Gli eretici d'Italia, vol. II - 05

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il nunzio papale lo dimandò a chiarirsene, ed egli ebbe l'arte di
spiegarli in buon senso e diceva: «È più difficile convincere uno
d'eresia, che accusarlo d'oscura definizione di frasi teologiche». Esso
nunzio l'anno prima avea fatto arrestare Giulio Terenziano teologo
milanese, che predicava eresie: e a ciò parve alludere l'Ochino quando
dal pulpito proruppe: «Che facciamo, o uomini veneti? Che macchiniamo? O
città regina del mare, se coloro che t'annunziano il vero chiudi in
carcere, mandi alle galere, come si farà luogo la verità? Oh potesse
questa liberamente enunciarsi! quanti ciechi recupererebbero la vista!»
Pertanto il nunzio lo sospese, e riferì ogni cosa al santo padre; ma
gliene seppero mal grado i Veneziani, ammiratori di quel bello ingegno,
di modo che dopo tre giorni bisognò restituirgli la parola, ch'egli usò
più cautamente[35].
Da Venezia, il 10 febbrajo 1542, scriveva al marchese del Vasto:
«Illustrissimo signore; Non fu mai, nè manco sarà capitano più valoroso
di Cristo. Imperocchè, dove gli altri vincono con potenti eserciti, per
forza d'arme e d'artiglierie, e molti con inganni, astuzie o favori di
fortuna, Cristo, venendo in questo mondo, solo soletto entrò in guerra,
e disarmato d'ogni forza e favore del mondo, sendo in sulla croce,
vestito solo di verità, umiltà, pazienza, carità e dell'altre sue divine
virtù, con impeto d'amore, in una sola guerra ha superato per sempre non
gli uomini del mondo, ma gl'infernali spiriti, la morte, li vizj, e
tutti li nemici di Dio, e fatto la più bella e ricca preda dell'anime,
per tanti secoli state già in sì misera servitù, che mai si facesse o
potesse fare. È ben vero che vi lasciò la vita, ma questo rende più
mirabile il suo trionfo e la sua gloria. Però essendo sì divino
capitano, V. E. non si ha da vergognare, anzi da onorare d'essere nel
numero delli suoi valorosi cavalieri, massime che le palme, corone,
vittorie, trofei e trionfi delli suoi soldati senza comparazione sono
più gloriosi che quelli del mondo. E si ricordi che prima, cioè nel
sacro battesimo, fu ascritto alla milizia di Cristo, che a quella di
Cesare; e mancar di fede a Cristo è cosa tanto più vile, quanto che
Cristo, degli altri signori è più ricco, liberale, potente, pio, santo,
giusto e pieno d'amore: e siccome furono empie quelle parole della
turba, _Non abbiamo altro re che Cesare_, così divine quelle di Cristo,
_Rendasi quello ch'è debito a Cesare, ma non si manchi a Dio_. Ed ora
tanto più, quanto non si serve, anzi si disserve a Cesare ogni volta che
s'ingiurasse Dio, dal favor del quale pendono gl'imperj e monarchie del
mondo. Questo ho scritto, non perchè io non pensi che V. E. abbia sempre
l'occhio aperto all'onor di Dio, siccome son costretto a credere e dalle
vostre virtù, e dall'amor ch'io vi porto: ma vi veggo nelle altezze del
mondo, dove li venti impetuosi delli rispetti umani sono potentissimi;
talchè bisogna esser perfettissimi per vincere. Però l'impresa è
conveniente alla grandezza e nobiltà dell'animo vostro. Gli altri vostri
amici faranno festa, e magnificheranno le vostre vittorie del mondo: ed
io, quando vincerete voi stesso, e non avrete per idolo il rispetto del
mondo, anzi per grandezza di spirito gli sarete superiore, e non
servirete al mondo, ma ve ne servirete in onore di Dio».
Finita la quaresima, a Verona raccolse molti Cappuccini della provincia
veneta, ai quali insinuò errori, poi prese a spiegare le Epistole di san
Paolo; e tra gli altri corruppe frà Bartolomeo da Cuneo, guardiano in
quel convento, che divenne eretico. Essendo generale de' Cappuccini,
avea promesso a frà Angelo da Siena di fabbricare il loro convento con
un lusso disdicevole alla professata povertà; onde i pii credettero che
quel che seguì fosse castigo di Dio per questa vanità. Certo le anime
pie già n'erano sgomente, e san Gaetano Tiene gli fece interdire la
predicazione in Roma. Angelica Negri di Gallarate, saviissima donna, le
cui lettere si leggevano ne' refettorj, e che il marchese Del Vasto
governatore di Milano volea ne' suoi consigli e al letto di sua morte,
udendo l'Ochino predicare a Verona, predisse cadrebbe nell'eresia[36].
E in fatto cominciò a mostrare disgusto dell'orazione, del coro, della
messa, al punto che tutti ne prendeano scandalo: qualche frate il
rimproverò, tra cui frà Agostino da Siena gli disse lepidamente:
«Andando ad amministrar la religione senza la preghiera, mi somigliate a
chi cavalca senza staffe. Badate non cascare». Egli rispondeva che non
cessa di pregare chi non cessa di ben fare. Poi talmente si avviluppò in
affari di principi, che non avanzava tempo di dire l'uffizio, e ne
domandò la dispensa dal papa. Insieme prese famigliarità con eretici, ne
gustava i libri, fantasticava innovazioni.
Il papa non sapea indursi a crederlo traviato; e l'invitò a Roma, coi
maggiori i riguardi, avendo divisato di ornarlo cardinale. Egli
bilicossi lungamente tra rinegare le sue dottrine, o esporsi alla morte
sostenendole; e il Giberti, santo vescovo di Verona ove allora egli si
trovava, lo indusse andare a consultarne il cardinale Contarini a
Bologna. Giunto colà, il trovò sì gravemente ammalato, che non potè
averne se non queste parole: «Padre, voi vedete a che stato sono
ridotto: pietà di me; pregate Dio per me e fate buon viaggio».
L'Ochino passò a Firenze a visitare Pietro Martire Vermiglio, e questi,
che già era fisso nell'eresia, lo dissuase risolutamente dall'andare a
Roma nè mettersi in mano del pontefice, bensì seguisse il consiglio del
salvatore, «Se siete perseguitati in un paese fuggite in un altro».
Mosse dunque a Siena a salutare i suoi; e vedendosi o credendosi in
pericolo di venir preso, si ricondusse a Firenze, e di là scrisse alla
marchesa di Pescara, palesandole l'ansie sue. «Con non piccolo fastidio
di mente mi trovo qui fuor di Firenze, venuto con animo d'andar a Roma,
dove sono chiamato, benchè da molti ne sia stato dissuaso, intendendo il
modo col quale procedono; perchè non potrei se non negar Cristo, o esser
crocifisso. Il primo non vorrei; il secondo sì, con la sua grazia, ma
quando Lui vorrà. Andar io alla morte volontariamente non ho questo
spirito. Dio quando vorrà mi saprà trovar per tutto. Cristo m'insegnò a
fuggir più volte ed in Egitto ed alli Samaritani: e che andassi in altra
città quando in una non ero ricevuto. Da poi, che farei più in Italia?
Predicar sospetto, e predicar Cristo mascherato in gergo; e molte volte
bisogna bestemmiarlo per soddisfar alla superstizione del mondo; nè
manco scrivendo potrò dare in luce cosa alcuna. Per questi ed altri
rispetti eleggo partirmi, e prontamente; chè veggo che procedono in
modo, che dà pensar che vorrebbero infine farmi rinegar Cristo o
ammazzarmi. Credo se Paolo fosse nel mio caso non piglierebbe altro
partito...... Ho inteso che il Farnese dice che son chiamato perchè ho
predicato eresie e cose scandalose. Il Teatino, Puccio[37] ed altri che
io non voglio nominare, dalli avvisi che ho avuti, parlano in modo, che
se io avessi crocifisso Cristo, non so se si farebbe tanto rumore. Io
son tale qual sa V. S., e la dottrina si può sapere da chi mi ha udito:
mai predicai più riservato e con modestia che quest'anno, e già senza
udirmi mi hanno pubblicato per un eretico. Ho piacere che da me
incomincino a riformare la Chiesa. Temono infino un frate con l'abito
nostro in _Ara Cœli_, che il Capitolo ordinò che gli fosse cavato
l'abito: onde, udendo tanta commozione contro di me, penso sia bene
cedere a tanto impeto. Dall'altra parte pensate se mi è aspro per tutti
li rispetti che sapete. Considerate se sento repugnanza a lasciar tutto,
e a pensare che si dirà. Cristo ha permesso e voluto ch'essi mi
perseguitino così, a qualche buon fine. Mi sarebbe stato sopra modo
gratissimo parlarvi, ed avere il vostro giudizio e di monsignor Polo, o
una lettera loro. Pregate il Signore per me. Ho animo servirgli più che
mai in la sua grazia.
«Firenze, 22 agosto 1542»[38].

Allora fu da Caterina Cibo duchessa di Camerino, colla quale pure teneva
usata; e deposto l'abito, con tre altri monaci varcò gli Apennini. A
Ferrara visitò la duchessa Renata, che lo munì di commendatizie per
Ginevra. Avea preso a compagno fra Mariano da Quinzano laico, che sapea
di francese e tedesco per essere stato militare; ed era sì caritatevole,
che una volta, più non avendo altro da poter dare, al mendicante disse:
«Non mi resta che questo mantello, e neppur esso è mio, sicchè non posso
dartelo. Ma se tu me lo togli, io non mi opporrò». E sfibbiatolo, lasciò
che il povero se lo pigliasse.
L'Ochino diede intendere a frà Mariano che zelo di Dio lo traesse a
predicare fra gli eretici; e per entrare nel loro paese bisognasse
deporre l'abito. Parte dunque con lui, frà Ginepro, frà Francesco, va a
Mantova, ad Aosta, e dice all'Italia un addio, che il Beverini stemperò
in suo prolisso latino. Tosto che frà Mariano s'accorse della frode,
procurato invano dissuaderlo, staccossene, e ritornò col sigillo della
religione, consegnatogli dal desertore. Nella prefazione alle «Prediche
di Bernardino Ochino da Siena, novellamente ristampate et con grande
diligentia rivedute e corrette» senza anno e luogo[39], ripete quel che
disse al magistrato della sua patria: «Quando avessi possuto in Italia
predicare Cristo, se non nudo siccome ce 'l donò il Padre, e si
dovrebbe, almanco vestito e velato come già in parte mi sforzava di
fare, a buon fine per non offendere i superstiziosi, non mi sarei
partito. Ma ero venuto a termini tali, ch'el mi bisognava, stando in
Italia, tacere, immo mostrarmi inimico dell'evangelio o morire. Ed io
non volendo negar Cristo, e non avendo speziale rivelazione nè
particolar spirito d'andare volontariamente alla morte, per non tentare
Dio elessi partirmi, siccome m'ha insegnato Cristo e con la dottrina e
con l'esempio, il che fece anche Paolo ed altri santi. Quando verrà
l'ora mia, Dio mi saprà trovare pertutto. So ben che se il pio, santo e
prudente considera quello che ho lassato in Italia, a quante calunnie mi
sono esposto, e dove sono andato in questa ultima età, sarà certo che il
mio partirmi non nacque da umana e carnal prudenza, nè anche da
sensualità, siccome spero in Cristo che la mia vita dimostrerà...... Da
poi adunque, Italia mia, che con la viva voce non posso più predicarti,
mi sforzerò scrivere, ed in lingua volgare, acciò sia più comune, e
penserò che Cristo, abbia così voluto acciò ch'io non abbi altro
rispetto che alla verità». Come l'Ochino arrivò a Ginevra, Calvino ne
esultò, e scriveva a Melantone: «Abbiamo qui frà Bernardino, quel
famoso, _qui suo discessu non parum Italiam commovit_». Subito si
indissero preghiere per lui in tutta Italia; fra' Cappuccini si prese
gran cura di estirpar ogni seme che avesse potuto lasciare, e molti che
se ne conobbero infetti, abjurarono. Frà Girolamo di Melfi, valoroso
predicatore, corse dietro all'Ochino ma non guari dopo periva in un
incendio. Frà Bartolomeo da Cuneo fu incarcerato dal vescovo, e
persistendo nell'eresie, fu condannato a morte. Frà Francesco di
Calabria, vicario della provincia milanese, si purgò con penitenza
rigorosissima.
Il papa, irritato anche da una lettera dell'Ochino, voleva sopprimere i
Cappuccini, quasi con lui aderissero, e n'avessero bevuto gli errori, ma
ne fu dissuaso da ragioni, sopra le quali gli storici di quella
religione tessono pompose dicerie. Claudio Tolomei nobile senese[40],
appena seppe apostatato l'Ochino, gli diresse da Roma il 20 ottobre 1542
una lettera, che s'ha a stampa, donde appare quanto senso avesse fatto
quel passo tra un popolo che l'ammirava e stimava. Esposte le ragioni di
perdurare nella Chiesa, dove unicamente è la verità, lo pregava almeno a
tenersi tranquillo e non inveire contro la Chiesa cattolica. Il
cardinale Caraffa, che poi fu papa, deplorava quell'apostasia colle
parole onde la Scrittura deplora la caduta dell'angelo Lucifero[41].
«Ancor ci suonano nelle orecchie quelle tue splendidissime prediche, dei
beni della continenza, della devozione alle cose sacre, dell'osservar i
digiuni, de' panegirici di santi, delle lodi di monaci, dell'onor della
povertà: ancora ci stai davanti agli occhi co' piedi scalzi, mal in
arnese, mal acconcio; ancora hai freddo, hai fame, hai sete, sei nudo:
ed or tra cibi e bevande, dilicature e letti fra molli coltri, in
vulgari taverne, fra beoni, fra incestuosi, fra bestemmiatori,
svergognato apostata soffri d'esser veduto? Dove son quelle tue
magnifiche voci del disprezzo del mondo, della beatitudine delle
persecuzioni, della costanza nelle cose avverse? Dove le acutissime tue
invettive contro la cupidigia dei beni, la vanità delle ambizioni, le
false insanie? Tutto è confuso, tutto disfatto. Dove tu stesso, che
predicavi di non rubare e rubi, di non adulterare e adulteri? tu maestro
distruggi tutta l'opera che dianzi insegnavi. Chi darà agli occhi miei
una fonte di lacrime per pianger giorno e notte un bastone della Chiesa
spezzato, un maestro di popoli accecato, un pastore mutato in lupo? Che
hai tu a vedere colle barbare genti? Che colla straniera nutrice, che
colla matrigna, che colla meretrice la quale uccise il proprio figlio, e
cerca separare il figlio vivente dalla vera madre? Riconosci il seno che
ti nutriva, la voce di quella che piange, e grida, Torna, diletto mio,
come la capra e il cerbiatto sul monte degli aromi. Sarà mite per te la
verga del sommo pastore; troverai un padre indulgente, qualor ti mostri
figlio ravveduto. Ti commuovano il coro de' santi, le preci de' fratelli
tuoi, le lacrime de' figli; non deludere, non vilipendere quelli per cui
Cristo è morto.... Te non perseguita quella che odia il peccato non il
peccatore, che a tutti porge le mamme, che a nessuno chiude il grembo.
La Chiesa non può perseguitare Cristo in te, che da Cristo ti scostasti:
non ti segua l'ambizione tua, non la tua iniquità, e non avrai alcuno
avverso, non alcuno persecutore; sia una sola fede, e sarà una la pace:
sia una confession sola nella Chiesa, e una la ragione dell'amicizia.
Via i vitelli d'oro; via il culto sulle alture; non vi siano Roboamo e
Geroboamo, Gerusalemme e Samaria; sia un solo ovile e un solo pastore».
Altri ancora scrissero all'Ochino, e fra essi l'inevitabile Muzio, al
quale esso rispose colla lettera, che quasi intera produciamo.
«Bernardino Ochino senese a Muzio Giustinopolitano S. e P. dove rende la
ragione della partita sua d'Italia.
«Essendo giovanetto, ero in quest'inganno il quale ancora regna in
quelli, che sono sotto l'impio regno d'Anticristo, che pensavo avessimo
a salvarci per le nostre opere proprie, e che potessimo e dovessimo con
digiuni, orazioni, astinenze, vigilie, e altre simili opere satisfare
alli peccati e acquistarci il paradiso, concorrendo però la grazia di
Dio.
«Avendo adunque desiderio di salvarmi, andai considerando che vita
dovessi tenere, cercando che le religioni umane fussero sante, massime
per essere approvate dalla Chiesa romana, la quale pensavo, che non
potesse errare. Parendomi che la vita de' frati di San Francesco,
nominati dell'Osservanza, fosse la più aspra, austera e rigida, però la
più perfetta e a quella di Cristo più conforme, entrai in fra di loro, e
benchè io non vi trovassi quello che m'ero immaginato, niente di meno
non mi si mostrando per allora vita migliore, secondo il mio cieco
giudizio stetti così in fin a tanto che incominciarno apparire al mondo
i frati Cappuccini, e visto l'asprezza della vita loro, con repugnanza
non piccola della mia sensualità e carnal prudenza presi l'abito loro e
credendo d'aver trovato quello che cercavo, mi ricordo che dissi a
Cristo: — Signore se ora non mi salvo, non so che farmi più. — Vedi se
ero empio fariseo. Posso con Paolo dire (_Gal._ I) — Io profittavo nel
giudaesimo, sopra molti di mia età troppo zelante delle paterne
tradizioni e ammaestramenti. — Ma pochi giorni stetti con essi, che il
Signore incominciò a aprirmi gli occhi, e mi fece in fra l'altre vedere
tre cose: la prima, che Cristo è quello che ha satisfatto per li suoi
eletti e meritogli il paradiso, e che lui solo è la giustizia nostra; la
seconda, che i voti delle umane religioni sono non solo invalidi ma
empj, la terza, che la Chiesa romana, benchè di fuore resplenda agli
occhi carnali, niente di meno è essa abominazione in cospetto di Dio. Or
avendomi il Signore così mostrato chiaro, e avendo di ciò il testimonio
delle Scritture sacre, immo e dello Spirito Santo, facendo in me legge
il suo offizio, caddi dalla cima della presunzione di me stesso, nel
profondo della disperazione delle mie opere e forze, e vidi che, sotto
spetro di bene, avevo sempre con Paolo perseguitato Cristo, la sua
grazia e il suo evangelio, e che, quanto più con maggiore impeto d'opere
m'ero sforzato d'andare a Dio, tanto più m'ero allontanato. Però mi
trovai in una gran confusione ma non restai lì, imperocchè Cristo
mostrandomisi con la sua grazia, cadendo con Paolo dalla confidenzia
propria, respirai a Dio, e ponendo in esso le speranze mie, mi commessi
in tutto al suo governo, poichè per me stesso ero sempre andato al
contrario.
«E benchè varie cose mi venissino innanzi, niente di meno mi si mostrò
alcun modo di vivere, nel quale potessi per allora più onorare Dio, che
servirmi di quella maschera dell'abito, e di quella estrinseca e
apparente santità di vita, in predicare la grazia, l'evangelio, Cristo e
il suo gran benefizio. Questo dico, atteso e considerando quale e quanta
era e è la superstizione d'Italia, e lo stato nel quale mi trovavo. E
così incominciai a mostrare, che siamo salvi per Cristo. Vero è che vidi
gli occhi d'Italia sì infermi, che, se avessi alla scoperta subito
mostrato la gran luce di Cristo, non potendo tollerarla, l'avrei in modo
tale offesa, che li Scribi e Farisei, i quali in essa regnano, mi
arebbono ucciso. E giudicai esser bene, non così subito scoprirgli la
gran luce dell'evangelio, ma a poco a poco per condescendere alla sua
debile vista. Però contemperando le parole al suo lippo vedere,
predicavo che, per grazia e per Cristo siamo salvi, che lui ha
satisfatto per noi, e che egli ci acquistò il paradiso. Vero è che non
scoprivo esplicatamente l'empietà del regno d'Anticristo, non dicevo, —
Non ci sono altri meriti, satisfazioni, indulgenze che quelle di Cristo,
nè altro purgatorio; — lasciavo simili illazioni farle a quelli che da
Dio per grazia avevano vivo sentimento del gran benefizio di Cristo: non
avrei ditto, — Voi sete sotto l'empio regno d'Anticristo, il quale fa
residenza a Roma; i costumi della sua e vostra Chiesa sono
corruttissimi, ma non manco la dottrina, le vostre religioni umane. Sono
esse empietà, e non ci è altra vera religione che quella di Cristo; voi
siete manifesti idolatri, e in pigliare i santi per vostri avvocati,
offendete Dio, Cristo, la madre, e tutto il paradiso. — Non potevo
esplicare simili verità, ma le tacevo aspettando che Cristo mi mostrasse
quello che voleva fare di me. È ben vero che in secreto esplicai il vero
a molti, delli quali alcuni che per tentarmi m'avevano domandato, ed
altri per loro proprj interessi, manifestorno al papa e cardinali qual
fusse la mia fede, mostrandosi contrarj di quello, che, già in camera
parlando, avevano mostrato d'accettare per vero. Non mancarono anche
persone, le quali, mosse da invidia e sì per la religione come per la
predicazione si diedero intorno a dare il tratto alla stadera, con dire
che predicavo eresie, e tanto con maggior veneno, quanto che in modo
tale, che nessuno poteva puntarmi, nè pigliarmi in parola, e che, per il
gran credito che avevo, avrei potuto un dì fare qualche gran commozione
in Italia con ogni minima occasione; massime perchè in fra i Cappuccini
molti e precipue i primi predicatori aderivano alla mia opinione, e di
continuo moltiplicavano quelli che essi chiamano eretici perchè credono
veramente in Cristo.
«Or ben sai che Anticristo con i suoi primi membri, temendo con Erode di
non perdere il regno, e sapendo che quello di Cristo ruina il loro, come
quello che gli è contrariissimo, con Caifas conclusero che io morissi, e
furono eletti sei cardinali e deputati a spegnere ogni lume, che più
scoprisse le loro ribalde latroncellerie. Or con furia mirabile fui
citato da Anticristo, e comandato che subito andassi alla sua presenza:
fecero anco saper per tutto, che io era citato per eretico, sì come essi
dicevano.
«Trovandomi in quel caso, consigliandomi con Cristo e con li pii amici,
dissi in fra me stesso: — Tu sai che costui, il qual ti chiama, è
Anticristo, il quale non sei tenuto obbedire. Costui ti perseguita a
morte perchè predichi Cristo, la grazia, l'evangelio e quelle cose le
quali, con esaltare il Figliuolo di Dio, distruggono il suo regno: però
questa è una impresa a essi di stato. Puoi dunque esser certo che egli
ti torrà la vita, sì come ne hai avvisi e certezze.
«Un giorno più che fossi andato avanti, ero preso da dodici, i quali, la
vigilia di san Bartolomeo, a cavallo circundonno il monasterio de'
Cappuccini fuor di Siena per pigliarmi, sì come è pubblico; e non mi
trovando corsero verso Firenze a fare il simile. Dicevo a me stesso: —
Tu vai a morire scientemente volontariamente senza speranza di frutto,
immo con scandalo de' pii; tu vai a tentare Dio esponendoti alla morte
senza particolare rivelazione, o spirito: tu sei micidial di te stesso:
tu puoi e debbi con Paolo e con gli altri santi, immo con Cristo
fuggire, sì come con l'esempio e con le parole ti ha insegnato fare in
simil casi, dicendo, Se vi perseguitano in una città, fuggite in
un'altra. Tu in obbedirgli con andare ad una certa morte, onori e
approvi supremamente la sua autorità; con disonore sommo di Dio, tu
mostri a tutto il mondo di averlo per vero e legittimo vicario di Cristo
in terra, sapendo certo che egli è Anticristo; però dâi gran scandalo al
mondo con ingiuria di Dio. Cristo s'è servito di te in fino a ora con
questa maschera dell'abito e vita, acciocchè con minor sospizione della
superstiziosa Italia potessi predicare la grazia, l'evangelio, il gran
benefizio di Cristo: Ora Dio si vuole servire di te in altro modo; vuole
che alla scoperta scriva la verità, senza alcun rispetto umano, il che,
perchè non potresti fare stando in Italia, però Dio ti ha condotto in
questa necessità.
«Dipoi non potevo più tacere vedendo così impiamente sotto spezie di
pietà ogni dì di nuovo crocifiggere Cristo: era necessario che io
parlassi, sì come sanno quelli che più familiarmente praticavano meco, e
che io dannassi non solo i costumi, ma molto più l'empia dottrina del
regno d'Anticristo, nè potevo vivere in fra quell'empie e diaboliche
superstizioni, ipocrisie, idolatrie, inganni o tradimenti di anime. Ben
sai che al partirmi repugnava il senso e la carnale prudenza, secondo la
quale mi era difficile lasciare Italia con parenti e amici, gran
credito, reputazione e nome; e scientemente espormi alle calunnie e
infamie del cieco mondo, immo di tanti Farisei, i quali per invidia
erano sì pieni di veneno che crepavano. Vedevo la bella occasione che
avrebbono da sfogarsi. Mi suadeva la prudenza umana a più presto morire
che vivere così infame, ma lo spirito rispondeva, che è somma gloria del
cristiano vivere per Cristo e con Cristo, infame al mondo. M'adduceva
anco lo scandolo, che ne piglierebbeno molti, ma vidi che era de'
Farisei, del quale, secondo Cristo, non dobbiamo curarci. Cristo anco fu
e è scandalo al mondo, e quando gli empj per la sua morte sommamente si
scandalezzarono, i pii supremamente s'edificarono. Se anco andando a
Roma m'avessero morto, i Farisei sarebbono restati di me scandalezzati.
Però il loro scandolo non poteva evitarsi. Ora non so qual persona sarà
che abbi spirito, immo giudizio, che non veda che io feci ottimamente a
partirmi, non potendo più col mio stare in Italia servirmi dell'abito,
predicare, giovare alli miei fratelli in Cristo, immo nè vivere; e
partendomi potendo scrivere e aprire la verità con speranza di frutto. E
chi è quello di sano giudizio che in tal caso non potendo più servire a
Cristo, dal regno d'Anticristo non si fosse partito? Obbediresti tu ad
Anticristo s'ei ti chiamasse per torti la vita, potendo preservarti a
onore di Dio, esaltazione del suo regno e confusione, vergogna, morte,
annichilazione di quella fetente e sporca meretrice d'Anticristo? La
quale benchè dentro sia piena di sporcizie, immo essa abominazione in
cospetto di Dio (2 _Thess._ 2), nientedimeno è chiamata dal cieco vulgo
Chiesa romana, solo perchè lisciata di colori mondani resplende negli
occhi degli uomini carnali.
«So che dirai, — Quando così fusse aresti ragione, ma non è vero che
siamo giustificati per grazia e fede di Cristo, e non per l'opere
nostre, nè voti delle religioni umane sieno invalidi e empj, nè anco che
quella che i è chiamata Chiesa romana sia la Babilonia d'Anticristo;
che, quando così fosse, avresti in tal caso fatto ottimamente a
partirti. — Or io ho chiarito tutto: nelli primi venti sermoni che già
sono in luce, ho apertamente mostrata la giustificazione per Cristo;
nelli altri venti che anco sono in luce, ho fatto vedere chiaro come i
voti delle religioni umane e primi membri d'Anticristo sono invalidi e
empj, e che non ci è altra vera religione al mondo che quella di Cristo,
e negli altri seguenti che ora s'imprimono si vedrà come quella che
avete per Chiesa di Cristo è la vera Babilonia, nella quale colui che
tiene il principato è esso Anticristo, e voi l'avete per vicario di
Cristo. Però lascia stare di impugnare più me e la mia partita
giustamente fatta, e se puoi impugna la dottrina, che sono per
difenderla con la grazia di Dio. Sì è potente la verità che, se ben si
unissero tutti li diavoli a scrivermi contra, sarebbe forza che
restassero confusi; ma siete ben voi ciechi, stupidi, insensati e
stolti, da poi che dove i santi ebbero lume di Anticristo inanzi venisse
e lo conobbero per tale, voi nè esso nè i suoi membri vedete, avendoli
inanzi agli occhi e nel tempo nel quale si dimostra contrario a Cristo
con somma impietà. E ben che Cristo abbi incominciato a scoprirlo per
Anticristo, e dato di ciò lume a tanti, e singolarmente ai più nobili
spiriti, i miseri e empj Farisei non solo non l'hanno in orrore essendo
essa abominazione, immo l'adorano per Dio in terra e l'hanno esaltato
sopra Dio siccome predisse Paolo. Sono innumerabili gli errori i quali
avete imparati nell'empia scuola d'Anticristo per essere la sua dottrina
impura, falsa, diabolica, nè avete altro scudo per difendervi se non col
dire — Così ci hanno insegnato i nostri parenti e prelati con i membri
d'Anticristo —; il che se basta per scusarvi in cospetto di Dio, lo
lascio giudicare a voi. Lascia, lascia dunque le tenebre d'Egitto,
partiti dall'intollerabil servitù e tirannide di Faraone; non ti
lasciare ingannare dall'estrinseco splendore del mondano regno
d'Anticristo; risguarda all'umil Cristo in su la croce, e pregalo che 'l
ti apra gli occhi e ti dia lume del vero, il che quando per sua grazia
ti concedesse, non danneresti, immo approveresti il mio essermi in tal
caso partito.
«Non potendo adunque giustamente dannare la mia mutazione, se prima non
gitti per terra l'invincibile e inespugnabile verità che si contiene
nelli suoi sermoncelli, vedili un poco, e con animo puro, sincero e
candido, che so resterai preso dal vero. Che temi al leggerli, se come
buon cristiano hai nel cuore il testimonio dello Spirito Santo e sei in
verità? La quale, quanto è più discussa, resplende, e quanto più se gli
approssima il falso suo contrario, tanto più si dimostra chiara. Sei
forse di sì poco giudizio che, essendo come pensi in luce e chiarezza di
fede, in ogni modo temi di non essere ingannato? Non è sì piccolo il
lume della verità che ella non si possa facilmente discernere: ma se sei
in tenebre sì come dimostri, dovresti tanto più cercare e non fuggire la
luce della verità, quanto n'hai più bisogno, acciocchè insieme con gli
altri fratelli eletti di Cristo e figliuoli di Dio rendiamo al nostro
ottimo e divin Padre ogni laude, onore e gloria, per Gesù Cristo Signore
Nostro.
«Da Ginevra 7 aprile MDXLIII».

Un'altra lettera l'Ochino inviò stampata ai signori della balia della
sua città natale, in cui non si propone di far una professione intiera e
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