Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 10

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rigettarlo co' voti, e costringere il Ministero a ritirarsi; nè
gioverebbe punto la violenza (comodo arnese in mano dell'Accusa, la
quale per iscusare i fatti altrui, lo ha sempre in pronto; per iscusare
i miei, o non lo crede, o lo pretende provato _luminosamente_), dacchè
vedremo in breve i Deputati stessi attestare averla votata spontanei, e
i Senatori poi non venissero neppure disturbati dagli schiamazzi delle
tribune.
Secondariamente, l'Accusa s'ingegna cercare un nesso relativo fra
le dimostrazioni del Circolo e la presentazione della Legge della
Costituente; ma insinuazioni siffatte cadono, quante volte tu
consideri, che la Costituente formando la sostanza del Programma
ministeriale, il Montanelli, senza mestiero pretesti e senza
sollecitazioni, doveva proporla, difenderla, vincere, o ritirarsi.[118]
Aggruppare intorno al Ministero le intemperanze, e di straforo perfino
_le stragi_, condirle di benevole insinuazioni d'_inerzia_, o di
_complicità_, e allacciarle con i suoi atti, come se tutto cotesto
turpe, stolto, e insidioso mosaico fosse fattura ministeriale, non è
ufficio da Giudici. L'Accusa intemperantissima, penetrando con le sue
supposizioni fin dentro le secrete stanze dei Consigli del Principe,
mi costringe a rivelare le consulte. Se davanti le Camere fossi stato
interpellato intorno a siffatte materie, io, seguitando le tradizioni
costituzionali, mi sarei schermito da rispondere senza previa facoltà
della Corona: ma qui si tratta di Accusa, qui si tratta di Accusatore
che mi muove incontro co' ferri arroventati; egli è pel diritto
chiamato _moderamen inculpatæ tutelæ_, che mi devo difendere; ed io
potrei consentire tacendo alla offesa della persona, ma a quella della
fama non mai.[119]
Da parecchi giorni il signor Montanelli aveva presentato il Decreto
della Costituente alla firma del Principe, e questi andava differendo
a restituirglielo. La trattativa di questo negozio, come di cosa a
lui spettante, aveva assunto sopra di sè il sig. Presidente; solo
ci dichiarava la sua dimissione sicura, là dove il Principe non gli
avesse firmato il progetto. Certo giorno, il Presidente si recò per
questo motivo al regio palazzo, ma anche allora egli ebbe a partirsi
sconclusionato, chè il Principe lo rimandò ordinandogli gl'inviasse
il Ministro dello Interno; io pure per negozii del mio ufficio ero
andato a Pitti, e il Principe si restrinse immediatamente meco a
consulta. — Ecco le considerazioni, che sottoposi al giudizio della
Corona: «Piemonte è in guerra con Austria; nè deve supporsi che lo
armistizio si converta in pace, perchè a romperlo lo persuaderanno il
dolore della sconfitta, il cruciare della vendetta, l'antica cupidità
dello acquisto, tanto più intensa adesso in quanto per un momento
appagata, il desiderio di gloria, la irresistibile violenza delle cose;
e questa forza avrebbe strascinato anche noi, quantunque, discorrendo
strettamente degl'interessi della Toscana, questi ci consigliassero a
posare; poco il nostro soccorso a vincere, e troppo per provocare lo
sdegno del nemico; pericolosa forse la vittoria piemontese, esiziale
certamente la perdita. Due essere naturali vicende della impresa contro
Austria, vincere o perdere. Vincendo Piemonte, venivamo ad acquistare
per confinante uno Stato di 10 milioni di uomini all'incirca,
orgoglioso per vittoria, e intento sempre a dilatarsi; noi piccoli,
deboli e senza frontiere difendibili dalla parte del Piemonte. Ora
non era da supporsi, che Piemonte, in mezzo alla petulanza compagna
ordinaria della buona fortuna, si mostrasse più temperato verso di noi
di quello che fosse prima di vincere. Invero, avemmo a provare dalla
parte di cotesto Regno una lotta difficile, per cagione dei confini;
voleva tôrci l'Avenza, la quale perduta, era forza le tenesse dietro
Carrara; e se ottenemmo che i Lavenzini tutti votassero per Toscana,
ciò devesi agli sforzi supremi da me stesso operati: nè qui si rimase;
chè continuava a bisticciarci per Panicale, Mulazzo, Calice e Parana,
come altrove sarà con più lungo ragionamento dimostrato. Il Governo
Sardo, mentre da un lato esigeva ogni maniera di sagrifizii da noi per
impresa dove raccoglieva principalissimo vantaggio vincendo, perchè
riuniva sotto di sè Lombardia, Venezia, Modena e Parma, e correva
minore pericolo perdendo, perchè la Francia non avrebbe sofferto mai
la invasione austriaca in provincia confinante; dall'altro si mostrava
per modo tenace, che io, scrivendo lettere confidenziali al Ministro
Gioberti, ebbi ad usare le seguenti espressioni: «Con quale coraggio
potremo noi _consigliare la Corona a persistere nel proponimento di
correre le vostre fortune_, se voi vi mostrate sì fervidi a contenderci
frammenti di terra più che ad altro somiglievoli a pezzi di pan secco
co' quali si fa la zuppa ai cani?» Si scusavano con lo incolpare di
coteste improntitudini lo zelo importuno dei Sarzanesi. Certo _di che
cosa sia capace lo zelo importuno, conosco ancora io, ed ho provato,
e provo_; ma però non cessarono punto i lamentati maneggi. Vinta
pertanto dal Piemonte la guerra, ponendo ancora che lo acquisto della
Toscana non lo tentasse, noi dovevamo aspettarci ad essere ridotti in
istato di assoluta subiezione. Infatti la Toscana, se lasciata durare,
diventava provincia piemontese: ogni posta ci avrebbe portato ordini da
eseguire: la Corona Toscana avrebbe dovuto scadere alla ignobile parte
di vassalla tremante della Corona Sarda, e stenderle supplichevole
la mano quotidianamente, — anzi di ora in ora, — anzi di minuto in
minuto, per limosinare il misero vanto di parer padrona, — ludibrio
a un punto, e agonia di Sovranità! A questo evento, che cosa avrebbe
opposto uno Stato di un milione e mezzo, contro Stato di dieci milioni?
Armi non avevamo o poche, e in guerra nazionale non si sarebbe voluto
nè potuto adoperarle. La protezione delle Potenze estere forse? Ma
di che cosa sappiano queste estere protezioni conosce il mondo; il
cavallo, che cercò l'uomo per combattere il cervo, è favola antica
di applicazione sempre moderna; nè la durata della Toscana avrebbe
formato mai quistione di equilibrio europeo. Arrogi a questo, che le
trasformazioni minacciate dai tempi portentosi non avrebbero permesso
alle Potenze di badare tanto pel sottile, se in condizioni tranquille
noi le avevamo vedute accomodarsi con la paziente dottrina dei fatti
compiti. Bisognava pertanto cercare un freno da imporgli, e questo
freno a me pareva vedere nella Costituente italiana; la quale, a senso
mio, avrebbe dovuto consistere in un Congresso di Stati Italiani,
dove si determinassero i diritti, gli obblighi e le guarentigie del
patto federativo, non meno che le riforme, per quanto era possibile
uguali, da estendersi alla universa Italia. Annullate le condizioni
e le sicurezze dei Trattati del 1815, era pur forza crearne nuove. La
necessità di riordinare uno equilibrio italiano tanto più stringeva,
in quanto diventava maggiore il disequilibrio dello Stato convicino.
In qual parte trovare un freno immediato ed efficace di opinione a un
punto e di forza, se la Costituente italiana non lo somministrava?
«Nè il Piemonte dissentiva punto da aderirvi: a condurre le trattative
veniva mandato da Torino, negoziatore straordinario, il Deputato
Ferdinando Rosellini, uomo di mente sveglia e di arguti consigli. Sola
obiezione mossa da lui era il mandato che egli pretendeva limitato
non solo ai Commissarii piemontesi, ma bene anche ai toscani; questa
limitazione poi consisteva in due cose: 1º nel tenere per accetto
il Regno della Italia Superiore composto di Piemonte, Lombardia,
Venezia, Modena e Parma, e casa di Savoia sovrana; 2º nel conservare
Pontefice, Granduca, Re di Napoli in Italia. Per questo modo il limite
del mandato, in quanto concerneva Carlo Alberto, riguardava due scopi,
il reame e il regnante; rispetto agli altri Principi accennava alle
persone soltanto; per gli Stati poi non dissentiva che potessero
eventualmente stringersi od allargarsi. Breve, non voleva mettere in
compromesso quanto si augurava conquistare, anzi prima della conquista
esigeva la ratifica degli altri Stati Italiani. Il sig. Montanelli,
fermo nel suo sistema, procedeva onninamente contrario; mandato
illimitato pretendeva, e per tutti i Deputati e per tutto, così per
le cose come per le persone. Conciliando io, nella impossibilità di
far cedere il sig. Montanelli sul punto del mandato illimitato, lo
richiamava a considerare quanto esorbitante fosse la pretensione
d'imporre per parte sua le norme del mandato agli altri Principi
italiani; come questi non avrebbero mai consentito la Costituente,
se vi avessero ravvisato minaccia o pericolo; e per siffatto modo
chiudere egli la porta alla possibilità di vedere attuata quella
Costituente, che pure era stata bandita da lui; correrci anzi tutto il
dovere di essere coerenti al programma, il quale aveva promesso che
la Costituente non sarebbe stata causa di lite, ma sì all'opposto di
concordia fra gli Stati Italiani: gli bastasse il mandato illimitato
pei nostri Commissarii; questo egli avere promesso; questo solo avere
potuto promettere, però che gli altri non dipendessero da lui: il suo
onore essere salvo, e doversene stare pienamente tranquillo. Dall'altra
parte richiamavo il Negoziatore sardo ad avvertire che, com'egli
trovava strano che Montanelli presumesse dettare le condizioni del
mandato ai Commissarii piemontesi, così al Montanelli dovesse sembrare
nuovo ch'egli ai nostri le assegnasse; il sig. Montanelli persistere a
credere il suo onore impegnato in questa promessione, nè rinvenire modo
di recederne, se non dimettendosi dal suo Ministero, avvenimento che il
Negoziatore stesso non pareva desiderare; ora le cose del mondo, quando
e' non si possono fare come si vorrebbe, si hanno a fare come le si
possono; ed io mi sarei ingegnato a piegare il Montanelli a questo, che
mantenendo il mandato libero ai Commissarii toscani si contentasse che
agli altri fosse conferito limitato. Inoltre, io mi legava per fede a
dare istruzione ai Commissarii nostri, che al partito della maggiorità
senza obietto alcuno immediatamente aderissero. Così, aggiungeva io, si
concilia ogni differenza; il sig. Montanelli mantiene la promessa, e i
Commissarii riuniti esibendo prima di tutto i mandati, circoscrivono
i limiti e pongono le basi sopra le quali hanno ad aggirarsi le
trattative. Un'altra considerazione mi muoveva a consigliare così, ed
era, che quantunque andassi persuaso, che il mandato illimitato non
fosse mai per nuocere all'A. S., ma piuttosto giovarle, pure questa mia
persuasione studiava assicurare con quelle guarentigie che mi era dato
conseguire maggiori.
«Lo Inviato sardo parve penetrarsi di queste mie considerazioni, e
dichiarò scriverne al suo Governo. Io ho motivo di credere che ci
saremmo trovati d'accordo, sebbene rimanesse a spianare la difficoltà
relativa al Regno della Italia Superiore, la quale avevo lasciato
sospesa onde sembrasse che in qualche punto cedessimo, ma disposto
a consentirlo per due ragioni, una migliore dell'altra; la prima,
perchè al contatto di due Potenze principali era necessario per la
indipendenza d'Italia porre uno Stato forte; la seconda, perchè quando
Carlo Alberto se lo fosse acquistato, chi sarebbe stato quegli che
glielo avrebbe potuto contrastare? Certamente non noi.
«Considerando la seconda ipotesi della vittoria austriaca, la quale
si è verificata, nemmeno mi pareva inutile nel futuro interesse del
Trono Costituzionale toscano il merito di avere proclamato primo
la Costituente italiana. Se la vita umana è breve, brevissima è la
ministeriale; quindi non parrà cosa strana nè forte che i Ministri,
secondo le facoltà dello ingegno loro, si addentrino nei tempi che
verranno, e su gli eventi probabili discorrano.
«Vincendo Austria, era a credersi che i Trattati del 1815 sarebbono
stati mantenuti in Italia, se pure se ne contentava. Ma pensando così
diceva: le durerà eterna la buona fortuna? Dopo la vittoria rimarranno
spente le cagioni della guerra in Italia? Non credo; anzi sorgeranno
maggiori: mutabilissime sempre le vicende umane; le battaglie sono un
giuoco di zara dove invece di dadi gittiamo anime umane, e il chiodo
alla ruota della Fortuna nè uomo nè Popolo hanno posto fin qui. A noi,
che vedemmo il tremendo tramutare delle sorti da Napoleone in poi, e
non siamo vecchi, nessuno venga a sostenere immortale la opera degli
uomini. Propone l'uomo, Dio dispone. — Pongasi Austria trionfante
delle angustie nelle quali adesso si trova, e delle guerre italica
ed ungherese; poserà forse tranquilla? È da dubitarsi. I Magiari
parteggiarono in prima per lo Impero a danno dei Popoli slavi; se ne
divisero quando alla superbia loro volle imporsi un freno; allora,
côlto il destro, gli Slavi sostennero lo Impero vacillante, per odio
della preponderanza magiara, e per amore di libertà: gli uni e gli
altri a vicenda presero la bandiera dello Impero per ingagliardirsi
agli scambievoli danni. Gli Slavi vittoriosi, estimandosi salvatori,
non diventeranno più importuni e più difficili a contentarsi dei
vinti? L'aiuto russo non riuscirà più tardi molesto, però che la
memoria del male presto passi e il fastidio della subiezione duri?
Concesso ancora che per la parte dei Russi non si operi cosa che
valga a fomentare negli Slavi sentimenti di origine, di religione e
di lingua comune,[120] per cui desiderino un giorno collegarsi in una
sola famiglia, non è da credersi che questi sentimenti si svilupperanno
spontanei? Gli stessi Stati ereditarii non sono travagliati da umori
_socialisti_ troppo più pericolosi dei _repubblicani_? Questo contagio
non si estende nella intera Germania? Non dura e si prolunga, tela
penelopea della alemanna politica, l'assettamento della Germania?
Cesserà l'antagonismo fra Austria e Prussia? Il bisogno di tenere in
piedi eserciti enormi per guardare Ungheria, Italia, Boemia, Germania,
non sopravviverà alla vittoria, seme nuovo di guerra? Le sue finanze
non sono disastrate, i Popoli non si esauriscono anch'essi? E posto
ancora che la buona fortuna e il senno dei Ministri austriaci vincano
prodigiosamente queste ed altre difficoltà, forse tutte le cose nostre
non hanno la morte? Non si spengono i reami come gl'individui? È questa
una verità, che nè anche la superbia potrebbe smentire:
Cadono le città, cadono i regni....
Per le quali considerazioni mi parve consiglio buono mettere il nostro
Stato in vantaggiosa condizione per qualsivoglia eventualità. — Se mai
vorrà il destino che Austria debba un giorno abbandonare la Italia,
allora avrebbe potuto valere alla Toscana riprodurre la Costituente
italica, per nuovi eventi celata sotto il moggio, onde tornare più
tardi a splendere sul candelabro.
«Per quello poi che riguardava il tempo attuale, la Costituente ci
salvava dallo impeto repubblicano, come ho scritto di sopra discorrendo
dei motivi probabili che persuasero il Presidente Capponi a consentirne
il bando al signor Montanelli.» —
Il Principe, ascoltate le mie riflessioni attentissimamente, si
degnò favellare queste parole: «In quanto dice vi è del vero, ma
Lord Hamilton sente in modo contrario.» — «Lord Hamilton, risposi,
è uomo peritissimo nelle faccende politiche; mi permette l'A. V. che
io lo consulti su questo proposito?» — «Ella può farlo, il Principe
soggiunse; anzi lo può fare immediatamente, perchè è qui in Palazzo.»
— «Altezza, dove?» — «In salotto giallo.» — «Mi concede l'A. V.
che io vada?» — «Sì, volentieri.» Nel luogo indicato, rinvenni Sir
Carlo Hamilton, fratello dell'onorevole signore Ministro che adesso
deploriamo defunto, col quale tenni lungo e grave colloquio, di cui
conclusione fu cadere insieme intorno alla convenienza di presentare
il progetto di Legge della Costituente alle Camere nel modo indicato
da me. Tornai nelle stanze di S. A., e le detti ragguaglio dell'esito
della conferenza; parve maravigliarsene, e desiderò udirlo confermare
dal prelodato Sir Carlo; la quale cosa fece, lasciando me solo nella
sua stanza: dopo lunga ora tornò, e firmando il progetto, a me lo
consegnava piuttosto premuroso, che repugnante, affinchè il Ministero
lo sostenesse alle Camere.
Io mi sarei vergognato adoperare parole capaci a diminuire nel Principe
il libero esercizio della regia prerogativa; nè la dignità di S. A.
lo avrebbe sofferto; e lascio poi considerare se di questa maniera
argomenti avrebbero sortito effetto con un Ministro di tale Potenza
quale Inghilterra si è. Chi vorrà, con alquanto meno disprezzo di
quello che l'Accusa sapientissima si faccia, avvertire il modo col
quale io sostenni la discussione della Costituente, penserà che le
ragioni, trovate plausibili dalla Corona e da Sir Carlo Hamilton,
non dovessero presentare poi tutte quelle stupidezze che l'Accusa si
compiace immaginare. Se questo fosse caso di dannazione, bisognerebbe
dire che mi sarei dannato in ottima compagnia!
E se non ho perduto il bene dello intelletto, il Documento donde
l'Accusa ricava indizio di violenza usata alla Corona, la esclude del
tutto. Questo Documento è il Dispaccio telegrafico del 22 gennaio 1849
al Governatore di Livorno: «Dopo molte ore di _combattimento_, avemmo
il Decreto Regio per la Costituente italiana.» Qui, innanzi tratto,
è chiaro come la parola _combattimento_ fosse scambiata con l'altra
più acconcia di _dibattimento_; ma via, lasciamo combattimento, chè
la contesa di raziocinii si risolverà in dibattimento pur sempre. Ora
io dico, che chi la violenza sostituisce alla ragione non ha mestieri
di formule prolisse; il ragionare che giova? Porgete il collo alla
dura necessità. La impressione del meto è cosa breve per colui che
l'adopera e per quello che la subisce: non si discute mica la paura;
e il dibattimento di molte ore non può referirsi alle conseguenze di
un subito moto dell'animo, sibbene alle avvisate e lente operazioni
del pensiero. — La quale intelligenza anche più si manifesta leggendo
il rimanente Dispaccio: «_bisognerebbe mostrarci grati al Principe_
con una grandissima dimostrazione.» Se avessi usata forza alla volontà
di S. A., queste parole sarebbero a un punto vituperevole scherno per
lui, immane atrocità per me..... Se non che all'Accusa costa tanto poco
pensare atrocità, che scarso frutto questi argomenti ponno fare con
lei!
L'Accusa, che andò a rifrustare mostruosi motivi d'insinuazioni
pessime, perchè non considerò il voto unanime della Camera dei
Deputati? Perchè non pose mente alle parole pronunziate dal Deputato
signor Socci, nell'adunanza del Consiglio Generale del 25 gennaio 1849?
«Questa immensa fiducia gliel'ha dimostrata anche la Camera, quando
_alla unanimità_ approvava la Legge sulla Costituente italiana, _e
credo che tutti la votassero di gran cuore_.»[121]
Ma all'Accusa non basta la testimonianza del Socci, che nell'ardua
sua virtù ella forse come cagnotto del Potere disprezza; onde, la mano
sempre sul petto,
Da quella parte ove il cuore ha la gente,
e gli occhi al cielo, l'Accusa attesta andare nei precordii della
sua coscienza convinta, che _soffocata quasi la discussione della
Camera, in virtù del tumulto delle tribune, riuscisse al Montanelli
di ottenere il mandato illimitato_[122] — Deh! abbassa, o coscienziosa
Accusa, cotesta mano, e quegli occhi, e prendi il _Monitore_, e leggi
ciò che arringando dichiarava Ridolfo Castinelli, uomo per fermezza di
carattere, ai tempi che corrono, piuttosto singolare che raro; e bada,
Accusa, ch'egli è quel desso che i libertini più accesi pretendevano
escluso dalla deputazione pisana: e avverso al Ministero reputavasi,
e certo egli professava dottrine conservatrici, e sopra i banchi
dell'Opposizione sedeva; — e avverti ancora (dacchè tutte le Accuse
sogliano talvolta disgradare nella memoria Magliabechi, e tal altra,
quando lor torna, superare in ismemoraggine Messala), che il sig.
Castinelli queste parole profferiva il 25 gennaio 1849, discutendo la
Legge su i _Buoni del Tesoro_, e però spontaneo così e liberissimo, che
neanche l'argomento del discorso, o lo impeto della improvvisa orazione
gli facesse violenza.
«.... E ciò prova che è veramente insussistente l'accusa, pure
pronunciata in questa Assemblea, che il Ministero abbia a combattere
una Opposizione sistematica. — Il voto unanime che il Consiglio
Generale dei Deputati diede alla Legge di convocazione della
Costituente Italiana, non prova luminosamente ciò che ho affermato? —
_Se alcuni onorevoli nostri Colleghi amarono sentire dalla bocca stessa
dei Ministri, quanto era spontaneo il desiderio del Principe che lo
portava a sottoscrivere l'atto d'inaugurazione per il Popolo Toscano
alla vita rappresentativa italiana, non resultava dalla discussione e
dallo sviluppamento degl'intimi moventi dei Ministri, se fosse bello e
rifulgente il serto col quale tutti concordi incoronammo questo grande
Atto_?»
Forse, chi sa, potrebbe darsi che alcun poco dolesse all'Accusa di
trovarsi perpetuamente in tutto quanto ella afferma smentita; ma
considerando dall'altro canto, che il renunziare a questa parte della
truce novella sconcerebbe l'architettura della fabbrica, delibererà
nella sua coscienza dovere persistere a ritenere e dare ad intendere
violentata la Camera dei Deputati nel voto della Legge intorno alla
Costituente. — Rispetto a ciò, confesso non sapere che cosa rispondere;
ed auguro all'Accusa su le piume della coscienza un sonno d'oro. Che
se non le talenta la Camera dei Deputati, almeno tenga in pregio il
Senato, corpo creato dal Principe e conservatore per eccellenza. Tenga
in pregio lo scrutinio _segreto_, dove ognuno poteva deporre nell'urna,
senza sospetto, il voto riprovatore. Tenga in pregio le parole
dello illustre senatore Bufalini: «Non avrei altre considerazioni
a soggiungere in questo proposito, sopra il quale _non mi pare sia
occorsa divergenza di opinione_. Dirò solo che, come il Senato fu
sempre penetrato della grande importanza di riacquistare la nazionale
Indipendenza, e fu sempre sollecito altresì, per quanto era in lui,
di provvedere a tutto ciò che potesse meglio conferire allo acquisto
di quella; _così se dall'adozione della proposta Legge avesse egli
potuto temere nocumento per lo acquisto della Indipendenza nazionale,
certo che il Senato avrebbe avuto il coraggio, inspirato dal dovere,
di palesare francamente non essere ancora venuta la opportunità di
approvare una Legge, che invece di partorire i benefici frutti che
si desiderano, avrebbe anzi attirato sopra la Italia le calamità che
più si vogliono fuggire. Così non temendo il Senato questi mali, si
conduceva più facilmente a servire al principio che lo aveva condotto
alla unanime persuasione di dovere adottare la Legge proposta_; e
quando la Commissione esprimeva al Senato questo pensiero, esprimeva
appunto il pensiero che _unanimemente le Sezioni avevano accolto_.»
Ma il voto unanime non giova, il voto segreto neppure, molto meno la
mancanza di qualsivoglia obietto nel seno delle Sezioni; non giova
il silenzio delle tribune assistenti alla discussione del Senato,
non giova la solenne dichiarazione, che i Senatori avrebbero avuto
il coraggio di rigettare la Legge dove l'avessero reputata dannosa:
l'Accusa li pretende ad ogni modo costretti a votarla sotto la
impressione del terrore; e se essi lo impugnano, l'Accusa predicherà,
che non sanno quello che dicono, e che ella lo sa per loro, e meglio
di loro, ed anche contro a loro, perchè così le fa comodo di sapere; e
badino a stare cheti, che nel Senato han favellato assai. O Accusa!....
Accusa!.... Accusa!....
L'Accusa, non ci ha rimedio, è ferocissimamente incaponita a pretendere
violati i Senatori, come a volere me non tocco, negli atti _co' quali,
e nei quali venne a consumarsi la perduellione_.
Io per volere del Principe dettai il Programma ministeriale e il
Discorso della Corona. In questi Documenti, afferrato il concetto
avventuroso della Costituente, badai a renderlo benefico con le
dichiarazioni solenni: «La Costituente ha da essere pegno di amicizia,
non offesa ai Popoli amici, molto meno impedimento a conseguire la
suprema delle necessità nostre, la Indipendenza Italiana. Quindi
preparandola noi, non vogliamo togliere che venga convocata in città
più inclita della nostra, comecchè nobilissima ella sia; e neppure
vogliamo proseguirla in guisa, che non riesca per poca autorità del
nostro Stato, o _turbi le relazioni fraterne co' Popoli vicini_.» — (§
12 del Programma ministeriale.)
Prima gettai il principio che la Costituente avesse ad essere motivo
di unione con gli altri Stati; la quale cosa importava che non si
dovesse turbare la Italia con proposte importune di mutamenti politici:
quindi, per ovviare ad acerbe censure, posi la suprema necessità della
concordia per la guerra della Indipendenza: più tardi, persuasi che
le quistioni governative si aggiornassero: infine, che la Costituente
avesse a presentare due stadii; il primo di difesa, il secondo di
forme; nè si muovesse parola intorno al secondo finchè non fosse
conseguito il grande scopo della Indipendenza italiana; e, quantunque
non senza molta difficoltà, indussi il Presidente del Consiglio ad
abbracciare questo partito, conforme apparisce dalla Circolare ai
Rappresentanti del Governo toscano presso i Governi italiani del dì 8
novembre 1848.[123]
L'Accusa, che si mostra così curiosa a ricercare sui Giornali cose
che valgano a danneggiarmi, o perchè non lesse le acerbe polemiche
dirette principalmente contro me, rimproverando la falsata indole della
Costituente, la fede pessima di attenuarla, e ridurla in fumo?[124] In
quanto a me, suonavano coteste accuse ingiuste, imperciocchè io avessi
bene aderito alla Costituente, ma a patto che non fruttasse seme di
discordia fra gli Stati Italiani.
Intanto si ritenga che mercè gli sforzi miei, cui aderì la maggioranza
del Consiglio ministeriale, la Costituente doveva presentare due
stadii: 1º la guerra; 2º gli ordinamenti interni aggiornati dopo lo
acquisto della Indipendenza. — Domando in grazia di bene avvertire
questo fatto a cagione della importanza delle conseguenze che ne
scaturiscono.
Rimaneva a discorrere del _tempo_, del _luogo_, delle condizioni del
mandato.
Tutto questo rimase indeterminato, e non senza consiglio. La stampa
chiedeva il luogo fosse _Roma_, il tempo il _5 febbraio_, giorno della
convocazione della Costituente romana, il mandato _illimitato_; dei
due stadii non si voleva sentire parlare, — perchè, nei concetti del
Partito repubblicano, senza ordinamenti nuovi non si poteva acquistare
la forza necessaria per combattere la guerra della Indipendenza.
Riguardo al _luogo_, io m'ingegnavo non impegnarmi per iscegliere il
più conveniente, e di Roma (se non vado errato) sempre si astenne
favellare il Ministero. Procurai rimanesse incerto il _tempo_, per
evitare la coincidenza del _5 febbraio_ richiesta dalle pretensioni
popolari; e a questo preciso scopo nella seduta del 22 gennaio 1849 mi
sforzai a fare discutere la Legge sul Bilancio del 1849 prima della
Costituente, richiamando l'attenzione della Camera sopra la prima
Legge, e confortandola a deliberare con pacato consiglio. Ecco le
mie parole: «Crede il Ministro dello Interno fare atto di coraggio,
quando profferisce parole che sieno argomento a temperare la bella,
ma soverchia, voglia del Popolo. Sta al Popolo concepire le nobili
passioni, ma sta al Ministero il grave carico di attuarle e renderle
possibili. Ora dunque desidererei che l'ordine presentatovi dal
meritissimo Presidente fosse mantenuto, imperciocchè non solamente
è vero, nella guerra, quello che diceva il Maresciallo Montecuccoli,
cioè, che ci vogliono: danari, danari, danari, — ma anche in ogni altro
ramo di pubblica amministrazione. Ora pregovi considerare che forse
la Costituente aumenterà i bisogni della guerra; quindi io vorrei che
innanzi tutto si discutesse quella Legge che somministrasse i mezzi
pei quali questa Costituente non riuscisse parola morta. Concludo
perchè piaccia alla Camera tenere fermo l'ordine del giorno proposto
dal nostro Presidente.» — (Seduta del Consiglio Generale del 22 gennaio
1849.)
Io pertanto proponevo che l'ordine del giorno si estendesse non pure
alla _lettura_, ma ancora alla _discussione_ della Legge sul Bilancio;
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