppressa; non
ricordo il dettato, ma lo effetto fu che fece muovere il Conte Digny
per assicurarmi stessi tranquillo, non volersi già attentare alla mia
sicurezza; solo alla Commissione non piacere che io toccassi Livorno;
mi adattassi a partirmi da un altro lato. Allora, e con ragione, tornai
a ricordargli mancarmi il danaro per questo viaggio; però pregarlo
a dire al Marchese Capponi, che le cose mie conosceva, m'imprestasse
_trecento scudi_, i quali gli verrebbero rimborsati a vista dal mio
Procuratore a Livorno; anzi questa domanda scrissi col lapis, e _non
mandai_, ma consegnai allo stesso Digny. Costui confessa possedere
questo biglietto; lo mostri. Indi a breve sopraggiunse il signor
Martelli, al quale narrando il successo, e sollecitandolo a fare in
guisa che il Conte la commissione assunta non obliasse, come persona
turbata da cosa che le dia fastidio prese ad esclamare: «no davvero!
mancherebbe anche questa! — ella devia dal suo cammino per compiacere
il Municipio e la Commissione aggiunta; è giusto ch'essi pensino alle
spese del viaggio.» E poichè io avvertivo ciò non montare a nulla,
perchè ricco io non era, ma neppure tanto povero da non sopportare la
spesa del viaggio; il signore Martelli, sempre più infervorandosi nel
discorso, aggiungeva: «Il Municipio e la Commissione non lo possono
patire assolutamente: adesso andrò, e procurerò quanto bisogna.» —
Allora, per una ragione che non sarà difficile comprendere, favellai:
«In questo caso, signor Martelli, basteranno mille lire, di cui il
Municipio potrà rivalersi sopra la Depositeria, perchè dimani l'altro,
15 del mese, scade la rata mensile del mio stipendio, ed il Cassiere
della Comune potrà riscuoterla per me.»[745]
Per questo modo disposte le cose, passa un'ora, passano due, senza
più vedere uomo in faccia; nuove adunate di plebe accadono in piazza,
e me inique voci, ma più languide assai della sera, maledicono e
chiamano fuori.... ed io sarei andato fuori a domandare ragione dei
vituperii, e se avessi potuto parlare avrei condotto di quella gente,
almeno la onesta, a vergognarsi; invece Gino Capponi parlò per me!
— Come favellò Capponi? — Parole triste non disse, — di queste non
può dire Capponi.... ma io per Gino Capponi avevo, e avrei discorso
in bene altra maniera![746] — Verso le undici fu vista una frotta di
villani armati di falci, vanghe, ed altri arnesi rurali, precedere le
Guardie Nazionali, che piegavano verso il Palazzo; i villani allagano
i cortili, e levano su urli d'inferno, che per le angustie del luogo
forte commuovendo l'aria ebbero virtù di scuotere i vetri così, che
pareva volessero spezzarsi; io non comprendevo nulla, o piuttosto
un'ombra truce di sospetto passò su l'anima mia, e mandai pel Digny
chiedendogli quali arti infami fossero coteste; rispondeva scrivendo
un biglietto, ov'è da notarsi questa frase: «stessi tranquillo, darsi
moto per provvedere alla mia personale sicurezza.» Fors'egli per mia
sicurezza personale intendeva trarmi in Castello per consegnarmi poi
all'Accusatore? Questa opera emulerebbe la immanità di Maometto II,
quando, dopo avere promesso a Paolo Erizzo salva la testa, lo fece
segare nel mezzo per non tradire la fede della capitolazione! Se non
che il fatto del Turco è dubbio, mentre quello del Conte so bene io se
sia vero.[747] Verso le ore 12, venti o poche più Guardie Nazionali
in compagnia del Generale Zannetti e del signor Martelli vengono a
prendermi; non si mostrò Digny: — l'Accusa in vece sua si mostra, e
indaga se impallidii, se repugnai; e, raccolte risposte contrarie al
desiderio, sta cheta. _Pellegrini_, fra i primi testimoni ricercati
dall'Accusa, a siffatte inquisizioni risponde: «La mattina successiva
rividi il signor Guerrazzi fino alle ore 11 e ½, alla quale ora vennero
a prenderlo il Generale Zannetti e l'Ingegnere Martelli; — avendo io
sentito che il signor Zannetti gli disse: che andasse con lui (e mi
pare anzi, che glielo dicesse come domandargli se voleva andare con
lui, e soggiungendogli che poteva, volendo, condurre seco la famiglia):
ed il signor Guerrazzi sentii che gli rispose: «Eccomi;» e andò via
unitamente con quei Signori.» — E più oltre: — «Non mi accòrsi che si
turbasse, e vidi, e sentii, che si mostrò subito disposto di andare,
come di fatto andò con quei Signori.»
E perchè doveva impallidire io? Con me stavo bene; degli altri un
sospetto mi aveva traversato la mente, ma lo avevo respinto come
tentazione del Demonio. Doveva dubitare di Gino Capponi amico ventenne,
mio confortatore nei primi passi che mutai nel sentiero delle lettere
umane? Poteva sospettare io avrebbe sofferto a tenere di mano ad
una prigionia, la quale me ha disertato e la mia casa, quel Capponi
che nel 25 gennaio 1848, al Carcere Elbano, così mi scriveva: «Per
me, che io ti abbia a scrivere in cotesto luogo, è cosa tale che io
pongo tra le afflizioni della mia vita: dispiace a tutti, credilo
pure, e a me più che ad altri, per quella antica familiarità ed
affezione che ora mi preme più che in altro tempo di attestarti;
credimi ec.?» Poteva dubitare che me volesse prigione e calpestato e
distrutto Orazio Ricasoli, uomo che mi era parso di cuore dolcissimo,
e che tante grazie, pochi giorni innanzi, mi aveva profferto per non
crederlo capace di turbare lo acque già torbide? O Digny e Brocchi,
che, lasciato da parte quanto fu discorso fin qui, la sera stessa
del ricevimento dei Legati Romani, avevano tenuto meco discorso
lunghissimo, nella Sala del Guardaroba in Palazzo Vecchio, intorno
alla necessità della Restaurazione Costituzionale? O il Marchese
Torrigiani, col quale intervennero onestissimi officii, di cui le
inchieste sollecito compiacqui, e a cui la sospetta lettera senza
sospetto rimisi? O il Senatore Capoquadri che, Ministro di Giustizia
e Grazia, volle, per eccezione amplissima ed onorevolissima, che senza
esame la Curia fiorentina nell'Albo degli Avvocati potesse ascrivermi?
quel Senatore Capoquadri, il quale, da me visitato Ministro, mi palesò
breve sarebbe la sua durata al Ministero, dacchè l'animo suo non gli
consentisse patire certe emergenze che non gli parevano regolari del
tutto; onde io da lui dipartendomi nello scendere le scale ripeteva col
Dante:
O dignitosa coscïenza, e netta,
Come t'è picciol fallo amaro morso!
quel Senatore Capoquadri, che la sospetta lettera ebbe da me senza
sospetto, e me ne profferse grazie? Forse doveva dubitare del
Barone Bettino Ricasoli? Se mai avesse potuto rimanermi dubbio per
qualcheduno, di lui doveva sospettare meno che degli altri, perchè
emulo pubblico. Io così sento, e così con esso adoperai; ma pur
troppo, e tardi, mi accorgo che di siffatta magnanimità, che pure
si ammirava virtù tra uomini barbari e semibarbari, presso i civili
è spento il seme. Temistocle, sè confidando prima ad Admeto re dei
Molossi, poi a Serse barbaro, fu reputato sacro da loro; Santa Elena
grida che cosa giovasse a Napoleone avere imitato Temistocle; e se
ai grandi esempii è lecito mescolare l'umilissimo mio, il Castello
di San Giorgio e l'infame Carcere delle Murate testimonieranno ai
presenti ed agli avvenire a che meni commettersi in balía della fede
degli uomini civili! — Mentre siamo per muovere, il signor Cavaliere
Martelli Priore mi consegna con _autorizzazione_ ed _ordine_ della
Commissione Governativa lire mille pel _viaggio_, che, dopo essermi
fermato due o tre giorni in San Giorgio, tanto che la plebe quietasse,
dovevo _effettuare_ fuori di Toscana. — _Martelli_: «Peraltro, sebbene
la Commissione su la sorte del Guerrazzi non avesse deliberato, pure
tra le altre idee vi fu quella, non mi ricordo da cui esternata, di
farlo allontanare dalla Toscana, dandogli il danaro per ciò effettuare.
Mille lire ebbi dalla Cassa Comunitativa, _e le consegnava la mattina
del dì 13 al momento che da Palazzo Vecchio muoveva per la Fortezza di
Belvedere_, SEMBRANDOMI IL MOMENTO DI ADEMPIRE ALL'AUTORIZZAZIONE ED
ORDINE CHE MI AVEVA DATO LA COMMISSIONE GOVERNATIVA.» Ecco il Mandato
in virtù del quale, nel giorno 13 aprile 1849, furono estratte dalla
Cassa del Municipio lire mille.
Amministrazione dell'Anno 1849.
Titolo — Articolo dello Stato di Previsione
N. 424 del Registro della Cancelleria.
Buono per £ 1000
Mandato provvisorio.
Nº 572 nero.
Indicazione dei Documenti di corredo.
COMUNITÀ DI FIRENZE.
Ordine di Pagamento.
Il signor Luigi Tanfani, Camarlingo della Comunità di Firenze,
pagherà al signor Cavaliere Giuseppe Martelli Lire Mille per
imprestito a carico del R. Erario da farsi al signor Francesco
Domenico Guerrazzi Capo del cessato Governo Provvisorio, PER
SUPPLIRE ALLE SPESE DI VIAGGIO, per la mancanza nella Depositeria
d'Impiegati incaricati del rilascio dei pagamenti, IN CONFORMITÀ
DEL TRASCRITTO PARTITO MAGISTRALE, ritirando in piè del presente
Mandato l'opportuna quietanza, ed i recapiti notati in margine,
per ottenere l'abbuono nel Rendimento di Conti.
Dalla Cancelleria Comunitativa di Firenze li 13 aprile 1849.
Visto. Il Gonfaloniere UBALDINO PERUZZI
Il Cancelliere Comun. S. GOTTI
Per ricevuta della somma in contanti Lire Mille.
GIUS. MARTELLI
Questo Documento, già senza che vi sia mestiero avvertirlo, non
s'incontra nel volume dell'Accusa, che pure stampò (Dio la perdoni)
fino la nota della roba dei bauli. Però non è solo; altri ne occorrono
parimente _inediti_ che confermano la verità del fatto. Il danaro
dato prima fu ripreso, perchè quei Signori pensarono che pel viaggio
da Palazzo Vecchio al Castello di San Giorgio dovesse essermene
avanzato, e per questa volta saviamente pensarono; depositato presso
il Segretario del Ministro di Giustizia e Grazia, Giuseppe Cavaliere
Martelli scrive la seguente lettera al Cancelliere del Municipio
Fiorentino:
Autografo. Documento a c. 571 nero.
«Sig. Cancelliere Preg.mo
«Allorchè avvenne l'_arresto_ dell'Avvocato F. D. Guerrazzi, ELLA
SA CHE LA COMMISSIONE GOVERNATIVA SI DECISE DI ADERIRE ALLA DI LUI
RICHIESTA, AD ESSO ACCORDANDO LA SOMMA DI LIRE 1,000, PERCHÈ TRATTAVASI
IN QUEL MOMENTO DI FARLO ALTROVE TRANSITARE, MENTRE EGLI ASSERIVA NON
AVER PRESSO DI SÈ ALCUN DANARO PEL VIAGGIO.
«ED AVENDOMI L'ANNUNCIATA COMMISSIONE AFFIDATO L'INCARICO DI FARE AVERE
ALL'AVVOCATO GUERRAZZI LA DETTA SOMMA DI LIRE 1,000, _in seguito di
diverse inutili premure da me fatte, per combinare in Palazzo Vecchio
le persone che dovevano farmene il mandato, io mi rivolsi a pregare
Lei, signor Cancelliere, per avere dal Cassiere della Comunità le Lire
1,000,_ ONDE SUBITO IO LE POTESSI PASSARE AL SIGNORE GUERRAZZI, COME DI
FATTO FECI.
«Questa somma fu poi ripresa nella perquisizione che ebbe luogo ai
detenuti di Belvedere, ed ora si trova al Dipartimento di Grazia e
Giustizia presso il signor Segretario Duchoqué, il quale lo aspetta
oggi alle ore 12 al suo Uffizio, per riconsegnarla a lei o ad un suo
delegato, dietro una circostanziata ricevuta.
«_Così Ella ed io resteremo esonerati da ogni responsabilità, in questo
affare_, per lo che io la prego a favorire di ritirarmi la ricevuta che
ritiene il cassiere del Comune di Firenze. E pregandola a praticare
in quest'affare la sua consueta esattezza, onde il signor Segretario
Duchoqué non aspetti inutilmente, passo con ossequio e rispetto
all'onore di dichiararmi,
«Dall'Uffizio delle RR. Fabbriche, li 2 giugno 1849.
«Dev. serv. Giuseppe Martelli.
«All'Eccellentissimo Sig.re il Sig.r M. Gotti «Cancelliere della
Comunità di Firenze.»
Il Cancelliere, che sa tutte le cose che il Cavaliere leale gli
contesta, scrivendo al Segretario ne dichiara eziandio bene altre
ancora: egli sa, _a modo di esempio_, che la Commissione, composta di
TUTTI i Priori residenti nel Magistrato rappresentante il Municipio
Fiorentino, ORDINÒ a lui Cancelliere, si dessero le lire mille per la
causa espressa nella lettera del Cavalier Martelli.
Documento a c. 570 nero.
«Illus.mo signor P.ne Col.mo
«Dall'unita ufficiale del signor Cavalier Giuseppe Martelli, _uno
dei Componenti la già Commissione Governativa Toscana, di questo
stesso giorno, rileverà la causa che motivò_ LA STESSA COMMISSIONE,
CHE SI COMPONEVA DI TUTTI I SIGNORI PRIORI RESIDENTI NEL MAGISTRATO
RAPPRESENTANTE IL MUNICIPIO DI FIRENZE, AD ORDINARMI DI SPEDIRE,
CONFORME FECI, NELLA MATTINA DEL 13 APRILE DECORSO, UN MANDATO DI
LIRE 1,000, MARCATO DI Nº 424, A FAVORE DEL PRELODATO SIGNOR CAVALIER
MARTELLI, PER PASSARSI ALL'AVVOCATO F.-D. GUERRAZZI, PER IL TITOLO
ESPRESSO IN DETTA OFFICIALE. E siccome la somma predetta esiste presso
V. S. Illustrissima, per quanto resulterebbe dalla mentovata lettera
del signor Martelli, mentre questa Comunità non ha ottenuto rimborso
dal Regio Erario, così prego la somma di lei bontà a volere liberamente
passare allo stesso Camarlingo, e per esso al suo Sostituto Legale,
latore della presente, l'ammontare di detto Mandato; ritirando dal
medesimo o distinta ricevuta, o meglio (almeno per quanto a me sembra)
in calce di detto Mandato. E colla più alta considerazione e profondo
ossequio, passo al pregio di protestarmi,
«Di VS. Illustrissima,
«Dalla Cancelleria Comunitativa di Firenze, li 2 giugno 1849.
«Umiliss. Servo
«Firmato — G. Gotti.
Al signor Segretario del Ministero di Grazia e Giustizia.»
Andando con la nepote e la governante, chiesi (dacchè trattavasi di
pochi giorni) mi seguitassero Roberto Ulacco segretario, e i due
servitori; e lo concessero; Ulacco subito, i servitori più tardi.
Durante il cammino.... Ma giova sempre, quando si può, che da
per loro i testimoni raccontino. — Generale _Zannetti_: «Siccome,
strada facendo, il signor Guerrazzi mi domandò più volte s'egli era
prigioniero, oppure se così si agiva per tutelarlo semplicemente dal
Popolo, NON MANCAI RIASSICURARLO, DICENDOGLI CHE LA COMMISSIONE NON
POTEVA MANCARE A SÈ MEDESIMA. ma poichè ebbi ad accorgermi che la
commissione governativa NON MANTENEVA ALTRIMENTI LA SUA PROMESSA,
E PIÙ CHE MANCAVA DI FEDE E DI RIGUARDO ALLA GUARDIA NAZIONALE,
ED ALLO STESSO CAPITANO CONSEGNATARIO, UNENDO I CARABINIERI ALLA
GUARDIA NAZIONALE, PER TUTELARE IL SIGNOR GUERRAZZI; E DI PIÙ VEDENDO
CHE LA COMMISSIONE GOVERNATIVA NON TENEVA LA PROMESSA DELLA INTERA
RIPRISTINAZIONE DEL GOVERNO COSTITUZIONALE; io che aveva firmato con
lei, a nome della intera Guardia Nazionale, il primo Decreto da essa
fatto della Restaurazione del Governo Costituzionale, non trovai altra
via lecita e conveniente a calmare la mia coscienza, che quella di
ritirarmi dal posto di Generale.»[748] Però mi veniva confermando,
che la Commissione di mandarmi a Livorno non aveva voluto intendere
nulla, e mi tornava a interrogare se io fossi contento davvero di
starmi per qualche tempo lontano dal paese; ed io gli rispondeva:
— che lo avrei reputato (tanto mi sentiva sbigottito dalle sventure
della Patria) sommo beneficio; però conoscere egli le mie fortune, e
a vivere fuori con la mia famiglia lungamente non mi bastare; ed egli
cortese si esibiva tornare la sera a conferire meco in proposito; la
quale cosa non consentii, dicendo tenermi per soddisfatto se avesse
voluto favorirmi il giorno veniente. — Così alternando varii discorsi
arriviamo al quartiere del Comandante le Guardie di Onore, dove ci
tratteniamo alquanto; quindi prendendo passo passo su per l'erta del
monte giungiamo sotto le mura della Fortezza di San Giorgio. Qui mi
occorre un'altra infamia; le mura apparivano gremite di Veliti, i quali
presero a profferire minaccie e improperii contro di me. Io strinsi il
braccio al Generale Zannetti, e guardatolo in volto lo interrogai con
voce tranquilla: — Dove mi porti? — Come restasse quel virtuoso uomo,
male può con parole referirsi; chiamò tutto commosso il Comandante
del Forte signor Cavalier Galeotti, il quale o non poteva reprimere
cotesta ignominia, o la sopportava, e acerbamente lo rimproverava
dicendogli: «Così non mantenersi patti; Carabinieri non dovere
essere in Fortezza; ricondurmi indietro finchè non isgombrassero.» Il
Comandante Galeotti lo chiamò in disparte, sussurrandogli non so quali
parole nell'orecchio, a cui il signor Zannetti non parve acquietarsi.
Retrocedemmo al Palazzo Pitti; passata qualche ora, torna il Generale
affermando che adesso potevamo andare sicuri, perchè i Veliti a tenere
dei patti erano stati remossi, e che le parole date si avevano ad
osservare. Certo, quando pervenimmo la seconda volta sotto la Fortezza,
Veliti non vedemmo: i Veliti erano stati appiattati nel quartiere;
partito appena il Generale Zannetti uscirono fuori! — Così, postergato
ogni pudore, prendevano bruttissimo giuoco della fede di uomini onesti!
— In quanto al Comandante del Forte, mi proverò a sforzarmi di credere
che egli non fosse partecipe di cotesta infamia. E infamia fu, però
che, come ho annunziato altrove, questi, soldati no, ma della onorata
milizia onta perpetua, sotto le finestre venissero a inasprirmi con
disoneste parole l'amarezza del carcere, e traverso le imposte della
porta taluno di loro minacciasse volere darmi della baionetta traverso
il corpo. O non vi bastava il trofeo del canto al Mondragone?[749]
Mentre a diligenza del Municipale signor Cavaliere Martelli
apparecchiano il quartiere molto alla lesta, come quello che doveva
è veramente infelice?
Nè qui soltanto Guglielmo Conte Digny è d'infelice memoria; ma basti
per ora. Forse il Conte si lagnerà che non gli si abbiano i debiti
riguardi, ed anche in questo avrà torto; conciossiachè, se io dovessi
prendere da lui lo esempio del punto rispetto che a sè stesso porta,
davvero che io temerei incorrere la taccia di sboccato; e, al fine
che lo asserto non vada disgiunto da prova, cred'egli che io vorrei
smentirlo quattro volte sopra la medesima cosa com'egli fa? — In certa
parte del suo deposto narra come egli venisse la sera a trovarmi nel
mio appartamento in Palazzo Vecchio, _dove io lo aveva chiamato fino
dalle 4 del pomeriggio_ per dirgli che voleva andare a Livorno, ma
egli _nulla rispose_! In altra parte, narrando il medesimo fatto:
«Guerrazzi insisteva col Zannetti e con me per andare a Livorno, ma NOI
adducemmo le grida e il tumulto _per consigliarlo a non pensarvi per
ora_;» dunque parlava, e sinistre parole, se io male non mi appongo?
— In altra parte: «È vero.... _che col Guerrazzi e Zannetti si parlò
di partenza_;» dunque, che siate benedetto, signor Conte, parlaste
ancora di partire? — In altra parte: «La conversazione si aggirò sulla
possibilità di una partenza del Guerrazzi, ma io non ho memoria di
avervi messo che poche parole e insignificanti....; credo rammentarmi
che _condizionalmente si parlasse di treni speciali_.» Dunque prima
non parlaste; poi parlaste che non potevo partire, e parmi questa
_significantissima cosa_; poi parlaste parole insignificanti, dopo
averle parlate significantissime; finalmente parlaste di treni speciali
sotto condizione. Qual mai condizione? — Signor Conte, sapete voi come
nel nostro Paese si appellino coloro che quattro volte smentiscono sè
stessi? — Io glielo direi se non mi trovassi dove mercè sua mi trovo;
o piuttosto, tutto bene considerato, mi sembra che non glielo direi. A
lui basti sapere ch'è il testimone di predilezione dell'Accusa!
Cinque furono testimoni presenti al fatto; e siccome essi non hanno
battuto, come Rosignolo, il capo nel bastimento, così non importa
tenere su questo proposito più lungo discorso, molto più che dalle cose
successive viene maravigliosamente confermato.
Adesso cresce intorno al Palazzo un tumulto di plebe ed uno schiamazzo
di gridi: _Morte! morte al Guerrazzi!_ Chi poi cotesti urli incitasse,
io non dirò; dirò soltanto la contesa infame che dalla ringhiera che
guarda Via della Ninna udimmo più tardi, nella notte, agitarsi lì sotto
al lampione. I gridatori non trovavano modo di spartirsi la moneta
ricevuta per la egregia opera di maledire e imprecare morte a cui non
conoscevano, e non gli aveva offesi mai, e nelle vecchie frenesie loro
trattenuti. Gli adulti, per assottigliare il _prezzo_ ai garzoncelli,
adducevano la ragione che, avendo meno voce, _men forte_ avessero
gridato _Morte al Guerrazzi_; e i garzoncelli non si arrendendo allo
argomento, comunque affiochiti, strepitavano, che era stato promesso
a tutti (_come agli Operaj della vigna_) mercede uguale; che quanto e
più di loro avevano strillato: _Morte a Guerrazzi!_ e che non volevano
soffrire bindolerie. E qui da una parte e dall'altra un bisticciarsi
da fare piangere gli Angioli, e ridere i Demonii. Ahi sciagurati! Il
fanciullo che avvezzaste a vendere l'anima sua a prezzo di poca moneta
per gridare morte a un uomo, gliela darà più tardi per rubargliela. Voi
renderete conto a Dio di quel delitto e di quel sangue. Tali erano le
opere civili e cristiane che nella notte del 12 aprile si commettevano
a Firenze!
Di lì a breve fu inteso romore come di gente che prorompe; e poi
spalancata la porta del mio quartiere, tra una mano di Guardie
Nazionali, comparvero alcuni del Popolo; e il Generale Zannetti venuto
per me mi pregava a mostrarmi, ed io andai; e con accento commosso
volgendomi ai Popolani, dissi: «Che cosa volete da me? In che vi ho
offeso? Qual peccato voi mi rimproverate?» Essi tacquero; non una
parola, non un grido profferirono: io sarei stato curioso davvero
di sapere quale colpa il Popolo fiorentino mi apponesse. Però non
cessavano in Piazza il tumulto e lo schiamazzo, onde quei dieci o
dodici che stavano quivi dentro rinchiusi meco, fra servi, custodi,
segretarii, e la mia nipote giovinetta pure ora uscita di Convento, e
la sua governante, si mostravano sgomenti, e lo dirò con compiacenza,
assai più per me che per loro. Temendo che la Plebe rompesse le porte,
alcuni tentarono a questo estremo caso un riparo. — Io auguro a tutti
quelli che mi hanno offeso di non trovarsi mai in simili strette,
perchè all'uomo può forse bastare il coraggio per sè fino in fondo; ma
quel trovarsi intorno gente atterrita, e di tutti avere a confortare
gli spiriti smarriti, è tale uno sfinimento a cui mal regge l'anima
umana. Non pertanto l'Accusa acuta e sottile si studia mettermi la mano
sul cuore, e sentire com'egli mi battesse. — Egli batteva come deve
battere il cuore dell'uomo, che sa quali mali possono fare gli uomini,
e sente non meritarli.[741]
E poichè, — lasciamo da parte il volere, — sembrava che i nuovi
Governanti non avessero il potere di opporsi alla plebe, che ad ogni
ora ci dicevano in procinto di sbarattare la Guardia Nazionale,
e fracassate le imposte irrompere dentro a far carne; parecchi
dei racchiusi meco procuravano spiare luogo di salute, là dove
questo estremo accadesse, e qui pure il mio pensiero si consola,
rammentando che quantunque mi fossero per la più parte sconosciuti,
nondimeno queste apprensioni per me sentissero, queste diligenze
per me facessero. In che queste ricerche consistessero, a qual fine
fossero dirette, e qual parte io vi prendessi, sarà bene lasciare
referire ai testimoni, perchè nel ricordare quel tempo parmi che il
mio strazio si rinnovelli. Però mi maraviglio, e non posso astenermi
di rimproverare a nome della Legge l'Accusa, che omise interrogare
testimoni su punti capitali, e con tanta compiacenza si allargò su
questi particolari, forse per argomentare dal mio spavento e dai miei
conati di fuga la coscienza colpevole, e poi non ne trasse costrutto
essendole tornati contrarii; come se potesse apprendersi quale indizio
di colpa, lo studio di sottrarsi ai bestiali furori di plebe avvinata
e indracata.[742]
Dopo parecchie ore di tediosa aspettazione, standoci, la mia famiglia
ed io, in procinto di partire, ecco una Guardia Nazionale, dopo l'ora
fissata alla partenza, portarmi un biglietto del Generale Zannetti, il
quale diceva: «_Alcuni_ non volere lasciare libero il passo; opinare la
Commissione di trasferirmi pel corridore dei Pitti in Belvedere, donde
remossi i Veliti avrebbe messo la Nazionale: però questo accadrebbe
nella prossima mattina; non dubitassi di niente, stessi tranquillo;
andassi a prendere per qualche ora riposo, che giudicava doverne
avere di mestieri.»[743] Questo biglietto _unii_ alla lettera, che nel
tumulto di angosciose passioni io scrissi sotto gli occhi del signor
Galeotti, castellano di San Giorgio (poichè tale era l'ordine; e le
cose necessarie a scrivere di lasciare in potestà mia si negava!),
e mandai a Gino Capponi e agli altri Componenti la Commissione
Governativa il 25 aprile 1849. Questo biglietto è stato _soppresso_!
Così tentavasi abolire ogni prova del patto violato a mio danno, e me
seppellire sotto la lapide del tradimento, senza neppure lasciarmi la
consolazione di potere dire al mondo: «Popoli civili e anche barbari,
vedete come si tiene fede a Firenze!» Ma ciò, come a Dio piacque, non
valse al fiero disegno. Mi stava su l'anima una amarezza infinita,
come un Zannetti, che pure mi parve angelica natura, avesse potuto
avvilirsi tanto da sostenere meco le parti di brutto Giuda Scariotte,
e tuttavia mi pesa per Gino Capponi... e mentre scrivo queste righe
infelici... la mano mi trema, e gli occhi mi si offuscano di lacrime, —
ma non per me. Un'aura di refrigerio penetrando nello infame carcere,
mi portò che avessi a deporre ogni amarezza contro il Generale
Zannetti, avvegnadio fosse stato ingannato, non ingannatore; quasi nel
punto stesso mi capitava sott'occhio il suo _Rendiconto generale del
servizio sanitario dell'armata toscana spedita in Lombardia per la
guerra della Indipendenza_, dove trovai scritto il nome di Domenico
Guerrazzi,[744] giovane accademico, rimasto ferito di mitraglia
nell'avambraccio sinistro, nella sempre onorata e sempre dolorosa
battaglia di Montanara, e di qui trassi argomento per dirgli, che io
avevo dubitato di lui, ma oggimai, saputo il vero, avergli ridonato la
mia stima; si consolasse: continuare io a ritenerlo, come lo reputai
sempre, quanta lealtà viveva al mondo; ond'egli subito, per riparare al
_mal soppresso biglietto_, mi scriveva la lettera seguente, che, senza
sentirsi più spessi sussultare i polsi, io non credo si possa leggere
da uomo vivente, amico, od avverso, che sia.
«Pregiatissimo Amico.
«9 settembre 1850.
«LA LETTERA CHE MI DIRIGEVI L'ALTRO JERI, FU A ME CARISSIMA E DI
VERACE CONFORTO. INFATTI, IL PENSIERO DI DOVERE NELL'ANIMO TUO
ESSERE CONSIDERATO COME UOMO SLEALE, COME VILISSIMO TRADITORE, ED
OGNI TRADITORE ED INGANNATORE È VIGLIACCHISSIMO UOMO, MI GRAVAVA
POTENTEMENTE SU L'ANIMA. VERO È PERÒ, CHE DOPO I MIEI COSTITUTI QUEL
GRAVAME SI ALLEGGERIVA NON POCO; VERO È, CHE ALMENO ALLO AVVOCATO TUO
DIFENSORE LA DOVUTAGLI LETTURA DEL PROCESSO DOVEVA PALESARE QUANTO IO
MI FOSSI STATO LEALE IN COTESTA EPOCA. PURE ESSERE OGGI FATTO CONSCIO,
CHE TU PURE LO SAI, E NON MI REPUTI REO IN VERUNA PARTICOLA DI QUEL
TURPISSIMO FALLO DELLA COMMISSIONE GOVERNATIVA, AGEVOLMENTE IMMAGINERAI
CHE MI FU, ED È DI SOLENNE CONSOLAZIONE. PERÒ ACCOGLI SINCERO IL
RINGRAZIAMENTO PER LA LETTERA CHE MI SCRIVESTI, E PEL GENTILE PENSIERO
CHE TI PRESE DI ME DAL FONDO DEL TUO SEPOLCRO, MONUMENTO STORICO
DI VERGOGNA... TI LASCIO COL DESIDERIO CHE PRESTO TU POSSA ESSERE
CONFORTATO DAL TERMINE DI UNA PROCEDURA, CHE GIÀ GIÀ PER LA SUA
LUNGHEZZA HA INDIGNATO I CITTADINI, ED ANCO I PIÙ AVVERSI A TE....»
Così mi scriveva il Generale Zannetti or fa un anno e 20 giorni! — Ed
io gli rispondeva:
«Caro Amico.
«Ti ringrazio della lettera e del libro. Certo la condizione del
tradito è dura, ma troppo peggio è quella del traditore. Questo mi dà
conforto nel disonesto carcere. Il tempo poi conduce le sue giustizie,
e in ciò confido. Aspettare e sperare sono fondamento di sapienza
umana. Tra noi non abbisogna più lungo discorso. Addio; ci rivedremo:
io su la panca degli accusati, tu nel seggio dei testimoni.»
Come io dormissi, lascio che altri pensi; — sul fare del giorno scrissi
una lettera alla Commissione, e questa pure è stata soppressa; non
ricordo il dettato, ma lo effetto fu che fece muovere il Conte Digny
per assicurarmi stessi tranquillo, non volersi già attentare alla mia
sicurezza; solo alla Commissione non piacere che io toccassi Livorno;
mi adattassi a partirmi da un altro lato. Allora, e con ragione, tornai
a ricordargli mancarmi il danaro per questo viaggio; però pregarlo
a dire al Marchese Capponi, che le cose mie conosceva, m'imprestasse
_trecento scudi_, i quali gli verrebbero rimborsati a vista dal mio
Procuratore a Livorno; anzi questa domanda scrissi col lapis, e _non
mandai_, ma consegnai allo stesso Digny. Costui confessa possedere
questo biglietto; lo mostri. Indi a breve sopraggiunse il signor
Martelli, al quale narrando il successo, e sollecitandolo a fare in
guisa che il Conte la commissione assunta non obliasse, come persona
turbata da cosa che le dia fastidio prese ad esclamare: «no davvero!
mancherebbe anche questa! — ella devia dal suo cammino per compiacere
il Municipio e la Commissione aggiunta; è giusto ch'essi pensino alle
spese del viaggio.» E poichè io avvertivo ciò non montare a nulla,
perchè ricco io non era, ma neppure tanto povero da non sopportare la
spesa del viaggio; il signore Martelli, sempre più infervorandosi nel
discorso, aggiungeva: «Il Municipio e la Commissione non lo possono
patire assolutamente: adesso andrò, e procurerò quanto bisogna.» —
Allora, per una ragione che non sarà difficile comprendere, favellai:
«In questo caso, signor Martelli, basteranno mille lire, di cui il
Municipio potrà rivalersi sopra la Depositeria, perchè dimani l'altro,
15 del mese, scade la rata mensile del mio stipendio, ed il Cassiere
della Comune potrà riscuoterla per me.»[745]
Per questo modo disposte le cose, passa un'ora, passano due, senza
più vedere uomo in faccia; nuove adunate di plebe accadono in piazza,
e me inique voci, ma più languide assai della sera, maledicono e
chiamano fuori.... ed io sarei andato fuori a domandare ragione dei
vituperii, e se avessi potuto parlare avrei condotto di quella gente,
almeno la onesta, a vergognarsi; invece Gino Capponi parlò per me!
— Come favellò Capponi? — Parole triste non disse, — di queste non
può dire Capponi.... ma io per Gino Capponi avevo, e avrei discorso
in bene altra maniera![746] — Verso le undici fu vista una frotta di
villani armati di falci, vanghe, ed altri arnesi rurali, precedere le
Guardie Nazionali, che piegavano verso il Palazzo; i villani allagano
i cortili, e levano su urli d'inferno, che per le angustie del luogo
forte commuovendo l'aria ebbero virtù di scuotere i vetri così, che
pareva volessero spezzarsi; io non comprendevo nulla, o piuttosto
un'ombra truce di sospetto passò su l'anima mia, e mandai pel Digny
chiedendogli quali arti infami fossero coteste; rispondeva scrivendo
un biglietto, ov'è da notarsi questa frase: «stessi tranquillo, darsi
moto per provvedere alla mia personale sicurezza.» Fors'egli per mia
sicurezza personale intendeva trarmi in Castello per consegnarmi poi
all'Accusatore? Questa opera emulerebbe la immanità di Maometto II,
quando, dopo avere promesso a Paolo Erizzo salva la testa, lo fece
segare nel mezzo per non tradire la fede della capitolazione! Se non
che il fatto del Turco è dubbio, mentre quello del Conte so bene io se
sia vero.[747] Verso le ore 12, venti o poche più Guardie Nazionali
in compagnia del Generale Zannetti e del signor Martelli vengono a
prendermi; non si mostrò Digny: — l'Accusa in vece sua si mostra, e
indaga se impallidii, se repugnai; e, raccolte risposte contrarie al
desiderio, sta cheta. _Pellegrini_, fra i primi testimoni ricercati
dall'Accusa, a siffatte inquisizioni risponde: «La mattina successiva
rividi il signor Guerrazzi fino alle ore 11 e ½, alla quale ora vennero
a prenderlo il Generale Zannetti e l'Ingegnere Martelli; — avendo io
sentito che il signor Zannetti gli disse: che andasse con lui (e mi
pare anzi, che glielo dicesse come domandargli se voleva andare con
lui, e soggiungendogli che poteva, volendo, condurre seco la famiglia):
ed il signor Guerrazzi sentii che gli rispose: «Eccomi;» e andò via
unitamente con quei Signori.» — E più oltre: — «Non mi accòrsi che si
turbasse, e vidi, e sentii, che si mostrò subito disposto di andare,
come di fatto andò con quei Signori.»
E perchè doveva impallidire io? Con me stavo bene; degli altri un
sospetto mi aveva traversato la mente, ma lo avevo respinto come
tentazione del Demonio. Doveva dubitare di Gino Capponi amico ventenne,
mio confortatore nei primi passi che mutai nel sentiero delle lettere
umane? Poteva sospettare io avrebbe sofferto a tenere di mano ad
una prigionia, la quale me ha disertato e la mia casa, quel Capponi
che nel 25 gennaio 1848, al Carcere Elbano, così mi scriveva: «Per
me, che io ti abbia a scrivere in cotesto luogo, è cosa tale che io
pongo tra le afflizioni della mia vita: dispiace a tutti, credilo
pure, e a me più che ad altri, per quella antica familiarità ed
affezione che ora mi preme più che in altro tempo di attestarti;
credimi ec.?» Poteva dubitare che me volesse prigione e calpestato e
distrutto Orazio Ricasoli, uomo che mi era parso di cuore dolcissimo,
e che tante grazie, pochi giorni innanzi, mi aveva profferto per non
crederlo capace di turbare lo acque già torbide? O Digny e Brocchi,
che, lasciato da parte quanto fu discorso fin qui, la sera stessa
del ricevimento dei Legati Romani, avevano tenuto meco discorso
lunghissimo, nella Sala del Guardaroba in Palazzo Vecchio, intorno
alla necessità della Restaurazione Costituzionale? O il Marchese
Torrigiani, col quale intervennero onestissimi officii, di cui le
inchieste sollecito compiacqui, e a cui la sospetta lettera senza
sospetto rimisi? O il Senatore Capoquadri che, Ministro di Giustizia
e Grazia, volle, per eccezione amplissima ed onorevolissima, che senza
esame la Curia fiorentina nell'Albo degli Avvocati potesse ascrivermi?
quel Senatore Capoquadri, il quale, da me visitato Ministro, mi palesò
breve sarebbe la sua durata al Ministero, dacchè l'animo suo non gli
consentisse patire certe emergenze che non gli parevano regolari del
tutto; onde io da lui dipartendomi nello scendere le scale ripeteva col
Dante:
O dignitosa coscïenza, e netta,
Come t'è picciol fallo amaro morso!
quel Senatore Capoquadri, che la sospetta lettera ebbe da me senza
sospetto, e me ne profferse grazie? Forse doveva dubitare del
Barone Bettino Ricasoli? Se mai avesse potuto rimanermi dubbio per
qualcheduno, di lui doveva sospettare meno che degli altri, perchè
emulo pubblico. Io così sento, e così con esso adoperai; ma pur
troppo, e tardi, mi accorgo che di siffatta magnanimità, che pure
si ammirava virtù tra uomini barbari e semibarbari, presso i civili
è spento il seme. Temistocle, sè confidando prima ad Admeto re dei
Molossi, poi a Serse barbaro, fu reputato sacro da loro; Santa Elena
grida che cosa giovasse a Napoleone avere imitato Temistocle; e se
ai grandi esempii è lecito mescolare l'umilissimo mio, il Castello
di San Giorgio e l'infame Carcere delle Murate testimonieranno ai
presenti ed agli avvenire a che meni commettersi in balía della fede
degli uomini civili! — Mentre siamo per muovere, il signor Cavaliere
Martelli Priore mi consegna con _autorizzazione_ ed _ordine_ della
Commissione Governativa lire mille pel _viaggio_, che, dopo essermi
fermato due o tre giorni in San Giorgio, tanto che la plebe quietasse,
dovevo _effettuare_ fuori di Toscana. — _Martelli_: «Peraltro, sebbene
la Commissione su la sorte del Guerrazzi non avesse deliberato, pure
tra le altre idee vi fu quella, non mi ricordo da cui esternata, di
farlo allontanare dalla Toscana, dandogli il danaro per ciò effettuare.
Mille lire ebbi dalla Cassa Comunitativa, _e le consegnava la mattina
del dì 13 al momento che da Palazzo Vecchio muoveva per la Fortezza di
Belvedere_, SEMBRANDOMI IL MOMENTO DI ADEMPIRE ALL'AUTORIZZAZIONE ED
ORDINE CHE MI AVEVA DATO LA COMMISSIONE GOVERNATIVA.» Ecco il Mandato
in virtù del quale, nel giorno 13 aprile 1849, furono estratte dalla
Cassa del Municipio lire mille.
Amministrazione dell'Anno 1849.
Titolo — Articolo dello Stato di Previsione
N. 424 del Registro della Cancelleria.
Buono per £ 1000
Mandato provvisorio.
Nº 572 nero.
Indicazione dei Documenti di corredo.
COMUNITÀ DI FIRENZE.
Ordine di Pagamento.
Il signor Luigi Tanfani, Camarlingo della Comunità di Firenze,
pagherà al signor Cavaliere Giuseppe Martelli Lire Mille per
imprestito a carico del R. Erario da farsi al signor Francesco
Domenico Guerrazzi Capo del cessato Governo Provvisorio, PER
SUPPLIRE ALLE SPESE DI VIAGGIO, per la mancanza nella Depositeria
d'Impiegati incaricati del rilascio dei pagamenti, IN CONFORMITÀ
DEL TRASCRITTO PARTITO MAGISTRALE, ritirando in piè del presente
Mandato l'opportuna quietanza, ed i recapiti notati in margine,
per ottenere l'abbuono nel Rendimento di Conti.
Dalla Cancelleria Comunitativa di Firenze li 13 aprile 1849.
Visto. Il Gonfaloniere UBALDINO PERUZZI
Il Cancelliere Comun. S. GOTTI
Per ricevuta della somma in contanti Lire Mille.
GIUS. MARTELLI
Questo Documento, già senza che vi sia mestiero avvertirlo, non
s'incontra nel volume dell'Accusa, che pure stampò (Dio la perdoni)
fino la nota della roba dei bauli. Però non è solo; altri ne occorrono
parimente _inediti_ che confermano la verità del fatto. Il danaro
dato prima fu ripreso, perchè quei Signori pensarono che pel viaggio
da Palazzo Vecchio al Castello di San Giorgio dovesse essermene
avanzato, e per questa volta saviamente pensarono; depositato presso
il Segretario del Ministro di Giustizia e Grazia, Giuseppe Cavaliere
Martelli scrive la seguente lettera al Cancelliere del Municipio
Fiorentino:
Autografo. Documento a c. 571 nero.
«Sig. Cancelliere Preg.mo
«Allorchè avvenne l'_arresto_ dell'Avvocato F. D. Guerrazzi, ELLA
SA CHE LA COMMISSIONE GOVERNATIVA SI DECISE DI ADERIRE ALLA DI LUI
RICHIESTA, AD ESSO ACCORDANDO LA SOMMA DI LIRE 1,000, PERCHÈ TRATTAVASI
IN QUEL MOMENTO DI FARLO ALTROVE TRANSITARE, MENTRE EGLI ASSERIVA NON
AVER PRESSO DI SÈ ALCUN DANARO PEL VIAGGIO.
«ED AVENDOMI L'ANNUNCIATA COMMISSIONE AFFIDATO L'INCARICO DI FARE AVERE
ALL'AVVOCATO GUERRAZZI LA DETTA SOMMA DI LIRE 1,000, _in seguito di
diverse inutili premure da me fatte, per combinare in Palazzo Vecchio
le persone che dovevano farmene il mandato, io mi rivolsi a pregare
Lei, signor Cancelliere, per avere dal Cassiere della Comunità le Lire
1,000,_ ONDE SUBITO IO LE POTESSI PASSARE AL SIGNORE GUERRAZZI, COME DI
FATTO FECI.
«Questa somma fu poi ripresa nella perquisizione che ebbe luogo ai
detenuti di Belvedere, ed ora si trova al Dipartimento di Grazia e
Giustizia presso il signor Segretario Duchoqué, il quale lo aspetta
oggi alle ore 12 al suo Uffizio, per riconsegnarla a lei o ad un suo
delegato, dietro una circostanziata ricevuta.
«_Così Ella ed io resteremo esonerati da ogni responsabilità, in questo
affare_, per lo che io la prego a favorire di ritirarmi la ricevuta che
ritiene il cassiere del Comune di Firenze. E pregandola a praticare
in quest'affare la sua consueta esattezza, onde il signor Segretario
Duchoqué non aspetti inutilmente, passo con ossequio e rispetto
all'onore di dichiararmi,
«Dall'Uffizio delle RR. Fabbriche, li 2 giugno 1849.
«Dev. serv. Giuseppe Martelli.
«All'Eccellentissimo Sig.re il Sig.r M. Gotti «Cancelliere della
Comunità di Firenze.»
Il Cancelliere, che sa tutte le cose che il Cavaliere leale gli
contesta, scrivendo al Segretario ne dichiara eziandio bene altre
ancora: egli sa, _a modo di esempio_, che la Commissione, composta di
TUTTI i Priori residenti nel Magistrato rappresentante il Municipio
Fiorentino, ORDINÒ a lui Cancelliere, si dessero le lire mille per la
causa espressa nella lettera del Cavalier Martelli.
Documento a c. 570 nero.
«Illus.mo signor P.ne Col.mo
«Dall'unita ufficiale del signor Cavalier Giuseppe Martelli, _uno
dei Componenti la già Commissione Governativa Toscana, di questo
stesso giorno, rileverà la causa che motivò_ LA STESSA COMMISSIONE,
CHE SI COMPONEVA DI TUTTI I SIGNORI PRIORI RESIDENTI NEL MAGISTRATO
RAPPRESENTANTE IL MUNICIPIO DI FIRENZE, AD ORDINARMI DI SPEDIRE,
CONFORME FECI, NELLA MATTINA DEL 13 APRILE DECORSO, UN MANDATO DI
LIRE 1,000, MARCATO DI Nº 424, A FAVORE DEL PRELODATO SIGNOR CAVALIER
MARTELLI, PER PASSARSI ALL'AVVOCATO F.-D. GUERRAZZI, PER IL TITOLO
ESPRESSO IN DETTA OFFICIALE. E siccome la somma predetta esiste presso
V. S. Illustrissima, per quanto resulterebbe dalla mentovata lettera
del signor Martelli, mentre questa Comunità non ha ottenuto rimborso
dal Regio Erario, così prego la somma di lei bontà a volere liberamente
passare allo stesso Camarlingo, e per esso al suo Sostituto Legale,
latore della presente, l'ammontare di detto Mandato; ritirando dal
medesimo o distinta ricevuta, o meglio (almeno per quanto a me sembra)
in calce di detto Mandato. E colla più alta considerazione e profondo
ossequio, passo al pregio di protestarmi,
«Di VS. Illustrissima,
«Dalla Cancelleria Comunitativa di Firenze, li 2 giugno 1849.
«Umiliss. Servo
«Firmato — G. Gotti.
Al signor Segretario del Ministero di Grazia e Giustizia.»
Andando con la nepote e la governante, chiesi (dacchè trattavasi di
pochi giorni) mi seguitassero Roberto Ulacco segretario, e i due
servitori; e lo concessero; Ulacco subito, i servitori più tardi.
Durante il cammino.... Ma giova sempre, quando si può, che da
per loro i testimoni raccontino. — Generale _Zannetti_: «Siccome,
strada facendo, il signor Guerrazzi mi domandò più volte s'egli era
prigioniero, oppure se così si agiva per tutelarlo semplicemente dal
Popolo, NON MANCAI RIASSICURARLO, DICENDOGLI CHE LA COMMISSIONE NON
POTEVA MANCARE A SÈ MEDESIMA. ma poichè ebbi ad accorgermi che la
commissione governativa NON MANTENEVA ALTRIMENTI LA SUA PROMESSA,
E PIÙ CHE MANCAVA DI FEDE E DI RIGUARDO ALLA GUARDIA NAZIONALE,
ED ALLO STESSO CAPITANO CONSEGNATARIO, UNENDO I CARABINIERI ALLA
GUARDIA NAZIONALE, PER TUTELARE IL SIGNOR GUERRAZZI; E DI PIÙ VEDENDO
CHE LA COMMISSIONE GOVERNATIVA NON TENEVA LA PROMESSA DELLA INTERA
RIPRISTINAZIONE DEL GOVERNO COSTITUZIONALE; io che aveva firmato con
lei, a nome della intera Guardia Nazionale, il primo Decreto da essa
fatto della Restaurazione del Governo Costituzionale, non trovai altra
via lecita e conveniente a calmare la mia coscienza, che quella di
ritirarmi dal posto di Generale.»[748] Però mi veniva confermando,
che la Commissione di mandarmi a Livorno non aveva voluto intendere
nulla, e mi tornava a interrogare se io fossi contento davvero di
starmi per qualche tempo lontano dal paese; ed io gli rispondeva:
— che lo avrei reputato (tanto mi sentiva sbigottito dalle sventure
della Patria) sommo beneficio; però conoscere egli le mie fortune, e
a vivere fuori con la mia famiglia lungamente non mi bastare; ed egli
cortese si esibiva tornare la sera a conferire meco in proposito; la
quale cosa non consentii, dicendo tenermi per soddisfatto se avesse
voluto favorirmi il giorno veniente. — Così alternando varii discorsi
arriviamo al quartiere del Comandante le Guardie di Onore, dove ci
tratteniamo alquanto; quindi prendendo passo passo su per l'erta del
monte giungiamo sotto le mura della Fortezza di San Giorgio. Qui mi
occorre un'altra infamia; le mura apparivano gremite di Veliti, i quali
presero a profferire minaccie e improperii contro di me. Io strinsi il
braccio al Generale Zannetti, e guardatolo in volto lo interrogai con
voce tranquilla: — Dove mi porti? — Come restasse quel virtuoso uomo,
male può con parole referirsi; chiamò tutto commosso il Comandante
del Forte signor Cavalier Galeotti, il quale o non poteva reprimere
cotesta ignominia, o la sopportava, e acerbamente lo rimproverava
dicendogli: «Così non mantenersi patti; Carabinieri non dovere
essere in Fortezza; ricondurmi indietro finchè non isgombrassero.» Il
Comandante Galeotti lo chiamò in disparte, sussurrandogli non so quali
parole nell'orecchio, a cui il signor Zannetti non parve acquietarsi.
Retrocedemmo al Palazzo Pitti; passata qualche ora, torna il Generale
affermando che adesso potevamo andare sicuri, perchè i Veliti a tenere
dei patti erano stati remossi, e che le parole date si avevano ad
osservare. Certo, quando pervenimmo la seconda volta sotto la Fortezza,
Veliti non vedemmo: i Veliti erano stati appiattati nel quartiere;
partito appena il Generale Zannetti uscirono fuori! — Così, postergato
ogni pudore, prendevano bruttissimo giuoco della fede di uomini onesti!
— In quanto al Comandante del Forte, mi proverò a sforzarmi di credere
che egli non fosse partecipe di cotesta infamia. E infamia fu, però
che, come ho annunziato altrove, questi, soldati no, ma della onorata
milizia onta perpetua, sotto le finestre venissero a inasprirmi con
disoneste parole l'amarezza del carcere, e traverso le imposte della
porta taluno di loro minacciasse volere darmi della baionetta traverso
il corpo. O non vi bastava il trofeo del canto al Mondragone?[749]
Mentre a diligenza del Municipale signor Cavaliere Martelli
apparecchiano il quartiere molto alla lesta, come quello che doveva
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