Gli eretici d'Italia, vol. II - 29

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tratterà del lor proprio benefizio, desiderando tenere i lor popoli
quieti, et evitar le ribellioni, onde, come collegati di sangue e come
ristretti poi col vincolo dello Spirito Santo, non solo non lasceranno
tutto il travaglio sopra le spalle del re cattolico, anzi piuttosto,
essendo egli il più potente principe de' cristiani, lo ajuteranno a
conseguir sempre gloriosa vittoria e si potranno poi voltare le forze
contra gl'infedeli.
«Sia vostra santità avvertita che, l'anno del 43 alli XV d'aprile, in
Augusta fu fatta una dichiarazione da tutti gli elettori, baroni e Stati
del sacro Imperio, nella quale rimettevano tutte le controversie della
religione alla definizione del Concilio generale di Trento, promettendo
di sottomettersi sempre et ubidire, e lo arcivescovo elettore di Magonza
ne fece una pubblica patente, la quale è ora in mano del reverendissimo
don Diego Mendozza con molte altre scritture del Concilio, c'ha da
consegnare a sua maestà; e come si mostra molto divoto servitore della
beatitudine vostra, offerisce tutto ciò che può a servigio di lei».
[191] L'Indice de' libri proibiti condanna come falsa la _Epistola
consolatoria et hortatoria Pauli IV ad suos dilectos filios_. Velli
Francesco fece due _Difese del gloriosissimo pontefice Paolo IV dalle
calunnie di un moderno scrittore_; libro proibito con decreto 10 giugno
1658.
[192] Su quel conclave si ha nell'archivio di Firenze una relazione di
Bartolomeo Concina al duca Cosimo, tutta interessi mondani e maneggi per
_guadagnar voti_ e levarsi d'innanzi _obstaculi_, con nessun riflesso
alla santità del grado. Ippolito, cardinal di Ferrara, il 3 dicembre
1539, scrive al duca raccomandandosi caldamente; grandi speranze avere,
e, soggiunge di man propria: «Supplico vostra signoria a bruciarla
subito che l'avrà letta, e a conservarmi nella buona grazia sua, ecc.».
Ma il duca favoriva il Medici, che riuscì.
Noterò un altro aneddoto: che esso duca scrisse una risposta al Farnese,
ma non potendosi mandargliela per nuovi rigori messi al conclave, la
pose fra le bottiglie. Rottasene una, la inzuppò in modo che non fu più
leggibile.
Questo Ippolito d'Este, figlio d'Alfonso duca di Ferrara e di Lucrezia
Borgia, nato il 24 agosto 1509, istruito nella politica da suo padre,
giovanissimo fatto prelato, andò in Francia, dove Francesco I lo colmò
di onori, e gli ottenne il cappello cardinalizio nel 1538, poi lo fece
arcivescovo di Lione nel 1540, ma le tante dignità non vel lasciarono
dimorare. Giovanni Desgouttes lionese dedicò una traduzione
_dell'Orlando Furioso_, come il Cieco di Ferrara avevagli dedicato il
_Mambriano_, poema di lazzi comici e situazioni impudiche. Ippolito fu
al Concilio di Trento, dopo il quale venne nominato vescovo di Autun, il
qual posto cangiò poi coll'abadia di Flavigni e il priorato di
Saint-Vivant: poi ripreso l'arcivescovado di Lione, per la cui diocesi
fece pubblicare il _Breviarium recognitum ac innumeris pene mendis summa
diligentia et fide repurgatum_, 1547. Lione era sede d'una stampa ricca
e licenziosa, e Francesco I tentò reprimerla. Stefano Dolet, dotto
tipografo, fu appiccato e bruciato a Parigi come eretico, e molti
Ugonotti che secretamente predicavano, furono scoperti, nè salvaronsi
che colla fuga. Quando in quella città s'incontrarono Enrico II e
Caterina De Medici grandi feste si fecero, descritte in italiano e in
francese dal poeta lionese Maurizio Séve, e i mercanti italiani vi
fecero rappresentare _la Calandra_ del cardinale Bibbiena. Ippolito era
stato protettore di Benvenuto Cellini, che molto ne parla: lasciò
splendidi edifizj sì in Francia, sì a Roma a Montecavallo e a Tivoli.
Mentre tornava al Concilio di Trento, il cardinale Ippolito fu assalito
da cinquanta cavalieri dell'esercito del Condé, che gli tolsero il
ricchissimo corredo, e cavalli e muli, dicendo che tanta magnificenza
non s'addiceva al successor degli apostoli. Moltissime cariche ed uffizj
egli sostenne, finchè, rinunziati tutti i benefizi a favore di Luigi
d'Este suo nipote, morì il 2 dicembre 1572 a Roma, e il Mureto ne recitò
l'orazione funebre, ove ritrae que' tempi, infelicissimi per la Francia,
quando «uomini perversi, profittando della giovinezza di re Carlo,
credansi permesso ogni peggio, e difondeano tra il popolo dottrine
pericolose e criminali in fatto di religione: e non solo aveano imbevuto
di lor massime la classe inferiore, ma infettato lo spirito di molti
principi. Gli scritti di Lutero, di Calvino, d'altri empj, erano esposti
pubblicamente e correano per le mani, mentre quelli di Gerolamo,
d'Agostino, di Gregorio, d'Ambrogio escludevansi dalle biblioteche e
dalle librerie. Fin alla Corte si teneano numerose assemblee di eretici,
prendendovi parte persone della casa del re. Dapertutto non s'udivano
che abbominevoli canzoni; e le loro esecrabili bestemmie contro Dio e i
santi non cessavano di contaminar le orecchie cristiane».
[193] Il famoso pubblicista Francesco Lottino di Volterra, scrive: «Io
posso testificare come di cosa veduta con gli occhi proprj, che
l'elezione del papa procede da Dio solamente; perciocchè io mi sono
trovato in molti conclavi et ho avuta occasione di sapere la mente,
posso dire, quasi di tutti i cardinali, et ho conosciuto chiaramente
come la maggior parie di loro alla fine elegge il papa contra ogni sua
voglia, senza che vi sia nè forza, nè ragione alcuna che li muova; se
non che in quel punto, pare i cardinali si ritrovino fuori di sè, e che
l'uno sia tirato dalla paura dell'altro, e vadino poi tutti insieme dove
non voriano andare, e nondimeno non sappino negare a chi gli mena.
Intanto che a tempi miei si sono queste contrarietà vedute, che alcuno
odiato a morte generalmente da tutti, è stato da quelli medesimi che
l'odiavano creato papa, et alcun altro amato da tutti e del quale si
aveva per sicura l'elezione, non perciò aver potuto arrivarvi. Di modo
che si vede che Iddio è padrone dell'elezione del papa, e che, o per sua
giustizia meritando così i nostri peccati, ci dà talora un pontefice
cattivo, o per la sua pietà e bontà ce ne dà uno buono. Ma perchè
nondimeno è comune opinione, che l'industria civile habbia la parte sua
in simile elezione, e voi particolarmente lo credete, ho messo insieme
alcuni ricordi su ciò».
Questo, fra mille altri passi, può contraddire a quanto raccolsero i
satirici, e più estesamente Giovanni Giorgio Fueslino, _Conclavia Romana
reserata_, e testè il signor Petrucelli Della Gattina, _Hist.
diplomatique des Conclaves_.
[194] La scritta dice: _Alexander papa III, Federici I imperatoris iram
et impetum fugiens, abdit se Venetiis. Cognitum et a senatu
perhonorifice susceptum, Othone imperatore filio navali prœlio a Venetis
victo captoque, Federicus pace facta supplex adorat, fidem et
obedientiam pollicitus. Ita pontifici sua dignitas venetæ reipublicæ
beneficio restituta_ MCLXXII. Quest'ultima frase fu tolta quando
nacquero dissidj colla repubblica veneta. Il fatto medesimo trovasi
dipinto a Venezia nel palazzo ducale. Tanto il liberalismo del medioevo
era diverso dall'odierno, che si scandalizza al vedere il rappresentante
della forza e dello Stato, curvarsi dinanzi al rappresentante della
giustizia e del popolo. Vedi la nota 16 del discorso III.
[195] Pio V fe riveder quella causa, e dichiarata ingiusta la condanna,
fe tagliar la testa ad Alessandro Pallentieri, orditor del processo; e
bruciare il processo medesimo, col che tolse alla posterità di rivederlo
in supremo appello.
[196] Lettera del 16 settembre 1569.
[197] Dei due più famosi storici italiani del Concilio parliamo altrove.
Vedasi LE PLAT, _Monumentorum ad historiam concilii tridentini pot.
illustrandam spectantium amplissima collectio._ Lovanio 1782.
Il Manzi ha posto moltissime cose nuove sul Concilio nella II edizione
di Lucca della _Miscellanea_ del Baluzio.
LODOVICO DUPIN, _Hist. du Concile de Trente_, fu proibito nel 1725; come
nel 1746 M. JEAN AYMON, _Lettres anecdotes et mém. historiques du nonce
Visconti au Concile de Trente_.
Il padre Bergantini avea raccolti molti documenti per appoggiare la
storia di frà Paolo, in favor del quale scrisse contro il Pallavicino,
sotto il nome di Giusto Nave. Sul Mazzoleni vedi la nota 3 qui sopra.
Il libro VII delle Decretali di Clemente VIII comprendeva il Concilio di
Trento, ma fu soppresso. _Libri symbolici ecclesiæ catholicæ conjuncti,
atque votis, prolegomenis, indicibusque instructi, opera et studio_
FRID. GUIL. STREITWOLF et RUD. E. KLENER, 1843, contengono i tre simboli
universali, i decreti e canoni del Concilio tridentino, la confession di
fede di Pio IV, e il Catechismo romano.
Varj scrissero questi ultimi anni la storia del Concilio, fra cui Alzog,
Döllinger, il conte di Melun ecc. L'eruditissimo padre Theiner si era
ultimamente proposto di farne un lavoro tutto nuovo, giovandosi degli
Archivj Vaticani, da lui custoditi, e andando a investigar in tutti gli
altri. Doveano essere di gran lume i processi verbali delle adunanze. Ma
era bell'accorgersi che vi si metteano fuori opinioni inesatte, come
succede nell'improvisare e nella controversia, e che la malafede poteva
imputare a chi le disse, e trarne argomenti contro la verità e contro
l'inerranza delle decisioni.
Negli archivj di Venezia e di Toscana (e così avverrà degli altri) noi
leggemmo relazioni di ambasciadori, che quasi giorno per giorno
riferiscono le discussioni e decisioni. Per semplice saggio, e come
relativo a quanto nel testo accenniamo, caviam un cenno da lettera 3
febbrajo 1545 del Pandolfini residente toscano.
«Intendesi da Trento che il reverendissimo cardinale di quella città era
venuto in una congregazione ultimamente, con dar certo scritto, e parlar
a lungo sopra la reformazione della Chiesa che questo pareva riguardasse
la persona del papa e gli abusi della Chiesa romana, e saria stato
facilmente confermo, se il reverendissimo di Monti non vi si fosse
gagliardamente contrapposto, adducendo molti luoghi della Scrittura alli
ragionamenti suoi. E si tien che, dubitando esso reverendissimo Monti
non la poter mantenere in benefizio del papa, sotto colori del nocumento
di quell'aria sia per far instanza appresso sua santità della licenzia,
ecc.».
Ad un'altra lettera è inserto: «Del Concilio, io son pure nella mia
prima opinione che non si farà niente, ma ogni cosa si risolverà sopra
li frati e preti: se Dio non manda qualche vento aquilonare, che
rinfreschi tutti, ed ecciti qualche scintilla, che certo ve ne son
molte, ma non hanno ardire nè anche possono far niente, perchè non si
può parlare eccetto di quello che è interrogato e proposto dalli legati,
i quali hanno apertamente detto che il Concilio è del papa, e non si ha
a trattare altro che quello piace e pare a sua santità. Sopra la qual
cosa non è ancora stato risposto, perchè non pareva ancora il tempo: ma
si vedono ben molti che volevano, ed in vero avriano fatto succedere:
ma, come ho detto, se Dio non manda altro ajuto non si farà niente.
Questa mattina, che s'è fatta la sessione (seconda, 4 febbrajo) non s'è
recitato altro nel decreto che il simbolo che canta la Chiesa, con una
certa escusazione per gli abati, quali sono in cammino di Francia, di
Spagna e di Roma. Frate Ambrosio Catarino ha recitato l'orazione: certo
mai saria creduto che questo uomo tanto fervore e ardire avuto avesse:
ha detto liberamente, non toccando però niuno, confortando tutti alla
libertà del Concilio, che si parli senza rispetto; il che però non si
potrà mai fare, se prima non vengono più in numero».
E notizie quotidiane riceveva il duca Cosimo dal Concilio, al quale
teneva come proprio ambasciadore Giovanni Strozzi; poi Jacobo Guidi
vescovo di Penne. Nell'Archivio di Stato toscano son notevoli in tal
fatto le corrispondenze di Bernardo Daretti nel 1546, di Pier Francesco
del Riccio ai Nº 47, 48, del Carteggio Universale, e viepiù i
manoscritti Cerviniani, che versano su quel sinodo e sugli affari di
Germania al tempo di Marcello Cervini che poi fu papa; dove son lettere
del Vergerio, del Moroni, di altri e un infinità di opuscoli di
circostanza. Avremo a parlarne ove della Toscana.
[198] La bella vita del Comendone, scritta in latino da A. M. Graziani
fu ben tradotta in francese dal Flechier (Parigi 1669). S'attribuisce al
Comendone un discorso sopra la Corte di Roma, che esiste in più copie
manoscritte nella Biblioteca Palatina di Firenze, non accennato dal suo
biografo, ma degno di lui. Loda questa singolar repubblica, ordinata per
vantaggio della religione. Ma ora (dice) si fanno ecclesiastici e
prelati prima che neppur intendano l'uffizio a cui sono eletti. I
pontefici traviarono dal loro scopo divino, volendo viver come i
principi secolari, e affezionarsi alle cose che non son nostre che per
pochi anni. La potestà de' papi dev'esser illimitata, necessità che
apparve negli scismi, e che consta dalla storia e dai Concilj come
volontà di Dio. Ma la sensualità produsse nella Chiesa molti difetti,
come le astuzie, il favorir i parenti, il negligentare il governo, il
cercar la grazia dei principi. A coloro che credono alla Chiesa non
convenga aver signoria, oppone che Dio al popol suo diede signori i
sacerdoti; che le ricchezze e l'autorità sin di far guerra sono
antichissime; disapprova i governi che o tolgono i beni o vietano di
lasciarne di nuovi a Roma, la quale è come l'arringo di quanti hanno
speranze e attività nel resto del mondo. Gli abusi rivela con forza
pacata e intrepida. Mostra come cose futili, per esempio l'impor nomi
gentileschi ai figliuoli e l'ammirar gli eroi gentili, rivelassero quei
traviamenti che poi apparvero manifesti; sicchè era stato prudente Paolo
II quando li riprovò. Segue a dire come la Chiesa fosse passo passo
guidata a usar mezzi, che parrebbero poco convenienti; e se prima subiva
il martirio, dappoi dovette ricorrere a mezzi secolareschi: ma questi
riuscirono a scredito dell'autorità e diminuzione anche de' beni.
Venendo ai rimedj, pone per primo la emendazione della Corte pontificia:
il viver gli ecclesiastici secondo il loro stato, ridur le cose verso il
proprio fine della religione, e costituirla nella forma sua prima, di
aristocrazia universale. Vede la gran difficoltà della riforma se la si
fa dai prelati; come supporne tanti così buoni, da emendar abusi
inveterati? se da altri, ove trovar ancora tante persone degne di tal
uffizio? poi come spossessar tanti di uffizj che spesso sono perpetui?
Eppure bisogna far tutto il possibile, e cominciare la purga dalla testa
e dal petto: ma come i difetti entrarono nella Chiesa a poco a poco, non
è probabile che la sanità ritorni in un subito.
[199] Esso Comendone da Nauenburgo, l'8 febbrajo 1561, scrive allo
stesso cardinale Borromeo a Roma.
— Alli 5 febbrajo comparvero quattro molto onorati gentiluomini, due
mandati dall'elettore Palatino, e due dal duca di Sassonia, con la
guardia degli alabardieri e molto numero d'altre persone, e dissero
avere in commissione dalli principi di accompagnarci all'andare e al
ritornare. Furono essi ringraziati, e pregati da noi a volere loro
ancora montare nei cocchi ch'erano preparati, ma essi volsero andare a
piedi appresso li cocchi nostri. Li due mandati dall'elettore Palatino
furono il suo maresciallo e il dottor Hemmio primo secretario; gli altri
due del duca di Sassonia, Wolfango Koller, consigliere e capo, il quale
si trovò al Concilio in Trento, ed il dottor Francesco Cram, slesita,
suo consigliere. Li predetti principi erano congregati nella stufa loro
ordinaria molto grande, nella quale non erano altri che principi, figli
di principi, ambasciatori, consiglieri, secretarj, cancellieri. Stavano
i principi, all'entrare dei nunzj, in stufa tutti in piedi e senza
berretta con quest'ordine. Sopra una banchetta, li due elettori: un poco
discosto sedeva sopra uno scanno il conte di Hostain, ambasciatore
dell'elettore di Brandeburg, e così parimenti un poco lontano sedeva il
duca Wolfango di Neuburg: appresso a lui il duca di Wirtemberg, poi il
marchese Carlo di Baden, poi il figlio del landgravio, il quale neanco
il giorno innanzi era stato in consiglio, poi Giovanni Giorgio palatino.
Fu dato in mano d'ognuno il breve colla bolla del Concilio: ognuno
l'accettò, e ci dissero poi unitamente, stando però loro ancora in
piedi, che noi sedessimo, mostrando il banco messo a posta per noi,
coperto di velluto. Rispondemmo noi, _Sedeant celsitudines vestræ_, e
così il sentare (_sedere_) di tutti ad un tempo e farsi un grandissimo
silenzio fu una medesima cosa. Onde cominciò il vescovo Delfino a
parlare, esponendo puntualmente quanto si contiene nella qui annessa
scrittura: dopo il quale il vescovo Commendone soggiunse quelle parole
che similmente saranno con questa: e come egli ebbe finito, li due
elettori dissero fra loro alcune parole, le quali fecero francamente
comunicare al duca Wolfango di Neuburg e al duca di Wirtemberg, e dappoi
il Misquir, cancelliere dell'elettore Palatino, rispose a nome di tutti
li principi con queste formali parole: _Illustres principes
intellexerunt ea quæ exposuistis nomine pontificis romani, et quia
negotium est arduum, nolunt nunc resolvere; convenient inter se, et
postea dabunt responsum; interim cuperent ut, quæ vos legati pontificis
dixistis, ea scripto eis deferatis._
«Qui fu risposto che sua santità aveva largamente dichiarata la mente
sua nella bolla del Concilio, oltre che aveva scritto a sufficienza alla
maestà cesarea, e che però noi non avevamo ordine di moltiplicare in
scritture.
«Qui di nuovo un cancelliere andò intorno parlando ai principi, e poi ci
rispose: _Illustres principes intellexerunt vestrum responsum, et vos in
eo non urgent._ Dopo queste parole noi ci licenziammo, e dalle medesime
persone fummo accompagnati fino a casa, dove non stemmo un quarto d'ora
che comparsero tre gentiluomini mandati dai principi, li quali dissero
queste formali parole: _Magnifici domini principes, quamdiu vos fuistis
apud illos non viderunt hæc verba_, Dilecto filio, _quia tecta erant:
sed postquam viderunt se appellatos filios a romano pontifice, quem illi
non agnoscunt pro patre, remittunt vobis literas; respondebunt
nihilominus ad ea quæ vos dixistis_.
«Fu risposto che s'era scritto loro come si scrive agli altri principi
cristiani, e che della medesima forma han usato di scrivere sempre li
predecessori di sua santità. Quelli posero li brevi tutti, senza però le
bolle del Concilio, sopra una tavola, e se ne andarono. Come noi
restammo, e come ci trovammo di mala voglia, il pensarlo alla sapienza
di vostra signoria illustrissima; perchè manco vedevamo che poter fare,
poichè erano partiti già de' principi con questa deliberazione già
fatta, onde tanto meno si poteva ritrattare. Aspettammo dunque d'essere
chiamati, ma in luogo di essere chiamati, la mattina alli VII comparvero
dieci consiglieri de' principi, capo de' quali era Mesquir, consigliere
primario dell'elettore Palatino. Questi furono ricevuti da noi con ogni
umanità, e il secondo fra loro, che era Giorgio Cracovio, consigliere
dell'elettore di Sassonia, persona, siccome qui è fama, assai dotta e
bene esercitata nelle lingue, fece l'ufficio di risponderci a nome delli
principi, chiamandoci nel principio _Reverendi Domini_, e le parole
furono in questa sustanza. Che li principi non dubitavano essere in
tutte le nazioni persone pie e buono, i quali desiderassero che la luce
del vangelo e la purità della dottrina fosse restituita, _et tetri
abusus tollerentur_, i quali il pontefice romano nella sua giurisdizione
doveva già aver purgati; ma esser cosa manifesta a ciascuno quali sieno
stati i pensieri di loro signorie, e particolari interessi, _et quantum
romana ecclesia superstitionis et erroris effuderit evangelio_; per le
quali cose essi principi erano stati forzati _ab ordinaria potestate
decedere, lucem quærere et puritatem doctrinæ haustam ex ipso verbo Dei,
quam nunc certe et indubitate sequuntur, juxta primam Confessionem
Augustanam_. Ma quanto tocca alla presente legazione nostra, era parso
a' principi di dare questa risposta alle cose che avevamo detto per nome
del pontefice romano: _Primo, mirari se, qua spe fretus, romanus
pontifex ausus sit mittere legationem ad illos: non agnoscere se ejus
potestatem, neque in aliis, neque in indictione Concilii: unum se
dominum in terris agnoscere, cæsaream majestatem._ Si dolsero poi che
fosse imputato loro d'essersi divisi in molte sètte, dicendo di seguire
una sola Confessione Augustana, e che avevano suoi dottori e teologi che
la difendono, come noi abbiamo potuto leggere ne' loro libri, _et quod
illi debuissent habere vota in Concilio_. In fine che, come noi
sapevamo, erano stati qui gli ambasciadori cesarei, e che li principi
gli avevano risposto _ut supplices referrent cesareæ majestati quid de
hac tota re principes sentiant_. Ma quanto alle nostre persone private,
se non fossimo venuti _nomine pontificis_, n'averiano usata ogni
amorevolezza e cortesia per rispetto d'essere veneziani, osservando i
principi quella illustrissima repubblica, e per rispetto nostro
particolare, laudandoci con molte parole: che però come private persone
offerivano in nome de' principi tutto quello in che le loro celsitudini
ci potessero gratificare.
«Come egli ebbe finito, noi due conferimmo insieme circa la risposta, e
di comune consenso il vescovo Commendone rispose così: e Che nostro
signore aveva mandato suoi nunzj alli principi di Germania per l'officio
che teneva di pastore universale, e per la carità sua verso ognuno, con
quell'animo e a quel fine che era stato esposto l'altro jeri alle loro
celsitudini, e che però non vedevamo perchè alcuno se ne avesse a
maravigliare. Che il Concilio era stato inditto da sua santità secondo
la forma ed il modo perpetuamente osservato nella Chiesa per
inspirazione dello Spirito Santo, non si potendo conservare nè, dove
fosse bisogno, restituire l'antica disciplina dei nostri padri, se non
colle medesime vie tenute da loro. Quanto al non aver essi principi
altro superiore che la cesarea maestà, non è loro nascosto qual
proporzione sia nella repubblica cristiana fra sua maestà ed il sommo
pontefice, e qual sia l'osservanza di sua maestà cesarea verso sua
santità, e quale ancora sia stato sempre l'animo de' pontefici verso
quest'inclita nazione, specialmente circa le cose dell'imperio. Quanto
alla riforma, lisciando ora di parlare de' predecessori per non esser
troppo lungo, specialmente la santa memoria di Pio IV, dal principio del
suo ponteficato ha atteso alla riforma e datole buon principio, anzi
tanto più volentieri ha convocato il Concilio, quanto ha giudicato
espediente che in esso Concilio si faccia questa riforma universale.
«Quanto alla Chiesa romana, che essa non pure non ha offuscato
l'evangelio, ma che è sempre stata maestra e regola della dottrina
cristiana e lume della verità, e che a lei sono ricorsi sempre tutti i
padri antichi fin dal tempo degli apostoli, e che da lei devono
riconoscere i Germani l'esser cristiani, _a qua primam evangelii lucem
acceperunt_. Quanto alle parole dette l'altr'jeri della verità delle
moderne opinioni, essere stato semplicemente detto il fatto, secondo si
vede nelli medesimi scritti de' loro teologi, che essi ci adducevano
piene di molte nuove opinioni e contrarie l'una all'altra. Quanto alla
fermezza e certezza che dicevano avere della loro opinione, che la
novità e il dissentire dal resto della Chiesa, _et ab ordinaria
potestate discessisse_, come essi medesimi dicevano, doveva almeno
levare loro questa tale certezza, e renderli dubbj massimamente in cosa
che importa la salute e la perdizione eterna, e che a san Paolo vaso
d'elezione, ancor che, come esso afferma, _accepisset evangelium, non ex
homine sed per revelationem_, non di meno gli fu per rivelazione
comandato che _ascenderet Jerosolimam, et conferret evangelium suum cum
apostolis, ne forte in vanum curreret, aut cucurrisset_: il che fece lo
Spirito Santo non per bisogno ch'esso Paolo n'avesse, ma a perpetuo
esempio e dottrina di tutti i posteri. Finalmente che si ricordassero di
quelle parole del Vangelo: _Quoties volui congregare filios, etc._
«Poi quanto alle nostre persone particolari, che ringraziavamo le loro
celsitudini grandemente, e che ne terresimo perpetuo particolare
obbligo, offerendoci all'incontro, ecc., e essi senza fare altra replica
si partirono.
«Di tutto questo successo, per quanto si può congetturare, e per quanto
ci è stato anco accennato da alcuni consiglieri di principi, è stato
autore il duca di Wirtemberg. All'incontro il duca Augusto, per varj
segni che si hanno, inclina a pace temporale e spirituale più di
qualunque altro; onde ha fatto far complimenti con ciascuno di noi, ed
ha preso destra occasione di partirsi, avanti che ci sia stato risposto,
ancora che toccasse a lui d'essere l'ultimo, come più vicino a Nauburg.
«Le cose sopra questa materia venuteci in considerazione degne della
notizia di V. S. Ill. sono le infrascritte. Li principi, al comparir
nostro dinanzi a loro, non ci diedero la mano all'usanza tedesca, perchè
questo atto arguisce pace e buona volontà, la quale non è in loro verso
la santa romana Chiesa. Mentre che noi parlavamo, almeno dieci persone
scrivevano, ed il duca di Wirtemberg aveva il suo libretto in mano, e
notò alcuni passi. Ci hanno accettati, uditi e onorati sotto nome di
nunzj della sede apostolica; ci hanno risposto a quello che abbiamo
detto in nome di sua santità cortesemente, e non sono devenuti a parole
nè a modi ingiuriosi nè derisorj; cose che molti giudicavano dover
succedere in contrario; hanno rimandato le lettere, non la bolla del
Concilio, atto da tutti giudicato più inetto che altro, sebbene è segno
di molta mala volontà, e d'animo grandemente alienato, perchè ognuno
vede che hanno consentito a quello che importa più, accettando e
ritenendo la bolla del Concilio. Per questo esempio siamo in pericolo
che nessun principe nè città protestante accetti li brevi. Dall'altra
parte è gran cosa che, etiam senza vedere li brevi di sua beatitudine,
siamo accettati, onorati e uditi come nunzj di lei, ci sia lasciato far
l'ufficio che avevamo in commissione, cioè d'invitare al Concilio,
mostrando la necessità di esso, e dichiarando la pia mente di sua
beatitudine, e che ci sia finalmente risposto, se non ad vota, almeno a
proposito. Ora quanto al convento, la causa principale d'esso è stato
l'avere giudicato li principi che certo si sia per celebrare il Concilio
generale, e l'aver conosciuto molta necessità d'accordarsi almeno
appartatamente in qualche forma di fede, acciocchè quest'accordo dia
loro qualche reputazione. Però non hanno trattato cosa che importi se
non questa. Il fine non è stato a lor modo, perchè Giovanni Federico
duca di Sassonia vuole stare alla semplice confessione, data del 30
all'imperatore Carlo V, fatta da Lutero; il resto de' principi vogliono
la predetta Confessione insieme con l'apologia del Melantone, e questo
perchè, avendo inclinato a Zuinglio, e sparsi semi assai della venenosa
insania sua nelle cose che ha scritte, vengono in questo modo a non
essere condannati li sacramentarj, che sono fra questi principi più che
notorj, come l'elettore Palatino, il duca di Wirtemberg, il marchese di
Baden. Per le quali cose il sopradetto duca Giovanni Federico, non solo
non ha voluto consentire, ma è partito in collera contro li principi
chiamati sacramentarj, e ha insomma fatto un gran rumore. Noi da più
segretarj e consiglieri de' principi, che sono venuti spesso a visitarci
e a pranzo con noi, abbiamo inteso insomma quanto al Concilio, non ci
essere alcuna inclinazione, e che i principi tengono la bolla del
Concilio essere continuazione espressa, specialmente per quelle parole
_omni suspensione sublata_, e che di questo hanno trattato con gli
ambasciatori cesarei. Di più i medesimi consiglieri ci hanno più volte
detto che nessuno prelato di Germania anderà a Trento...»
[200] Il Comendone al Borromeo da Anversa, a' 9 giugno 1561, scriveva:
«In Londra la vigilia del _Corpus Domini_, all'ora del vespero, una
saetta arse la torre ed il resto della chiesa di san Paolo, che è la
principale di quella città: e qui gli Inglesi, in luogo di riconoscere
la loro impietà, dicono che Dio distrugge i tempj dell'idolatria passata
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