Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - 37
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pochi fanno la parte loro, a me piace e giova fare la mia, protestando
altamente dal profondo del carcere per la dignità della mia Patria e
del Principato Costituzionale, contro tanto disonesta sentenza.
Da simili proposizioni due conseguenze sono da trarsi, ed è la prima,
che male giudicherà di me chiunque ritenga l'enormezze dell'Agro
Aretino atti devoti alla causa del Principato Costituzionale; la
seconda, che nefando desiderio, e degno della universa riprovazione
è quello, che perduti uomini, ossa di trucidati e ceneri di case arse
ammucchiando, vi piantassero sopra la bandiera dello assolutismo. — Lo
so, per ventura pochi, e nondimeno per onta della civiltà nostra anche
troppi, vivono uomini fra noi a cui basterebbe il cuore di mostrare
l'ossuario dello Agro Aretino, come la Svizzera addita adesso con
orgoglio l'ossuario di Morat, e non solo lo pensano, ma in isvergognate
pagine lo scrivono.... Ah! stracci la coscienza pubblica coteste
pagine, testimonianza di giorni di lutto per la nostra Patria.... le
arda, e le disperda, perchè davvero mai ceneri più esecrabili furono
gittate in balía dei venti.
Perchè non avete raccontato i fatti che condussero il Governo a
decretare la Legge Stataria per le Campagne Aretine? Eranvi ignoti
forse? No, voi gli sapete. Forse ne andavano smarrite le traccie?
No, si trovano negli Archivii ministeriali, e voi ad una ad una avete
sfogliate le carte (che adesso presumete contendere a me), assistente
uno ufficiale del Ministero. Bene io leggeva cotesti miserandi
Rapporti, per cui tutto sconfortato, _al tocco dopo la mezzanotte_ dei
24 marzo 1849, mandava per Dispaccio telegrafico al Governo di Livorno:
«_La campagna di Arezzo è in preda al brigantaggio e allo assassinio.
I Pulicianesi hanno dato l'assalto a Castiglion Fiorentino. Vedete s'è
tempo adesso di dimostrazioni_.[514]»
Quello che non avete fatto voi (e ve ne correva santissimo il dovere)
farò io, o piuttosto lascerò che faccia Adriano Mari, non avvocato ma
storico diligente, e rimesso così, che alla sua narrazione potremmo
piuttosto aggiungere alcuni tratti più dolorosi (dalla quale parte io
volentieri mi assolvo), che emendarla come esagerata:
«Riandate colla mente i fatti che precederono la emanazione di quelle
Leggi. L'assalto di Prato e la morte degli aggressori sotto le mura
di quella città, l'incendio delle Stazioni della strada ferrata, le
aggressioni e le offese ai tranquilli cittadini sulle pubbliche vie,
gl'insulti alle Guardie Nazionali, la violazione del domicilio e
gli oltraggi ad onorevoli magistrati ed a pubblici officiali, erano
fatti criminosi, che non uscivano dalla categoria dei veri e proprii
_delitti comuni_. E quando nella repressione di tali eccessi avete la
_causa proporzionata_, lo scopo _certo_ e _immediato_, come _andare
sospettando_ uno scopo supposto e remoto? Come è lecito argomentare
per via di congetture un'altra intenzione, e ciò per _trovare rei_
di alto tradimento? Gl'incendii delle Stazioni, gli oltraggi alla
Guardia Nazionale, le violenze, le rapine, erano forse espansioni
d'affetto al Principe, e di attaccamento al Governo Costituzionale?
I moti di Puliciano e Laterina non erano diretti a impedire la
decretata _mobilizzazione della Guardia Civica_? Gli abitanti di
Castiglion-Fiorentino, qualunque fosse la loro opinione politica, non
presero tutti le armi a respingere l'assalto dato dagl'insorgenti? Non
temevano tutti che si rinnuovassero i tristi avvenimenti del 1799, e le
esorbitanze commesse al grido di — _Viva Maria_, — per cui nell'Agro
Aretino quella sacra invocazione divenne quasi sinonimo di violenza e
rapina?
«Nel vero, io domando agli onesti di qualunque Partito: — Se una
turba forsennata vi avesse aggrediti nel vostro domicilio, vilipesi
e malmenati, siccome accadde ad alcuni gonfalonieri non d'altro rei
che di aver presso loro i ruoli della Guardia Nazionale; se vi avesse
minacciato di morte non per altra cagione, che per avere in qualità di
pubblici funzionarii eseguite incumbenze inerenti al vostro ufficio,
siccome occorse al cancelliere Bandini, e al medico fiscale dottor
Sebastiano Fabroni; se fosse rimasto ucciso o ferito un parente, un
amico vostro, costretto suo malgrado a partecipare a un tumulto e a
dare l'assalto a una Terra, come fecero _con sacca e scuri_[515] sotto
le mura di Castiglion-Fiorentino; se dentro quella Terra, ingiustamente
aggredita, abitato avessero le vostre famiglie; se là fossero state
le cose vostre più care: avreste o no desiderato di essere soccorsi e
protetti dal _Governo di fatto_ con mezzi validi e proporzionati? E,
se a tempi e cose eccezionali occorrevano eccezionali provvedimenti,
avreste voi desiderato che la forza inviata al ristabilimento
dell'ordine fosse abbandonata a sè stessa, o piuttosto guidata da
una suprema autorità che ne vigilasse la disciplina, ne frenasse e
riparasse immediatamente le intemperanze e gli arbitrii? Avreste voi
desiderato, che questa autorità spettasse, anzichè ad uomo fazioso,
a cittadino onesto e specchiato?... Chi è veramente imparziale, torni
col pensiero a quei tempi, a quei luoghi; interroghi il suo cuore, e
pronunzi.
«Laonde non può cader dubbio sulla _necessità_ di quelle misure
eccezionali. Nè i meno discreti vorranno rimproverare il Romanelli
di avere opinato come il _Conciliatore_, che sosteneva i principii
di onesta e moderata libertà; e che tuttavia col nome di _Statuto_
continua a difendere a palmo a palmo il terreno delle istituzioni
liberali.» — «[516]Qualunque possano essere (diceva in quei tempi il
_Conciliatore_) le divergenze nelle idee e negli affetti, che sempre,
ed ora più che mai, in questa disgraziata Italia sono stati occasione
di discordie e di debolezze, vi sono due punti nei quali è d'uopo
intenderci e convenire, cioè:
«Il bisogno di salvare la dignità del Paese da qualunque specie di
prepotenza straniera;
«_Il bisogno di salvare l'ordine interno dai danni dell'anarchia,
qualunque sia la bandiera a cui nome si volesse provocarla_.
«Predichiamo la concordia, perchè vi sono tali cose in questione, nelle
quali nessuno potrebbe transigere, e per le quali è debito sacro a
tutti accorrere alla difesa. Avremo sempre una parola di biasimo per
chiunque si mostri indifferente ai mali della Patria; _protesteremo
contro ogni specie di violenza da qualunque parte e per qualunque
cagione essa muova_.» —
«Tuttavia supponete, che le insurrezioni di Puliciano e di Laterina
tendessero a ristabilire il governo granducale. Ciò non è vero;
ma supponete che dal processo apparisse. Potreste mai da questo
argomentare, che fosse precisamente e univocamente contrario al
ristabilimento di quel governo ciò che fu fatto per impedire e
comprimere le insurrezioni tendenti a quello scopo? _Il fine_ non
giustifica tutti i mezzi; a buon fine può essere inteso un _mezzo non
buono_; e chi si oppone al _mezzo iniquo_ non è per questo che sia
avverso al _fine buono_. Così l'opporsi alle parziali insurrezioni,
e con esse alle violenze, alle rapine, e alla guerra civile, è
referibile a ciò che il mezzo ha di cattivo in sè stesso; ed è abusiva
interpretazione il supporre, che il Ministro facesse per avversione al
_fine_ ciò che era diretto a frenare un _mezzo cattivo_.»[517]
Eh! male accorti e sciagurati che siete, i villani con la _scure_
e col _sacco_, a cui medita su le ragioni dei tempi, sono indizio
pessimo di male profondo. — Quando le sole passioni di fanatismo
religioso o di fanatismo politico ardono i petti mortali, copia di
sangue allaga la terra; e se gl'imperversati mettono le mani nel
bene degli altri, e' lo fanno meno per avvantaggiare sè, che per
danneggiare altrui. Ora, difetto di provvidenze economiche, o motivo
altro qualunque, che a me non giova in questo momento indagare, ha
generato per le nostre campagne un nugolo di gente conosciuta col nome
di pigionali, contadini senza podere, incerti del domani, assediati
dalla dura necessità, corrotti dai vizii, come tutte le cose cattive
fecondi, trascorridori del comunismo, a cui, più che altri non pensa
e urgentissimamente, importa provvedere. Se io dica il vero, ecco,
queste carceri infami, dove voi potete patire che io rimanga chiuso, ve
ne fanno testimonianza; vedetele: esse traboccano di accusati, la più
parte villani, e la più parte ladri. Dal 1848 già di due terzi crebbero
i delitti. Il bilancio del Ministero di Giustizia e Grazia minaccia
diventare il più grave di tutti, attesa la spesa delle carceri. Piena
la prigione di Volterra, piena l'altra di San Gimignano; la nuova
prigione aggiunta a questa mia si è empita con foga pari a quella con
la quale la inclita gioventù nostra empirebbe la platea dei Teatri,
quando si mostrasse in iscena o la Cerrito o la Taglioni, o quale altra
femmina attaccata a paio di gambe più famose. Vedete voi: possedete
abbondanza di ladri da empire le vostre carceri, senza avere bisogno
di farvi morire con lenta tise i dabbene uomini; ma fate voi... poichè
così vi giova... solo guardatevi da dire quello che non pensate, e
soprattutto poi da stamparlo, onde la torma dei famelici non impari,
che acclamando il nome di un Principe o di un Santo possa, non pure
senza biasimo, ma con lode amplissima, professare religione e politica
con l'accetta e col sacco!
Altri esponga le ragioni del diritto: io assentendo ad una voce che si
confonde co' palpiti del mio cuore, vi dico che patria carità imponeva
alla trista illuvie si ponesse o almeno si tentasse porre sollecito
riparo. Nobilissime suonano in proposito le parole di Lionardo
Romanelli; ed io le cito a causa di onore: «Non ha cuore di uomo il
cittadino che rimane indifferente ai mali minacciati al proprio paese,
e che, potendoli prevenire o mitigare, si astiene per basse paure, per
umani rispetti, e per vile _egoismo_.»[518]
Ora poi è prezzo della opera udire le immanità del truculento
Commissario. Quinci innanzi non si rammenteranno più gli annegamenti
di Nantes, nè le lionesi stragi; la fama di Carrier, di Fouchè, di
Lebon e di altri maladetti da Dio, si oscura: nacque in Toscana chi
tutti questi leverà di nido. — Lionardo Romanelli con le istruzioni del
Governo partiva; e quando gli fossero mancate, andava seco la sua anima
veramente cristiana. Arrivato a Montevarchi, prima di tutto prescrive
che non si facciano arresti irregolari senza gli ordini dei Pretori
di San Giovanni e di Montevarchi; e poichè nonostante il suo comando,
durante la notte, si sostengono alcuni, egli accorre e gli libera.
Procedendo, ammonisce i soldati, che le opinioni rispettinsi, soltanto
i tumulti e le violenze reprimansi; ordina sia ritenuto uno, colpevole
di violenze commesse a Pergine e alla Pieve Presciana. Nel punto
d'investire Puliciano, gli abitanti gli mandano deputati per pace, ed
ei gli accoglie; alla erezione dell'Albero della Libertà in Puliciano
contrasta; procura si catturino quattro, perchè designati come fautori
della baruffa di Laterina da un ferito ch'ebbe a subire l'amputazione
di un braccio.
La Commissione straordinaria ecco instituisce le sue procedure. —
Per questa volta cadonmi le braccia; il _barbaro_ ed _eccezionale_
processo già già le sue vittime divora; voltatevi proprio ad Arezzo,
per rabbrividire alla vista di strazii obliati in Toscana.
1a Procedura. — Per tumulto suscitato a Cortona, sotto pretesto
di mancanza di pane, e di rincaro del sale; _uno degl'imputati fu
condannato a un anno di casa di forza; e un altro a sei mesi._
2a Procedura. — Per ispionaggio, e ragguagli menzogneri a carico della
Colonna mobile, allo scopo di commuovere a offesa di lei gli uomini del
contado; _rimandato per incompetenza_.
3a Procedura..... — interrotta per la mutazione del Governo.[519]
E qui finisce tutto. — Come tutto? E i multati dove sono? — Non vi
sono. — E gli Aretini passati dalle soldatesche palle, dove giacciono
essi? — In nessun luogo; sono tutti vivi. — Ma se i Giudici del Decreto
del 10 giugno 1850 hanno scritto, e stampato, che la Legge Stataria
del 23 marzo 1849 _non rimase lettera morta_![520] — Che volete che
io vi dica? andatelo a domandare a cotesti Giudici benedetti, che cosa
abbiano inteso significare: in quanto a me, me ne lavo le mani.
«Con decreto de' 7 aprile successivo, emanato dal Guerrazzi nella
qualità di Capo del Potere Esecutivo, questa Legge fu estesa a tutte le
Terre, Borghi e Villaggi del Granducato.» — Così prosegue l'Accusa.
E questo è _falso_. Io non estesi la Legge del 23 marzo a tutte le
campagne del Granducato _assolutamente_, ma sì _condizionalmente_
a quelle terre, borgate o campagne, dove _sotto mentiti pretesti si
commettono attentati contro la tranquillità pubblica, e la sicurezza
delle persone_. Costretto, per pubblica salute, a firmare Legge da me
perpetuamente aborrita, posi diligentissima cura a ben dichiarare come
io piegassi a farlo, unicamente in vista di delitti comuni:
«Il Capo del Potere Esecutivo provvisorio toscano:
«Quando il Governo ritirò la Legge del 22 febbraio p. p., sperò che
la benignità sua non sarebbe scambiata con la debolezza, e fosse
tornata proficua al Paese la virtù del perdono. Ora poichè, sotto
mentiti pretesti, in alcune campagne e borgate si commettono attentati
contro la tranquillità pubblica, e la sicurezza delle persone, il
Rappresentante del Potere Esecutivo toscano, per conseguire lo intento
dichiarato nella sua Notificazione del 1º aprile corrente,
«Decreta quanto appresso:
«Art. 1º La Legge Stataria del 23 marzo 1849, attivata per il
Compartimento di Arezzo, e la Commissione Militare con essa istituita,
_saranno_ applicate in tutte le Terre, Borghi e Villaggi dello Stato,
_in cui si verificassero gli attentati disordini definiti allo Art. IV
di detta Legge_.
«Art. 2º. Tosto che per Rapporti o per altre notizie, pervenute al
Ministero dello Interno, si abbia cognizione di qualche fatto della
indole surriferita, la Terra, il Borgo, Comunello o Villaggio in cui
sia accaduto, verrà subito militarmente occupato dalla Colonna mobile.
«Art. 3º Le spese della occupazione, una volta che sia stata ordinata,
saranno sempre e in qualunque caso sopportate dalla Comunità, Borgo,
Comunello o Villaggio, che vi avranno dato causa, salvo ad essi il
diritto di rivalsa contro gli autori dei disordini, coerentemente alle
disposizioni espresse nell'Art. 3º della Legge anzidetta.
«Art. 4º Il Ministro Segretario di Stato ec.
«GUERRAZZI.»
Vediamo quale fosse questa mia Notificazione del primo aprile:
«Toscani! — Finchè l'Assemblea Costituente toscana non abbia deliberato
le sorti politiche del Paese, il _Rappresentante_ del Potere Esecutivo,
volendo non essere minore della fiducia in lui riposta dal Popolo,
dichiara ch'egli procederà severissimo contro _ogni attentato o
d'individui o di partiti, diretto contro la quiete e sicurezza
pubbliche, e la indipendenza che deve restare inviolata al voto
dell'Assemblea_.» — Vedi _Monitore_ del 2 aprile.
Io vorrei sapere un po' che cosa provoca la rampogna dell'Accusa
in questo mio Decreto. Il provvedimento in sè stesso? o il modo col
quale venne adoperato? o il fine politico? o le conseguenze che ha
partorito? Se non si distingue, male s'incolpa, e peggio possiamo
difenderci. Chi ama pescare nel torbo, contamina le acque; io vo' che
si chiariscano. Supposto che all'Accusa fastidisca il provvedimento in
sè stesso, dirò, che quando la salute della Società venga minacciata
da pericolo estremo, furono i partiti straordinarii adoperati
sempre, ed anche lodati; a patto però che il pericolo sia vero, non
mentito per arte, o sognato per paura, e le misure eccezionali durino
poco, si applichino con discrezione, e soprattutto si ponga mente a
questo, che invece di rimediare ai mali umori, non gl'intristiscano
e rendano per ira concentrata, e per profondo odio, insanabili. Di
provvisioni straordinarie, pensai che nello aprile del 1849 potesse
correre da un punto all'altro necessità per cause comuni, e per cause
politiche. Per cause comuni, — perchè sbigottito io considerava il
corpo sociale propendere a disciogliersi con inestimabile celerità;
e se mi opponessero che altri pure pervenne a tenerlo fermo senza
siffatti rimedii, io prima di tutto risponderei, dubitare assai che
questo siasi ottenuto in modo sicuro, perchè il proverbio insegna, che
le case salde non si puntellano, e di puntelli io qui ne vedo molti,
anzi troppi; e poi a reggerlo vi furono adoperate forze, le quali
erano state per altro uso disposte; ancora, che fu fatto uso di forze
da ogni previsione nostra lontane; e finalmente non somministrare a
confortarci motivo i delitti comuni dal 1848 in poi cresciuti di due
terzi, con giusto timore che qui il mal progresso non sia per fermarsi.
Rispetto a cause politiche, — perchè la esperienza dimostra che da un
lato i Partiti vinti, prima di morire, ordinariamente prorompono in
atti disperati e feroci; i vittoriosi, per consueto, in atti superbi
e bestiali. In quanto al modo col quale la Legge Stataria venne
applicata, ho già chiarito come non abbia fatto piangere nessuno;
onde quando ogni altra lode mi venga a mancare, io non avrò perduto
la gloria, che avventurandomi nelle vicende politiche desiderai
conservarmi illesa, e che a Pericle moribondo parve doversi anteporre
ad ogni altra, intendo dire, di non avere messo per colpa mia in
gramaglia nessuno.[521] Se poi si volesse biasimarne il fine, a meno
che non si pretenda che io dovessi rimanermi come Nerone a cantare
su la torre, mentre andava a fuoco e a fiamma il Paese, io non so
con quanto o senno o coscienza mi vogliano riprendere; e per quello
che concerne il fine politico, è di evidenza intuitiva che la Legge
del 7 aprile fosse arme apparecchiata contro l'estreme violenze dei
Faziosi. Invero, se l'Assemblea io sapeva che stesse per deliberare
la Repubblica, quali timori erano questi miei? Non cadevano paure,
imperciocchè i Faziosi ne avrebbero acceso i falò, e levate al cielo le
grida. I sospetti non versavano, nè potevano versare, che su questo:
o che i Deputati a dare il voto per la restaurazione si peritassero,
o che per improntitudine di Partito la deliberazione dell'Assemblea si
volesse a forza, come minacciavano, cancellare.
Intorno alle conseguenze rammento, che la Corte Regia di Lucca col
Decreto del 4 giugno non solo si astenne da improbarle come delittuose,
ma come prudenti le commendò. Nè per me volendosi, o potendosi addurre
ragioni che valessero oltre quelle contenute nel Decreto allegato,
torno, come ogni buon cittadino deve fare, a piangere amaramente su
lo spettacolo, che nello stesso paese, — sotto le leggi medesime, —
a breve distanza, — nella causa medesima, — giudicando lo adempimento
della stessa misura, — ciò che per alcuni Giudici fu argomento di lode,
per altri possa esserlo, non dico di biasimo, ma (ed empie di orrore!)
di capitalissima accusa.
Però di queste tre Leggi, la prima non mi riguarda, e non fu mandata
mai ad esecuzione; e mantenuta da me per impedire che per prepotenza
di Faziosi, la forma Repubblicana, la decadenza del Principe, e la
Unione con Roma s'imponessero, dispersa appena cotesta bufera fu
da me abrogata; la seconda, comunque da me non firmata, intesi che
alla repressione di delitti comuni di pessima indole principalmente
mirasse, non avvertita la maschera sotto la quale presumevano andare
impuniti; la terza accenna a delitti comuni, e si propone per iscopo di
assicurare la libera votazione dell'Assemblea nel vitale partito, _se
e come Toscana avesse ad unirsi con Roma_.
XXVII.
Intorno all'Accusa della soppressione del Consiglio generale Toscano,
e della mutata forma delle Elezioni.
Il Parlamento fu soppresso dal partito prevalente, col Decreto
promulgato nel giorno otto febbraio sotto le Loggie dell'Orgagna alla
presenza del Popolo, come nelle pagine che venni in altra parte di
questo scritto dettando fu largamente provato.
Lo soppresse la stampa repubblicana furiosissima e incalzante. Torniamo
a gittare uno sguardo sopra _nuovi documenti_ di quella, e vediamo
se davanti un tanto percuotere di ariete, quando anco altro non fosse
stato, avrebbe potuto il Parlamento sostenersi.
«La Costituzione e lo Statuto scompaiono col Principe disertore:
noi ricorderemo ai Deputati della Toscana, ch'eglino, come Consiglio
deliberativo, hanno compiuto l'opera loro...... Il Senato, grottesca
parodia della ciarliera Camera dei Pari di Francia, violatrice della
Costituzione, di ogni mandato, di ogni sovranità; il Senato, autorità
unicamente fittizia, più non esiste in Toscana; egli altro non era che
una superfetazione del potere reale;[522] questo caduto, il maggiorasco
dell'Aristocrazia già cadente ha perduto ogni nerbo di vita, anzi
ogni vitalità costituzionale e deliberativa. Il nostro Senato, come
quello di Francia, rimarrà rimembranza più o meno ridicola, più o meno
riprovevole, secondo gli effetti che resulteranno dalle ultime sue
sbadigliate elucubrazioni. Il Senato, figlio accarezzato dello Statuto,
è _sepolto con lui_.» — (_Alba_ del 9 febbraio 1849.)
«Oggi gridiamo francamente al Governo di Toscana, ai Democratici di
Toscana, quello che _il Popolo in questi dì domandò ai suoi reggitori_,
quello che scrisse su le mura di tutte le vie di Firenze: _Unione con
Roma! Uno Stato solo di Toscana con Roma._
«Dare indietro — sarebbe tradimento, apostasia; sarebbe un volere
sepolta la fede combattuta da tanti dolori sotto le bandiere della
prima vittoria.
«L'Assemblea Toscana _è disciolta_.» — (_Alba_, 11 febbraio 1849.)
Il _Nazionale_ del 10 febbraio 1849, più mite nelle frasi ma non meno
assoluto nel concetto, così si esprime riguardo alla Camera:
«I rimedii e gli ordinamenti che potevano attendersi da mature
deliberazioni delle Assemblee Legislative, ora necessitano subito.
Le Assemblee stesse nè _giuridicamente_ nè _decorosamente_ possono
continuare ad esistere: quando il Governo credesse utile od opportuno
di circondarsi di Assemblee deliberanti, dalla sua stessa indole
_sarebbe costretto a interrogare la volontà del Paese per mezzo del
suffragio universale_.»
E la _Costituente Italiana_ del 9 febbraio parla così più
dittatorialmente al Governo Provvisorio:
«Innanzi a tutto ei deve sgombrarsi la strada, concentrare in sè
tutta la vita del Popolo, rompere nettamente in faccia agli avanzi di
un'epoca che ormai è rinnegata. _Il Consiglio generale dei Deputati è
instituzione tale che, dopo il fatto d'oggi, non ha più corso_....; è
inutile ordigno che, senza aggiungere forza, vizia il carattere e lo
spirito della rivoluzione.»
E non solo la stampa repubblicana, ma quella eziandio che si chiamava
conservatrice, e si diceva ed era organo di frazione notabile e
più moderata del Partito Costituzionale, si univa a provocare lo
scioglimento del Consiglio. E questa testimonianza io consegno alla
Storia, perchè, giudicando delle azioni umane, ne faccia tesoro.
«Oggi peraltro che un Governo Provvisorio è instituito, mal sappiamo
intendere che resti a farsi dai Rappresentanti. Senza parlare delle
cessate ragioni del loro mandato, giacchè in tempi di crisi politiche
_necessariamente rovina ogni giuridico fondamento al Potere_, inutile
affatto ci sembra oggi ogni loro azione. Però il Governo disciolga la
Camera, e col principio accettato del suffragio universale faccia nuovo
appello al Paese, _o i Deputati provvederanno al loro decoro con una
volontaria dimissione_.» — (_Conciliatore_ del 9 febbraio 1849.) — Nè
già una volta sola, ma subito il giorno dopo magistralmente, secondo
il consueto: «a questo pensi il Governo _sorto dalla necessità del
momento_, onde non compromettere (_sic_) inutilmente la tranquillità
del Paese, _che nuovamente consultato col suffragio universale ha un
modo legittimo di manifestare la sua volontà su la normale costituzione
dello Stato_.» — (_Conciliatore_ del 12 febbraio 1849.)
Pertanto, senza discrepanza, universale urgeva allora la opinione
pubblica per lo scioglimento del Consiglio.
Forse taluno opporrà: — E che ti faceva quello che quivi si
bisbigliava? Dovevi lasciar dire le genti, e stare fermo come torre.
La stampa è stampa, nè ha virtù di prendere pel collo un Ministro. —
Anche in tempi ordinarii, la stampa è forza tale a cui sembra piuttosto
l'opporci efficace di quello che sia.
Vostro saver non ha contrasto a lei;
Ella provvede, giudica e persegue
Suo regno.
Ed io allego la stampa come organo di Partito trionfante; sicchè vedete
che poco riparo le poteva fare la gente. Gli uomini politici vengono
mossi non solo dalla pressione presente, bensì ancora dal presagio
degli umori che i partiti presi siano capaci a generare. I signori
Fitz James, Dreux Brezé, De la Tour du Pin, Montauban, e Mortemart,
svisceratissimi del ramo maggiore di Casa Borbona, si accostarono al
trono di Luigi Filippo dichiarando solennemente nello agosto del 1830,
questo avere operato non già per diffalta di fede, a cui gentil sangue
di Francia non faceva mai mancamento, bensì per salvare la Patria
dall'anarchia apparecchiata a divorare, e da tale pensiero essersi
trovati costretti con irresistibile violenza.
Il Parlamento, siccome il _Conciliatore_ accenna, cessava per necessità
delle vicende accadute, perocchè mancassero la ragione del mandato, e
il modo di esercitarlo: la _ragione_, non potendo estendersi, secondo
la indole di qualsivoglia altro mandato, a cose nè espressamente nè
virtualmente contemplate; il _modo_, essendo venuta meno la facoltà
di operare co' Poteri indicati nello Statuto. Nella guisa stessa che
cadeva il Ministero per l'assenza della Corona, cadeva il Parlamento, e
con loro tutta la macchina governativa. Il Parlamento, giusta le regole
di Diritto Costituzionale, a cagione di questo successo non aveva
neanche bisogno di pronunzia per disciogliersi; era cessato _ipso jure
et facto_; e, dirittamente avverte l'organo che si vantava del Partito
moderato, il _Conciliatore_, non si sapeva comprendere nè in virtù di
quale fondamento giuridico, nè a qual fine continuasse a sedere.
Il Parlamento ancora si disfece da sè stesso quando nella seduta
dell'otto febbraio, secondo che a suo luogo ho fatto conoscere, taluno
dei suoi membri dichiarò, che, eletto il Governo Provvisorio, intendeva
cessati i suoi poteri; tale altro sostenne mancare perfino di facoltà
per eleggerlo; parecchi finalmente si astennero da votare, o votarono
come semplici cittadini. Come dunque mantenere in vita un corpo che _da
sè stesso esibiva la sua fede di morte_?
Il Parlamento disfece sè stesso quando molti Deputati si assentarono,
dimostrando col fatto che non volevano prendere parte alle
deliberazioni.
Con quale senno o consiglio l'Accusa rimprovera avere sciolto il
Parlamento, quando lo ritiene esposto a violenze estreme?
Un poco di buona fede anche per me: i Romani privavano dell'acqua e del
fuoco i proscritti, ma non ho mai inteso dire che i Romani, o Popolo
altro qualunque, privassero alcuno della buona fede; dunque se l'Accusa
non mi vuole privare della buona fede, e va persuasa di quanto scrive,
o come può ella credere che il Parlamento avrebbe voluto o potuto
adunarsi dopo la giornata dell'8 febbraio?
No; il Parlamento, per le regole costituzionali, a cagione dell'assenza
della Corona, era cessato; egli non poteva esercitare altramente il suo
ufficio, privo di mandato per istarsi al fianco di Governo impreveduto:
e questo in diritto; — in fatto, non voleva più adunarsi quando
parte dei suoi membri disertava le sedute; non poteva più adunarsi,
quando dal suo seno sorgevano voci ad ammonirlo della sua incapacità
a perdurare; quando il Popolo lo aveva soppresso, e incalzava per la
Unione con Roma; quando la opinione universale gli urlava negli orecchi
ch'era morto, e che dirittamente pensò quando, con le sue proprie
gambe, andò a farsi sotterrare.
Cause irresistibili erano queste per confermare il Decreto di
scioglimento, il quale non ebbe altra virtù che constatare un fatto
oggi mai compíto dalla mancanza di uno dei tre Poteri costituzionali,
e per la volontà del Partito trionfante.
Inoltre, l'uomo di Stato che o per volontà propria, o per prepotenza
altamente dal profondo del carcere per la dignità della mia Patria e
del Principato Costituzionale, contro tanto disonesta sentenza.
Da simili proposizioni due conseguenze sono da trarsi, ed è la prima,
che male giudicherà di me chiunque ritenga l'enormezze dell'Agro
Aretino atti devoti alla causa del Principato Costituzionale; la
seconda, che nefando desiderio, e degno della universa riprovazione
è quello, che perduti uomini, ossa di trucidati e ceneri di case arse
ammucchiando, vi piantassero sopra la bandiera dello assolutismo. — Lo
so, per ventura pochi, e nondimeno per onta della civiltà nostra anche
troppi, vivono uomini fra noi a cui basterebbe il cuore di mostrare
l'ossuario dello Agro Aretino, come la Svizzera addita adesso con
orgoglio l'ossuario di Morat, e non solo lo pensano, ma in isvergognate
pagine lo scrivono.... Ah! stracci la coscienza pubblica coteste
pagine, testimonianza di giorni di lutto per la nostra Patria.... le
arda, e le disperda, perchè davvero mai ceneri più esecrabili furono
gittate in balía dei venti.
Perchè non avete raccontato i fatti che condussero il Governo a
decretare la Legge Stataria per le Campagne Aretine? Eranvi ignoti
forse? No, voi gli sapete. Forse ne andavano smarrite le traccie?
No, si trovano negli Archivii ministeriali, e voi ad una ad una avete
sfogliate le carte (che adesso presumete contendere a me), assistente
uno ufficiale del Ministero. Bene io leggeva cotesti miserandi
Rapporti, per cui tutto sconfortato, _al tocco dopo la mezzanotte_ dei
24 marzo 1849, mandava per Dispaccio telegrafico al Governo di Livorno:
«_La campagna di Arezzo è in preda al brigantaggio e allo assassinio.
I Pulicianesi hanno dato l'assalto a Castiglion Fiorentino. Vedete s'è
tempo adesso di dimostrazioni_.[514]»
Quello che non avete fatto voi (e ve ne correva santissimo il dovere)
farò io, o piuttosto lascerò che faccia Adriano Mari, non avvocato ma
storico diligente, e rimesso così, che alla sua narrazione potremmo
piuttosto aggiungere alcuni tratti più dolorosi (dalla quale parte io
volentieri mi assolvo), che emendarla come esagerata:
«Riandate colla mente i fatti che precederono la emanazione di quelle
Leggi. L'assalto di Prato e la morte degli aggressori sotto le mura
di quella città, l'incendio delle Stazioni della strada ferrata, le
aggressioni e le offese ai tranquilli cittadini sulle pubbliche vie,
gl'insulti alle Guardie Nazionali, la violazione del domicilio e
gli oltraggi ad onorevoli magistrati ed a pubblici officiali, erano
fatti criminosi, che non uscivano dalla categoria dei veri e proprii
_delitti comuni_. E quando nella repressione di tali eccessi avete la
_causa proporzionata_, lo scopo _certo_ e _immediato_, come _andare
sospettando_ uno scopo supposto e remoto? Come è lecito argomentare
per via di congetture un'altra intenzione, e ciò per _trovare rei_
di alto tradimento? Gl'incendii delle Stazioni, gli oltraggi alla
Guardia Nazionale, le violenze, le rapine, erano forse espansioni
d'affetto al Principe, e di attaccamento al Governo Costituzionale?
I moti di Puliciano e Laterina non erano diretti a impedire la
decretata _mobilizzazione della Guardia Civica_? Gli abitanti di
Castiglion-Fiorentino, qualunque fosse la loro opinione politica, non
presero tutti le armi a respingere l'assalto dato dagl'insorgenti? Non
temevano tutti che si rinnuovassero i tristi avvenimenti del 1799, e le
esorbitanze commesse al grido di — _Viva Maria_, — per cui nell'Agro
Aretino quella sacra invocazione divenne quasi sinonimo di violenza e
rapina?
«Nel vero, io domando agli onesti di qualunque Partito: — Se una
turba forsennata vi avesse aggrediti nel vostro domicilio, vilipesi
e malmenati, siccome accadde ad alcuni gonfalonieri non d'altro rei
che di aver presso loro i ruoli della Guardia Nazionale; se vi avesse
minacciato di morte non per altra cagione, che per avere in qualità di
pubblici funzionarii eseguite incumbenze inerenti al vostro ufficio,
siccome occorse al cancelliere Bandini, e al medico fiscale dottor
Sebastiano Fabroni; se fosse rimasto ucciso o ferito un parente, un
amico vostro, costretto suo malgrado a partecipare a un tumulto e a
dare l'assalto a una Terra, come fecero _con sacca e scuri_[515] sotto
le mura di Castiglion-Fiorentino; se dentro quella Terra, ingiustamente
aggredita, abitato avessero le vostre famiglie; se là fossero state
le cose vostre più care: avreste o no desiderato di essere soccorsi e
protetti dal _Governo di fatto_ con mezzi validi e proporzionati? E,
se a tempi e cose eccezionali occorrevano eccezionali provvedimenti,
avreste voi desiderato che la forza inviata al ristabilimento
dell'ordine fosse abbandonata a sè stessa, o piuttosto guidata da
una suprema autorità che ne vigilasse la disciplina, ne frenasse e
riparasse immediatamente le intemperanze e gli arbitrii? Avreste voi
desiderato, che questa autorità spettasse, anzichè ad uomo fazioso,
a cittadino onesto e specchiato?... Chi è veramente imparziale, torni
col pensiero a quei tempi, a quei luoghi; interroghi il suo cuore, e
pronunzi.
«Laonde non può cader dubbio sulla _necessità_ di quelle misure
eccezionali. Nè i meno discreti vorranno rimproverare il Romanelli
di avere opinato come il _Conciliatore_, che sosteneva i principii
di onesta e moderata libertà; e che tuttavia col nome di _Statuto_
continua a difendere a palmo a palmo il terreno delle istituzioni
liberali.» — «[516]Qualunque possano essere (diceva in quei tempi il
_Conciliatore_) le divergenze nelle idee e negli affetti, che sempre,
ed ora più che mai, in questa disgraziata Italia sono stati occasione
di discordie e di debolezze, vi sono due punti nei quali è d'uopo
intenderci e convenire, cioè:
«Il bisogno di salvare la dignità del Paese da qualunque specie di
prepotenza straniera;
«_Il bisogno di salvare l'ordine interno dai danni dell'anarchia,
qualunque sia la bandiera a cui nome si volesse provocarla_.
«Predichiamo la concordia, perchè vi sono tali cose in questione, nelle
quali nessuno potrebbe transigere, e per le quali è debito sacro a
tutti accorrere alla difesa. Avremo sempre una parola di biasimo per
chiunque si mostri indifferente ai mali della Patria; _protesteremo
contro ogni specie di violenza da qualunque parte e per qualunque
cagione essa muova_.» —
«Tuttavia supponete, che le insurrezioni di Puliciano e di Laterina
tendessero a ristabilire il governo granducale. Ciò non è vero;
ma supponete che dal processo apparisse. Potreste mai da questo
argomentare, che fosse precisamente e univocamente contrario al
ristabilimento di quel governo ciò che fu fatto per impedire e
comprimere le insurrezioni tendenti a quello scopo? _Il fine_ non
giustifica tutti i mezzi; a buon fine può essere inteso un _mezzo non
buono_; e chi si oppone al _mezzo iniquo_ non è per questo che sia
avverso al _fine buono_. Così l'opporsi alle parziali insurrezioni,
e con esse alle violenze, alle rapine, e alla guerra civile, è
referibile a ciò che il mezzo ha di cattivo in sè stesso; ed è abusiva
interpretazione il supporre, che il Ministro facesse per avversione al
_fine_ ciò che era diretto a frenare un _mezzo cattivo_.»[517]
Eh! male accorti e sciagurati che siete, i villani con la _scure_
e col _sacco_, a cui medita su le ragioni dei tempi, sono indizio
pessimo di male profondo. — Quando le sole passioni di fanatismo
religioso o di fanatismo politico ardono i petti mortali, copia di
sangue allaga la terra; e se gl'imperversati mettono le mani nel
bene degli altri, e' lo fanno meno per avvantaggiare sè, che per
danneggiare altrui. Ora, difetto di provvidenze economiche, o motivo
altro qualunque, che a me non giova in questo momento indagare, ha
generato per le nostre campagne un nugolo di gente conosciuta col nome
di pigionali, contadini senza podere, incerti del domani, assediati
dalla dura necessità, corrotti dai vizii, come tutte le cose cattive
fecondi, trascorridori del comunismo, a cui, più che altri non pensa
e urgentissimamente, importa provvedere. Se io dica il vero, ecco,
queste carceri infami, dove voi potete patire che io rimanga chiuso, ve
ne fanno testimonianza; vedetele: esse traboccano di accusati, la più
parte villani, e la più parte ladri. Dal 1848 già di due terzi crebbero
i delitti. Il bilancio del Ministero di Giustizia e Grazia minaccia
diventare il più grave di tutti, attesa la spesa delle carceri. Piena
la prigione di Volterra, piena l'altra di San Gimignano; la nuova
prigione aggiunta a questa mia si è empita con foga pari a quella con
la quale la inclita gioventù nostra empirebbe la platea dei Teatri,
quando si mostrasse in iscena o la Cerrito o la Taglioni, o quale altra
femmina attaccata a paio di gambe più famose. Vedete voi: possedete
abbondanza di ladri da empire le vostre carceri, senza avere bisogno
di farvi morire con lenta tise i dabbene uomini; ma fate voi... poichè
così vi giova... solo guardatevi da dire quello che non pensate, e
soprattutto poi da stamparlo, onde la torma dei famelici non impari,
che acclamando il nome di un Principe o di un Santo possa, non pure
senza biasimo, ma con lode amplissima, professare religione e politica
con l'accetta e col sacco!
Altri esponga le ragioni del diritto: io assentendo ad una voce che si
confonde co' palpiti del mio cuore, vi dico che patria carità imponeva
alla trista illuvie si ponesse o almeno si tentasse porre sollecito
riparo. Nobilissime suonano in proposito le parole di Lionardo
Romanelli; ed io le cito a causa di onore: «Non ha cuore di uomo il
cittadino che rimane indifferente ai mali minacciati al proprio paese,
e che, potendoli prevenire o mitigare, si astiene per basse paure, per
umani rispetti, e per vile _egoismo_.»[518]
Ora poi è prezzo della opera udire le immanità del truculento
Commissario. Quinci innanzi non si rammenteranno più gli annegamenti
di Nantes, nè le lionesi stragi; la fama di Carrier, di Fouchè, di
Lebon e di altri maladetti da Dio, si oscura: nacque in Toscana chi
tutti questi leverà di nido. — Lionardo Romanelli con le istruzioni del
Governo partiva; e quando gli fossero mancate, andava seco la sua anima
veramente cristiana. Arrivato a Montevarchi, prima di tutto prescrive
che non si facciano arresti irregolari senza gli ordini dei Pretori
di San Giovanni e di Montevarchi; e poichè nonostante il suo comando,
durante la notte, si sostengono alcuni, egli accorre e gli libera.
Procedendo, ammonisce i soldati, che le opinioni rispettinsi, soltanto
i tumulti e le violenze reprimansi; ordina sia ritenuto uno, colpevole
di violenze commesse a Pergine e alla Pieve Presciana. Nel punto
d'investire Puliciano, gli abitanti gli mandano deputati per pace, ed
ei gli accoglie; alla erezione dell'Albero della Libertà in Puliciano
contrasta; procura si catturino quattro, perchè designati come fautori
della baruffa di Laterina da un ferito ch'ebbe a subire l'amputazione
di un braccio.
La Commissione straordinaria ecco instituisce le sue procedure. —
Per questa volta cadonmi le braccia; il _barbaro_ ed _eccezionale_
processo già già le sue vittime divora; voltatevi proprio ad Arezzo,
per rabbrividire alla vista di strazii obliati in Toscana.
1a Procedura. — Per tumulto suscitato a Cortona, sotto pretesto
di mancanza di pane, e di rincaro del sale; _uno degl'imputati fu
condannato a un anno di casa di forza; e un altro a sei mesi._
2a Procedura. — Per ispionaggio, e ragguagli menzogneri a carico della
Colonna mobile, allo scopo di commuovere a offesa di lei gli uomini del
contado; _rimandato per incompetenza_.
3a Procedura..... — interrotta per la mutazione del Governo.[519]
E qui finisce tutto. — Come tutto? E i multati dove sono? — Non vi
sono. — E gli Aretini passati dalle soldatesche palle, dove giacciono
essi? — In nessun luogo; sono tutti vivi. — Ma se i Giudici del Decreto
del 10 giugno 1850 hanno scritto, e stampato, che la Legge Stataria
del 23 marzo 1849 _non rimase lettera morta_![520] — Che volete che
io vi dica? andatelo a domandare a cotesti Giudici benedetti, che cosa
abbiano inteso significare: in quanto a me, me ne lavo le mani.
«Con decreto de' 7 aprile successivo, emanato dal Guerrazzi nella
qualità di Capo del Potere Esecutivo, questa Legge fu estesa a tutte le
Terre, Borghi e Villaggi del Granducato.» — Così prosegue l'Accusa.
E questo è _falso_. Io non estesi la Legge del 23 marzo a tutte le
campagne del Granducato _assolutamente_, ma sì _condizionalmente_
a quelle terre, borgate o campagne, dove _sotto mentiti pretesti si
commettono attentati contro la tranquillità pubblica, e la sicurezza
delle persone_. Costretto, per pubblica salute, a firmare Legge da me
perpetuamente aborrita, posi diligentissima cura a ben dichiarare come
io piegassi a farlo, unicamente in vista di delitti comuni:
«Il Capo del Potere Esecutivo provvisorio toscano:
«Quando il Governo ritirò la Legge del 22 febbraio p. p., sperò che
la benignità sua non sarebbe scambiata con la debolezza, e fosse
tornata proficua al Paese la virtù del perdono. Ora poichè, sotto
mentiti pretesti, in alcune campagne e borgate si commettono attentati
contro la tranquillità pubblica, e la sicurezza delle persone, il
Rappresentante del Potere Esecutivo toscano, per conseguire lo intento
dichiarato nella sua Notificazione del 1º aprile corrente,
«Decreta quanto appresso:
«Art. 1º La Legge Stataria del 23 marzo 1849, attivata per il
Compartimento di Arezzo, e la Commissione Militare con essa istituita,
_saranno_ applicate in tutte le Terre, Borghi e Villaggi dello Stato,
_in cui si verificassero gli attentati disordini definiti allo Art. IV
di detta Legge_.
«Art. 2º. Tosto che per Rapporti o per altre notizie, pervenute al
Ministero dello Interno, si abbia cognizione di qualche fatto della
indole surriferita, la Terra, il Borgo, Comunello o Villaggio in cui
sia accaduto, verrà subito militarmente occupato dalla Colonna mobile.
«Art. 3º Le spese della occupazione, una volta che sia stata ordinata,
saranno sempre e in qualunque caso sopportate dalla Comunità, Borgo,
Comunello o Villaggio, che vi avranno dato causa, salvo ad essi il
diritto di rivalsa contro gli autori dei disordini, coerentemente alle
disposizioni espresse nell'Art. 3º della Legge anzidetta.
«Art. 4º Il Ministro Segretario di Stato ec.
«GUERRAZZI.»
Vediamo quale fosse questa mia Notificazione del primo aprile:
«Toscani! — Finchè l'Assemblea Costituente toscana non abbia deliberato
le sorti politiche del Paese, il _Rappresentante_ del Potere Esecutivo,
volendo non essere minore della fiducia in lui riposta dal Popolo,
dichiara ch'egli procederà severissimo contro _ogni attentato o
d'individui o di partiti, diretto contro la quiete e sicurezza
pubbliche, e la indipendenza che deve restare inviolata al voto
dell'Assemblea_.» — Vedi _Monitore_ del 2 aprile.
Io vorrei sapere un po' che cosa provoca la rampogna dell'Accusa
in questo mio Decreto. Il provvedimento in sè stesso? o il modo col
quale venne adoperato? o il fine politico? o le conseguenze che ha
partorito? Se non si distingue, male s'incolpa, e peggio possiamo
difenderci. Chi ama pescare nel torbo, contamina le acque; io vo' che
si chiariscano. Supposto che all'Accusa fastidisca il provvedimento in
sè stesso, dirò, che quando la salute della Società venga minacciata
da pericolo estremo, furono i partiti straordinarii adoperati
sempre, ed anche lodati; a patto però che il pericolo sia vero, non
mentito per arte, o sognato per paura, e le misure eccezionali durino
poco, si applichino con discrezione, e soprattutto si ponga mente a
questo, che invece di rimediare ai mali umori, non gl'intristiscano
e rendano per ira concentrata, e per profondo odio, insanabili. Di
provvisioni straordinarie, pensai che nello aprile del 1849 potesse
correre da un punto all'altro necessità per cause comuni, e per cause
politiche. Per cause comuni, — perchè sbigottito io considerava il
corpo sociale propendere a disciogliersi con inestimabile celerità;
e se mi opponessero che altri pure pervenne a tenerlo fermo senza
siffatti rimedii, io prima di tutto risponderei, dubitare assai che
questo siasi ottenuto in modo sicuro, perchè il proverbio insegna, che
le case salde non si puntellano, e di puntelli io qui ne vedo molti,
anzi troppi; e poi a reggerlo vi furono adoperate forze, le quali
erano state per altro uso disposte; ancora, che fu fatto uso di forze
da ogni previsione nostra lontane; e finalmente non somministrare a
confortarci motivo i delitti comuni dal 1848 in poi cresciuti di due
terzi, con giusto timore che qui il mal progresso non sia per fermarsi.
Rispetto a cause politiche, — perchè la esperienza dimostra che da un
lato i Partiti vinti, prima di morire, ordinariamente prorompono in
atti disperati e feroci; i vittoriosi, per consueto, in atti superbi
e bestiali. In quanto al modo col quale la Legge Stataria venne
applicata, ho già chiarito come non abbia fatto piangere nessuno;
onde quando ogni altra lode mi venga a mancare, io non avrò perduto
la gloria, che avventurandomi nelle vicende politiche desiderai
conservarmi illesa, e che a Pericle moribondo parve doversi anteporre
ad ogni altra, intendo dire, di non avere messo per colpa mia in
gramaglia nessuno.[521] Se poi si volesse biasimarne il fine, a meno
che non si pretenda che io dovessi rimanermi come Nerone a cantare
su la torre, mentre andava a fuoco e a fiamma il Paese, io non so
con quanto o senno o coscienza mi vogliano riprendere; e per quello
che concerne il fine politico, è di evidenza intuitiva che la Legge
del 7 aprile fosse arme apparecchiata contro l'estreme violenze dei
Faziosi. Invero, se l'Assemblea io sapeva che stesse per deliberare
la Repubblica, quali timori erano questi miei? Non cadevano paure,
imperciocchè i Faziosi ne avrebbero acceso i falò, e levate al cielo le
grida. I sospetti non versavano, nè potevano versare, che su questo:
o che i Deputati a dare il voto per la restaurazione si peritassero,
o che per improntitudine di Partito la deliberazione dell'Assemblea si
volesse a forza, come minacciavano, cancellare.
Intorno alle conseguenze rammento, che la Corte Regia di Lucca col
Decreto del 4 giugno non solo si astenne da improbarle come delittuose,
ma come prudenti le commendò. Nè per me volendosi, o potendosi addurre
ragioni che valessero oltre quelle contenute nel Decreto allegato,
torno, come ogni buon cittadino deve fare, a piangere amaramente su
lo spettacolo, che nello stesso paese, — sotto le leggi medesime, —
a breve distanza, — nella causa medesima, — giudicando lo adempimento
della stessa misura, — ciò che per alcuni Giudici fu argomento di lode,
per altri possa esserlo, non dico di biasimo, ma (ed empie di orrore!)
di capitalissima accusa.
Però di queste tre Leggi, la prima non mi riguarda, e non fu mandata
mai ad esecuzione; e mantenuta da me per impedire che per prepotenza
di Faziosi, la forma Repubblicana, la decadenza del Principe, e la
Unione con Roma s'imponessero, dispersa appena cotesta bufera fu
da me abrogata; la seconda, comunque da me non firmata, intesi che
alla repressione di delitti comuni di pessima indole principalmente
mirasse, non avvertita la maschera sotto la quale presumevano andare
impuniti; la terza accenna a delitti comuni, e si propone per iscopo di
assicurare la libera votazione dell'Assemblea nel vitale partito, _se
e come Toscana avesse ad unirsi con Roma_.
XXVII.
Intorno all'Accusa della soppressione del Consiglio generale Toscano,
e della mutata forma delle Elezioni.
Il Parlamento fu soppresso dal partito prevalente, col Decreto
promulgato nel giorno otto febbraio sotto le Loggie dell'Orgagna alla
presenza del Popolo, come nelle pagine che venni in altra parte di
questo scritto dettando fu largamente provato.
Lo soppresse la stampa repubblicana furiosissima e incalzante. Torniamo
a gittare uno sguardo sopra _nuovi documenti_ di quella, e vediamo
se davanti un tanto percuotere di ariete, quando anco altro non fosse
stato, avrebbe potuto il Parlamento sostenersi.
«La Costituzione e lo Statuto scompaiono col Principe disertore:
noi ricorderemo ai Deputati della Toscana, ch'eglino, come Consiglio
deliberativo, hanno compiuto l'opera loro...... Il Senato, grottesca
parodia della ciarliera Camera dei Pari di Francia, violatrice della
Costituzione, di ogni mandato, di ogni sovranità; il Senato, autorità
unicamente fittizia, più non esiste in Toscana; egli altro non era che
una superfetazione del potere reale;[522] questo caduto, il maggiorasco
dell'Aristocrazia già cadente ha perduto ogni nerbo di vita, anzi
ogni vitalità costituzionale e deliberativa. Il nostro Senato, come
quello di Francia, rimarrà rimembranza più o meno ridicola, più o meno
riprovevole, secondo gli effetti che resulteranno dalle ultime sue
sbadigliate elucubrazioni. Il Senato, figlio accarezzato dello Statuto,
è _sepolto con lui_.» — (_Alba_ del 9 febbraio 1849.)
«Oggi gridiamo francamente al Governo di Toscana, ai Democratici di
Toscana, quello che _il Popolo in questi dì domandò ai suoi reggitori_,
quello che scrisse su le mura di tutte le vie di Firenze: _Unione con
Roma! Uno Stato solo di Toscana con Roma._
«Dare indietro — sarebbe tradimento, apostasia; sarebbe un volere
sepolta la fede combattuta da tanti dolori sotto le bandiere della
prima vittoria.
«L'Assemblea Toscana _è disciolta_.» — (_Alba_, 11 febbraio 1849.)
Il _Nazionale_ del 10 febbraio 1849, più mite nelle frasi ma non meno
assoluto nel concetto, così si esprime riguardo alla Camera:
«I rimedii e gli ordinamenti che potevano attendersi da mature
deliberazioni delle Assemblee Legislative, ora necessitano subito.
Le Assemblee stesse nè _giuridicamente_ nè _decorosamente_ possono
continuare ad esistere: quando il Governo credesse utile od opportuno
di circondarsi di Assemblee deliberanti, dalla sua stessa indole
_sarebbe costretto a interrogare la volontà del Paese per mezzo del
suffragio universale_.»
E la _Costituente Italiana_ del 9 febbraio parla così più
dittatorialmente al Governo Provvisorio:
«Innanzi a tutto ei deve sgombrarsi la strada, concentrare in sè
tutta la vita del Popolo, rompere nettamente in faccia agli avanzi di
un'epoca che ormai è rinnegata. _Il Consiglio generale dei Deputati è
instituzione tale che, dopo il fatto d'oggi, non ha più corso_....; è
inutile ordigno che, senza aggiungere forza, vizia il carattere e lo
spirito della rivoluzione.»
E non solo la stampa repubblicana, ma quella eziandio che si chiamava
conservatrice, e si diceva ed era organo di frazione notabile e
più moderata del Partito Costituzionale, si univa a provocare lo
scioglimento del Consiglio. E questa testimonianza io consegno alla
Storia, perchè, giudicando delle azioni umane, ne faccia tesoro.
«Oggi peraltro che un Governo Provvisorio è instituito, mal sappiamo
intendere che resti a farsi dai Rappresentanti. Senza parlare delle
cessate ragioni del loro mandato, giacchè in tempi di crisi politiche
_necessariamente rovina ogni giuridico fondamento al Potere_, inutile
affatto ci sembra oggi ogni loro azione. Però il Governo disciolga la
Camera, e col principio accettato del suffragio universale faccia nuovo
appello al Paese, _o i Deputati provvederanno al loro decoro con una
volontaria dimissione_.» — (_Conciliatore_ del 9 febbraio 1849.) — Nè
già una volta sola, ma subito il giorno dopo magistralmente, secondo
il consueto: «a questo pensi il Governo _sorto dalla necessità del
momento_, onde non compromettere (_sic_) inutilmente la tranquillità
del Paese, _che nuovamente consultato col suffragio universale ha un
modo legittimo di manifestare la sua volontà su la normale costituzione
dello Stato_.» — (_Conciliatore_ del 12 febbraio 1849.)
Pertanto, senza discrepanza, universale urgeva allora la opinione
pubblica per lo scioglimento del Consiglio.
Forse taluno opporrà: — E che ti faceva quello che quivi si
bisbigliava? Dovevi lasciar dire le genti, e stare fermo come torre.
La stampa è stampa, nè ha virtù di prendere pel collo un Ministro. —
Anche in tempi ordinarii, la stampa è forza tale a cui sembra piuttosto
l'opporci efficace di quello che sia.
Vostro saver non ha contrasto a lei;
Ella provvede, giudica e persegue
Suo regno.
Ed io allego la stampa come organo di Partito trionfante; sicchè vedete
che poco riparo le poteva fare la gente. Gli uomini politici vengono
mossi non solo dalla pressione presente, bensì ancora dal presagio
degli umori che i partiti presi siano capaci a generare. I signori
Fitz James, Dreux Brezé, De la Tour du Pin, Montauban, e Mortemart,
svisceratissimi del ramo maggiore di Casa Borbona, si accostarono al
trono di Luigi Filippo dichiarando solennemente nello agosto del 1830,
questo avere operato non già per diffalta di fede, a cui gentil sangue
di Francia non faceva mai mancamento, bensì per salvare la Patria
dall'anarchia apparecchiata a divorare, e da tale pensiero essersi
trovati costretti con irresistibile violenza.
Il Parlamento, siccome il _Conciliatore_ accenna, cessava per necessità
delle vicende accadute, perocchè mancassero la ragione del mandato, e
il modo di esercitarlo: la _ragione_, non potendo estendersi, secondo
la indole di qualsivoglia altro mandato, a cose nè espressamente nè
virtualmente contemplate; il _modo_, essendo venuta meno la facoltà
di operare co' Poteri indicati nello Statuto. Nella guisa stessa che
cadeva il Ministero per l'assenza della Corona, cadeva il Parlamento, e
con loro tutta la macchina governativa. Il Parlamento, giusta le regole
di Diritto Costituzionale, a cagione di questo successo non aveva
neanche bisogno di pronunzia per disciogliersi; era cessato _ipso jure
et facto_; e, dirittamente avverte l'organo che si vantava del Partito
moderato, il _Conciliatore_, non si sapeva comprendere nè in virtù di
quale fondamento giuridico, nè a qual fine continuasse a sedere.
Il Parlamento ancora si disfece da sè stesso quando nella seduta
dell'otto febbraio, secondo che a suo luogo ho fatto conoscere, taluno
dei suoi membri dichiarò, che, eletto il Governo Provvisorio, intendeva
cessati i suoi poteri; tale altro sostenne mancare perfino di facoltà
per eleggerlo; parecchi finalmente si astennero da votare, o votarono
come semplici cittadini. Come dunque mantenere in vita un corpo che _da
sè stesso esibiva la sua fede di morte_?
Il Parlamento disfece sè stesso quando molti Deputati si assentarono,
dimostrando col fatto che non volevano prendere parte alle
deliberazioni.
Con quale senno o consiglio l'Accusa rimprovera avere sciolto il
Parlamento, quando lo ritiene esposto a violenze estreme?
Un poco di buona fede anche per me: i Romani privavano dell'acqua e del
fuoco i proscritti, ma non ho mai inteso dire che i Romani, o Popolo
altro qualunque, privassero alcuno della buona fede; dunque se l'Accusa
non mi vuole privare della buona fede, e va persuasa di quanto scrive,
o come può ella credere che il Parlamento avrebbe voluto o potuto
adunarsi dopo la giornata dell'8 febbraio?
No; il Parlamento, per le regole costituzionali, a cagione dell'assenza
della Corona, era cessato; egli non poteva esercitare altramente il suo
ufficio, privo di mandato per istarsi al fianco di Governo impreveduto:
e questo in diritto; — in fatto, non voleva più adunarsi quando
parte dei suoi membri disertava le sedute; non poteva più adunarsi,
quando dal suo seno sorgevano voci ad ammonirlo della sua incapacità
a perdurare; quando il Popolo lo aveva soppresso, e incalzava per la
Unione con Roma; quando la opinione universale gli urlava negli orecchi
ch'era morto, e che dirittamente pensò quando, con le sue proprie
gambe, andò a farsi sotterrare.
Cause irresistibili erano queste per confermare il Decreto di
scioglimento, il quale non ebbe altra virtù che constatare un fatto
oggi mai compíto dalla mancanza di uno dei tre Poteri costituzionali,
e per la volontà del Partito trionfante.
Inoltre, l'uomo di Stato che o per volontà propria, o per prepotenza
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