Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 20
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o impotente_, e fino dalle prime carte la mia scienza del _veleno
nascosto che si nascondeva_ nella montanelliana Costituente, con altre
più _taccherelle che si tacciono per lo migliore_, come di _Guccio
Imbratta_ diceva Messer Giovanni Boccaccio. Ma dacchè _provvisorio
eterno_, o eterno provvisorio, anche a rifarsi di capo al mondo non
si trova se non su i labbri del tuo testimone, così mi sia lecito
passare questo punto sotto silenzio. Avanza pertanto una cosa sola; la
Repubblica. Ora come, quando si agita di Repubblica, cacciansi via i
Repubblicani? La vigilia di vendemmia si licenziano eglino gli operaj
della vigna, o piuttosto, in qualunque ora del giorno si presentino,
si fermano e mettono alle faccende? E se mi si oppone che ancora io
confesso che piccolo frutto poteva cavarsi dal Dragomanni, rispondo
che è vero, ma che ogni pruno fa siepe, ed al bisogno da ogni legno
schiappa si cava; sicchè convien dire che l'Accusa, gittando la rete
al motivo della spedizione del Dragomanni presso il Gran Turco, non è
giunta a pescarlo. — Certo, Dragomanni visitava spesso la mia casa,
ma non per questo godeva davvero la mia confidenza: al contrario,
nel cospetto di tutti, si manifestava di principii opposti ai miei,
ed io sovente lo riprendeva alla presenza di familiari ed amici con
parole acerbe della sua irrequietezza, e delle pratiche che teneva con
persone troppo diverse da lui, per educazione e per nascita. Ancora:
dalle sue parole profferite nel calore della disputa ricavava lume per
conoscere i disegni del Circolo e degli apparecchi repubblicani, per
cui talvolta mi fu data abilità di prevenirli. _S. A. un giorno ebbe la
bontà d'interrogarmi su questa pratica; io le ne dissi la origine e il
motivo, ed essa mi parve approvarla_.[240]
D'altronde, prudenza così ammaestra operare. Gli uomini diventati o
pericolosi o potenti negli Stati bisogna opprimere, o amicarseli;
il primo partito è dei tempi del Borgia, la religione lo riprova,
non lo consente la indole toscana; molto meno la mia; importava
dunque li gratificando allontanarli. In questa guisa pertanto operai
Ministro, _e palesandone le ragioni alla Corona, ella mi parve andarne
persuasa_. Finchè il Governo starà nelle mani di gente esclusiva, agirà
e sarà odiato come fazione. — È intendimento elementare dei Governi
Costituzionali, accogliere negl'impieghi persone di varii Partiti,
onde l'uno all'altro non prevalga, e l'Autorità della Corona regga
entrambi equilibrandoli. Maestro di cosiffatto equilibrio fu Luigi
XVIII, e morì re. Carlo X e Luigi Filippo l'obbliarono, e morirono
esuli. La storia rammenta come egregia arte di regno la promozione
che fece Napoleone, ad ufficj supremi, degli stessi _Convenzionali_.
Però, e l'Accusa lo prova, pochi furono dal Governo conferiti impieghi
a cui parve procedere infesto al Principato, e con qual mira, e da
quale necessità costretto, già esposi; e che il disegno non fallisse
dimostrò il successo, dacchè tolto dal Circolo il Mordini, e dei più
capaci alcuni amicati al Governo, altri espulsi, andò di giorno in
giorno declinando, agitandosi alfine con rabbiosi, ma disperati conati.
In breve vedremo come i Demagoghi contro me si sbracciassero, perchè
alla mensa degl'impieghi non convitassi i puri Repubblicani; ed anche
in questa parte mi trovo fra incudine e martello.
L'Accusa afferma avere goduto il Niccolini la mia confidenza, e avergli
io pagato nel 13 febbraio dieci monete. Si è veduto se Niccolini
potesse essermi amico: egli mi fu soverchiatore, esploratore, e nemico,
ora coperto, ora palese. Quando potei lo bandii, nè egli si richiamò
della offesa, come altrove esporrò con larghezza maggiore. In quanto
alle dieci monete che ordinai pagassersi al Niccolini, e' fu appunto
per non serbare obblighi seco, il quale per insinuarsi nell'animo del
mio giovane nepote, o per altra causa che il muovesse, volle donargli
una carabina, e questi vago di armi accettò. Io come prima lo vidi,
instai a che, o si riprendesse la carabina, o ne accettasse il prezzo:
dopo averlo rifiutato, egli alla fine accettollo; ed io, che non avevo
la moneta addosso, gliela feci pagare in dieci francesconi dallo Adami,
perchè convivendo meco egli mi andava debitore della sua quota di spese
di casa. — La carabina deve essere stata rinvenuta nella stanza di
Palazzo Vecchio abitata dal giovane. I conti col signore Adami nè anche
adesso sono fatti, nè si fecero mai, onde io non potei accorgermi se mi
avesse portato a debito, come doveva, le L. 66. 13. 4.
A confermare questa spiegazione agevole e piana, concorrono il modo
confidenziale del biglietto: — _Adami. Paga dieci scudi a Niccolini.
Guerrazzi_; — che dimostra come io m'indirizzassi all'amico, non al
Ministro, e la omessa indicazione dello uso della moneta, il quale è
costume specificare quando si tratta di pubbliche spese; e finalmente
io credo, che non sieno mancate testimonianze validissime intorno alla
verità del fatto: nonostante l'Accusa tiene in tutto e per tutto le
pugna strette, quasi paurosa che schiudendole un poco si volino via le
raccolte incolpazioni. Dieci scudi? E in questa somma l'Accusa presume
vedere la giusta mercede di una rivoluzione? — Per amore del cielo,
non faccia credere queste cose l'Accusa, imperciocchè se le rivoluzioni
fossero a tanto buon mercato, correremmo pericolo pei tempi che volgono
che se ne aumentasse prodigiosamente il numero dei _consumatori_!
§ 4. _Lettera al Sig. Giovan-Batista Alberti Prefetto di Arezzo._
Questa lettera è riportata nel § 25 del Decreto del 7 gennaio 1851;
e dice così: «Il Granduca è fuggito da Siena: ignorasi dove si sia
ridotto. Prima di partire ha dichiarato annullare la Legge intorno alla
Costituente. Il Ministero convoca le Camere e dà la sua dimissione.
Sarà instituito _necessariamente un Governo Provvisorio_. Si circondi
dei Patriotti più caldi dello amore del Paese. Prenda i provvedimenti
che in simili casi straordinarii persuade la necessità. Se avvengono
_reazioni_, si comprimano ad ogni costo, sotto la sua personale
responsabilità. Crei una Commissione di salute pubblica; energia, e
vigore; viva la _Patria_. I Principi se ne vanno, ma i Popoli restano
ec. — Firenze, 8 febbraio 1849, — 5 di mattina.»
Il Decreto afferma che per questa lettera si dichiara come per me
si reputasse ormai la Monarchia cessata in Toscana. A me pare che
questa lettera non dimostri altro, tranne la mia ansietà e la mia
diligenza che in tanto sconvolgimento la Patria non s'infamasse con
azioni scellerate. In che e come nuoce cotesta lettera? Forse, perchè
porgevo avviso al Prefetto dell'operato della Corona? Ma la stessa
Corona voleva si rendesse palese, e presto. Forse perchè presagivo
la elezione del Governo Provvisorio? Ma questa ormai era diventata
politica necessità; e il Giornale dei _Conservatori Costituzionali_
annunziava essere _nella mente di tutti_. Forse per la notizia dello
allontanamento della Corona? Ma se si era allontanata! Forse perchè non
indicavo il luogo dove si era ridotto il Principe? Ma nè il Principe lo
diceva, nè sembrava egli stesso saperlo. Forse per la raccomandazione
di circondarsi di Patriotti caldi dello amore del Paese? O di chi
doveva circondarsi? Di quelli che gli volevano male? E ci erano. Forse
per le pressanti istanze onde i moti reazionarii non avvenissero, o
avvenuti si comprimessero? — Qui giova fermarci alquanto, e chiarire
per bene questa materia.
I Documenti dell'Accusa, noi lo vedemmo, ritengono il Ministero nostro
come uno di quei parti mostruosi a cui le balie devono lasciare
sciolto il bellíco: egli ebbe prima il torto di vivere; poi subito
quello di non farsi ammazzare di buona grazia, persuaso, come doveva
essere, di nascere in peccato originale: però anche allora, agli
occhi dell'Accusa, fu colpa opporsi ai moti reazionarii; bisognava
non impedirli, anzi dar loro comodo di operare con sicurezza piena. Se
l'Accusa così pensa di me mentre fui Ministro, immaginate un po' voi
che cosa pensi quando mi vollero parte del Governo Provvisorio! Ed io
apertamente dico all'Accusa, che pessimo argomentare è cotesto suo.
— Non si dissimulino le cose, ch'è vano e non plausibile conato: la
verità si ricerchi, e si dica. Il Principe parte da Siena, aborrendo
_reazioni e sanguinosi conflitti_; e l'Accusa invece non vuole che le
reazioni, i conflitti sanguinosi, nè la guerra civile s'impediscano;
e perchè? Perchè crede che tutte queste cose la causa del Principato
favorissero. Dio ci liberi dalle offese, — ma ed anche dalle difese
dell'Accusa!
Dunque il Principe, a mente dell'Accusa, sta con la reazione? La Corona
(e lo dovrebbero sapere i Magistrati) non istà con i reazionarii,
nè con i Repubblicani; sta con la Costituzione. Ma i Giudici sanno
eglino reazione che sia? Sanno eglino come proceda? La reazione è
ripristinamento dell'odioso dispotismo, e del suo tristo corteggio,
co' modi che la umanità aborrisce, e la morale condanna. Ora in
Toscana, per la Dio grazia, non erano soltanto due Partiti estremi,
ma prevaleva, mentre io vivea nel mondo, il terzo Partito degli amici
delle Libertà Costituzionali _più o meno largamente intese_. Ricordano
i Giudici come la reazione operasse nell'Aretino nei tempi passati?
Forse lo hanno dimenticato; mi concedano che lo richiami loro alla
memoria.
«Nella vigilia dei santi Apostoli Pietro e Paolo (28 giugno 1799), allo
incessante rimbombo dei colpi da fuoco e dei _Viva Maria_, il Popolo
_sanese_ accorre in folla; e si unisce co' suoi _vendicatori aretini_;
nei suoi primi slanci si scaglia contro coloro che stimava non
semplicemente avversi alla religione cattolica, ma occulti cospiratori
per abbatterla, quali sono i _giudei_; pone quindi a _sacco_ qualche
bottega, e qualche casa di essa; _alcuni ne uccide e gli aborriti
cadaveri getta sul fuoco_!....»
Sanno i miei Giudici, che fece la reazione nella inclita città
di Siena nel medesimo tempo? A Siena furono gettati _cinque ebrei
vivi_ ad ardere sul rogo acceso su la piazza maggiore davanti alla
immagine della Madonna, che sta a piè della Torre, e allo Arcivescovo
Zondadari!! Questi fatti i Giudici possono ritenere per veri pur
troppo, imperciocchè vengano narrati dal Canonico Giovanni Battista
Chrisolino dei Conti di Valdoppio, parroco della Cattedrale aretina, a
_gloria_ (com'egli dice) di _Maria Santissima del Conforto_, stampati
in Città di Castello nel 1799.
Cotesti immani uomini, siffatte nefandità commettendo, invocavano il
nome della _Consolatrice degli afflitti_; sarebbesi dovuto lasciarli
fare, nella fede che ciò operassero a maggiore gloria della Madre
di Dio? — Anzi imparo, fremendo, come nell'Agro aretino fare _Viva
Maria!_ significhi portare le mani ladre nella roba altrui. Ora i ladri
e i violenti sol perchè gridino _Viva Maria_, o _Viva Leopoldo II_,
voglionsi venerare per santi, o lodare per leali?... Vergogna per tutti
queste cose, non che dire, pensare; per Magistrati poi enormezza!
Sanno i miei Giudici, che cosa operasse la reazione nel 1849 a Empoli,
a Lucca, nell'Aretino e altrove? Certo prendevano a pretesto il nome
del Principe, ma le case incendiavano, le strade rompevano, le imposte
ricusavano, dalla patria difesa aborrivano, straniere dominazioni
macchinavano, ruberie e ferimenti commettevano, terre e castelli di
assaltare tentavano. — Io non ho gli Archivii, ma se giustizia vive nel
mondo mi verranno finalmente concessi, e allora si conosceranno le mene
delle Provincie, e chi le suscitasse, a qual fine tendessero, non meno
che gli sforzi dei Giusdicenti a reprimerle. In tanta deficienza giovi
non ostante favellare di alcuno.
«Nella sera del 12 febbraio, un piccolo pugno di scioperati, e avversi
al Paese, non che al proprio interesse (non però dimoranti a S.
Miniato, o appena 8 o 10), concepito il vandalico disegno di troncare
e _guastare la linea ferrata in quel tratto di pianura, che giace fra
l'Arno e il posto della Scala_, si recarono alla Parrocchia di S. Piero
alle Fonti; ove di prepotenza vollero suonare la campana a martello,
nella speranza che i contadini, ed altri popolani accorsi al suono,
gli avrebbero secondati. Ma gl'intervenuti, comunque numerosi....
altamente biasimarono, e, protestando non volere dare mano a opera
tanto nefanda, si dileguarono. I pochi facinorosi, vedutisi delusi,
si dettero con _forsennate grida, e con fiaccole_, a fare proseliti
lungo la strada nel punto che passa la parrocchia della Isolata, quando
per l'unione di altri male intenzionati si lusingarono potere dare
principio; gl'Isolani in numero di circa 60 si fanno loro incontro
a passo di carica, e fatto alto al cancello della strada ferrata,
esplodono in aria i fucili. Ciò bastò, perchè i perversi e i faziosi
estinte le fiaccole si disperdessero, dandosi a fuggire per le vie
traverse, temendo essere inseguiti. A S. Miniato appena ebbesi contezza
dell'accaduto, la indignazione dei cittadini contra questi perturbatori
dell'ordine, fu universale; e già molti volenterosi avevano preso le
armi per discendere al piano ec.» — (Lettera del signor Carlo Taddei al
prof. Giovacchino Taddei. — Vedi _Monitore_ del 17 febbraio 1849.)
Tutti i Documenti dell'Accusa riportano lo incarceramento dei
Parrochi, e di altra gente, ordinata dai signori Montanelli e Mazzoni
in premio, essi dicono, _della gioia che le popolazioni circostanti
a Firenze, nella purezza dell'animo, mostrarono con innocenti e
festive dimostrazioni_ allo annunzio del ritorno del Granduca. Di
questo incarceramento io non so; ma so, che un Lally Tolendal viene
celebrato per le storie, come quello che nelle prime commozioni di
Francia ebbe il coraggio di proporre un proclama col quale esortavasi
il Popolo a non insanguinare le mani, e lasciare libero il corso alla
giustizia. Il Bailly intendendo a salvare la vita al Bertier, ordinava
che lo trasportassero alla Badia, e quivi lo custodissero prigione;
se non che fece tronco quel disegno la plebe, la quale avventandosi
in Piazza della Greve contro cotesto sciagurato lo ridusse a morte.
Assai più notabile è il caso del Foullon. Lafayette, di cui certamente
non vorrà negare alcuno la nobiltà del carattere, e lo amore degli
uomini, per sottrarre dalle mani del Popolo furibondo il Foullon,
trovò il consiglio di mostrarglisi acerbamente crudele: «Ed io, diceva
arringando la moltitudine, lodo il furor vostro; sempre ebbi in odio
costui; lo reputo perdutissimo uomo, e non credo che possa immaginarsi
pena che uguagli al suo fallire.... Però badate; egli ha da avere
complici, e non pochi: importa conoscerli; intanto io farò trasportarlo
alla Badia: quindi lo processeremo, e condanneremo alla morte infame
che si è meritata pur troppo.» Il Popolo persuaso applaudiva, quando
il Foullon, indovinando il segreto concetto del Lafayette, ebbe la
inavvertenza di fare plauso anch'egli. Allora il Popolo si ravvisava,
una voce sinistra sorse a gridare: «sono d'accordo!» e il pietoso
trovato del Lafayette riuscì invano. — Inoltre, cosa nè singolare, nè
inusitata presso i Governi, è schiudere la carcere come asilo supremo
ai perseguitati... e me pure pretesero dal fiorentino Popolo.... Ma di
questo più tardi. Che tale poi fosse lo scopo del Montanelli, me ne
persuadono e la indole mite di lui, e il nessuno aumento, per quanto
io sappia, del martirologio in Toscana.... e i successi che stiamo per
esporre.
Intanto, è mestieri affermare apertamente, che le tinte, di cui
l'Accusa colora il tumulto del 21 febbraio, sono false e smontano al
sole. Se cotesto moto avesse presentato il carattere che immaginano,
o come la città di Firenze sarebbesi tutta levata a reprimerlo? Nè
il tumulto si rimase a così tenere dimostrazioni; però che io leggo,
egli acclamasse ai nemici della nostra Patria, e seppi con certezza
come gli ammotinati s'indirizzassero contro la città con urli di
minaccia, e spari di schioppo. La Guardia Civica non pare che andasse
persuasa troppo della purezza dell'animo di cotesti innocentissimi,
dacchè accorse _spontanea a ributtarli_ con le armi, e accorse ancora
spontaneo e furibondo il Popolo fiorentino. L'azione del Governo non
fu di eccitare, ma di risparmiare la effusione del sangue, trattenendo
la moltitudine da mettere le mani violente nella vita altrui, ed
ostando che gli arrestati a furia di Popolo si manomettessero.[241]
Il Montanelli, comunque infermo, sorse dal letto e vi si adoperò,
oltre quello che parevano consentirgli le forze. Funesta notte poteva
essere quella, e madre di assai più terribile giorno: quando il sig.
Montanelli non avesse altro merito, parmi che Firenze dovrebbe benedire
il suo nome. Adesso corre il tempo della ingratitudine; ma i tempi non
vanno sempre ad un modo; e chi ha bene operato può aspettare nella
tranquillità dell'animo, che gli sia resa giustizia un giorno, e da
tutti. — Ora, considerati i Rapporti di Polizia, il consenso spontaneo
ed universale della Civica e del Popolo fiorentino, nello avventarsi
contro i campagnoli tumultuanti, parmi che si possa concludere con
una di queste due cose; o che il moto del 21 febbraio non presentava i
caratteri attribuitigli dall'Accusa, o che nè i tempi erano quelli, nè
i modi per operare la restaurazione del Principato Costituzionale.
E anche ad Empoli, negli avvenimenti del 12 febbraio, i facinorosi
gridavano: _Viva Leopoldo II!_ e intanto la Stazione bruciavano, e la
strada ferrata rompevano. Ho sentito dire che si scusassero col timore
che i Livornesi sopraggiungessero, ed hanno accettato la scusa; ma,
in grazia, la Stazione con la strada come ci entrava ella? E nel 23
febbraio, quando gli Empolesi, minacciando rinnuovare gli attentati
medesimi, vi fecero accorrere pronta e spontanea la brigata delle
Guardie di Finanza di Firenze, avevano sempre paura dei Livornesi?
No. La verità è che uomini avversi più che al Governo alle persone
di quelli che lo tenevano, eccitarono le passioni delle moltitudini,
e queste, fiduciose della impunità per la dissoluzione del Paese,
non pure trascorsero al guasto della strada ferrata e allo incendio
della Stazione, ma posero in compromesso la proprietà degli agitatori
medesimi. Il Popolo di Empoli, dedito al commercio dei trasporti più
di ogni altro, ebbe a patire danni per la costruzione della strada
ferrata, e l'odiò allora, e forse l'odia anche adesso; solito effetto
della nuova industria che disagia o rovina l'antica. — Tutte queste
cose sapeva, e le dissi apertamente in faccia agli Empolesi; però
nessuno si dolse di asprezze per parte mia, nè fu ricercato per negozii
politici, e tutto a tutti rimisi, salvo delitti comuni; ed ecco come
favellai ai Deputati di Empoli venuti a Firenze per condannare le
grida _non consentanee_ ai tempi levate dalla gente empolese, e per
_respingere da sè_ il fatto della strada ferrata:
«I fatti di Empoli commossero a dolore il Governo Provvisorio, a
sdegno la Toscana tutta. L'essere usciti in parole non consentanee ai
tempi, e in atti di ferocia contro le cose e le persone nella sera
del decorso venerdì, affligge non solo quanti amano _le istituzioni
e i governi liberali_, ma quanti hanno _senso di umanità_. Lo
incendio della Stazione è siffatto eccesso, che parrebbe incredibile,
se non fosse avvenuto alla distanza di poche miglia da noi. Ben
fa il Paese a respingerlo da sè. Così si mette d'accordo con la
pubblica opinione che lo ha fulminato con la sua disapprovazione.»
E continuavo confidando che gli uomini più autorevoli di cotesta
illustre terra «raccomanderanno al Popolo di quella e delle adiacenti
campagne l'_amore all'ordine_, che ogni Partito dee rispettare; _la
tolleranza delle opinioni_, che i soli illiberali possono respingere;
la _concordia_, che i soli fautori degli Austriaci possono odiare;
il _rispetto_ alla _proprietà, e soprattutto alla strada ferrata_,
che solo l'uomo nomade può _guardare di mal occhio; la quiete e la
sicurezza_, che sole possono mantenere la floridezza di quel Paese ec.»
— (Vedi _Monitore_, 16 febbraio 1849.)
A Castelfranco-di-sopra le _turbolenze_ presentarono tale carattere
da indurre il Gonfaloniere e la Guardia Civica a interporre le loro
premure affinchè cessassero. Colà il Governo non mandò forza; _i
Cittadini stessi compresero la necessità di prevenire disordini, e vi
si adoperarono con frutto_. — (_Monitore_, del 26 febbraio 1849.)
A Castelfranco-di-sotto, nel 9 febbraio, successero moti così gravi
che la Guardia Civica ebbe a impugnare le armi e combattere; alcuni
Civici rimasero feriti. I Rapporti di Polizia autorizzarono il Governo
a pubblicare la seguente notizia nel _Monitore_ del 14 febbraio
1849: «In Castelfranco avvenne un movimento in senso _retrogrado_.
La Guardia cittadina accorse numerosa a reprimere il disordine,
sebbene ne _patisse danno_. — Il sangue uscito dalle vene dei Civici
di Castelfranco è una offerta fatta alla causa della _nazione e
dell'ordine_. Perchè i buoni cittadini non si affrettano a respingere
questi movimenti? Qui non si tratta di quistione di _forma governativa.
Il nome di Leopoldo è un pretesto per violare la proprietà, per
saccheggiare le case, e per uccidere i migliori cittadini!_ — Il
movimento non è politico, ma anarchico: non si combatte per un Governo
contro un altro, ma per non averne nessuno. Il Governo vuole l'ordine,
perchè la Legge abbia forza e sia salva la Patria. I cittadini devono
volere l'ordine per la sicurezza della Patria non solo, ma ancora
per quella dei proprii giorni e delle proprie sostanze. — Vogliono i
cittadini che la Toscana sia invasa da continui ladronecci? Vogliono
che Austria speri nelle nostre contese le sue vittorie? — _Morire per
l'ordine è morire per la Patria_. Ritenga i poveri dall'anarchia il
pensiero che il Governo si adopera per diminuire la miseria; muova
i ricchi a resistere alla _reazione_, il senso dell'onesto, l'amor
patrio, il proprio interesse.»
In Prato si tentavano disordini contro la strada ferrata Maria
Antonia, della specie di quelli di Empoli. Le Autorità e la
Commissione Governativa seppero prevenirli con prontissimi e gagliardi
provvedimenti. (Vedi _Monitore_, 16 febbraio 1849.)
A Cascina incendiavano la Stazione della strada ferrata. «Nel mio
passare ho trovato la Stazione di Cascina in fiamme. Spegnere lo
incendio era impossibile, perchè la Stazione era presso che distrutta.
Io seguito il mio viaggio, appena avrò preso alcuni concerti col
Pretore di Pontedera. — Al Ministro dello Interno. — PAOLI.[242]»
Finalmente a Lucca la strada ferrata a furia di Popolo disfacevano.
Del contado di Arezzo più tardi. Dovevano dunque lasciarsi fare?
Stare a vedere le genti sbranarsi, battere le mani agl'incendii,
plaudire ai saccheggi, con sempiterna infamia assistere, neghittosi,
al sobbissare del Paese? E queste cose con serena fronte profferiscono
Magistrati toscani? E, nel pretenderle, il loro cuore nei loro
petti sta saldo? Dunque, a mente di loro, la bandiera cuopre sempre
comecchè perfidissimo il carico? La marca basta per garantire la
merce falsata? Non così, per onore del nostro Paese, la intendono
tutti i Magistrati toscani. La Corte Regia di Lucca, con Sentenza del
4 giugno 1850, decidendo intorno alla spedizione di Capannori e di
Porcari, ha dichiarato che: «Essendo diretta a ricomporre in quiete e
all'ordine la provincia.... di comprimere ogni reazione che minacciasse
disorganizzare lo Stato, e di risparmiare, allontanandone il pericolo,
le calamità di mutue stragi.... e non tendente a rafforzare il Governo
nel male acquistato potere.... comparisca ragionevole ritenere che il
Governo stesso non si allontanò da quella linea di condotta che la
necessità della precauzione e le regole della prudenza consigliano,
e che in pariforme caso un Governo, anche legale, avrebbe, senza
esitazione, abbracciata.»
Perchè la Verità dorrebbe preferire le sponde del Serchio a quelle
dell'Arno? — Così è: come a Lucca, accadeva da per tutto. Le agitazioni
politiche già già destavano le furie socialistiche. Commosso da
apprensioni terribili, oppresso da fatiche, a cui sembrava impossibile
che uomo potesse durare, io mandava un grido di desolazione col
Proclama del 16 febbraio 1849: «La nostra bella contrada si disfà, se
quanti hanno cuore italiano non sorgono animosi a salvarla. Bande di
facinorosi, col pretesto della _fuga di Leopoldo II_, ed anche senza
pretesto, irrompono al saccheggio e allo incendio. Il Governo ha
represso gli scellerati, e saranno puniti.»
In cotesti tempi, per così vigile provvedere, persone onorevolissime mi
levarono a cielo; nè fra queste mancavano parecchi membri del Municipio
fiorentino, e il suo egregio Capo. Alle mie dichiarazioni che la mia
natura, vinta dal travaglio, stava per soccombere, allibivano; e primi
fra gli altri, gli antichi impiegati, gli stessi servi della granducale
famiglia, a mani giunte, mi supplicavano a non gli abbandonare.
Sapevano ben essi quali sorti gli aspettassero! Ahimè! Come mai tutte
queste fatiche, cure e pericoli adesso, a un tratto, diventarono
delitti?
Fra tante, e solennissime tutte, testimonianze, mi giovi allegare
quella del signore Allegretti, e ciò per due ragioni; la prima, perchè,
preposto allora, e credo anche adesso, nel Ministero dello Interno alla
Sezione della Polizia, giudicava dei tempi con esattissima cognizione
delle cose; la seconda, perchè dall'attuale Governo adoperato e
promosso non può neanche dalla ombrosa Accusa reputarsi sospetto.
Almeno così parrebbe che da costei si potesse sperare. Scrivendo
pertanto il sig. Cav. Segretario Allegretti al sig. Biavati di Lucca
lettera confidenziale sul principiare del marzo 1849 così si esprimeva:
«_essere io stanco di cotesto stato di cose, avere minacciato
andarmene, e laddove questo avvenisse, grandi guai sarebbero caduti
addosso alla Toscana_.» Io poi non dubito nella onestà del signore
Segretario Allegretti, che egli non sia per commentare largamente a
voce quanto scrisse, e credo che come compiacenza all'animo, gliene
verrà lode dai suoi Superiori, cui certo non può piacere la selvaggia
e veramente smodata persecuzione dell'Accusa.
Nella lettera scritta al signor Prefetto di Arezzo si avverta,
all'opposto, che non vi si parla di decadenza del Principe, nè di
Repubblica; anzi, non vi si adopera espressione offensiva alla Corona;
le quali cose stanno a dimostrare che io la dettai quando mi trovava
abbastanza libero di me, nè mi si teneva accalcata e furiosa dintorno
la fazione a impormi frase e concetto di quanto, prepotentissima, ella
ordinava di poi. Che se fa amarezza la frase: «i Principi se ne vanno,
il Popolo resta,» hassi a riflettere in prima, ch'ella suona piuttosto
cruccio o dolore, che esultanza per la partita del Granduca; e poi,
che essendo quel Dispaccio dettato, lo scrivente poteva avervi messo
coteste parole che furono dette in quella notte, e ripetute il giorno
successivo nel Parlamento; e in quanto a leggere prima di firmare,
davvero, mancava il tempo e la voglia. — Però se l'Accusa intendeva a
penetrare l'animo mio in cotesta occasione, sembra che avesse dovuto
fondarsi in preferenza sopra gli _autografi miei_.
«Il Consiglio dei Ministri al Governatore di Livorno. — Il Granduca ha
abbandonato Firenze e Siena. Non _si sa_ dove si sia ritirato con la
famiglia. Scrive non volere approvare la Legge della Costituente. Il
Ministero convoca le Camere, e si dimette. Si _prevede_ la elezione
di un Governo Provvisorio. Raddoppi le guardie alle porte. Chiami
a sè gli Ufficiali della Civica e della Linea. Si assicuri delle
Fortezze. Appello ai cittadini di stare uniti per prevenire qualunque
_avvenimento doloroso_. Energia, attività, e si _salvi ad ogni costo il
Paese_. — GUERRAZZI.»
Al Maggiore Fortini nel giorno _8 febbraio 1849, ore 7 antimeridiane_:
«Soldato e Cittadino, come ella è, farà in modo che col Governatore e
il Comandante la Piazza sieno religiosamente mantenuti tranquillità e
ordine. — GUERRAZZI.»
Altro Dispaccio parimente autografo:
«Il Consiglio dei Ministri al Prefetto di Pisa. — Il Granduca è fuggito
da Siena; non _si sa_ dove siasi ritirato con la sua famiglia. Scrive
disapprovare quanto ha consentito circa alla Costituente italiana. Il
Ministero convoca le Camere, e si dimette. Si _prevede_ la elezione
del Governo Provvisorio. Chiami intorno a sè gli Ufficiali della Linea
nascosto che si nascondeva_ nella montanelliana Costituente, con altre
più _taccherelle che si tacciono per lo migliore_, come di _Guccio
Imbratta_ diceva Messer Giovanni Boccaccio. Ma dacchè _provvisorio
eterno_, o eterno provvisorio, anche a rifarsi di capo al mondo non
si trova se non su i labbri del tuo testimone, così mi sia lecito
passare questo punto sotto silenzio. Avanza pertanto una cosa sola; la
Repubblica. Ora come, quando si agita di Repubblica, cacciansi via i
Repubblicani? La vigilia di vendemmia si licenziano eglino gli operaj
della vigna, o piuttosto, in qualunque ora del giorno si presentino,
si fermano e mettono alle faccende? E se mi si oppone che ancora io
confesso che piccolo frutto poteva cavarsi dal Dragomanni, rispondo
che è vero, ma che ogni pruno fa siepe, ed al bisogno da ogni legno
schiappa si cava; sicchè convien dire che l'Accusa, gittando la rete
al motivo della spedizione del Dragomanni presso il Gran Turco, non è
giunta a pescarlo. — Certo, Dragomanni visitava spesso la mia casa,
ma non per questo godeva davvero la mia confidenza: al contrario,
nel cospetto di tutti, si manifestava di principii opposti ai miei,
ed io sovente lo riprendeva alla presenza di familiari ed amici con
parole acerbe della sua irrequietezza, e delle pratiche che teneva con
persone troppo diverse da lui, per educazione e per nascita. Ancora:
dalle sue parole profferite nel calore della disputa ricavava lume per
conoscere i disegni del Circolo e degli apparecchi repubblicani, per
cui talvolta mi fu data abilità di prevenirli. _S. A. un giorno ebbe la
bontà d'interrogarmi su questa pratica; io le ne dissi la origine e il
motivo, ed essa mi parve approvarla_.[240]
D'altronde, prudenza così ammaestra operare. Gli uomini diventati o
pericolosi o potenti negli Stati bisogna opprimere, o amicarseli;
il primo partito è dei tempi del Borgia, la religione lo riprova,
non lo consente la indole toscana; molto meno la mia; importava
dunque li gratificando allontanarli. In questa guisa pertanto operai
Ministro, _e palesandone le ragioni alla Corona, ella mi parve andarne
persuasa_. Finchè il Governo starà nelle mani di gente esclusiva, agirà
e sarà odiato come fazione. — È intendimento elementare dei Governi
Costituzionali, accogliere negl'impieghi persone di varii Partiti,
onde l'uno all'altro non prevalga, e l'Autorità della Corona regga
entrambi equilibrandoli. Maestro di cosiffatto equilibrio fu Luigi
XVIII, e morì re. Carlo X e Luigi Filippo l'obbliarono, e morirono
esuli. La storia rammenta come egregia arte di regno la promozione
che fece Napoleone, ad ufficj supremi, degli stessi _Convenzionali_.
Però, e l'Accusa lo prova, pochi furono dal Governo conferiti impieghi
a cui parve procedere infesto al Principato, e con qual mira, e da
quale necessità costretto, già esposi; e che il disegno non fallisse
dimostrò il successo, dacchè tolto dal Circolo il Mordini, e dei più
capaci alcuni amicati al Governo, altri espulsi, andò di giorno in
giorno declinando, agitandosi alfine con rabbiosi, ma disperati conati.
In breve vedremo come i Demagoghi contro me si sbracciassero, perchè
alla mensa degl'impieghi non convitassi i puri Repubblicani; ed anche
in questa parte mi trovo fra incudine e martello.
L'Accusa afferma avere goduto il Niccolini la mia confidenza, e avergli
io pagato nel 13 febbraio dieci monete. Si è veduto se Niccolini
potesse essermi amico: egli mi fu soverchiatore, esploratore, e nemico,
ora coperto, ora palese. Quando potei lo bandii, nè egli si richiamò
della offesa, come altrove esporrò con larghezza maggiore. In quanto
alle dieci monete che ordinai pagassersi al Niccolini, e' fu appunto
per non serbare obblighi seco, il quale per insinuarsi nell'animo del
mio giovane nepote, o per altra causa che il muovesse, volle donargli
una carabina, e questi vago di armi accettò. Io come prima lo vidi,
instai a che, o si riprendesse la carabina, o ne accettasse il prezzo:
dopo averlo rifiutato, egli alla fine accettollo; ed io, che non avevo
la moneta addosso, gliela feci pagare in dieci francesconi dallo Adami,
perchè convivendo meco egli mi andava debitore della sua quota di spese
di casa. — La carabina deve essere stata rinvenuta nella stanza di
Palazzo Vecchio abitata dal giovane. I conti col signore Adami nè anche
adesso sono fatti, nè si fecero mai, onde io non potei accorgermi se mi
avesse portato a debito, come doveva, le L. 66. 13. 4.
A confermare questa spiegazione agevole e piana, concorrono il modo
confidenziale del biglietto: — _Adami. Paga dieci scudi a Niccolini.
Guerrazzi_; — che dimostra come io m'indirizzassi all'amico, non al
Ministro, e la omessa indicazione dello uso della moneta, il quale è
costume specificare quando si tratta di pubbliche spese; e finalmente
io credo, che non sieno mancate testimonianze validissime intorno alla
verità del fatto: nonostante l'Accusa tiene in tutto e per tutto le
pugna strette, quasi paurosa che schiudendole un poco si volino via le
raccolte incolpazioni. Dieci scudi? E in questa somma l'Accusa presume
vedere la giusta mercede di una rivoluzione? — Per amore del cielo,
non faccia credere queste cose l'Accusa, imperciocchè se le rivoluzioni
fossero a tanto buon mercato, correremmo pericolo pei tempi che volgono
che se ne aumentasse prodigiosamente il numero dei _consumatori_!
§ 4. _Lettera al Sig. Giovan-Batista Alberti Prefetto di Arezzo._
Questa lettera è riportata nel § 25 del Decreto del 7 gennaio 1851;
e dice così: «Il Granduca è fuggito da Siena: ignorasi dove si sia
ridotto. Prima di partire ha dichiarato annullare la Legge intorno alla
Costituente. Il Ministero convoca le Camere e dà la sua dimissione.
Sarà instituito _necessariamente un Governo Provvisorio_. Si circondi
dei Patriotti più caldi dello amore del Paese. Prenda i provvedimenti
che in simili casi straordinarii persuade la necessità. Se avvengono
_reazioni_, si comprimano ad ogni costo, sotto la sua personale
responsabilità. Crei una Commissione di salute pubblica; energia, e
vigore; viva la _Patria_. I Principi se ne vanno, ma i Popoli restano
ec. — Firenze, 8 febbraio 1849, — 5 di mattina.»
Il Decreto afferma che per questa lettera si dichiara come per me
si reputasse ormai la Monarchia cessata in Toscana. A me pare che
questa lettera non dimostri altro, tranne la mia ansietà e la mia
diligenza che in tanto sconvolgimento la Patria non s'infamasse con
azioni scellerate. In che e come nuoce cotesta lettera? Forse, perchè
porgevo avviso al Prefetto dell'operato della Corona? Ma la stessa
Corona voleva si rendesse palese, e presto. Forse perchè presagivo
la elezione del Governo Provvisorio? Ma questa ormai era diventata
politica necessità; e il Giornale dei _Conservatori Costituzionali_
annunziava essere _nella mente di tutti_. Forse per la notizia dello
allontanamento della Corona? Ma se si era allontanata! Forse perchè non
indicavo il luogo dove si era ridotto il Principe? Ma nè il Principe lo
diceva, nè sembrava egli stesso saperlo. Forse per la raccomandazione
di circondarsi di Patriotti caldi dello amore del Paese? O di chi
doveva circondarsi? Di quelli che gli volevano male? E ci erano. Forse
per le pressanti istanze onde i moti reazionarii non avvenissero, o
avvenuti si comprimessero? — Qui giova fermarci alquanto, e chiarire
per bene questa materia.
I Documenti dell'Accusa, noi lo vedemmo, ritengono il Ministero nostro
come uno di quei parti mostruosi a cui le balie devono lasciare
sciolto il bellíco: egli ebbe prima il torto di vivere; poi subito
quello di non farsi ammazzare di buona grazia, persuaso, come doveva
essere, di nascere in peccato originale: però anche allora, agli
occhi dell'Accusa, fu colpa opporsi ai moti reazionarii; bisognava
non impedirli, anzi dar loro comodo di operare con sicurezza piena. Se
l'Accusa così pensa di me mentre fui Ministro, immaginate un po' voi
che cosa pensi quando mi vollero parte del Governo Provvisorio! Ed io
apertamente dico all'Accusa, che pessimo argomentare è cotesto suo.
— Non si dissimulino le cose, ch'è vano e non plausibile conato: la
verità si ricerchi, e si dica. Il Principe parte da Siena, aborrendo
_reazioni e sanguinosi conflitti_; e l'Accusa invece non vuole che le
reazioni, i conflitti sanguinosi, nè la guerra civile s'impediscano;
e perchè? Perchè crede che tutte queste cose la causa del Principato
favorissero. Dio ci liberi dalle offese, — ma ed anche dalle difese
dell'Accusa!
Dunque il Principe, a mente dell'Accusa, sta con la reazione? La Corona
(e lo dovrebbero sapere i Magistrati) non istà con i reazionarii,
nè con i Repubblicani; sta con la Costituzione. Ma i Giudici sanno
eglino reazione che sia? Sanno eglino come proceda? La reazione è
ripristinamento dell'odioso dispotismo, e del suo tristo corteggio,
co' modi che la umanità aborrisce, e la morale condanna. Ora in
Toscana, per la Dio grazia, non erano soltanto due Partiti estremi,
ma prevaleva, mentre io vivea nel mondo, il terzo Partito degli amici
delle Libertà Costituzionali _più o meno largamente intese_. Ricordano
i Giudici come la reazione operasse nell'Aretino nei tempi passati?
Forse lo hanno dimenticato; mi concedano che lo richiami loro alla
memoria.
«Nella vigilia dei santi Apostoli Pietro e Paolo (28 giugno 1799), allo
incessante rimbombo dei colpi da fuoco e dei _Viva Maria_, il Popolo
_sanese_ accorre in folla; e si unisce co' suoi _vendicatori aretini_;
nei suoi primi slanci si scaglia contro coloro che stimava non
semplicemente avversi alla religione cattolica, ma occulti cospiratori
per abbatterla, quali sono i _giudei_; pone quindi a _sacco_ qualche
bottega, e qualche casa di essa; _alcuni ne uccide e gli aborriti
cadaveri getta sul fuoco_!....»
Sanno i miei Giudici, che fece la reazione nella inclita città
di Siena nel medesimo tempo? A Siena furono gettati _cinque ebrei
vivi_ ad ardere sul rogo acceso su la piazza maggiore davanti alla
immagine della Madonna, che sta a piè della Torre, e allo Arcivescovo
Zondadari!! Questi fatti i Giudici possono ritenere per veri pur
troppo, imperciocchè vengano narrati dal Canonico Giovanni Battista
Chrisolino dei Conti di Valdoppio, parroco della Cattedrale aretina, a
_gloria_ (com'egli dice) di _Maria Santissima del Conforto_, stampati
in Città di Castello nel 1799.
Cotesti immani uomini, siffatte nefandità commettendo, invocavano il
nome della _Consolatrice degli afflitti_; sarebbesi dovuto lasciarli
fare, nella fede che ciò operassero a maggiore gloria della Madre
di Dio? — Anzi imparo, fremendo, come nell'Agro aretino fare _Viva
Maria!_ significhi portare le mani ladre nella roba altrui. Ora i ladri
e i violenti sol perchè gridino _Viva Maria_, o _Viva Leopoldo II_,
voglionsi venerare per santi, o lodare per leali?... Vergogna per tutti
queste cose, non che dire, pensare; per Magistrati poi enormezza!
Sanno i miei Giudici, che cosa operasse la reazione nel 1849 a Empoli,
a Lucca, nell'Aretino e altrove? Certo prendevano a pretesto il nome
del Principe, ma le case incendiavano, le strade rompevano, le imposte
ricusavano, dalla patria difesa aborrivano, straniere dominazioni
macchinavano, ruberie e ferimenti commettevano, terre e castelli di
assaltare tentavano. — Io non ho gli Archivii, ma se giustizia vive nel
mondo mi verranno finalmente concessi, e allora si conosceranno le mene
delle Provincie, e chi le suscitasse, a qual fine tendessero, non meno
che gli sforzi dei Giusdicenti a reprimerle. In tanta deficienza giovi
non ostante favellare di alcuno.
«Nella sera del 12 febbraio, un piccolo pugno di scioperati, e avversi
al Paese, non che al proprio interesse (non però dimoranti a S.
Miniato, o appena 8 o 10), concepito il vandalico disegno di troncare
e _guastare la linea ferrata in quel tratto di pianura, che giace fra
l'Arno e il posto della Scala_, si recarono alla Parrocchia di S. Piero
alle Fonti; ove di prepotenza vollero suonare la campana a martello,
nella speranza che i contadini, ed altri popolani accorsi al suono,
gli avrebbero secondati. Ma gl'intervenuti, comunque numerosi....
altamente biasimarono, e, protestando non volere dare mano a opera
tanto nefanda, si dileguarono. I pochi facinorosi, vedutisi delusi,
si dettero con _forsennate grida, e con fiaccole_, a fare proseliti
lungo la strada nel punto che passa la parrocchia della Isolata, quando
per l'unione di altri male intenzionati si lusingarono potere dare
principio; gl'Isolani in numero di circa 60 si fanno loro incontro
a passo di carica, e fatto alto al cancello della strada ferrata,
esplodono in aria i fucili. Ciò bastò, perchè i perversi e i faziosi
estinte le fiaccole si disperdessero, dandosi a fuggire per le vie
traverse, temendo essere inseguiti. A S. Miniato appena ebbesi contezza
dell'accaduto, la indignazione dei cittadini contra questi perturbatori
dell'ordine, fu universale; e già molti volenterosi avevano preso le
armi per discendere al piano ec.» — (Lettera del signor Carlo Taddei al
prof. Giovacchino Taddei. — Vedi _Monitore_ del 17 febbraio 1849.)
Tutti i Documenti dell'Accusa riportano lo incarceramento dei
Parrochi, e di altra gente, ordinata dai signori Montanelli e Mazzoni
in premio, essi dicono, _della gioia che le popolazioni circostanti
a Firenze, nella purezza dell'animo, mostrarono con innocenti e
festive dimostrazioni_ allo annunzio del ritorno del Granduca. Di
questo incarceramento io non so; ma so, che un Lally Tolendal viene
celebrato per le storie, come quello che nelle prime commozioni di
Francia ebbe il coraggio di proporre un proclama col quale esortavasi
il Popolo a non insanguinare le mani, e lasciare libero il corso alla
giustizia. Il Bailly intendendo a salvare la vita al Bertier, ordinava
che lo trasportassero alla Badia, e quivi lo custodissero prigione;
se non che fece tronco quel disegno la plebe, la quale avventandosi
in Piazza della Greve contro cotesto sciagurato lo ridusse a morte.
Assai più notabile è il caso del Foullon. Lafayette, di cui certamente
non vorrà negare alcuno la nobiltà del carattere, e lo amore degli
uomini, per sottrarre dalle mani del Popolo furibondo il Foullon,
trovò il consiglio di mostrarglisi acerbamente crudele: «Ed io, diceva
arringando la moltitudine, lodo il furor vostro; sempre ebbi in odio
costui; lo reputo perdutissimo uomo, e non credo che possa immaginarsi
pena che uguagli al suo fallire.... Però badate; egli ha da avere
complici, e non pochi: importa conoscerli; intanto io farò trasportarlo
alla Badia: quindi lo processeremo, e condanneremo alla morte infame
che si è meritata pur troppo.» Il Popolo persuaso applaudiva, quando
il Foullon, indovinando il segreto concetto del Lafayette, ebbe la
inavvertenza di fare plauso anch'egli. Allora il Popolo si ravvisava,
una voce sinistra sorse a gridare: «sono d'accordo!» e il pietoso
trovato del Lafayette riuscì invano. — Inoltre, cosa nè singolare, nè
inusitata presso i Governi, è schiudere la carcere come asilo supremo
ai perseguitati... e me pure pretesero dal fiorentino Popolo.... Ma di
questo più tardi. Che tale poi fosse lo scopo del Montanelli, me ne
persuadono e la indole mite di lui, e il nessuno aumento, per quanto
io sappia, del martirologio in Toscana.... e i successi che stiamo per
esporre.
Intanto, è mestieri affermare apertamente, che le tinte, di cui
l'Accusa colora il tumulto del 21 febbraio, sono false e smontano al
sole. Se cotesto moto avesse presentato il carattere che immaginano,
o come la città di Firenze sarebbesi tutta levata a reprimerlo? Nè
il tumulto si rimase a così tenere dimostrazioni; però che io leggo,
egli acclamasse ai nemici della nostra Patria, e seppi con certezza
come gli ammotinati s'indirizzassero contro la città con urli di
minaccia, e spari di schioppo. La Guardia Civica non pare che andasse
persuasa troppo della purezza dell'animo di cotesti innocentissimi,
dacchè accorse _spontanea a ributtarli_ con le armi, e accorse ancora
spontaneo e furibondo il Popolo fiorentino. L'azione del Governo non
fu di eccitare, ma di risparmiare la effusione del sangue, trattenendo
la moltitudine da mettere le mani violente nella vita altrui, ed
ostando che gli arrestati a furia di Popolo si manomettessero.[241]
Il Montanelli, comunque infermo, sorse dal letto e vi si adoperò,
oltre quello che parevano consentirgli le forze. Funesta notte poteva
essere quella, e madre di assai più terribile giorno: quando il sig.
Montanelli non avesse altro merito, parmi che Firenze dovrebbe benedire
il suo nome. Adesso corre il tempo della ingratitudine; ma i tempi non
vanno sempre ad un modo; e chi ha bene operato può aspettare nella
tranquillità dell'animo, che gli sia resa giustizia un giorno, e da
tutti. — Ora, considerati i Rapporti di Polizia, il consenso spontaneo
ed universale della Civica e del Popolo fiorentino, nello avventarsi
contro i campagnoli tumultuanti, parmi che si possa concludere con
una di queste due cose; o che il moto del 21 febbraio non presentava i
caratteri attribuitigli dall'Accusa, o che nè i tempi erano quelli, nè
i modi per operare la restaurazione del Principato Costituzionale.
E anche ad Empoli, negli avvenimenti del 12 febbraio, i facinorosi
gridavano: _Viva Leopoldo II!_ e intanto la Stazione bruciavano, e la
strada ferrata rompevano. Ho sentito dire che si scusassero col timore
che i Livornesi sopraggiungessero, ed hanno accettato la scusa; ma,
in grazia, la Stazione con la strada come ci entrava ella? E nel 23
febbraio, quando gli Empolesi, minacciando rinnuovare gli attentati
medesimi, vi fecero accorrere pronta e spontanea la brigata delle
Guardie di Finanza di Firenze, avevano sempre paura dei Livornesi?
No. La verità è che uomini avversi più che al Governo alle persone
di quelli che lo tenevano, eccitarono le passioni delle moltitudini,
e queste, fiduciose della impunità per la dissoluzione del Paese,
non pure trascorsero al guasto della strada ferrata e allo incendio
della Stazione, ma posero in compromesso la proprietà degli agitatori
medesimi. Il Popolo di Empoli, dedito al commercio dei trasporti più
di ogni altro, ebbe a patire danni per la costruzione della strada
ferrata, e l'odiò allora, e forse l'odia anche adesso; solito effetto
della nuova industria che disagia o rovina l'antica. — Tutte queste
cose sapeva, e le dissi apertamente in faccia agli Empolesi; però
nessuno si dolse di asprezze per parte mia, nè fu ricercato per negozii
politici, e tutto a tutti rimisi, salvo delitti comuni; ed ecco come
favellai ai Deputati di Empoli venuti a Firenze per condannare le
grida _non consentanee_ ai tempi levate dalla gente empolese, e per
_respingere da sè_ il fatto della strada ferrata:
«I fatti di Empoli commossero a dolore il Governo Provvisorio, a
sdegno la Toscana tutta. L'essere usciti in parole non consentanee ai
tempi, e in atti di ferocia contro le cose e le persone nella sera
del decorso venerdì, affligge non solo quanti amano _le istituzioni
e i governi liberali_, ma quanti hanno _senso di umanità_. Lo
incendio della Stazione è siffatto eccesso, che parrebbe incredibile,
se non fosse avvenuto alla distanza di poche miglia da noi. Ben
fa il Paese a respingerlo da sè. Così si mette d'accordo con la
pubblica opinione che lo ha fulminato con la sua disapprovazione.»
E continuavo confidando che gli uomini più autorevoli di cotesta
illustre terra «raccomanderanno al Popolo di quella e delle adiacenti
campagne l'_amore all'ordine_, che ogni Partito dee rispettare; _la
tolleranza delle opinioni_, che i soli illiberali possono respingere;
la _concordia_, che i soli fautori degli Austriaci possono odiare;
il _rispetto_ alla _proprietà, e soprattutto alla strada ferrata_,
che solo l'uomo nomade può _guardare di mal occhio; la quiete e la
sicurezza_, che sole possono mantenere la floridezza di quel Paese ec.»
— (Vedi _Monitore_, 16 febbraio 1849.)
A Castelfranco-di-sopra le _turbolenze_ presentarono tale carattere
da indurre il Gonfaloniere e la Guardia Civica a interporre le loro
premure affinchè cessassero. Colà il Governo non mandò forza; _i
Cittadini stessi compresero la necessità di prevenire disordini, e vi
si adoperarono con frutto_. — (_Monitore_, del 26 febbraio 1849.)
A Castelfranco-di-sotto, nel 9 febbraio, successero moti così gravi
che la Guardia Civica ebbe a impugnare le armi e combattere; alcuni
Civici rimasero feriti. I Rapporti di Polizia autorizzarono il Governo
a pubblicare la seguente notizia nel _Monitore_ del 14 febbraio
1849: «In Castelfranco avvenne un movimento in senso _retrogrado_.
La Guardia cittadina accorse numerosa a reprimere il disordine,
sebbene ne _patisse danno_. — Il sangue uscito dalle vene dei Civici
di Castelfranco è una offerta fatta alla causa della _nazione e
dell'ordine_. Perchè i buoni cittadini non si affrettano a respingere
questi movimenti? Qui non si tratta di quistione di _forma governativa.
Il nome di Leopoldo è un pretesto per violare la proprietà, per
saccheggiare le case, e per uccidere i migliori cittadini!_ — Il
movimento non è politico, ma anarchico: non si combatte per un Governo
contro un altro, ma per non averne nessuno. Il Governo vuole l'ordine,
perchè la Legge abbia forza e sia salva la Patria. I cittadini devono
volere l'ordine per la sicurezza della Patria non solo, ma ancora
per quella dei proprii giorni e delle proprie sostanze. — Vogliono i
cittadini che la Toscana sia invasa da continui ladronecci? Vogliono
che Austria speri nelle nostre contese le sue vittorie? — _Morire per
l'ordine è morire per la Patria_. Ritenga i poveri dall'anarchia il
pensiero che il Governo si adopera per diminuire la miseria; muova
i ricchi a resistere alla _reazione_, il senso dell'onesto, l'amor
patrio, il proprio interesse.»
In Prato si tentavano disordini contro la strada ferrata Maria
Antonia, della specie di quelli di Empoli. Le Autorità e la
Commissione Governativa seppero prevenirli con prontissimi e gagliardi
provvedimenti. (Vedi _Monitore_, 16 febbraio 1849.)
A Cascina incendiavano la Stazione della strada ferrata. «Nel mio
passare ho trovato la Stazione di Cascina in fiamme. Spegnere lo
incendio era impossibile, perchè la Stazione era presso che distrutta.
Io seguito il mio viaggio, appena avrò preso alcuni concerti col
Pretore di Pontedera. — Al Ministro dello Interno. — PAOLI.[242]»
Finalmente a Lucca la strada ferrata a furia di Popolo disfacevano.
Del contado di Arezzo più tardi. Dovevano dunque lasciarsi fare?
Stare a vedere le genti sbranarsi, battere le mani agl'incendii,
plaudire ai saccheggi, con sempiterna infamia assistere, neghittosi,
al sobbissare del Paese? E queste cose con serena fronte profferiscono
Magistrati toscani? E, nel pretenderle, il loro cuore nei loro
petti sta saldo? Dunque, a mente di loro, la bandiera cuopre sempre
comecchè perfidissimo il carico? La marca basta per garantire la
merce falsata? Non così, per onore del nostro Paese, la intendono
tutti i Magistrati toscani. La Corte Regia di Lucca, con Sentenza del
4 giugno 1850, decidendo intorno alla spedizione di Capannori e di
Porcari, ha dichiarato che: «Essendo diretta a ricomporre in quiete e
all'ordine la provincia.... di comprimere ogni reazione che minacciasse
disorganizzare lo Stato, e di risparmiare, allontanandone il pericolo,
le calamità di mutue stragi.... e non tendente a rafforzare il Governo
nel male acquistato potere.... comparisca ragionevole ritenere che il
Governo stesso non si allontanò da quella linea di condotta che la
necessità della precauzione e le regole della prudenza consigliano,
e che in pariforme caso un Governo, anche legale, avrebbe, senza
esitazione, abbracciata.»
Perchè la Verità dorrebbe preferire le sponde del Serchio a quelle
dell'Arno? — Così è: come a Lucca, accadeva da per tutto. Le agitazioni
politiche già già destavano le furie socialistiche. Commosso da
apprensioni terribili, oppresso da fatiche, a cui sembrava impossibile
che uomo potesse durare, io mandava un grido di desolazione col
Proclama del 16 febbraio 1849: «La nostra bella contrada si disfà, se
quanti hanno cuore italiano non sorgono animosi a salvarla. Bande di
facinorosi, col pretesto della _fuga di Leopoldo II_, ed anche senza
pretesto, irrompono al saccheggio e allo incendio. Il Governo ha
represso gli scellerati, e saranno puniti.»
In cotesti tempi, per così vigile provvedere, persone onorevolissime mi
levarono a cielo; nè fra queste mancavano parecchi membri del Municipio
fiorentino, e il suo egregio Capo. Alle mie dichiarazioni che la mia
natura, vinta dal travaglio, stava per soccombere, allibivano; e primi
fra gli altri, gli antichi impiegati, gli stessi servi della granducale
famiglia, a mani giunte, mi supplicavano a non gli abbandonare.
Sapevano ben essi quali sorti gli aspettassero! Ahimè! Come mai tutte
queste fatiche, cure e pericoli adesso, a un tratto, diventarono
delitti?
Fra tante, e solennissime tutte, testimonianze, mi giovi allegare
quella del signore Allegretti, e ciò per due ragioni; la prima, perchè,
preposto allora, e credo anche adesso, nel Ministero dello Interno alla
Sezione della Polizia, giudicava dei tempi con esattissima cognizione
delle cose; la seconda, perchè dall'attuale Governo adoperato e
promosso non può neanche dalla ombrosa Accusa reputarsi sospetto.
Almeno così parrebbe che da costei si potesse sperare. Scrivendo
pertanto il sig. Cav. Segretario Allegretti al sig. Biavati di Lucca
lettera confidenziale sul principiare del marzo 1849 così si esprimeva:
«_essere io stanco di cotesto stato di cose, avere minacciato
andarmene, e laddove questo avvenisse, grandi guai sarebbero caduti
addosso alla Toscana_.» Io poi non dubito nella onestà del signore
Segretario Allegretti, che egli non sia per commentare largamente a
voce quanto scrisse, e credo che come compiacenza all'animo, gliene
verrà lode dai suoi Superiori, cui certo non può piacere la selvaggia
e veramente smodata persecuzione dell'Accusa.
Nella lettera scritta al signor Prefetto di Arezzo si avverta,
all'opposto, che non vi si parla di decadenza del Principe, nè di
Repubblica; anzi, non vi si adopera espressione offensiva alla Corona;
le quali cose stanno a dimostrare che io la dettai quando mi trovava
abbastanza libero di me, nè mi si teneva accalcata e furiosa dintorno
la fazione a impormi frase e concetto di quanto, prepotentissima, ella
ordinava di poi. Che se fa amarezza la frase: «i Principi se ne vanno,
il Popolo resta,» hassi a riflettere in prima, ch'ella suona piuttosto
cruccio o dolore, che esultanza per la partita del Granduca; e poi,
che essendo quel Dispaccio dettato, lo scrivente poteva avervi messo
coteste parole che furono dette in quella notte, e ripetute il giorno
successivo nel Parlamento; e in quanto a leggere prima di firmare,
davvero, mancava il tempo e la voglia. — Però se l'Accusa intendeva a
penetrare l'animo mio in cotesta occasione, sembra che avesse dovuto
fondarsi in preferenza sopra gli _autografi miei_.
«Il Consiglio dei Ministri al Governatore di Livorno. — Il Granduca ha
abbandonato Firenze e Siena. Non _si sa_ dove si sia ritirato con la
famiglia. Scrive non volere approvare la Legge della Costituente. Il
Ministero convoca le Camere, e si dimette. Si _prevede_ la elezione
di un Governo Provvisorio. Raddoppi le guardie alle porte. Chiami
a sè gli Ufficiali della Civica e della Linea. Si assicuri delle
Fortezze. Appello ai cittadini di stare uniti per prevenire qualunque
_avvenimento doloroso_. Energia, attività, e si _salvi ad ogni costo il
Paese_. — GUERRAZZI.»
Al Maggiore Fortini nel giorno _8 febbraio 1849, ore 7 antimeridiane_:
«Soldato e Cittadino, come ella è, farà in modo che col Governatore e
il Comandante la Piazza sieno religiosamente mantenuti tranquillità e
ordine. — GUERRAZZI.»
Altro Dispaccio parimente autografo:
«Il Consiglio dei Ministri al Prefetto di Pisa. — Il Granduca è fuggito
da Siena; non _si sa_ dove siasi ritirato con la sua famiglia. Scrive
disapprovare quanto ha consentito circa alla Costituente italiana. Il
Ministero convoca le Camere, e si dimette. Si _prevede_ la elezione
del Governo Provvisorio. Chiami intorno a sè gli Ufficiali della Linea
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