Gli eretici d'Italia, vol. II - 39

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stampato molte volte, ma particolarmente a Modena _De mandato Moroni_;
ingannò molti, perchè trattava della giustificazione con dolce modo, ma
ereticalmente, attribuendo ogni cosa alla sola fede, e falsamente
esponendo le parole di san Paolo nell'epistola _ad Romanos_, avviliva
l'opere ed i meriti, e perchè questo è quell'articolo, nel quale
inciamparono gran parte de' prelati e de' frati di quell'età, però ebbe
grande spaccio, e fu da molti approvato: solo in Verona fu conosciuto e
reprobato: dopo molti anni fu posto nell'indice de' libri proibiti da
Paolo IV, e poi da Pio IV e da Clemente VIII.
«Lucca fu molto appestata di questo morbo, perciocchè in quella città
tennero scuola Pietro Martire, dopo che si fuggì da Napoli, e vi ebbe
per compagni il Tremellio ferrarese, lettore di lingua ebrea, Celso
Martinengo lettor di lingua greca, e Paolo Lazisio veronese, lettore di
lingua latina, e costoro vi trovarono Girolamo Zanco, tutti pessimi
eretici, e vi stettero fino al 1542, quando, per paura del papa che
ritornava da Bussè, se ne fuggirono tutti in Germania insieme con
l'Ochino.
«Siena e Firenze furono assai piene di eretici. Quella produsse
l'Ochino, e Lattanzio Morone (Ragnone?) eretichissimi; questa ebbe frà
Pietro Martire Vermilio, che infettò Napoli, Firenze e tutta
l'Inghilterra: ebbe ancora il protonotario Carnesecchi, il quale fu
segretario di papa Clemente VII. Il cardinal Teatino fu il primo che lo
processò, poco dopo che fu fondato il Santo Officio in Roma. Poi nel
1546, per qualche speranza che diede di conversione, fu rilasciato non
già dal cardinal Teatino, ma da altri, che non occorre qui nominare;
però si doleva il cardinal Teatino della troppa lentezza e perniciosa
benignità verso gli eretici. Quindi andò a Firenze sua patria, e ritornò
al vomito tanto fieramente, ch'egli dell'entrate di molte badie
manteneva molti agenti di eretici in varie città d'Italia. Costui
insieme con Pietro Martire appestò Firenze in modo tale, ch'io udii più
volte dal signor Pietr'Antonio Bandini, padre del cardinale Bandini,
queste parole: _Innanzi al Santo Officio, non vi era straccio di fede in
Firenza._
«Bologna fu in molto pericolo, perchè vi erano alcuni eretici
principali, tra' quali fu un certo Giovanni Battista Scoto, il quale
aveva amicizia e appoggio di persone potentissime, come di Morone, Polo,
marchesa di Pescara, ecc., raccoglieva denari a tutto suo potere, e li
compartiva tra gli eretici occulti e poveri, che stavano in Bologna.
Abjurò poi nelle mani del padre Salmerone per ordine del legato di
Bologna e del Santo Officio.
«Fiesole, oltre alla vicinanza di Firenze, era anco sospetta per il suo
vescovo eretico.
«San Geminiano ebbe Michelangelo Tramontano luterano, e un medico detto
il Travano suo maestro. In Perugia insegnò l'eresia il detto medico
Travano, il quale ebbe per discepolo un prete detto Crescio e il
Tramontano soprascritto.
«In Viterbo fe residenza il cardinal Polo legato di Romagna, anch'egli
molto sospetto e processato, e nella sua Corte vi erano molti eretici.
Furono infette ancora molte monache del monasterio di Santa Caterina di
quella città, come anche in Firenza, i monasteri intieri erano infetti.
«In Volterra fu un frà Andrea molto sospetto, e amico di persone
sospette.
«Così stava malconcia la povera Italia, e così furono scoverte, e sanate
le sue occulte e pestifere piaghe per opera del Santo Officio di Roma.
Sentirono grand'orrore di così gran male, e grande allegrezza di così
efficace rimedio le persone buone e zelanti della fede: e principalmente
il cardinal Teatino, inventore e autore di tanto bene, ne stava ogn'ora
più contento, e ne ringraziava Dio benedetto: anzi con quel suo
intrepido cuore si diede animo a processare anco i prencipi d'Italia,
che erano macchiati di quella pece, come furono Ascanio Colonna duca di
Palliano, Vittoria Colonna marchesa di Pescara, Renata del real sangue
di Francia, cioè sorella d'Enrico III duchessa di Ferrara, Caterina Cibo
duchessa di Camerino, Giulia Gonzaga contessa di Fondi e altri. Così si
vide adempita nel Santo Ufficio quella potestà datagli da Dio
_evellendi, disperdendi, dissipandi et destruendi_; e solea dire il
Caraffa in famigliar ragionamento, _che la principal mira del Santo
Ufficio e de' papi deve essere dare addosso ai grandi, quando sono
eretici, perchè dal loro castigo dipende la salute de' popoli._
«Napoli e molte altre città, e terre del regno furono molto appestate di
eresie dal V. Valdes, e da quei tre suoi principali discepoli, cioè da
Pietro Martire, Ochino e Flaminio, i quali poi diventarono maestri di
molti altri. Vi fu anche un certo Siciliano apostata di sant'Agostino,
chiamato poi in abito di prete don Lorenzo Romano. A costui non bastò
fare scuola in Caserta, e in molti altri luoghi di Terra di Lavoro, ma
anche, per diventare più valente eretico, andò a posta in Germania per
conferire con que' ministri, e ritornò di là non solo luterano, ma anche
pessimo sacramentario zuingliano. Ora fondato il Sant'Ufficio in Roma,
di giorno in giorno si scoprivano più terre infettate di eresie, e
veramente se si ritardava più a fondar il tribunale del Sant'Officio in
Roma, dal quale ebbero forza e efficacia gli altri inquisitori
dell'Italia, difficilissimamente si poteva più rimediare al gran fuoco
acceso in tutto quel regno. In Napoli per opera di V. Valdes,
dell'Ochino, di Pietro Martire, e del Flaminio, e altri lor compagni, se
ne appestarono tanti, e particolarmente molti maestri di scuola, che
arrivarono al numero di tre mila, come si conobbe poi quando si
ritrattarono. In Calabria vi fu quell'Apollonio Merenda, il quale dopo
avere infettate molte terre, e particolarmente la Guardia, San Sisto, la
baronia di Castelluccio, accostatosi a Roma diventò cappellano del
cardinal Polo. La Puglia ebbe molti maestri di mala dottrina, e
specialmente Odone da Monopoli, don Giovanni Paolo Castroffiano maestro
di scuola, e compagno di Ludovico Manna eretici pessimi. In Terra di
Otranto vi fu Ladislao, auditore dell'arcivescovo di Otranto e compagno
di Ludovico Manna eretico, e l'istesso arcivescovo fu gravemente
processato, e si disse che aveva mandato Ludovico Manna a leggere alla
sua Chiesa d'Otranto pubblicamente, e che aveva commercio di lettere con
Martin Bucero, e che fu amico del V. Valdes, e leggeva i suoi libri, e
che tenne gran tempo in casa il Giannetto, eretico marcio, che se ne
fuggì poi in Ginevra. A questo arcivescovo impedì il cappello di
cardinale il nostro Caraffa. Ora stando le cose in questo modo, e
sentendo in Napoli e per tutto il regno gran principio di rovina, e
dall'altra parte vedendosi per l'esempio di Roma, quanto gran remedio
fosse il Sant'Officio, si cominciò a pensare di mettere il tribunale
dell'Inquisizione anche in Napoli.
«I nostri padri scoprirono l'eresie in Napoli, essendo il nostro Ordine,
per dirlo con le parole dell'Adriani, accerrimo persecutore dell'eresie,
e che fa professione di difendere la fede cattolica. Il modo con che
furono scoperti dai nostri fu questo. Si ha da sapere, che Raniero
Gualante, e Antonio Cappone, per la pratica che ebbero col V. Valdes e
con l'Ochino, furono anch'essi macchiati un poco di quella pece: ma
perchè si confessavano dai nostri a San Paolo, ne stavano coperti, si
fecero riferire da loro tutto quello intendevano da quelli occulti
eretici.
«In questo modo vennero a conoscere i nostri il mal seme che coloro
seminavano, e le secrete conventicole di uomini, di donne che facevano,
le quali da loro scoverte, e scritte dal cardinal Teatino in Roma, quei
capi eretici se ne fuggirono via tutti da Napoli. Per la fuga del padre
Bernardino Ochino scrisse il cardinal Teatino una bella e lunga lettera
latina, tutta composta di parole della sacra Scrittura, nella quale,
parte allettandolo (perchè vi era rimasta ancora qualche speranza di
lui) parte rimproverandogli l'apostasia, e il pericolo dell'anima sua e
di tante altre da lui ingannate, cercò di ridurlo a penitenza. Ma fu
indarno, perchè, sebbene egli non così subito si fuggì d'Italia,
nondimeno non solo non volse obbedire al cardinal Contareno, il quale
piacevolmente raccogliendolo, l'esortò a presentarsi _sponte_ in Roma,
ma quel che fu peggio, se ne fuggì in Ginevra, e diede voce che il
Contareno stesso aveva approvato il suo pensiero, e di là cominciò a dir
male della Corte di Roma e della Chiesa cattolica, come san fare gli
eretici: il quale disordine successe per la troppa piacevolezza del
cardinal Contareno, perchè doveva pigliarlo prigione quando fu a casa
sua, e non aspettare che si partisse.
«Ora prima che l'Ochino se ne fuggisse, andò a casa della duchessa di
Camerino, chiamata Catarina Cybo, e quivi si spogliò l'abito, e si
sfratò, e poi se ne fuggì in Ginevra. Aveva egli particolare strettezza
con quella signora, e con quella di Pescara; onde costei ne fu poscia
inquisita e molestata».
Dovevano esser frequenti gli attentati contro Inquisitori, giacchè Pio V
nel 1569 fe una bolla terribile (_Si de protegendis_) contro quei
privati o pubblici di qualunque grado, che uccidano, battano, caccino,
atterriscano inquisitori o testimonj, o faccian offese a protocolli,
istromenti, carceri.
Col tempo, come sempre accade, si mitigarono i rigori; l'Inquisizione
ebbe a cercare tutt'altri delitti che d'eresia, e nell'età del punto
d'onore le diedero molto a fare le censure ed assoluzioni pei duelli e
chi vi assisteva; ma il nome e le forme sopravvissero fin all'età de'
nostri avi[343]. E nel 1789 il padre Pani commissario del Sant'Uffizio
stampò a Faenza (nessun tipografo di Roma accettandolo) un libro _Della
punizione degli eretici e del tribunale della santa Inquisizione_, ove
questa difende come niun s'aspetterebbe nell'anno della convocazione
dell'assemblea di Francia.
Per l'andazzo che ha la Curia romana di conservare i formularj antichi
anche quando i tempi vi repugnano, al modo stesso che l'Inghilterra
conserva la vendita delle mogli ed altri titoli, di cui la realtà è
abolita, nel 15 settembre 1841 frà Filippo Bertolotti inquisitore
generale a Pesaro emanava un editto, ove imponeva l'_obbligo
strettissimo_ di denunziare al Sant'Uffizio i delitti di sua
giurisdizione, sotto pena di scomunica: cioè rivelare coloro che son
sospetti o diffamati di eresia, o di aderire a riti di Giudei,
Maomettani, Gentili; che facciano atti da cui si presuma che abbiano
patto col demonio; o esperimenti di necromanzia o di altre magie con
abuso di sacramenti; che amministrino la confessione, la comunione
senz'essere sacerdoti; abusino del sacramento della penitenza; tengano
conventicole in pregiudizio della religione; proferiscano bestemmie
ereticali; contraggano matrimonio avendo un'altra moglie o essendo negli
Ordini sacri; impediscano in qualunque modo il Sant'Uffizio; facciano o
divulghino satire contro il pontefice o il clero, o dove siavi
profanamento di parole sacre; tengano o diffondano scritti e stampe
ereticali senza la dovuta licenza; mangino o diano mangiare cibi
proibiti senza necessità o licenza; inducano alcun cristiano ad
abbracciare altra fede, o impediscano a Turchi ed Ebrei di battezzarsi.
Chi non denuncia non potrà esser assolto se prima nol faccia: e ordina
che quest'editto stia affisso nelle botteghe, osterie, librerie[344].
L'anno poi che Garibaldi e Cialdini strepitavano alle porte di Roma, nel
seminario Romano (_VI kal. sept._ 1860) furono proposte certe tesi a
difendere tra cui,
CCVI _Institutum sanctæ Inquisitionis, prout a romanis pontificibus
profectum est, nulla ex parte reprehendi potest._
CCVII _Perperam Protestantes Ecclesiam calumniantur, quasi a primæva sua
mansuetudine defecerit._
CCVIII _Non minus enim veteri ætate, quamvis temporibus quæ
Protestantium originem subsecuta sunt, romani pontificis solliciti
admodum fuerint ne iis in locis, quæ immunia ab hæresi extiterant,
hæretici libere cultum profiterentur, aut civilia jura quibus solummodo
catholicæ religionis cultores frui poterant obtinerent._
CCXI _Romani pontifices perpetue inficiati sunt aut ullum jus ab
hæreticis afferri posse pro libertate (in religionis culto profitendo)
obtinenda, aut ipsam societatis conditionem posse eamdem libertatem a
catholico principe postulare._
CCXII _Iidem romani pontifices sua agendi ratione in gravissimis
adjunctis ostenderunt, meram sollumodo tollerantiam ad graviora mala
vitanda inductam, reprehendi non posse._
Chi non l'ha visto personalmente si immaginerà qual trionfo chiassoso e
facilissimo menassero allora i rivoluzionarj nell'imputare al dominio
papale la persistenza del Sant'Uffizio e nell'abolirlo ne' paesi
sottrattigli; liberazione nella quale i popoli s'accorgeano che non
troppo ci corre fra un poliziotto prete e un secolare. Quando si fremerà
in avvenire alle leggi Pica e Crispi, alle fucilazioni moltiplicate e
alla forca conservata, gioverà ripetere che le istituzioni non vanno
condannate per gli abusi che se ne facciano, e bisogna giudicarle in
relazione coi tempi. Perocchè oggi la giustizia è il diritto armato;
allora l'Inquisizione era il bene armato; lo Stato or protegge la
giustizia; l'Inquisizione volea proteggere la moralità: opinioni varie a
norma dei tempi, mentre noi imploriamo che da tutti, e secolari ed
ecclesiastici, sia riconosciuta l'incompetenza assoluta della forza in
materia di fede. Quanto alle forme, pur troppo non possiamo nè imputarne
solo i tempi passati, nè ingloriarne il nostro. Perocchè, a tacere quel
che abbiam veduto noi stessi, in atti meno fieri o meno numerosi per
verità, leggasi in Louis Blanc la storia o piuttosto la giustificazione
del Terrore in Francia. Dopo fatto arricciar i capelli non meno colla
narrazione di que' massacri, che co' suoi tentativi di scagionarli,
conchiude: «Tutti i fanatismi si rassomigliano, e _non è meraviglia_ se
il fanatismo politico venne offrire la sua parte di vittime all'opera di
distruzione del fanatismo religioso. Una cosa certa: che la maggior
parte (!) furono colpiti perchè _creduti_ realmente colpevoli...... Come
in altri tempi si credette degno del fuoco chi non ammetteva la presenza
reale, così allora si credette degno di morte (intolleranza meno
incomprensibile) chiunque si rivoltava contro il principio
dell'eguaglianza e della fraternità umana».
Il più fanatico apologista del Sant'Uffizio potrebbe scrivere una frase
più assoluta? Ed egli si domanda: «In quai tempi, in qual paese lo
scatenamento delle passioni politiche e il cozzo degli interessi non
condussero a calpestare, i diritti dell'umanità, ed estendere oltre
misura il dominio della morte? Gli esempj si presentano in folla, e
anche senza aprir i registri dell'Inquisizione, o risalire a quella che
chiamano età di barbarie, se ne trovano fin nella storia inglese» e qui
narra l'orribile persecuzione mossa in Irlanda nel 1689.

NOTE
[271] LUCA, 24, 29.
[272] MATT. XIV, 22.
[273] _Ad Galat._ II, 14.
[274] II _Ad Tim._ 4, 2.
[275] _De Gubern. Dei,_ lib. V.
[276] Vedi il nostro Discorso V. Sant'Agostino, che disapprovò affatto
le persecuzioni contro i dissidenti, nelle _Ritrattazioni_, lib. II, c.
5 scrisse: «Ho fatto due libri contro i Donatisti, ove dissi non
piacermi che, per forza secolare, gli scismatici sieno violentati alla
comunione. Per verità allora mi spiaceva, perchè non ancora avevo
provato a quanto male dia ardimento l'impunità; nè quanto a volger in
meglio giovi la diligenza del castigo». E nel trattato II _in Johann._
Nº 14: «Vedete che cosa fanno e che cosa soffrono: uccidono le anime e
sono afflitti ne' corpi; producono morti sempiterne, e lagnansi di
soffrirne di temporali».
[277] _Summa Theol. Secund._ Quæst. X, art. VIII.
[278] _Tract. de fide_, Disp. VIII, sect. III, nº 4.
[279] Sess. IV, c. 2.
[280] I re di Francia, ricevendo la corona, giuravano di distruggere
l'eresia. Ma i giureconsulti riflettono, in primo luogo, che questa
parola non è definita, e bisogna restringerne il senso più che si possa.
Poi nessun giuramento può esser contrario ai comandamenti di Dio, e quei
re giurano conservar la pace nel loro regno, e quindi non devono
proceder con violenza, rompendo l'amore, la sicurezza, la protezione
dovuta ai sudditi. Il primo che, all'incoronazione, ammise quel
giuramento fu Luigi XVI nel 1787, il quale restituì lo stato civile ai
Protestanti. E i Francesi lo decapitarono.
[281] Molti pajono fuor della Chiesa che son in essa: molti pajono in
essa e sono fuori. Così sant'Agostino. Nell'allocuzione tenuta nel 1854,
a cui dichiarò il dogma dell'Immacolata Concezione, Pio IX disapprovò
chi crede che uno possa in qualunque religione salvarsi, e soggiunge:
«Però si deve tenere egualmente certo che coloro i quali vivono in
un'ignoranza invincibile della vera religione, non si rendono colpevoli
agli occhi del Signore. Or chi si arrogherà di determinare i limiti di
tale ignoranza, secondo l'indole e la varietà dei popoli, delle regioni,
delle menti, e di tant'altre circostanze? Quando, sciolti dal corpo,
vedremo Iddio qual è, comprenderemo quanto vadano congiunte in istretto
e bel vincolo la misericordia e la giustizia divina: ma finchè dimoriamo
in questa carne mortale che l'animo indebolisce, teniamo formalmente
esservi un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, nè esser lecito
indagar oltre».
E nell'enciclica 10 agosto 1863 ai cardinali, arcivescovi e vescovi
d'Italia. _Notum nobis vobisque est, eos qui invincibili circa ss.
nostram religionem ignorantia laborant, quisque naturalem legem ejuque
præcepta in omnium cordibus a Deo insculpta sedulo servantes, ac Deo
obedire parati honestam rectamque vitam agunt, posse, divinæ lucis et
gratiæ operante virtute, æternam consequi vitam, cum Deus, qui omnium
mentes, animos, cogitationes, habitusque intuetur, scrutatur, et noscit,
pro summa sua bonitate et clementia minime patiatur quempiam æternis
puniri suppliciis, qui voluntariæ culpæ reatum non habeat. Sed
notissimum quoque est catholicum dogma, neminem scilicet extra
catholicam ecclesiam posse salvari, et contumaces adversus ejusdem
Ecclesiæ auctoritatem, definitiones et ab ipsius Ecclesiæ unitate...
pertinaciter divisos, æternam non posse obtinere salutem._
[282] _Trattato contro gli astrologi._ Cap. III.
[283] Epistola a Ginevra 1579, pag. 40.
[284] _Quam vero dixit ille in tragœdia, non gratiorem victimam Deo
mactari posse quam tyrannum! Utinam Deus alicui forti viro hanc mentem
inserat._
[285] _De Serveto_ 1555. _Corpus Reform._ VIII, 523, IX, 133.
Barni (_Les martyrs de la libre pensée_) vuol provare che anche allora
più d'uno riprovasse la legge che dava al boja gli eretici.
[286] L'intolleranza de' riformatori fu singolarmente flagellata da
Simone Lemnio di Margudant ne' Grigioni. Legatosi a Vittemberga con
Melantone, per genio caustico si fe molti nemici, e massime cogli
_Epigrammatum libri duo_, dove lodava come pròtettor delle lettere
Alberto arcivescovo di Magonza. Lutero, che era a questo avversissimo,
il fe perseguitare, trovandovi allusioni contro l'elettor di Sassonia e
altri primati, nè l'autore evitò il carcere se non fuggendo a Worms, e
fu condannato a perpetuo bando. Irritato viepiù, si svelenì contro i
suoi persecutori, con fine arguzie e con plateali facezie: aggiunse a'
suoi epigrammi un terzo libro ove strazia l'intolleranza di Lutero, di
Giona, degli altri; nella _Monachopornomachia_, introduce in comedia
esso Lutero, a cui è dedicata, venero, Giona, Spalatino, le lor mogli
coi rispettivi amanti, ed altri personaggi a dialoghi oscenissimi.
Molte opere compose, tradusse in versi l'_Odissea_, fu correttore alla
stamperia d'Oporino, infine maestro a Coira, ove morì di peste il 1550
in fresca età.
Innocente XI, mentre era in rotta con Luigi XIV, voleva interporsi
perchè usasse men severamente co' Protestanti: al qual fine incaricò il
suo nunzio in Inghilterra di pregar Giacomo II ad intervenire a tal
uopo: ma Giacomo ricusò. Vedi MAZURE, _Hist. de la révolution de_ 1688.
Parigi 1825, tom. II, 126.
[287] «Nel paragone, io mille volte avrei prescelto, per ciò che mi si è
fatto, il Sant'Uffizio e quelle disumane torture. Ma si dirà: il
sant'Uffizio condannava al rogo, e voi siete stato semplicemente
esonerato della vostra carica. Che? non si comprende forse che la
ragione per la quale io veniva dimesso era più crudele per gli effetti
che una condanna di morte? Questa vi tortura il corpo e vi toglie la
vita, che è pur fardello penosissimo: quella vi strazia, vi tenaglia, vi
lacera l'anima, e vi toglie l'esistenza morale, che supera di cento
doppi la fisica esistenza». G. TOFANO a' suoi elettori. Napoli 1861.
[288] FORTI, _Istituz. civili_, lib. II, cap. 2.
[289] Ap. THEINER al 1581.
[290] V. A. Huber, all'Unione Evangelica di Berlino il 1847 disse un
sermone, ove sostiene che l'Inquisizione in Spagna era un'istituzione
_inevitabile_, derivata dal carattere nazionale spagnuolo; e che la
posizione della Spagna a capo del mondo cattolico nel XVI secolo era
l'unica che le convenisse. «Quest'è certo (dice) che l'Inquisizione era,
nel miglior senso, popolarissima, una precauzione per conservar la
nazionalità castigliana». Vedi _Ueber spanische Nationalität, u. s. w._
Berlino. Höffele di Tubinga, nella bella monografia del cardinale
Ximenes, svolge ampiamente ragioni da noi accennate, conchiude che
«nella storia dell'Inquisizione di Spagna, la santa sede fa comparsa
affatto onorevole, qual protettrice de' perseguitati, come fu in ogni
tempo. Il protestante Schröck, nella _Storia Ecclesiastica_, si
maraviglia che il papa abbia consentito questa trasformazione d'un
tribunale ecclesiastico in secolare, da lui indipendente. E Ranke,
protestante anch'egli, disapprovando la storia, dal Llorente scritta per
favorire re Giuseppe Buonaparte contro le libertà basche e le immunità
ecclesiastiche, dice che da quella appare come il Sant'Uffizio fosse una
giustizia regia sotto divise ecclesiastiche, tantochè il cardinale
Ximenes, nicchiando a ricevere nel consiglio un laico nominato da
Ferdinando, questi gli rispose: «Non sapete che quest'uffizio non tiene
la giurisdizione se non dal re?»
[291] È noto Antonio Perez, che perseguitato da Filippo II a morte, uscì
di Spagna, e tanto valse a propagare l'odio contro questo re. Nelle sue
_Relazioni_ stampate a Parigi il 1624, racconta come da alti personaggi
e dal nunzio del papa fossero riprovate le proposizioni che davano al
principe piena podestà sopra la vita de' sudditi; e soggiunge: «Essendo
io in Madrid, uno che non importa nominare, in un sermone davanti al re
cattolico in San Girolamo proferì che «i re hanno potere assoluto sulla
persona e sulla roba de' vassalli». Tal proposizione fu riprovata
dall'Inquisizione; e costui condannato a ritrattarsi pubblicamente nel
luogo stesso con tutte le formalità giuridiche, oltre varie pene
particolari. Egli si ritrattò sul pulpito medesimo, e leggendo uno
scritto, soggiungeva: «I re non hanno sui loro sudditi maggior potere di
quel che loro è permesso dal diritto divino e umano, e non per libera ed
assoluta loro volontà». Queste parole il reo dovè ripetere per ordine
del maestro frà Ernando del Castillo, consultore del sant'Uffizio,
predicatore del re, uom d'eloquenza e dottrina singolare, assai stimato
nel suo paese, e maggiormente in Italia».
[292] Quando Filippo II mandava il duca d'Alba contro i Fiamminghi nel
1567, la flotta d'Andrea Doria, di 37 galee, lo portò da Spagna a
Genova, donde s'avviò coll'esercito, in cui 1200 cavalieri italiani
sotto il comando di don Fernando di Toledo, figlio naturale del duca,
essendo mastro di campo Ciapino Vitello, ceduto dal duca di Toscana,
come il duca di Savoja avea ceduto l'ingegnere Pacheco, che di poi
fabbricò la cittadella d'Anversa.
[293] Noi ci mostrammo sempre severissimi a questo re; pure ci sembra
aver ragione, a tacer altri, Gerlach, che dopo profondi studj, dicea:
«Quant'à Philippe II, que je suis loin de comparer à Charles V, je pense
qu'il a été mal jugé, parce qu'on ne l'envisage d'ordinaire qu'au point
de vue exclusivement belge, ou protestant, ou rationaliste, au lieu de
ne voir en lui que l'athlète intrépide du catholicisme dans une lutte
suprème et désespérée contre toutes les forces de la Réforme et de
l'Europe coalisées». Discours à l'ac. de Bruxelles, 6 mars 1859.
[294] DE THOU, lib. XXX, nº 7.
[295] _D. O. M. Barth. Carranzæ navarro dominicano archiepiscopo
toletano Hispaniarum primati, viro genere vitæ doctrina concione atque
eleemosynis claro, magnis muneribus a Carolo V et Philippo rege
catholico sibi commissis egregie functo, animo in prosperis modesto et
adversis æquo. Obiit anno Domini_ etc.
Il Babbi, residente per la Toscana a Boma, il 14 aprile 1571, informa il
granduca di Toscana come il cardinal Morone, impinto d'eresia, sia stato
«ricevuto in concistoro pubblico con molta solennità, e dal papa
abbracciato teneramente», poi la sera fu letta la sentenza contro
l'arcivescovo di Toledo alla presenza del papa, dei cardinali,
dell'Inquisizione e di molti signori e prelati della Corte, dov'egli
abjurò contro ogni sospetto d'eresia» (_Carteggio di Cosimo I_, filza
XII).
Il Laderchi reca bellissime testimonianze intorno al Carranza. Oltre il
Llorente, che ne parla coll'abituale sua esagerazione, De Castro (_Hist.
de los Protestantes Españoles y de sa persecucion por Felipe II_, Cadice
1851) occupa un intero libro intorno a questo processo, importantissimo
perchè vi lottava l'autorità de' vescovi contro quella della santa
Inquisizione, la quale spiegò tutto il suo potere contro il primo
prelato di Spagna, e trasse dalla sua l'opinione pubblica. Il famoso
teologo Melchior Cano, che avea sostenuto Filippo II contro Paolo IV, si
volse contro il Carranza. D. Diego Hurtado de Mendoza, celebre
diplomatico e guerriero, si fece suo denunziatore. Buone considerazioni
su questo processo fa Giacomo Balmès, _Il protestantismo e il
cattolicismo comparati, in relazione colla civiltà europea_. Cap. 37.
[296] Negli archivj di Napoli, _registro Angioini_, troviamo una
sentenza del 1270 per la quale Carlo I commette al maestro Portulano di
Terra di Lavoro di confiscare i beni di tre eretici, bruciati per
sentenza dell'inquisitore frà Matteo da Castromari, e nominati Andrea da
Vimercato lombardo, Giovanni da Ceccano giudice, e Tommaso Russo di
Magla saracena.
[297] Chioccarelli ap. GIANNONE, lib. XIX, 1, 5.
[298] Allora fu stampata la epistola _de Inquisitione_, del napoletano
Tristano Caracciolo.
[299] GIANNONE, _Stor. civile_, L. XXXII, c. 5.
[300] GIANNONE, lib. XXXIII, c. 5.
[301] BENOIST, _Hist. Valdens._
[302] Queste varie emigrazioni spiegano la diversità di data che al
fatto si assegna dal Giles (_Hist. des églises reformées_. Ginevra
1644), dal Rorengo (_Mem. istoriche dell'introdutione dell'heresie nelle
valli di Lucerna_. Torino 1649), dal Perrin (_Hist. des Vaudois_.
Ginevra 1618), dal Muston (_Hist. complète des Vaudois du Piémont_.
Parigi 1857), dal Morelli (_Sulla venuta de' Valdesi nella Calabria
citra_, Napoli 1859).
[303] BEZA, _Storia_ al 1544.
[304] Io ristampai altra volta queste parole, cavandole da lettere
trovate nell'archivio Mediceo _Corrispondenza di Napoli_. Vorrebbero
attribuirsi ad uno che accompagnò Ascanio Caracciolo in quella
spedizione, e datano dall'11 giugno 1562, da Montalto. Dicono:
«S'intende come il signor Ascanio, per ordine del signor vicerè, era
sforzato a partire in posta alli 29 del passato per Calabria, per conto
di quelle due terre de' Luterani che si erano date fuori alla campagna,
cioè san Sisto e Guardia. Sua signoria a Cosenza al 1 del presente
ritrovò il signor marchese di Buccianico suo cognato, che era all'ordine
con più di seicento fanti e cento cavalli, per ritornare e uscir di
nuovo in campagna, e quella fare scorrere, e pigliare queste maledette
genti: e così partì alli 5 alla volta della Guardia, e giunto quivi,
fecero commissarj, ed inviò auditori con gente per le terre circonvicine
a prender questi Luterani. Dalli quali è stata usata tal diligenza, che
una parte presero alla campagna; e molti altri tra uomini e donne, che
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  • Gli eretici d'Italia, vol. II - 56
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