Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 33
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gli tornasse spiacente io non voleva, e cosa che a me e ad altrui
nuocesse io non poteva. Giunto a Firenze nel giorno _18 febbraio_
il Dispaccio nel _17_ mandato da Grosseto, che instava, affinchè al
Pretore del Porto San Stefano le istruzioni domandate fino dal _12_ del
mese stesso si mandassero, il signor Marmocchi, il quale esercitava
allora l'ufficio di Ministro dello Interno, meco per certo ne avrà
conferito, e con altrui. Nel Volume dei Documenti occorrono di mio
carattere due scritti relativi a questa lettera: il primo veramente è
appunto come per ordinario ponevo nel margine dei Dispacci, contenente
il concetto della risposta, che si doveva fare; il secondo è copia
precisa della lettera mandata.
Lo appunto dichiara: «Le istruzioni furono date. Se S. A. ama,
come dice, il Paese, repugna alla dignità e lealtà sue rimanere in
parte ove serve di bandiera alla guerra civile. Rammenti, che la
situazione attuale del Paese fu creata da lui, non già dal _suo Popolo_
innocentissimo.»[451]
La copia della lettera del _19 febbraio_ suona in diversa guisa:
«Approvansi i suoi provvedimenti. Noi corriamo alla frontiera dalla
parte di Massa. Colà urge il pericolo. Leopoldo penso che attenda
a fuggire. Mandi a Orbetello, a Massa, San Filippo, e Rocca Santa
Caterina. Il Pretore di Santo Stefano si porti dal Granduca, e
gli dica, che il Governo, eletto dalle Assemblee e dal Popolo,
gli partecipa che la reazione non può avere luogo; che la sua
presenza ecciterà, come ha eccitato, qualche facinoroso al delitto;
che è indegno di Principe cospirare a turbare l'ordine, che dice
raccomandare. La nazione giudicherà di lui come Sovrano. Il Pretore
faccia il suo dovere; se non può farlo protesti all'Ammiraglio, che con
la minaccia dei cannoni inglesi s'impedisce il Magistrato ad eseguire
gli ordini del Governo.»[452]
Ora parmi chiaro, che meco conferendo e con altri il Ministro dello
Interno ricevesse commissione di comporre il Dispaccio dietro le
traccie dello appunto trascritto sopra la lettera del signor Mancini
del _12_. Questo naturalmente successe nelle prime ore del giorno _18_,
dopo lo arrivo della posta. I casi avvenuti in cotesta fiera giornata,
le ardenti accuse mosse contro il Governo di avere con negligenza
colpevole somministrato motivo alla guerra civile, e la necessità di
difenderci all'uopo da persone, che si erano arrogate il diritto di
sorvegliare i nostri atti, i nostri moti di ora in ora, e perfino
di minuto in minuto, persuasero di certo alla svegliata prudenza
del signor Marmocchi di mettere nel Dispaccio parole più colorite,
e provvedimenti, che nè allora seppi, e neppure adesso so che cosa
mai potessero importare. Lascio, come anche ora che scrivo, frugando
nella mia mente, Rocca Santa Caterina che sia, del pari ignoro; bensì
chiunque abbia intelletto di stile, di leggieri comprende, che la copia
della lettera del 19 non è mio dettato.[453] Interrogato il Ministro
circa il Dispaccio trasmesso, io, secondo ch'egli mi veniva dicendo,
scrissi su i margini della lettera del signor Prefetto, onde potere
mostrare ai miei _Inquisitori_ come le istruzioni fossero date, e
quali: molto più, che difetto nel mandarle vi era, ed aveva mestieri
schermirmi da giusto rimprovero d'inerzia.
Arrogi quello che soventi volte ho dichiarato, non correre nè
potere correre allora stagione opportuna a restaurare il Principato
Costituzionale pochi giorni dopo che egli lasciava il campo, senza
fare neppure le viste di resistere a parte repubblicana. Ella è follia
espressa pretendere quiete il giorno seguente alla rivoluzione. La
Inghilterra, che stette ferma all'urto della rivoluzione francese del
1830, pure, a giudizio di Lord Melbourne, durò per bene quattro anni a
tentennare.[454] Nè questo è tutto: distraendo in altra parte le forze
che tenevo apparecchiate col Generale D'Apice per impedire tumultuarie
aggressioni contro Porto Santo Stefano, molte e gravi fortune potevano
accadere alle quali importava grandemente ovviare. Come le terre di
Maremma ardessero tutte, abbiamo veduto; certo La Cecilia le descrive
diverse, ma altri dissente da lui; varii i giudizii secondo le
impressioni; bensì il fatto dimostra che meglio i secondi opinassero,
dacchè per le città e terre di Maremma, non annuente il Governo,
vollero proclamare la Repubblica, e la proclamarono; e al Porto Santo
Stefano eziandio, appena ebbe quinci rimossi i piedi il Granduca.
Pertanto considerando maturamente la qualità dei successi, i tempi
fortunosi, i pericoli, la inanità, anzi il danno espresso di rimontare
contro pelo la corrente quando strascina più rapida, e la sicurezza
di riuscire dando tempo al tempo, e modo di riaversi con la quiete
consigliera di giusti partiti ai Toscani tutti, costituzionali ed
anche esaltati, io per me, se avessi tuttavia seduto nei Consigli della
Corona, le avrei detto:
«Altezza. L'autorità che, debole e disarmata, non senza sforzo reggeva
all'urto della Fazione avversa al Principato, impossibile parmi che
possa ricuperarsi adesso per forza, adesso che di propria mano ha
schiuso la porta ai suoi nemici. Che la Toscana per la massima parte,
e gli uomini di senno pressochè tutti, sieno del costituzionale
reggimento tenerissimi, V. A. lo sa, lo ha veduto, senza timore
d'inganno lo ha detto più volte, ed è vero così. Si danno epoche
per la umanità, che io volentieri chiamerei di contagio politico;
e la presente è fra quelle: testimone la Europa. Quali argomenti si
adoperano contro il contagio? Giova talvolta sostenerne imperturbati
lo assalto, e, senza lasciarsi sbigottire, far prova di vincerlo col
valore e con l'arte; tale altra parve più utile scansarsi, aspettare
che la malignità dell'aere cessasse per tornare poi nelle purificate
dimore. Praticare in un punto questi due partiti è impossibile. Del
presente stato male s'incolperebbe tale o tale altro uomo, tale o tale
altro Popolo. Stupidezze di menti meccaniche sono queste. Siffatte
perturbazioni politiche non dirò che sopraggiungano alla sprovvista
per tutti, bensì sempre ai Governi fatali, generate di lunga mano, per
molti umori disposte, come sarebbero appunto le pestilenze ed altre
maniere di perturbazioni fisiche. Ora poichè dei due partiti fu scelto
quello di scansarci, scansiamoci, e provochiamo da questo i frutti che
ne dobbiamo raccogliere, i quali, a senno mio, matureranno presto, e
felici se lasceremo gli esaltati a straccarsi nello inane tumulto, se
torremo loro prudentemente dinanzi gli argomenti i quali, gittandoli
a disperate risoluzioni, chiuderebbero loro al rinsavire ogni via;
in qualunque Stato che muti forma di reggimento con sicurezza di
durata, il trapasso dal vecchio al nuovo noi vedemmo sempre doloroso
per necessarii subugli; immaginiamo ora se accadrà di quieto questa
trasformazione priva di potenza vitale. Voi vedrete i neghittosi
diventare prodi per lo spavento della prossima anarchia. Tutto il
male sarà attribuito alla Rivoluzione; ogni speranza di pace riposta
nella restaurazione del Principato Costituzionale; dalla speranza al
desiderio, dal desiderio al bisogno di ristabilirlo è brevissimo il
tratto, se pure tratto ci corre; il moto poi riuscirà irresistibile,
imperciocchè gli avversarii non pure troverete avviliti negli sforzi
infecondi, ma vinti dal sentimento della propria impotenza, ed è questa
fortuna suprema nelle faccende politiche dove la forza doma, ed anche
per poco, — non vince; i traviati troverete all'abituale devozione
ricondotti, gli ignavi, scottati dall'acqua calda, solleciti ora a
guardarsi anche dalla fredda; riassicurati i timidi; tutti acclamanti;
gli amici vostri, non della vostra fortuna, esulteranno e procederanno
modesti; gli amici della vostra fortuna, e non di voi, si mostreranno
insolenti, e voi con la prudenza e gravità vostre ne saprete tenere
corti gli ugnoli. Fra pochi mesi V. A., tornando chiamato dal voto
universale della Nazione, esclamerà: io ne vado sicuro, come Carlo
II reduce a Londra, che suo fu il torto di andarsene o di non essere
tornato più presto fra Popoli amatissimi e amantissimi.[455] Ogni altro
consiglio, Altezza, come pernicioso a Voi, esiziale alla autorità che
importa ricostruire, nemico al Popolo, deh! vi scongiuro, rifiutate.
Ricondotto dalle armi, e sieno pure piemontesi, aprirete nel cuore
delle genti una ferita che per tempo non sana, e gli esempii del secolo
ce lo hanno fatto vedere.[456] Confidando nei moti interni, adesso
che la febbre dura, avverto, che per lo meno insorgeranno contrasti,
e questo è ciò che ho dimostrato doversi prudentemente evitare,
conciossiachè l'uomo, animale di contradizione, soglia, per contrasto,
ostinarsi, e, per offesa, nello errore confermarsi. Nè sono a temersi
contrasti ed offese individuali soltanto, ma nascerà, e già è nata
la guerra civile, di cui V. A. ha meritamente ribrezzo: l'anarchia
stenderà, e già ha cominciato a stendere, le mani ladre, e, orribile
a dirsi, alza l'augusto vostro nome a bandiera! Altezza, se orrore di
sanguinosi conflitti l'animo vostro mansueto persuase ad allontanarvi
da Siena, deh! considerate che, a cagione della presenza vostra a Santo
Stefano, questi conflitti.... per ora.... non cessano.... ma crescono;
— dacchè, durando le cause che in questo momento li provocano, anzi
essendo diventate maggiori, la distanza di poche miglia non può avere
virtù di spegnerli. Sceglieste il partito di dare tempo al tempo; io lo
avrei combattuto con tutte le forze prima che voi, Altezza, lo aveste
preferito; ora che lo sceglieste, giova seguirlo; se non m'inganno,
ormai è quello che vi ricondurrà con pace nell'onorato seggio: mite
foste, mite mantenetevi; gli altri consigli rigettate, però che se
per essi (cosa che adesso subito parmi ad accadere difficile) vi fosse
restituito lo scettro.... V. A. lo rigetterebbe da sè perchè sarebbe
insanguinato.»
Così con non savie forse, ma affettuose parole, io avrei favellato
a Leopoldo II, se mi fosse stato concesso recarmi a Santo Stefano; e
questo era il concetto che in nota succinta registrava il 18 febbraio
1849 sul Dispaccio inviato al Governo dal Consigliere di Prefettura di
Grosseto il 12 di quel mese.[457]
§ 6. _Motivi per muovermi contro il Generale Laugier._
Ora si voglia supporre per un momento, che stesse in facoltà del
Governo astenersi dalla Spedizione a Massa. Innanzi tratto, io vorrei
domandare se i Giudici credono davvero che quando un soldato alza una
bandiera, sia pure in nome del suo Sovrano, devano tutti sotto pena
di ribellione prestargli fede, e seguitarlo. Badino, che quello che
dicono, come pare, è veramente enorme, e potrebbe tirare grandemente a
male.
Per buona sorte servendo l'Accusa alla sua passione ha rinnegato la
scienza, ed ha commesso gli errori deplorabili, di cui, invocata la
dottrina dei pubblicisti, la incolpa l'Avvocato Adriano Mari nella
Difesa che presentò alla Cassazione per Leonardo Romanelli.
Il terreno che io ho da percorrere brucia: scerrò quello che scotta
meno; e dirò soltanto, che più meditava il Proclama del 17 febbraio
del Generale Laugier, meno mi riusciva intenderlo. Per nessun segno io
poteva ritenerlo sincero.
Infatti il Proclama dichiara, che il Granduca nello allontanarsi
da Siena aveva nominato un Governo Provvisorio: ora questo era
patentemente falso, nè conosciuto in quel tempo, nè mai; anzi
contradittorio con la lettera e con lo spirito delle dichiarazioni
granducali del 7 febbraio: con la lettera, perchè nulla contenessero
espressamente in proposito; — con lo spirito, perchè raccomandando a
noi i regii servi (e non invano), cosiffatta raccomandazione a privati
non si poteva indirizzare; e se il Principe avesse eletto un Governo
Provvisorio, noi privati cittadini ridivenivamo: inoltre pensava, che
se il Principe avesse lasciato qualcheduno a rappresentarlo, sarebbe
stato un Luogotenente, non un Governo Provvisorio. L'affermazione
del Proclama accennava a due cose: prima, a una menzogna; seconda,
ad uno errore commesso, o fatto commettere, perchè il Paese versasse
nell'anarchia. Sosteneva inoltre avere vietato alle truppe di
sciogliersi dal giuramento, ed anche di questo non era comparsa
notizia. — Della Commissione conferita al De Laugier, nessuno fu
avvertito dal Principe in modo autentico; in quanto a me, dopo l'ultima
lettera particolare del signor Commendatore Bitthauser da Siena, nella
quale mi si prometteva prossimo il ritorno del Principe, e intanto a
suo nome mi si raccomandava la quiete della città, non ebbi avviso di
sorta, neppure verbale. Nè anche Sir Carlo Hamilton mi riportò invito,
ordine, raccomandazione, o che altro, da Santo Stefano. Al Governo,
eccetto la lettera e la dichiarazione del 7 febbraio, non pervenne
altro atto dalla Corona direttamente nè indirettamente. Ma non soli
noi; non il Senato, non la Camera dei Deputati, non il Municipio,
nessuno insomma ricevè avviso, che appo loro accreditasse il contegno
del Generale Laugier.
Ingrate materie io tratto, e con ingrato animo; ma se dei generosi non
è spento il seme, ricorderanno, che io mi difendo da capitale accusa,
e deploreranno con me chi mi ha ridotto in questo non giusto stato. —
Sopra tutto mi faceva andare pensoso la chiamata dei 20,000 Piemontesi.
Gli uomini che presiedevano allora ai consigli del Re Carlo Alberto
si erano mostrati, non dirò poco benevoli, ma con mio sommo rammarico
avversi alla Toscana. In altra parte di questa Apologia ho favellato
delle quistioni col Governo di Piemonte poi confini; fu visto che
per comporre coteste faccende era stata proposta al Ministro Pareto
una commissione mista di Piemontesi e Toscani; accolto il partito,
riceveva un principio di esecuzione. Avenza (come ognuno conosce) fa
parte di Carrara: occupata prima dai Piemontesi, dopo l'armistizio
Salasco la sgombrarono: allora, gli Avenzini imploranti, presero
a presidiarla i Toscani. Il Piemonte a un tratto, sopportando ciò
molestamente, c'impone la uscita non senza aggiungere minaccie. A
questo punto, salito al Ministero io, trovai la quistione. Proposi
allora alla Corona saggiare un po' di quali frutti sarebbe stata
portatrice la Costituente, fino dal 12 Maggio 1848 da lei bandita fra
cotesti Popoli, opposta come mezzo di difesa al Piemonte; e piaciuto
il consiglio sfidai in certo modo il Governo Sardo a rimettercene al
voto universale. Il Piemonte aderiva: proseguendo nelle trattative,
fu convenuto una forza mista di milizie piemontesi e toscane, fino
al giorno della votazione, presidiasse Avenza; in quel giorno si
ritirasse; due commissarii, uno per parte, alla votazione assistessero.
I Sardi, presentendo sfavorevole lo esito del negozio, adesso si danno
a mettere in campo cavilli: opposi a tenacità tenacità; il convenuto
solennemente ebbe ad adempirsi, ed è cosa degna di considerazione,
come due soli voti ottenessero i Piemontesi. Con voglie prontissime gli
Avenzini confondevansi alla famiglia toscana.[458] Ottimo esperimento
era cotesto, e pegno felice a bene sperare della Costituente _quando le
vicende politiche ci avessero persuaso o costretto di ricorrere a lei_.
Piemonte, mal soddisfatto, metteva innanzi non so quali irregolarità
di votazione, e mandava di nuovo Carabinieri ad Avenza per tenervi lo
ufficio. Inestimabile, e l'ho detto, fu la contentezza della Corona per
l'esito di questo suffragio universale. Pareva a lei, come a chiunque
altro, che procurare alla Toscana confini naturali fosse un bello
acquisto, — e più ne letiziava il cimento prosperoso del voto.
Nel decembre i Piemontesi tentano torci Panicale, per la qual cosa
il Regio Commissario conte Del Medico si risentiva gagliardamente
scrivendo al Delegato di Sarzana:
«Devo significarle il dispiacere e la sorpresa che ho provato nel
ricevere dal signor Sabatini, R. Delegato di Pontremoli, la notizia che
a Panicale si fossero avvisati di procedere ad una votazione assistita
soltanto da alcuni Sarzanesi, senza la presenza di verun Toscano,
e, dirò di più, accompagnata da minaccie e da violenze. — Come non
sentirne dispiacere? Oltrechè quei modi non sono civili nè onesti (non
parlo della legalità la quale niuno vorrà per certo affacciare), non si
addicono poi a popoli di amiche Potenze, e molto meno ad Italiani del
nostro tempo.»
Più tardi (referisco le parole del _Monitore_), correndo il 12
decembre, il villaggio di Parana fu preso da alquante milizie
piemontesi, che ne cacciarono fuori le toscane;[459] tennero dietro i
dissidii per Mulazzo, Calice, Pallerone, e terre altre parecchie, su di
che vedi il _Monitore_ del 3, 12, 27 decembre 1848, e 6 febbraio 1849,
e le corrispondenze officiali, _quando me le daranno_.
Per queste tribolazioni sarde assai si turbava la Corona, e penso non
dilungarmi troppo dalla verità, se confermo, che principalissimo motivo
a renderle accetta la Costituente fu quello di potere opporla quando
il bisogno stringesse alle tendenze corrosive sarde, che lievi adesso,
ma tenaci, davano a pensare del futuro assai. Meschina contesa fu
quella, per non dire di peggio; intorno alla quale una considerazione
mi conforta, ed è questa, che la si deve attribuire unicamente a colpa
degli _zelanti, flagello dimenticato dal Profeta Natan, e fatale a
qualunque Governo_, il quale comunque per ordinario diligente venga
distratto da cure supreme.
Con simili premesse, come io dovea credere che di punto in bianco
dal sospetto si traboccasse nella sconfinata fiducia? E come supporre
vero, che, mutata di subito politica, la Corona si gittasse a occhi
bendati in braccio al Piemonte? Non era mica indovino io; e badate, se
anche avessi indovinato, non per questo mi sarei trovato meno deluso,
conciossiachè se la Corona, cedendo a improvvidi consigli, chiamò
un giorno il soccorso sardo, il giorno veniente lo disdisse: però io
avevo buon fondamento a ritenere il soccorso sardo non vero, perchè non
verosimile.[460]
E qui ripeto, che l'obbligo di soccorrere quei Popoli alla nostra
fede commessi ci correva grandissimo, dacchè pareva duro, dopo averli
alienati dai Piemontesi, esporli adesso al loro risentimento, che pur
talvolta provano anche i generosi quando si vedono disprezzati. Ad ogni
modo il nostro dovere era cotesto, perchè, se i fati non ci vogliono
uniti nel grembo di una stessa famiglia, la gente apuana serbi almeno
per noi stima di probi, amore di fratelli.
Quando conobbero menzogna lo intervento piemontese, cotesti Popoli
mostraronsi a viso aperto contrarii al Generale Laugier, e con lettere
pressantissime e messaggi dicevano: «Ci affrettassimo a liberarli dalla
insopportabile molestia. Non essersi dati alla Toscana per patire le
stravaganze di un soldato, che non adempiva al dovere, voltando la
faccia colà dove non erano nemici.»[461]
La chiamata dei Sardi con volontà della Corona, a cagione delle cose
esposte, mi pareva incredibile; pure il Generale De Laugier bandiva
in quel punto 20,000 Piemontesi passare la frontiera, sicchè malgrado
avvisi in contrario era a dubitarsi che fosse così. Io pensai che
Cesare De Laugier _italianissimo_ come perpetuamente vantava, preso da
vaghezza di lode presente, e più dalla cupidità di fama futura, avesse
di repente abbracciato il partito di unire la Toscana al Piemonte:
non era strano, nè forte, supporre in lui il disegno, che intendesse
collegare il suo Paese ai destini di un grande Stato italiano forte
in su le armi, invece di lasciarlo andare in balía della cieca ed
avventurosa _unificazione_ con Roma. In questa opinione confermavami la
notizia di un Partito piemontese agitantesi da tempo remoto in Toscana;
la permanenza di Piemontesi di gran seguito quaggiù, a cui mettevano
capo con molta ostentazione tutti coloro, che si reputavano od erano
parziali al Piemonte, _e il Generale Laugier, non dico che fosse, ma si
riteneva fra questi_;[462] la riunione di parecchi personaggi al Golfo
della Spezia per macchinare nuovità; e finalmente la natura stessa
del Generale De Laugier, uomo della prestanza militare del quale non
è da dubitarsi, però non sempre seco, per quanto parve, pienamente
concorde. Nè questo agitarsi non dei Piemontesi, ma pei Piemontesi,
a Lucca, era solo; temevansi eziandio le mene, provocate da cui non
voglio dire, a favore di Carlo Ludovico, che, incominciate da parecchi
mesi indietro,[463] furono rinvenute vitali dalla procedura conclusa
col Decreto della Camera di Accuse della Corte Regia di Lucca in causa
Santarlasci e consorti, da me citata a pag. 459-460 di questa Apologia.
Ed oltre ai moti politici, da tempo antico covavano nel contado
lucchese, e vi si erano manifestate, enormezze in senso di anarchia.
«Il Prefetto di Pisa al Ministro dello Interno. — Oggi alle 4 circa,
vetturini ed altri paesani lucchesi hanno rotto 4 o 5 verghe della
strada ferrata a due miglia da Lucca, verso Pisa, e si sono opposti
alle riparazioni che i lavoranti della strada volevano subito fare ecc.
— 31 decembre 1848.»
Parevami (e ciò sia detto, s'egli è mai possibile, senza inasprire
gli animi che pur troppo dureranno inacerbiti), parevami eziandio che
in tale impresa, dove più che nelle armi era da farsi capitale nella
benevolenza dei Popoli, non fosse da preferirsi il Generale Laugier,
essendo noto a tutti quanto da lui repugnassero e Lucca e Pisa e
Livorno, nè troppo gli procedessero benevoli neppure in Firenze: colpa,
io voglio credere, non sua, bensì dei mutabili umori del Popolo, a cui
per rendersi accetto egli non omise argomento di sorta. Ma, insomma,
quando vogliamo conciliarci il Popolo per via di blandizie, è pur
mestieri non prenderlo a contro pelo nelle sue affezioni, ed anche
nelle sue fantasie.
E avvertite, che non fui mica il solo a credere che il Generale Laugier
mancasse di mandato a operare come faceva. In certa sua Apologia,
datata da Sarzana il 1º marzo 1849, e impressa nel _Risorgimento_, egli
medesimo ne informa: «Non vedendosi comparire i Piemontesi, gli animi
abbatteronsi: si suppose _mia invenzione_ lo intervento, e _perfino la
lettera del Granduca_.»
Pensoso, e gravemente pensoso del pericolo che minacciava la città per
la estrema esasperazione, solita accompagnare la paura del pericolo
e la violenza rivoluzionaria, intendendo al disegno di distrarre la
mente accesa delle turbe cittadine dalla Spedizione di Porto Santo
Stefano, e dal proclamare a tumulto la Repubblica, mi parve operare
prudentemente, prima col Dispaccio del 18 febbraio a volgere i corpi
volontarii armati, senza dilazione, verso Lucca, e più tardi a vuotare
Firenze, se mi venisse fatto, di quanta più gente armata potessi:
quantunque (e si noti con prudente discernimento) nel medesimo giorno
alle ore 6 pomeridiane io sapessi, che i Piemontesi non sarebbero
entrati,[464] e su le prime ore del giorno 19 mi giungesse la conferma
di questa notizia per la parte del Delegato Regio di Massa.[465] Ho
detto, che anche un pensiero di personale sicurezza mi spinse; della
mia persona niente importa all'Accusa, e troppo bene lo dimostra in
ogni suo atto; ma se un cotal poco di me a me premesse, vorrà ella
per questo incolparmi di criminlese? In marcia i soldati non attendono
ad agitazioni politiche, nè i cittadini stanno loro alle orecchie per
sobillarli. Di questo mi rampogna l'Accusa, ma davvero anche qui ella
si è affrettata troppo, però che io deva confessare avere sortito
il mio concetto meno che mezzo. I soldati non toscani formarono
_piccolissima parte_ della colonna spedita a Lucca, ed è agevole
riscontrarlo negli Ufficii del Ministro della Guerra. Vennero alcune
compagnie lombarde da molto tempo condotte ai nostri stipendii:[466]
la massima parte erano Toscani; con loro partii; in mezzo a loro io
stetti inerme. Mi circondavano i soldati medesimi che avevo trovato
tumultuanti in Fortezza di S. Giovanni Battista. Le genti in mezzo alle
quali io passava, nel vedermi circondato di ufficiali al nome italiano
poco, ed a torto, creduti amorevoli, mormoravano. Ai soldati e agli
Ufficiali toscani poi nemmeno mancava chi insinuasse condurli D'Apice
ed io per tradirli nelle mani dei Piemontesi. Così nei tempi torbidi la
perfidia mesce mostruose novelle, e così facile le accoglie l'armento
degli uomini.[467]
§ 7. _Di una lettera del R. Delegato di Massa e Carrara._
Ho voluto differire a ragionare in questo luogo della lettera del
Delegato Regio di Massa e Carrara del 13 febbraio. Il Decreto della
Camera delle Accuse del 7 gennaio così dichiara alla pagina 84:
«Al _Prefetto_ Staffetti il quale faceva noto al Guerrazzi con lettera
del 13 febbraio, come le truppe acquartierate ai confini ricusassero di
prestare giuramento e si sbandassero, il Guerrazzi con lettera privata
_rispondeva_ che calunniasse e screditasse il Granduca nell'animo di
Laugier, onde indurlo a seguitare il nuovo Governo.»
Importa, come sempre, prima di tutto rettificare il fatto. Il Regio
Delegato di Massa e Carrara queste cose mandava: 1º la milizia toscana
a Pontremoli, negato il giuramento, sbandarsi, e verso la Capitale
incamminarsi; 2º d'accordo col comando generale egli spedire Ufficiali
a incontrarla per ricondurla al dovere; 3º ancora inviare parte della
Guardia Civica a Fosdinovo per agire secondo i casi; 4º a Massa avere
temporeggiato a deferire il giuramento alle milizie; 5º mancata la
truppa di Linea, difficilissimo mantenere l'ordine nel Paese;[468] 6º
doversi organizzare 5 o 6 compagnie di bersaglieri; 7º da Fivizzano
indirizzare una Deputazione in cerca di truppa piemontese temendo
invasione nemica.
Se ciò sia vero si conoscerà leggendo la lettera stessa del Delegato,
stampata a pag. 208-209 dei Documenti:
«In questo momento giunge avviso al Comando generale da Pontremoli
che la truppa non ha voluto prestare giuramento, che ha incominciato a
sbandarsi, dichiarando incamminarsi verso la Capitale.
«Di accordo col Comando generale, si spediscono alcuni Ufficiali per
incontrarla verso Fosdinovo e procurare di ricondurla al dovere. Nel
tempo stesso io parto per Carrara, per mobilizzare una parte di quella
Guardia Civica, e la invio egualmente a Fosdinovo per agire a seconda
delle circostanze. Vi è colà una compagnia di truppa di Linea, colla
quale si vorrebbe impedire il contatto di questi traviati.
«Qui, conoscendo le difficoltà d'indurre immediatamente come si voleva
la truppa a prestare nuovo giuramento, si è temporeggiato, predicando
la necessità di mantenere l'ordine, e procurando di disporla a poco per
volta al giuramento stesso; ma le notizie sopracitate, unite ad altre
che sono giunte di Lucca ed altri paesi, non so quale effetto potranno
produrre.
«Se manca la truppa di Linea non so cosa potrà accadere in questi
paesi. Io faccio e farò risolutamente quanto sarà in mio potere per il
mantenimento dell'ordine, ma questa volta l'affare è serio davvero.
«Mandami subito il Capitano Franzoni che ti diressi con lettera pochi
giorni sono, e manda qui a chi credi l'incarico di organizzare 5 o 6
compagnie di Bersaglieri, le quali potranno essere utilissime. Io non
mi ricuso di fare quanto possa essere utile. Addio.
«Massa, 13 febbraio 1849.
«Tuo affez.
«DEL MEDICO STAFFETTI.
«Notizie del momento.
«Da Fivizzano è stata mandata una Deputazione a Sarzana per cercare la
truppa piemontese temendo di una invasione nemica. — Manderò staffette
ogni qualvolta sia necessario.»
La minuta, o appunto della risposta, dichiara in questa maniera:
«Prefetto ed Amico,
«Tieni forte: fa quanto credi; arma Bersaglieri: difendi i confini:
lusinga, loda ed eccita l'onore del Laugier; senta nel profondo che
Leopoldo II, senza pretesti, senza plausibile motivo, lasciò il Paese
all'anarchia e all'invasione. Portò seco quant'oro potè; e sull'estremo
lito, con un piede in terra e un piede sopra un naviglio inglese, sta
speculando la guerra civile. Creeremo un'armata, troveremo denaro; e
quando nulla potrem fare, anderemo all'aria.»
_Tieni forte_, riguarda la difesa dell'ordine: _fa quanto credi_, si
riferisce al mettere in moto la Guardia Civica: _arma i Bersaglieri_,
considera la difesa dei confini: _le altre parole_ sono dirette a
indurre il Generale ad operare gagliardamente in pro della Patria,
nuocesse io non poteva. Giunto a Firenze nel giorno _18 febbraio_
il Dispaccio nel _17_ mandato da Grosseto, che instava, affinchè al
Pretore del Porto San Stefano le istruzioni domandate fino dal _12_ del
mese stesso si mandassero, il signor Marmocchi, il quale esercitava
allora l'ufficio di Ministro dello Interno, meco per certo ne avrà
conferito, e con altrui. Nel Volume dei Documenti occorrono di mio
carattere due scritti relativi a questa lettera: il primo veramente è
appunto come per ordinario ponevo nel margine dei Dispacci, contenente
il concetto della risposta, che si doveva fare; il secondo è copia
precisa della lettera mandata.
Lo appunto dichiara: «Le istruzioni furono date. Se S. A. ama,
come dice, il Paese, repugna alla dignità e lealtà sue rimanere in
parte ove serve di bandiera alla guerra civile. Rammenti, che la
situazione attuale del Paese fu creata da lui, non già dal _suo Popolo_
innocentissimo.»[451]
La copia della lettera del _19 febbraio_ suona in diversa guisa:
«Approvansi i suoi provvedimenti. Noi corriamo alla frontiera dalla
parte di Massa. Colà urge il pericolo. Leopoldo penso che attenda
a fuggire. Mandi a Orbetello, a Massa, San Filippo, e Rocca Santa
Caterina. Il Pretore di Santo Stefano si porti dal Granduca, e
gli dica, che il Governo, eletto dalle Assemblee e dal Popolo,
gli partecipa che la reazione non può avere luogo; che la sua
presenza ecciterà, come ha eccitato, qualche facinoroso al delitto;
che è indegno di Principe cospirare a turbare l'ordine, che dice
raccomandare. La nazione giudicherà di lui come Sovrano. Il Pretore
faccia il suo dovere; se non può farlo protesti all'Ammiraglio, che con
la minaccia dei cannoni inglesi s'impedisce il Magistrato ad eseguire
gli ordini del Governo.»[452]
Ora parmi chiaro, che meco conferendo e con altri il Ministro dello
Interno ricevesse commissione di comporre il Dispaccio dietro le
traccie dello appunto trascritto sopra la lettera del signor Mancini
del _12_. Questo naturalmente successe nelle prime ore del giorno _18_,
dopo lo arrivo della posta. I casi avvenuti in cotesta fiera giornata,
le ardenti accuse mosse contro il Governo di avere con negligenza
colpevole somministrato motivo alla guerra civile, e la necessità di
difenderci all'uopo da persone, che si erano arrogate il diritto di
sorvegliare i nostri atti, i nostri moti di ora in ora, e perfino
di minuto in minuto, persuasero di certo alla svegliata prudenza
del signor Marmocchi di mettere nel Dispaccio parole più colorite,
e provvedimenti, che nè allora seppi, e neppure adesso so che cosa
mai potessero importare. Lascio, come anche ora che scrivo, frugando
nella mia mente, Rocca Santa Caterina che sia, del pari ignoro; bensì
chiunque abbia intelletto di stile, di leggieri comprende, che la copia
della lettera del 19 non è mio dettato.[453] Interrogato il Ministro
circa il Dispaccio trasmesso, io, secondo ch'egli mi veniva dicendo,
scrissi su i margini della lettera del signor Prefetto, onde potere
mostrare ai miei _Inquisitori_ come le istruzioni fossero date, e
quali: molto più, che difetto nel mandarle vi era, ed aveva mestieri
schermirmi da giusto rimprovero d'inerzia.
Arrogi quello che soventi volte ho dichiarato, non correre nè
potere correre allora stagione opportuna a restaurare il Principato
Costituzionale pochi giorni dopo che egli lasciava il campo, senza
fare neppure le viste di resistere a parte repubblicana. Ella è follia
espressa pretendere quiete il giorno seguente alla rivoluzione. La
Inghilterra, che stette ferma all'urto della rivoluzione francese del
1830, pure, a giudizio di Lord Melbourne, durò per bene quattro anni a
tentennare.[454] Nè questo è tutto: distraendo in altra parte le forze
che tenevo apparecchiate col Generale D'Apice per impedire tumultuarie
aggressioni contro Porto Santo Stefano, molte e gravi fortune potevano
accadere alle quali importava grandemente ovviare. Come le terre di
Maremma ardessero tutte, abbiamo veduto; certo La Cecilia le descrive
diverse, ma altri dissente da lui; varii i giudizii secondo le
impressioni; bensì il fatto dimostra che meglio i secondi opinassero,
dacchè per le città e terre di Maremma, non annuente il Governo,
vollero proclamare la Repubblica, e la proclamarono; e al Porto Santo
Stefano eziandio, appena ebbe quinci rimossi i piedi il Granduca.
Pertanto considerando maturamente la qualità dei successi, i tempi
fortunosi, i pericoli, la inanità, anzi il danno espresso di rimontare
contro pelo la corrente quando strascina più rapida, e la sicurezza
di riuscire dando tempo al tempo, e modo di riaversi con la quiete
consigliera di giusti partiti ai Toscani tutti, costituzionali ed
anche esaltati, io per me, se avessi tuttavia seduto nei Consigli della
Corona, le avrei detto:
«Altezza. L'autorità che, debole e disarmata, non senza sforzo reggeva
all'urto della Fazione avversa al Principato, impossibile parmi che
possa ricuperarsi adesso per forza, adesso che di propria mano ha
schiuso la porta ai suoi nemici. Che la Toscana per la massima parte,
e gli uomini di senno pressochè tutti, sieno del costituzionale
reggimento tenerissimi, V. A. lo sa, lo ha veduto, senza timore
d'inganno lo ha detto più volte, ed è vero così. Si danno epoche
per la umanità, che io volentieri chiamerei di contagio politico;
e la presente è fra quelle: testimone la Europa. Quali argomenti si
adoperano contro il contagio? Giova talvolta sostenerne imperturbati
lo assalto, e, senza lasciarsi sbigottire, far prova di vincerlo col
valore e con l'arte; tale altra parve più utile scansarsi, aspettare
che la malignità dell'aere cessasse per tornare poi nelle purificate
dimore. Praticare in un punto questi due partiti è impossibile. Del
presente stato male s'incolperebbe tale o tale altro uomo, tale o tale
altro Popolo. Stupidezze di menti meccaniche sono queste. Siffatte
perturbazioni politiche non dirò che sopraggiungano alla sprovvista
per tutti, bensì sempre ai Governi fatali, generate di lunga mano, per
molti umori disposte, come sarebbero appunto le pestilenze ed altre
maniere di perturbazioni fisiche. Ora poichè dei due partiti fu scelto
quello di scansarci, scansiamoci, e provochiamo da questo i frutti che
ne dobbiamo raccogliere, i quali, a senno mio, matureranno presto, e
felici se lasceremo gli esaltati a straccarsi nello inane tumulto, se
torremo loro prudentemente dinanzi gli argomenti i quali, gittandoli
a disperate risoluzioni, chiuderebbero loro al rinsavire ogni via;
in qualunque Stato che muti forma di reggimento con sicurezza di
durata, il trapasso dal vecchio al nuovo noi vedemmo sempre doloroso
per necessarii subugli; immaginiamo ora se accadrà di quieto questa
trasformazione priva di potenza vitale. Voi vedrete i neghittosi
diventare prodi per lo spavento della prossima anarchia. Tutto il
male sarà attribuito alla Rivoluzione; ogni speranza di pace riposta
nella restaurazione del Principato Costituzionale; dalla speranza al
desiderio, dal desiderio al bisogno di ristabilirlo è brevissimo il
tratto, se pure tratto ci corre; il moto poi riuscirà irresistibile,
imperciocchè gli avversarii non pure troverete avviliti negli sforzi
infecondi, ma vinti dal sentimento della propria impotenza, ed è questa
fortuna suprema nelle faccende politiche dove la forza doma, ed anche
per poco, — non vince; i traviati troverete all'abituale devozione
ricondotti, gli ignavi, scottati dall'acqua calda, solleciti ora a
guardarsi anche dalla fredda; riassicurati i timidi; tutti acclamanti;
gli amici vostri, non della vostra fortuna, esulteranno e procederanno
modesti; gli amici della vostra fortuna, e non di voi, si mostreranno
insolenti, e voi con la prudenza e gravità vostre ne saprete tenere
corti gli ugnoli. Fra pochi mesi V. A., tornando chiamato dal voto
universale della Nazione, esclamerà: io ne vado sicuro, come Carlo
II reduce a Londra, che suo fu il torto di andarsene o di non essere
tornato più presto fra Popoli amatissimi e amantissimi.[455] Ogni altro
consiglio, Altezza, come pernicioso a Voi, esiziale alla autorità che
importa ricostruire, nemico al Popolo, deh! vi scongiuro, rifiutate.
Ricondotto dalle armi, e sieno pure piemontesi, aprirete nel cuore
delle genti una ferita che per tempo non sana, e gli esempii del secolo
ce lo hanno fatto vedere.[456] Confidando nei moti interni, adesso
che la febbre dura, avverto, che per lo meno insorgeranno contrasti,
e questo è ciò che ho dimostrato doversi prudentemente evitare,
conciossiachè l'uomo, animale di contradizione, soglia, per contrasto,
ostinarsi, e, per offesa, nello errore confermarsi. Nè sono a temersi
contrasti ed offese individuali soltanto, ma nascerà, e già è nata
la guerra civile, di cui V. A. ha meritamente ribrezzo: l'anarchia
stenderà, e già ha cominciato a stendere, le mani ladre, e, orribile
a dirsi, alza l'augusto vostro nome a bandiera! Altezza, se orrore di
sanguinosi conflitti l'animo vostro mansueto persuase ad allontanarvi
da Siena, deh! considerate che, a cagione della presenza vostra a Santo
Stefano, questi conflitti.... per ora.... non cessano.... ma crescono;
— dacchè, durando le cause che in questo momento li provocano, anzi
essendo diventate maggiori, la distanza di poche miglia non può avere
virtù di spegnerli. Sceglieste il partito di dare tempo al tempo; io lo
avrei combattuto con tutte le forze prima che voi, Altezza, lo aveste
preferito; ora che lo sceglieste, giova seguirlo; se non m'inganno,
ormai è quello che vi ricondurrà con pace nell'onorato seggio: mite
foste, mite mantenetevi; gli altri consigli rigettate, però che se
per essi (cosa che adesso subito parmi ad accadere difficile) vi fosse
restituito lo scettro.... V. A. lo rigetterebbe da sè perchè sarebbe
insanguinato.»
Così con non savie forse, ma affettuose parole, io avrei favellato
a Leopoldo II, se mi fosse stato concesso recarmi a Santo Stefano; e
questo era il concetto che in nota succinta registrava il 18 febbraio
1849 sul Dispaccio inviato al Governo dal Consigliere di Prefettura di
Grosseto il 12 di quel mese.[457]
§ 6. _Motivi per muovermi contro il Generale Laugier._
Ora si voglia supporre per un momento, che stesse in facoltà del
Governo astenersi dalla Spedizione a Massa. Innanzi tratto, io vorrei
domandare se i Giudici credono davvero che quando un soldato alza una
bandiera, sia pure in nome del suo Sovrano, devano tutti sotto pena
di ribellione prestargli fede, e seguitarlo. Badino, che quello che
dicono, come pare, è veramente enorme, e potrebbe tirare grandemente a
male.
Per buona sorte servendo l'Accusa alla sua passione ha rinnegato la
scienza, ed ha commesso gli errori deplorabili, di cui, invocata la
dottrina dei pubblicisti, la incolpa l'Avvocato Adriano Mari nella
Difesa che presentò alla Cassazione per Leonardo Romanelli.
Il terreno che io ho da percorrere brucia: scerrò quello che scotta
meno; e dirò soltanto, che più meditava il Proclama del 17 febbraio
del Generale Laugier, meno mi riusciva intenderlo. Per nessun segno io
poteva ritenerlo sincero.
Infatti il Proclama dichiara, che il Granduca nello allontanarsi
da Siena aveva nominato un Governo Provvisorio: ora questo era
patentemente falso, nè conosciuto in quel tempo, nè mai; anzi
contradittorio con la lettera e con lo spirito delle dichiarazioni
granducali del 7 febbraio: con la lettera, perchè nulla contenessero
espressamente in proposito; — con lo spirito, perchè raccomandando a
noi i regii servi (e non invano), cosiffatta raccomandazione a privati
non si poteva indirizzare; e se il Principe avesse eletto un Governo
Provvisorio, noi privati cittadini ridivenivamo: inoltre pensava, che
se il Principe avesse lasciato qualcheduno a rappresentarlo, sarebbe
stato un Luogotenente, non un Governo Provvisorio. L'affermazione
del Proclama accennava a due cose: prima, a una menzogna; seconda,
ad uno errore commesso, o fatto commettere, perchè il Paese versasse
nell'anarchia. Sosteneva inoltre avere vietato alle truppe di
sciogliersi dal giuramento, ed anche di questo non era comparsa
notizia. — Della Commissione conferita al De Laugier, nessuno fu
avvertito dal Principe in modo autentico; in quanto a me, dopo l'ultima
lettera particolare del signor Commendatore Bitthauser da Siena, nella
quale mi si prometteva prossimo il ritorno del Principe, e intanto a
suo nome mi si raccomandava la quiete della città, non ebbi avviso di
sorta, neppure verbale. Nè anche Sir Carlo Hamilton mi riportò invito,
ordine, raccomandazione, o che altro, da Santo Stefano. Al Governo,
eccetto la lettera e la dichiarazione del 7 febbraio, non pervenne
altro atto dalla Corona direttamente nè indirettamente. Ma non soli
noi; non il Senato, non la Camera dei Deputati, non il Municipio,
nessuno insomma ricevè avviso, che appo loro accreditasse il contegno
del Generale Laugier.
Ingrate materie io tratto, e con ingrato animo; ma se dei generosi non
è spento il seme, ricorderanno, che io mi difendo da capitale accusa,
e deploreranno con me chi mi ha ridotto in questo non giusto stato. —
Sopra tutto mi faceva andare pensoso la chiamata dei 20,000 Piemontesi.
Gli uomini che presiedevano allora ai consigli del Re Carlo Alberto
si erano mostrati, non dirò poco benevoli, ma con mio sommo rammarico
avversi alla Toscana. In altra parte di questa Apologia ho favellato
delle quistioni col Governo di Piemonte poi confini; fu visto che
per comporre coteste faccende era stata proposta al Ministro Pareto
una commissione mista di Piemontesi e Toscani; accolto il partito,
riceveva un principio di esecuzione. Avenza (come ognuno conosce) fa
parte di Carrara: occupata prima dai Piemontesi, dopo l'armistizio
Salasco la sgombrarono: allora, gli Avenzini imploranti, presero
a presidiarla i Toscani. Il Piemonte a un tratto, sopportando ciò
molestamente, c'impone la uscita non senza aggiungere minaccie. A
questo punto, salito al Ministero io, trovai la quistione. Proposi
allora alla Corona saggiare un po' di quali frutti sarebbe stata
portatrice la Costituente, fino dal 12 Maggio 1848 da lei bandita fra
cotesti Popoli, opposta come mezzo di difesa al Piemonte; e piaciuto
il consiglio sfidai in certo modo il Governo Sardo a rimettercene al
voto universale. Il Piemonte aderiva: proseguendo nelle trattative,
fu convenuto una forza mista di milizie piemontesi e toscane, fino
al giorno della votazione, presidiasse Avenza; in quel giorno si
ritirasse; due commissarii, uno per parte, alla votazione assistessero.
I Sardi, presentendo sfavorevole lo esito del negozio, adesso si danno
a mettere in campo cavilli: opposi a tenacità tenacità; il convenuto
solennemente ebbe ad adempirsi, ed è cosa degna di considerazione,
come due soli voti ottenessero i Piemontesi. Con voglie prontissime gli
Avenzini confondevansi alla famiglia toscana.[458] Ottimo esperimento
era cotesto, e pegno felice a bene sperare della Costituente _quando le
vicende politiche ci avessero persuaso o costretto di ricorrere a lei_.
Piemonte, mal soddisfatto, metteva innanzi non so quali irregolarità
di votazione, e mandava di nuovo Carabinieri ad Avenza per tenervi lo
ufficio. Inestimabile, e l'ho detto, fu la contentezza della Corona per
l'esito di questo suffragio universale. Pareva a lei, come a chiunque
altro, che procurare alla Toscana confini naturali fosse un bello
acquisto, — e più ne letiziava il cimento prosperoso del voto.
Nel decembre i Piemontesi tentano torci Panicale, per la qual cosa
il Regio Commissario conte Del Medico si risentiva gagliardamente
scrivendo al Delegato di Sarzana:
«Devo significarle il dispiacere e la sorpresa che ho provato nel
ricevere dal signor Sabatini, R. Delegato di Pontremoli, la notizia che
a Panicale si fossero avvisati di procedere ad una votazione assistita
soltanto da alcuni Sarzanesi, senza la presenza di verun Toscano,
e, dirò di più, accompagnata da minaccie e da violenze. — Come non
sentirne dispiacere? Oltrechè quei modi non sono civili nè onesti (non
parlo della legalità la quale niuno vorrà per certo affacciare), non si
addicono poi a popoli di amiche Potenze, e molto meno ad Italiani del
nostro tempo.»
Più tardi (referisco le parole del _Monitore_), correndo il 12
decembre, il villaggio di Parana fu preso da alquante milizie
piemontesi, che ne cacciarono fuori le toscane;[459] tennero dietro i
dissidii per Mulazzo, Calice, Pallerone, e terre altre parecchie, su di
che vedi il _Monitore_ del 3, 12, 27 decembre 1848, e 6 febbraio 1849,
e le corrispondenze officiali, _quando me le daranno_.
Per queste tribolazioni sarde assai si turbava la Corona, e penso non
dilungarmi troppo dalla verità, se confermo, che principalissimo motivo
a renderle accetta la Costituente fu quello di potere opporla quando
il bisogno stringesse alle tendenze corrosive sarde, che lievi adesso,
ma tenaci, davano a pensare del futuro assai. Meschina contesa fu
quella, per non dire di peggio; intorno alla quale una considerazione
mi conforta, ed è questa, che la si deve attribuire unicamente a colpa
degli _zelanti, flagello dimenticato dal Profeta Natan, e fatale a
qualunque Governo_, il quale comunque per ordinario diligente venga
distratto da cure supreme.
Con simili premesse, come io dovea credere che di punto in bianco
dal sospetto si traboccasse nella sconfinata fiducia? E come supporre
vero, che, mutata di subito politica, la Corona si gittasse a occhi
bendati in braccio al Piemonte? Non era mica indovino io; e badate, se
anche avessi indovinato, non per questo mi sarei trovato meno deluso,
conciossiachè se la Corona, cedendo a improvvidi consigli, chiamò
un giorno il soccorso sardo, il giorno veniente lo disdisse: però io
avevo buon fondamento a ritenere il soccorso sardo non vero, perchè non
verosimile.[460]
E qui ripeto, che l'obbligo di soccorrere quei Popoli alla nostra
fede commessi ci correva grandissimo, dacchè pareva duro, dopo averli
alienati dai Piemontesi, esporli adesso al loro risentimento, che pur
talvolta provano anche i generosi quando si vedono disprezzati. Ad ogni
modo il nostro dovere era cotesto, perchè, se i fati non ci vogliono
uniti nel grembo di una stessa famiglia, la gente apuana serbi almeno
per noi stima di probi, amore di fratelli.
Quando conobbero menzogna lo intervento piemontese, cotesti Popoli
mostraronsi a viso aperto contrarii al Generale Laugier, e con lettere
pressantissime e messaggi dicevano: «Ci affrettassimo a liberarli dalla
insopportabile molestia. Non essersi dati alla Toscana per patire le
stravaganze di un soldato, che non adempiva al dovere, voltando la
faccia colà dove non erano nemici.»[461]
La chiamata dei Sardi con volontà della Corona, a cagione delle cose
esposte, mi pareva incredibile; pure il Generale De Laugier bandiva
in quel punto 20,000 Piemontesi passare la frontiera, sicchè malgrado
avvisi in contrario era a dubitarsi che fosse così. Io pensai che
Cesare De Laugier _italianissimo_ come perpetuamente vantava, preso da
vaghezza di lode presente, e più dalla cupidità di fama futura, avesse
di repente abbracciato il partito di unire la Toscana al Piemonte:
non era strano, nè forte, supporre in lui il disegno, che intendesse
collegare il suo Paese ai destini di un grande Stato italiano forte
in su le armi, invece di lasciarlo andare in balía della cieca ed
avventurosa _unificazione_ con Roma. In questa opinione confermavami la
notizia di un Partito piemontese agitantesi da tempo remoto in Toscana;
la permanenza di Piemontesi di gran seguito quaggiù, a cui mettevano
capo con molta ostentazione tutti coloro, che si reputavano od erano
parziali al Piemonte, _e il Generale Laugier, non dico che fosse, ma si
riteneva fra questi_;[462] la riunione di parecchi personaggi al Golfo
della Spezia per macchinare nuovità; e finalmente la natura stessa
del Generale De Laugier, uomo della prestanza militare del quale non
è da dubitarsi, però non sempre seco, per quanto parve, pienamente
concorde. Nè questo agitarsi non dei Piemontesi, ma pei Piemontesi,
a Lucca, era solo; temevansi eziandio le mene, provocate da cui non
voglio dire, a favore di Carlo Ludovico, che, incominciate da parecchi
mesi indietro,[463] furono rinvenute vitali dalla procedura conclusa
col Decreto della Camera di Accuse della Corte Regia di Lucca in causa
Santarlasci e consorti, da me citata a pag. 459-460 di questa Apologia.
Ed oltre ai moti politici, da tempo antico covavano nel contado
lucchese, e vi si erano manifestate, enormezze in senso di anarchia.
«Il Prefetto di Pisa al Ministro dello Interno. — Oggi alle 4 circa,
vetturini ed altri paesani lucchesi hanno rotto 4 o 5 verghe della
strada ferrata a due miglia da Lucca, verso Pisa, e si sono opposti
alle riparazioni che i lavoranti della strada volevano subito fare ecc.
— 31 decembre 1848.»
Parevami (e ciò sia detto, s'egli è mai possibile, senza inasprire
gli animi che pur troppo dureranno inacerbiti), parevami eziandio che
in tale impresa, dove più che nelle armi era da farsi capitale nella
benevolenza dei Popoli, non fosse da preferirsi il Generale Laugier,
essendo noto a tutti quanto da lui repugnassero e Lucca e Pisa e
Livorno, nè troppo gli procedessero benevoli neppure in Firenze: colpa,
io voglio credere, non sua, bensì dei mutabili umori del Popolo, a cui
per rendersi accetto egli non omise argomento di sorta. Ma, insomma,
quando vogliamo conciliarci il Popolo per via di blandizie, è pur
mestieri non prenderlo a contro pelo nelle sue affezioni, ed anche
nelle sue fantasie.
E avvertite, che non fui mica il solo a credere che il Generale Laugier
mancasse di mandato a operare come faceva. In certa sua Apologia,
datata da Sarzana il 1º marzo 1849, e impressa nel _Risorgimento_, egli
medesimo ne informa: «Non vedendosi comparire i Piemontesi, gli animi
abbatteronsi: si suppose _mia invenzione_ lo intervento, e _perfino la
lettera del Granduca_.»
Pensoso, e gravemente pensoso del pericolo che minacciava la città per
la estrema esasperazione, solita accompagnare la paura del pericolo
e la violenza rivoluzionaria, intendendo al disegno di distrarre la
mente accesa delle turbe cittadine dalla Spedizione di Porto Santo
Stefano, e dal proclamare a tumulto la Repubblica, mi parve operare
prudentemente, prima col Dispaccio del 18 febbraio a volgere i corpi
volontarii armati, senza dilazione, verso Lucca, e più tardi a vuotare
Firenze, se mi venisse fatto, di quanta più gente armata potessi:
quantunque (e si noti con prudente discernimento) nel medesimo giorno
alle ore 6 pomeridiane io sapessi, che i Piemontesi non sarebbero
entrati,[464] e su le prime ore del giorno 19 mi giungesse la conferma
di questa notizia per la parte del Delegato Regio di Massa.[465] Ho
detto, che anche un pensiero di personale sicurezza mi spinse; della
mia persona niente importa all'Accusa, e troppo bene lo dimostra in
ogni suo atto; ma se un cotal poco di me a me premesse, vorrà ella
per questo incolparmi di criminlese? In marcia i soldati non attendono
ad agitazioni politiche, nè i cittadini stanno loro alle orecchie per
sobillarli. Di questo mi rampogna l'Accusa, ma davvero anche qui ella
si è affrettata troppo, però che io deva confessare avere sortito
il mio concetto meno che mezzo. I soldati non toscani formarono
_piccolissima parte_ della colonna spedita a Lucca, ed è agevole
riscontrarlo negli Ufficii del Ministro della Guerra. Vennero alcune
compagnie lombarde da molto tempo condotte ai nostri stipendii:[466]
la massima parte erano Toscani; con loro partii; in mezzo a loro io
stetti inerme. Mi circondavano i soldati medesimi che avevo trovato
tumultuanti in Fortezza di S. Giovanni Battista. Le genti in mezzo alle
quali io passava, nel vedermi circondato di ufficiali al nome italiano
poco, ed a torto, creduti amorevoli, mormoravano. Ai soldati e agli
Ufficiali toscani poi nemmeno mancava chi insinuasse condurli D'Apice
ed io per tradirli nelle mani dei Piemontesi. Così nei tempi torbidi la
perfidia mesce mostruose novelle, e così facile le accoglie l'armento
degli uomini.[467]
§ 7. _Di una lettera del R. Delegato di Massa e Carrara._
Ho voluto differire a ragionare in questo luogo della lettera del
Delegato Regio di Massa e Carrara del 13 febbraio. Il Decreto della
Camera delle Accuse del 7 gennaio così dichiara alla pagina 84:
«Al _Prefetto_ Staffetti il quale faceva noto al Guerrazzi con lettera
del 13 febbraio, come le truppe acquartierate ai confini ricusassero di
prestare giuramento e si sbandassero, il Guerrazzi con lettera privata
_rispondeva_ che calunniasse e screditasse il Granduca nell'animo di
Laugier, onde indurlo a seguitare il nuovo Governo.»
Importa, come sempre, prima di tutto rettificare il fatto. Il Regio
Delegato di Massa e Carrara queste cose mandava: 1º la milizia toscana
a Pontremoli, negato il giuramento, sbandarsi, e verso la Capitale
incamminarsi; 2º d'accordo col comando generale egli spedire Ufficiali
a incontrarla per ricondurla al dovere; 3º ancora inviare parte della
Guardia Civica a Fosdinovo per agire secondo i casi; 4º a Massa avere
temporeggiato a deferire il giuramento alle milizie; 5º mancata la
truppa di Linea, difficilissimo mantenere l'ordine nel Paese;[468] 6º
doversi organizzare 5 o 6 compagnie di bersaglieri; 7º da Fivizzano
indirizzare una Deputazione in cerca di truppa piemontese temendo
invasione nemica.
Se ciò sia vero si conoscerà leggendo la lettera stessa del Delegato,
stampata a pag. 208-209 dei Documenti:
«In questo momento giunge avviso al Comando generale da Pontremoli
che la truppa non ha voluto prestare giuramento, che ha incominciato a
sbandarsi, dichiarando incamminarsi verso la Capitale.
«Di accordo col Comando generale, si spediscono alcuni Ufficiali per
incontrarla verso Fosdinovo e procurare di ricondurla al dovere. Nel
tempo stesso io parto per Carrara, per mobilizzare una parte di quella
Guardia Civica, e la invio egualmente a Fosdinovo per agire a seconda
delle circostanze. Vi è colà una compagnia di truppa di Linea, colla
quale si vorrebbe impedire il contatto di questi traviati.
«Qui, conoscendo le difficoltà d'indurre immediatamente come si voleva
la truppa a prestare nuovo giuramento, si è temporeggiato, predicando
la necessità di mantenere l'ordine, e procurando di disporla a poco per
volta al giuramento stesso; ma le notizie sopracitate, unite ad altre
che sono giunte di Lucca ed altri paesi, non so quale effetto potranno
produrre.
«Se manca la truppa di Linea non so cosa potrà accadere in questi
paesi. Io faccio e farò risolutamente quanto sarà in mio potere per il
mantenimento dell'ordine, ma questa volta l'affare è serio davvero.
«Mandami subito il Capitano Franzoni che ti diressi con lettera pochi
giorni sono, e manda qui a chi credi l'incarico di organizzare 5 o 6
compagnie di Bersaglieri, le quali potranno essere utilissime. Io non
mi ricuso di fare quanto possa essere utile. Addio.
«Massa, 13 febbraio 1849.
«Tuo affez.
«DEL MEDICO STAFFETTI.
«Notizie del momento.
«Da Fivizzano è stata mandata una Deputazione a Sarzana per cercare la
truppa piemontese temendo di una invasione nemica. — Manderò staffette
ogni qualvolta sia necessario.»
La minuta, o appunto della risposta, dichiara in questa maniera:
«Prefetto ed Amico,
«Tieni forte: fa quanto credi; arma Bersaglieri: difendi i confini:
lusinga, loda ed eccita l'onore del Laugier; senta nel profondo che
Leopoldo II, senza pretesti, senza plausibile motivo, lasciò il Paese
all'anarchia e all'invasione. Portò seco quant'oro potè; e sull'estremo
lito, con un piede in terra e un piede sopra un naviglio inglese, sta
speculando la guerra civile. Creeremo un'armata, troveremo denaro; e
quando nulla potrem fare, anderemo all'aria.»
_Tieni forte_, riguarda la difesa dell'ordine: _fa quanto credi_, si
riferisce al mettere in moto la Guardia Civica: _arma i Bersaglieri_,
considera la difesa dei confini: _le altre parole_ sono dirette a
indurre il Generale ad operare gagliardamente in pro della Patria,
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