Gli eretici d'Italia, vol. II - 34
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importantissime: fondò Congregazioni in onore della beata Vergine, in
molti luoghi e nominatamente a Messina; procurò la istituzione del
collegio Germanico a Roma, e del collegio di San Michele a Friburgo, che
fu il centro della resistenza in Svizzera. In tale opera l'ajutò assai
il nunzio Bonomo. Colà morì il 1597, e fu beatificato nel 1865.
[238] «C'è un libretto che si fa imparar a memoria ai fanciulli, e sul
quale sono interrogati in Chiesa. È il catechismo. Leggetelo, e vi
troverete la soluzione di tutte le quistioni. Domandate al cristiano
donde viene la specie umana; e lo sa. Dove va? lo sa. Come si va? lo sa.
Dimandate a quel ragazzino che non vi ha mai pensato, perchè egli è su
questa terra, che cosa diverrà dopo morte; egli vi farà una risposta
sublime, che forse non comprenderà, ma non per questo è meno ammirabile.
Dimandategli come il mondo fu creato e a qual fine, e perchè Dio ha
posto animali e piante; come la terra fu popolata d'uomini; se da una
sola famiglia o da molte; perchè gli uomini parlano diverse lingue;
perchè soffrono e si fan guerre, e come ciò andrà a finire: egli sa
tutto. Origine del mondo, origine della stirpe umana, differenza delle
razze, destinazione dell'uomo in questa vita e nell'altra, relazioni
dell'uomo con Dio, doveri dell'uomo verso i suoi simili, diritto
dell'uomo sul resto del creato, nulla, egli ignora. Più adulto, non
esiterà a dirvi il vero sul diritto di natura, sul diritto politico, sul
diritto delle genti, perchè tutto ciò scaturisce chiaramente e
naturalmente dalla dottrina cristiana». Th. JOUFFROY, _Mélanges
philosophiques_, vol. I, p. 470.
Il Thiers scrive che il catechismo e la scuola parrocchiale del
villaggio saranno l'unica salvezza della Francia.
[239] Ci par bene ripetere quest'avvertimento di sant'Agostino:
«La vera maniera d'insegnar la religione è risalir alle parole _In
principio Dio creò il cielo e la terra_, e svolgere tutta la storia del
cristianesimo sino ai nostri giorni. Nè già fa duopo riferir per filo e
per segno tutto ciò che è scritto nel vecchio e nel nuovo Testamento;
cosa nè possibile nè necessaria. Fate un compendio; insistete viepiù
sopra ciò che vi par più importante, e scivolate sul resto. In tal modo
non istancherete colui che volete eccitare allo studio della religione,
e non sopracaricherete la memoria di chi dovete istruire». _De
catechizandis rudibus_, cap. III, nº 5.
[240] Si ha nella Magliabecchiana (Manuscritti, classe XXXVII, 292) un
discorso di Giovanni Carza sopra il modo di dar esecuzione al decreto
del Concilio di Trento _De editione et usu sacrorum librorum_, «per
conservar illesa la scrittura sacra, per estirpar il morbo delle eresie
radicate nelle stampe infette, e per rimediare agli abusi di stampatori,
i quali con le stampe hanno oscurato e depravato il senso della dottrina
e disciplina ecclesiastica, in questi ultimi cento anni che la lor arte
è in uso, forse più che li scrittori non l'hanno fatto con le loro penne
in prima». E dice che fin i decretj del Concilio Tridentino, stampati da
Paolo Manuzio con soscrizioni autentiche, furono ristampati con infiniti
errori e alterazioni di senso. Consiglia pertanto di metter una
stamperia grande e operosa in Roma; suggerisce donde prendere il denaro
per istituir una commissione, alla quale ricorrerebbero anche stampatori
forestieri per aver le lezioni migliori. Ciò non sarebbe monopolio,
perchè i libraj, oltre vantaggiarsi col vender quelle stampe, potrebbero
anche riprodurle, ma in modo che, chiunque voglia, possa confrontarle
colle autentiche e comprar le migliori.
Seguono varj capitoli di libraj, i quali offrono di pagar una tassa; di
metter ai libri il minor prezzo possibile; seguir l'ortografia indicata
da deputati, e lasceranno che altri li ristampi colle norme prescritte:
s'uniranno in congresso, dove la metà siano oltremontani, ed eleggeranno
lor presidenti e ufficiali; non faranno lavorare che buoni credenti e
pratici dell'arte, e stabiliranno in Roma un seminario di buoni
stampatori.
[241] Dalla biblioteca Palatina di Firenze (Codice CCCIC) passò alla
Magliabecchiana una copia degli opuscoli di san Cipriano, che al
carattere pare di Bernardo Davanzati, traduttore di Tacito. Egli vi
appone e note e correzioni che attestano buona critica, e avverte i
passi che fanno contro Lutero, e provano la preminenza della Chiesa
romana. Dello stesso Davanzati trovossi tradotto un estratto dei
_Commonitorj_ di Vincenzo Lerinese _contro le eresie_: e il Bindi, che
primo lo pubblicò nell'edizione delle opere del Davanzati (Firenze,
Lemonnier 1852) avverte come questi fosse versato nei sacri autori, e
che, anche nel tradur lo scisma d'Inghilterra, «più che a pruova di
lingua mirò a mostrare da che laide origini sorse il funesto dissidio
inglese, non potendo così non illuminare anche sul conto degli altri
nimici della verità cattolica».
Nella biblioteca stessa sono i manuscritti di Baccio Bandinelli, nipote
dello scultore omonimo, del quale è memoria che scrisse 24 libri contro
gli eretici nel 1611, e un'opera _De invisibili Lutheri, Calvini, et
aliorum hujus temporis hæreticorum ecclesia_.
Ivi pure è un poema in terzine _Della diffusione del sommo bene_,
probabilmente di frà Paolo del Rosso, cavaliere gerosolimitano, fatto
attorno al 1530, ove confuta le varie eresie, e le nuove, e canta:
Lutero, al tuo dispetto lo vedrai
Che i tuoi errori alfine andranno al fondo,
Ed i piaceri in pene cangerai.
[242] Per un esempio trovava,
_Ad cœnam agni providi_
_Et stolis albis candidi_
_Post transitum maris Rubri_
_Christo canamus principi,_
_Cujus corpus sanctissimum_
_In ara crucis torridum_
_Cruore ejus roseo_
_Gustando vivimus Deo._
Esso toglie le assonanze e le oscurità, e fa
_Ad regias agni dapes_
_Stolis amicti candidis_
_Post transitum maris Rubri_
_Christo canamus principi,_
_Divina cujus charitas_
_Sacrum propinat sanguinem,_
_Almique membra corporis_
_Amor sacerdos propinat._
Urbano VIII alcuni inni fece riformare da Famiano Strada, Tarquinio
Galluzzi, Girolamo Petrucci; ma si disse che _accessit latinitas,
recessit pietas_. Egli stesso ci lavorò, e fece quel di santa Elisabetta
regina.
Un innario fu pubblicato nel passato secolo dal cardinale Tommasi,
diviso in tre parti: _hymni de anni circulo; hymni de natalitiis
sanctorum; hymni de quotidianis_, cioè i feriali. Il cardinale Giovanni
Battista Bussi, nelle _Istruzioni pratiche sulla recita del divino
uffizio_, indica gli autori di molti inni.
[243] Le differenze della Bibbia di Sisto V e Clemente VIII non sono
importanti, come avea voluto far credere TH. JANNES, _Bellum papale seu
concordia discors Sixti V et Clementis VIII, circa hieronymianam
editionem_, Londra 1600. Fu confutato trionfalmente sin d'allora: ma
adesso il barnabita Vercellone (_Variæ lectiones vulgatæ bibliorum
editionis_, Roma 1860-64), compiendo la fatica cominciata dal suo
maestro e confratello Ungarelli (_De castigatione vulgatæ Bibliorum
editionis peracta jussu Concilji tridentini_. Roma 1847) pubblica
gl'immensi lavori fatti dalle Congregazioni, e tutte le varianti della
Vulgata, cominciando dal _Codex Amiatinus_ ch'è il più antico; e le
ragioni che fecer preferire la adottata nell'edizione Clementina e gli
sbagli della Sistina. È insigne dimostrazione delle pazienti e generose
fatiche sostenute dai dotti d'allora, e del merito dell'edizione del
1592, sola riconosciuta autentica. Ciò non toglie che possa esaminarsi e
criticarsi il testo, e Pio IX incoraggiò il Vercellone all'impresa;
_tibi addimus animos ut inceptum opus naviter scienteque absolvendum ac
perficiendum cures, omnesque ingenii tui vires in iis peragendis semper
impendas._ Con queste potrà benissimo farsi una nuova edizione della
Bibbia, non per autorità privata, bensì della Chiesa.
Le dissertazioni che accompagnano il lavoro del Vercellone chiariscono
la consuetudine costante della Chiesa rispetto a traduzioni e lezioni
nuove, e come il Concilio di Trento non avesse voluto che provvedere
alle infinite varietà che l'opera umana potesse introdurre nella divina,
assicurando però solo la conformità sostanziale della Vulgata cogli
originali, e non già la conformità fin nelle minime particelle, come si
usa dai Rabbini.
Vedasi il nostro discorso XV e la nota 31.
La prima edizione ebraica del commento al _Pentateuco_ di Rabbi Salomon
Jarco fu fatta da Abramo Gorton a Reggio di Calabria nel 5235 della
creazione, mese di adar, cioè nel marzo 1475. L'anno stesso erasi
stampato a Pieve di Sacco nel Padovano il Rabbi Jacob ben Ascer Arba
Jurim, che è la più antica edizione ebraica che si conosca, ma porta la
data del mese jamuz, cioè di quattro mesi posteriore a questa di Reggio.
Della versione greca del testo ebraico, detta dei Settanta, i più
antichi codici conosciuti appartengono al IV o V secolo di Cristo, e
sono: il _Vaticano_, edito nel 1857 a Roma dal padre Vercelloni:
l'_Alessandrino_, pubblicato dal 1816 al 1828 a Londra dal Baber: il
_Sinaitico_, pubblicato a Pietroburgo il 1862 da Costantino Tischendorf,
che lo scoprì in un convento del monte Sinai, ma dove manca più di metà
del vecchio Testamento. Alla Vaticana c'è pure il codice Marcheliano del
VII o VIII secolo; tutti in caratteri unciali. Or ora se ne scoprì un
altro a Grottaferrata da palimsesto, non posteriore al VII secolo, con
moltissime note marginali greche e latine, ed appartiene alla recensione
esaplare.
Al suddetto Tischendorf dobbiamo, oltre molte pubblicazioni bibliche,
una nuova edizione dei vangeli e degli atti apostolici apocrifi, con una
dissertazione storico-critica.
[244] Nella Magliabecchiana (Classe XXXVII, 292) è manuscritto _Modus
propagandi fidem catholicam_, che, tra il resto, raccomanda che i
vescovi comunichino libri pii ai loro parroci, e se ne mandino alle più
lontane parti. _Quod si una genevensis civitas, hac una cura
disseminandi libros, literasque scripti, tandi, paucissimorum annorum
spatio regna orbemque pœne ipsum, satana vires suppedi tante, aut
infecit erroribus, aut everti, sane contra multo magis sperandum est a
dextra Dei si, etc._
[245] Vedi la nota 24 del discorso XVI. Giovanni Bollando, gesuita
d'Anversa, cominciò nel 1643 quella gran collezione, che fu proseguita
fino nel 1794. In 53 volumi di forse 25 mila vite, arriva solo a mezzo
ottobre. Gli immensi materiali raccolti andarono all'asta nella
vandalica soppressione di Giuseppe II. Racimolati in parte, ora se ne
stampa la continuazione.
[246] Il padre Laderchi, nel tom. XXIII, pag. 160 degli _Annali
Ecclesiastici_, toglie dalla vita di san Filippo, di Pietro Giacomo
Bacci, questo racconto: che il Baronio, essendo entrato nella
congregazione dell'Oratorio, dal pulpito non cessava di sgomentare gli
uditori colle minaccie della morte e dell'inferno. A san Filippo parve
soverchio, e l'esortò a lasciar via cotesti spauracchi, e narrar
piuttosto la storia ecclesiastica. Il Baronio non vi badò, sicchè
Filippo usò dell'autorità per comandarglielo. L'amor proprio di Cesare
n'era offeso, e stava perplesso, quando una notte sognò che Onofrio
Panvino (valentissimo erudito di cose sacre, e dal quale esso avrebbe
voluto vedere scritta essa storia) lo esortasse a far gli Annali
Ecclesiastici; e tra il sogno udì la voce di Filippo che gli diceva:
«Orsù, Cesare, non ti ostinare; tu, non il Panvino, devi scrivere la
storia ecclesiastica».
Del Baronio esiste fra i manoscritti della Magliabecchiana (Cl. XXXVII
Nº 292) una apologia diretta a papa Clemente VIII, difendendosi da
quelli che lo tacciavano d'aver sostenuto, nel V volume della sua
storia, che, per antica disciplina, la Chiesa non ricevesse più a
penitenza i relapsi. Con fatti e con detti de' Padri egli prova che
tutt'altrimenti fu sempre costumato.
[247] A confutare il Baronio da Giacomo I d'Inghilterra fu adoperato il
famoso erudito francese Casaubono. Questi, in settembre 1609, scriveva
che un Italiano cercò introdursi presso di lui, dicendosi inviato dal re
di Spagna. Entrato, esitò lungamente a dir il vero motivo della sua
venuta, poi pregò il Casaubono ad evocare per lui il suo demonio
familiare, assicurando non esser a ciò mosso che da mera curiosità e per
accertarsi di quel che tutti diceano e credeano. Casaubono durò gran
fatica a persuader costui del contrario; il quale gli diceva che in
Italia moltissimi, e fin cardinali, si occupano di arti magiche.
L'opera del Baronio fu pubblicata dal 1588 al 1593. Nel 1705 il
francescano Pagi ne emendò molti errori cronologici. Il trevisano
Rainaldi lo continuò con minor critica dal 1198 al 1571 in 10 vol.
in-fol.: a cui il Laderchi ne aggiunse 3 altri che comprendono solo 7
anni dei tempi della Riforma; ma Benedetto XIV gli diceva: «Meno fede e
più criterio». Questi non son compresi nella edizione di Lucca, in 38
volumi con note. Ora si ristampa il tutto a Bar le Duc con aggiunte e
correzioni del padre Theiner, e nuovi documenti; egli ne farà la
continuazione già cominciata.
[248] Cap. 18, sez. XXIII, _De Reform_.
[249] Già notammo come il Sadoleto paganeggi: e infatto non parla di
pratiche nè di teologia. Il cardinale Polo, lodandolo assai, gli facea
riflettere che lasciava il suo allievo nel porto della filosofia,
_statio malefida carinis_ quanto il porto di Tenedo, invece di condurlo
in uno molto più tranquillo, ignoto agli antichi, e aperto ai figli di
Dio; avrebbe desiderato trattasse della teologia in una continuazione.
Il Sadoleto rispondea che la teologia è compresa nel nome di filosofia,
della quale è il colmo e la corona; ch'egli conduce il suo allievo
soltanto ai 23 anni; mentre lo studio della teologia non si addice che
ad età matura.
Nell'Indice tridentino è _De disciplina puerorum recteque formandis
eorum et studiis et moribus; ac simul tam præceptorum quam parentum in
eosdem officio, doctorum virororum libelli aliquot vere aurei._
[250] Anche san Girolamo che, come troppo ciceroniano fu battuto dal
demonio, biasima quei «_Sacerdoti che posti da parte gli evangeli e i
profeti_, leggono comedie, ripetono i motti amorosi de' Bucolici, han
per le mani Virgilio e traducono in peccato di voluttà quel ch'è studio
necessario al fanciulli». (_Ep. ad Damasum_). Ma sant'Agostino non
disapprova i fanciulli che _Virgilium legunt, ut poeta magnus omniumque
præclarissimus atque optimus, teneris imbibitus annis, non facile
oblivione possit aboleri_ (_Civ. Dei_ I, 3).
L'effetto de' classici sulle opinioni fu indicato dal Gioberti nel
_Rinnovamento d'Italia_, II, 122, credendo derivi di là la pendenza
repubblicana de' nostri tempi. «Da tre o quattro secoli la gioventù
culta si è imbevuta e s'imbeve nelle scuole di nozioni conformi: il che
a poco a poco ritira il mondo a repubblica, sovratutto dacchè il seme
classico, portato in America e cresciuto in pianta, fu trasportato in
Europa...... Certo quei papi e principi che promossero con tanto ardore
il culto delle lettere e delle arti classiche, nol prevedevano; e meno
ancora quei preti e frati che fecero di quelle il fondamento e l'anima
del tirocinio».
[251] _Divin. Lect._, c. XXVIII.
[252] Questo passo non isfugga agli odierni spiritisti. Pietro Giannone,
così lodato dai liberali, teme che «la stampa pregiudichi» al genio
dell'erudizione, e all'educazione colla moltiplicità de' libri, alla
diffusione delle idee potenti per la copia de' cattivi libri (_Storia
Civile del regno di Napoli_, I VIII). Trova usurpazione della Chiesa
l'essersi attribuita la censura e vorrebbe fosse riservata ai principi
acciocchè «i sudditi non s'imbevino d'opinioni che ripugnino col buon
governo... e delle nuove dottrine contrarie agl'interessi de' principi e
alle supreme regalie»: e li loda delle proibizioni che posero ai vescovi
di stampar neppure i concilj e i calendarj senza licenza de' ministri
(ib. lib. XXVII c. 4.).
[253] _Hist._ GLABER, ap. Bouquet, _Rec. d'hist._, X, 23.
[254] Su ciò vedasi pure TOMMASSINI, _Modo d'insegnare e leggere
cristianamente i poeti e gli storici_. Giovan Battista Crispo, buon
teologo e poeta di Gallipoli, nel 1594 stampò a Roma un volume in-fol.
_De Ethnicis philosophis caute legendis_; e il Possevino lo dichiara
_vir vere philosophus, qui nimirum acri et quali christianum decet
judicio, philosophiam expendit, librum sat grandem de philosophis caute
legendis scripsit, ut quæcumque hæreses a philosophis minus cautis
manarunt, eæ judicatæ sint, ac solidis rationibus confutatæ, ex divinis
scripturis et Patribus, ex synodorum decretis, ex scholasticis; quibus
cautionibus præmuniti, philosophi, sive publici professores, inoffenso
pede curriculum hoc decurrent, tantamque ancillam recto adducent ad
arcem_. Apparat. sacr., t. II, p. 147.
[255] Le penitenze non le pose soltanto nel rituale, ma le voleva
eseguite. È nell'archivio arcivescovile una sua lettera del 6 maggio
1569, dove ordina che Giacomo Riva di Calenico e Margherita Defilippi di
Tonza, in val di Blenio, che avean avuto ardire di coabitare prima
d'essere benedetti dal curato, «tutte le domeniche d'un anno continuo
stiano ambedue su la porta della chiesa con una corda al collo e con
candela accesa in mano mentre si dirà la messa, e il sacerdote che dirà
la messa avvisi il popolo della causa perchè si fa far loro questa
penitenza, che è per l'inobbedienza predetta».
[256] Editti del 7 marzo 1579 e del 13 novembre 1574.
[257] I signori Svizzeri saputolo, spedirono un ambasciadore a Milano
perchè quel governatore richiamasse il cardinale. L'ambasciadore
scavalcò in casa d'un mercante compatrioto; ma prima che presentasse le
credenziali, l'Inquisizione l'arrestò. Il mercante informò del successo
il governatore, che fece rilasciar l'ambasciadore e onorollo: ma gli
Svizzeri, appena udito il fatto, mandarono intimare avrebbero arrestato
il cardinale, che per lo meglio si ritirò.
De' processi suoi per stregherie ho parlato in altri libri: fatti
speciali, la cui colpabilità non può asserirsi se non dopo esaminato
ciascuno, e veduto quanto si peccasse contro la carità e abusando di
oggetti sacri. D'altra parte, anche posto impossibile il delitto, il
tentarlo palesa malvagità, e può punirsi come l'attentato fallito. San
Carlo avea vietato che nessuno, predicando, dicesse il giorno della fine
del mondo: _Ne certum tempus antichristi adventus et extremi judicii
diem prædicent; cum illud Christi Domini ore testatum sit, non est
vestrum nosse tempora vel momenta;_ Act. pag. 5. Pure nel V Concilio
provinciale dice: _Ad nuptias matrimoniaque impedienda vel dirimenda eo
cum ventum sit, ut veneficia fascinationesve homines adhibeant, atque
usque adeo frequenter id sceleris committant, ut res plena impietatis ac
propterea gravius detestanda; itaque, ut a tanto tamque nefario crimine
pœnæ gravitate deterreantur, excommunicationis latæ sententiæ vinculo
fascinantes et venefici id generis irretiti sint._
[258] Il senato di Milano scriveva a Pio V circa alla famiglia armata di
san Carlo, che _tanta fuit archiepiscopi duritia, ut, etiam si de jure
nostro non parum decedere voluerimus, ad conditiones aliquas accipiendas
flecti numquam potuerit: intereaque numerosi, nunc alios laicos, non
sine regiæ jurisdictionis læsione, per suos comprehendi fecit, id ab
aliis archiepiscopis ante se factitatum affirmans, quod tamen minime
verum est; quandoquidem illi familiam armatam numquam habuerunt, sed
brachium sæculare semper implorarunt_ (13 luglio 1567).
[259] _Decreta generalia in visitatione Comensi edita,_ Vercelli 1579, e
Como 1618.
[260] Quest'uso fu continuato nelle università pontificie, finchè durò
il dominio papale. Sottentrato il regno d'Italia, si prescrisse ai
professori che giurassero fedeltà al re; e poichè molti ricusarono
questo nuovo peso, vennero destituiti nel 1865.
[261] Lettere a Venceslao Link, a Codart, a Amsdorf ap. NICOLAS _du
Protestantisme_. Lib. III, cap. 4. E il lamento è comunissimo ne'
Riformati.
[262] Del b. Alessandro si pubblicò or ora a Roma _Commentariolum de
off. civili et moribus episcopi_.
[263] Negli oratorj vennero poi famosi il Balducci, il cardinale
Filippino Petrucci, il padre Antonio Ghielmo, autore delle _Grandezze
della Trinità_ e di poemi varj, il padre Gizzio, il Villarosa, ed ora il
padre Giulio Metti, come prima lo Zeno e il Metastasio; li musicavano
Erasmo da Bartolo di Gaeta (1606-56), Scipione Dentice napoletano ecc.
[264] A Clemente VII scriveva: — Santo padre, cosa son io che i
cardinali vengano a trovarmi? Jer da sera ci furono i cardinali di Cusa
e Medici. E avendo io bisogno d'un po' di manna, quest'ultimo me ne fece
dare due once dall'ospedal di Santo Spirito, a cui n'ha procurato molta.
Restò da me fin alle due di notte, dicendo di vostra santità tanto bene,
che parvemi troppo; giacchè, a parer mio, un papa dev'essere trasformato
nell'umiltà stessa. Alle sette, Cristo è venuto da me, e mi ha
riconfortato col sacratissimo suo corpo. Vostra santità invece neppur
una volta s'è degnata venire alla nostra chiesa. Cristo è Dio e uomo,
eppure ogni qualvolta lo chiedo viene da me... Ordino a vostra santità
di permettermi d'ascriver alle monache la figlia di Claudio Neri, alla
quale da un pezzo avete promesso di prendervi cura de' suoi figliuoli. E
un papa deve mantener la parola; sicchè affidate a me questo affare
ecc.».
Clemente sul foglio stesso gli rispondeva: — Il papa dice che la prima
parte del viglietto sente d'ambizione, ostentando le frequenti visite
de' cardinali; se pur non fosse per mostrare che questi sono persone
pie, del che nessuno dubita. Che, se non è venuto in persona, è colpa
vostra, che non voleste mai esser cardinale. A quel che comandate
consente, e che voi sgridiate quelle buone madri, come solete, con forza
e autorità se non obbediscono alla bella prima. Di rimpatto vi comanda
di curare la vostra salute, e non tornar a confessare senza ch'egli lo
sappia; e che quando riceverete nostro Signore, preghiate per lui e per
le permanenti necessità della repubblica cristiana». Negli _Acta
Sanctorum_, al 26 maggio. E vedansi BACCI, _vita di s. Filippo Neri_.
GALLONIO _id._ MARCIANO, _Mem. della congregaz. dell'Oratorio_.
[265] San Filippo chiamava Napoli terra benedetta dal cielo. Vi mandò a
istituir gli oratoriani il Tarugi, e quando partì, _Populus neapolitanus
videns illis orbatum, per quos divini verbi pabulum, aliarumque piarum
exercitationum suavitatem gustare, ac ipsum Christum peculiari modo
cognoscere cœperat, vehementer indoluit (Hist. erectionis congr. neapol.
mss.)._
[266] LOMBARDO, _Vita di Giovanni Ancina_. E vedi _Breve notizia
dell'origine della Congregazione delle dame benefattrici._ Napoli 1821.
MAGNALI, _teatro della Carità._ Venezia 1727.
[267] La carità a domicilio e i visitatori del povero, istituzioni così
lodate all'età nostra, appartengono anch'esse a quel medioevo, che tanti
esempj ci potrebbe offrire, studiato con benevolenza. Nel 1402, Pileo
de' Marini, vescovo di Genova, aveva istituito un uffizio per raccorre e
distribuir l'elemosine ai poveri della città. Questo _Magistrato della
Misericordia_ fu poi amplificato, e aggiuntovi l'_Ufficio dei poveri_, i
cui statuti furono fatti nel 1593. Sant'Antonino, non ancora arcivescovo
di Firenze, il 1441 ordinò i _Proveditori dei poveri vergognosi_, che
dal popolo furono detti Buonomini di san Martino, i quali, divisi pei
sestieri della città, soccorrevano a tutte le necessità dei poverelli, a
maritar fanciulle, a dar letti, coperte, panni, medicine, a riscattar
pegni, a ritrarre dal vizio; con divieto alla pubblica autorità civile
nè ecclesiastica di intromettersene, o di mutarne gli ordini, o di
esplorarne gli averi; tutto volendo affidato all'onestà de' proveditori
e alla Providenza. In tal modo si distribuivano l'anno quattordicimila
zecchini, e diecimila nel secolo seguente. PASSERINI, _Storia degli
istituti di beneficenza di Firenze._
[268] _Hauspostill. Walch._ XIII, 1572, 1584.
[269] MUSCULUS, _Vom Himmel und der Hoell_. Frankfurt 1559, _D._ 3, 4.
[270] _Retectio Lutherismi f._ 91, 246, _ap._ NICOLAS _du Protestantisme
ecc._ Lib. III, cap. 4.
DISCORSO XXXII.
IL SANT'UFFIZIO. LA TOLLERANZA RELIGIOSA.
Si è potuto vedere come, coll'unità delle dottrine evangeliche,
sostenuta contro le prime eresie, la Chiesa salvasse la civiltà,
stabilendo una dottrina morale e sociale, da cui non si dovesse
declinare. Così formossi quel fondo di principj che costituisce
l'incivilimento moderno, e che tutti è forza confessino esser dovuto
alla Chiesa.
La divisione che or vi portava il protestantesimo non aboliva quelle
massime e quelle pratiche, quasi connaturate coi varj popoli; sicchè il
cattolicesimo operava ancor potentemente sopra coloro stessi che lo
repudiavano, e che, se pure la subodoravano, erano ben lontani dal
conoscere l'importanza della distinzione dei due poteri, e raggiungere
la vera indipendenza delle coscienze.
Tutta la storia ci attesta come i governi antichi si arrogassero
ingerenza sulla fede e sul culto de' governati; appena Diagora volge in
beffa qualche cerimonia di Efeso, o Prodico di Ceo sostiene che gli
elementi furono divinizzati perchè utili, o Socrate asserisce
l'esistenza e l'ispirazione de' genj, sono condannati a morte; il
sagrifizio del Calvario e le migliaja de' martiri nostri ne sono pruova
solenne. Il cristianesimo, posando la incompetenza delle podestà
temporali sopra le coscienze, sottraeva la fede al dominio della forza.
Come sempre gli oppressi, i primi Cristiani disapprovavano ogni
costrizione in fatto di coscienza; riprovavano l'intolleranza politica,
armandosi solo dell'intolleranza religiosa, cioè del diritto di non
servire che alla verità, accettata da una società d'anime libere, difesa
in questa società da un potere, armato soltanto di parola e di spirito,
e che la mantiene scevra da ogni errore. Ma per isbandire l'errore, che
serviva di base all'antico edifizio sociale, e domar l'egoismo
gentilesco e la ferocia barbarica, cercò impossessarsi del potere.
Anche dopo riconosciuta la nuova religione, nessuno ignora i testi che
riprovano il rigore usato agli eretici. Il _compelle intrare_ della
parabola evangelica in san Luca XIV, 23, non indica coercizione fisica,
bensì istanza, e tanto il _compelle_ latino come l'ἀνάγκασον greco sono
adoprati altra volta in questo senso. Così i due discepoli al castello
di Emaus fanno forza a Gesù perchè rimanga con loro[271]. Altrove Gesù
costrinse, coegit, ἠνάγκασεν, i discepoli a salir nel battello[272]. E
san Paolo dice a san Pietro: «Se tu giudeo vivi alla gentile, anzichè
alla giudaica, perchè costringi (cogis, ἀναγκάζεις) i Gentili a
giudaizzare?[273]. In nessuno di questi luoghi trattasi di violenza
materiale. E san Paolo a Timoteo raccomanda: _Prædica verbum, insta
opportune, importune; argue, obsecra, increpa in omni patientia et
doctrina_[274].
La Chiesa ammise sempre possibile la buona fede negli eretici.
Sant'Agostino assicura da ogni persecuzione i Manichei. Salviano di
Marsiglia, nel secolo V diceva: «Gli Ariani sono eretici, ma nol sanno,
e credonsi talmente cattolici, che trattan noi d'eretici. Noi siam
persuasi ch'essi fan un pensiero ingiurioso alla generazione divina,
dicendo che il Figliuolo è inferiore al Padre: essi credono che noi
abbiam un pensiero ingiurioso al Padre col farlo uguale al Figlio. La
verità sta con noi, ma essi credono averla per sè. Essi sono empj, ma in
ciò appunto credono seguir la vera pietà. S'ingannano, ma per un
principio d'amor verso Dio. Solo il supremo giudice dell'universo può
sapere come saranno puniti il giorno del giudizio: intanto li sopporta,
perchè vede che, se errano, è per un movimento di pietà»[275].
Pure chi ben esamini quei testi vi riconoscerà piuttosto le aspirazioni
della bontà, i rimedj della carità cristiana; mentre dottrinalmente
s'interpretava a rigore il _Compelle intrare_; e gli stessi Padri che
avevano aborrito da ogni persecuzione contro gli eterodossi, fu volta
che la trovarono necessaria contro le rivoluzioni selvagge o
molti luoghi e nominatamente a Messina; procurò la istituzione del
collegio Germanico a Roma, e del collegio di San Michele a Friburgo, che
fu il centro della resistenza in Svizzera. In tale opera l'ajutò assai
il nunzio Bonomo. Colà morì il 1597, e fu beatificato nel 1865.
[238] «C'è un libretto che si fa imparar a memoria ai fanciulli, e sul
quale sono interrogati in Chiesa. È il catechismo. Leggetelo, e vi
troverete la soluzione di tutte le quistioni. Domandate al cristiano
donde viene la specie umana; e lo sa. Dove va? lo sa. Come si va? lo sa.
Dimandate a quel ragazzino che non vi ha mai pensato, perchè egli è su
questa terra, che cosa diverrà dopo morte; egli vi farà una risposta
sublime, che forse non comprenderà, ma non per questo è meno ammirabile.
Dimandategli come il mondo fu creato e a qual fine, e perchè Dio ha
posto animali e piante; come la terra fu popolata d'uomini; se da una
sola famiglia o da molte; perchè gli uomini parlano diverse lingue;
perchè soffrono e si fan guerre, e come ciò andrà a finire: egli sa
tutto. Origine del mondo, origine della stirpe umana, differenza delle
razze, destinazione dell'uomo in questa vita e nell'altra, relazioni
dell'uomo con Dio, doveri dell'uomo verso i suoi simili, diritto
dell'uomo sul resto del creato, nulla, egli ignora. Più adulto, non
esiterà a dirvi il vero sul diritto di natura, sul diritto politico, sul
diritto delle genti, perchè tutto ciò scaturisce chiaramente e
naturalmente dalla dottrina cristiana». Th. JOUFFROY, _Mélanges
philosophiques_, vol. I, p. 470.
Il Thiers scrive che il catechismo e la scuola parrocchiale del
villaggio saranno l'unica salvezza della Francia.
[239] Ci par bene ripetere quest'avvertimento di sant'Agostino:
«La vera maniera d'insegnar la religione è risalir alle parole _In
principio Dio creò il cielo e la terra_, e svolgere tutta la storia del
cristianesimo sino ai nostri giorni. Nè già fa duopo riferir per filo e
per segno tutto ciò che è scritto nel vecchio e nel nuovo Testamento;
cosa nè possibile nè necessaria. Fate un compendio; insistete viepiù
sopra ciò che vi par più importante, e scivolate sul resto. In tal modo
non istancherete colui che volete eccitare allo studio della religione,
e non sopracaricherete la memoria di chi dovete istruire». _De
catechizandis rudibus_, cap. III, nº 5.
[240] Si ha nella Magliabecchiana (Manuscritti, classe XXXVII, 292) un
discorso di Giovanni Carza sopra il modo di dar esecuzione al decreto
del Concilio di Trento _De editione et usu sacrorum librorum_, «per
conservar illesa la scrittura sacra, per estirpar il morbo delle eresie
radicate nelle stampe infette, e per rimediare agli abusi di stampatori,
i quali con le stampe hanno oscurato e depravato il senso della dottrina
e disciplina ecclesiastica, in questi ultimi cento anni che la lor arte
è in uso, forse più che li scrittori non l'hanno fatto con le loro penne
in prima». E dice che fin i decretj del Concilio Tridentino, stampati da
Paolo Manuzio con soscrizioni autentiche, furono ristampati con infiniti
errori e alterazioni di senso. Consiglia pertanto di metter una
stamperia grande e operosa in Roma; suggerisce donde prendere il denaro
per istituir una commissione, alla quale ricorrerebbero anche stampatori
forestieri per aver le lezioni migliori. Ciò non sarebbe monopolio,
perchè i libraj, oltre vantaggiarsi col vender quelle stampe, potrebbero
anche riprodurle, ma in modo che, chiunque voglia, possa confrontarle
colle autentiche e comprar le migliori.
Seguono varj capitoli di libraj, i quali offrono di pagar una tassa; di
metter ai libri il minor prezzo possibile; seguir l'ortografia indicata
da deputati, e lasceranno che altri li ristampi colle norme prescritte:
s'uniranno in congresso, dove la metà siano oltremontani, ed eleggeranno
lor presidenti e ufficiali; non faranno lavorare che buoni credenti e
pratici dell'arte, e stabiliranno in Roma un seminario di buoni
stampatori.
[241] Dalla biblioteca Palatina di Firenze (Codice CCCIC) passò alla
Magliabecchiana una copia degli opuscoli di san Cipriano, che al
carattere pare di Bernardo Davanzati, traduttore di Tacito. Egli vi
appone e note e correzioni che attestano buona critica, e avverte i
passi che fanno contro Lutero, e provano la preminenza della Chiesa
romana. Dello stesso Davanzati trovossi tradotto un estratto dei
_Commonitorj_ di Vincenzo Lerinese _contro le eresie_: e il Bindi, che
primo lo pubblicò nell'edizione delle opere del Davanzati (Firenze,
Lemonnier 1852) avverte come questi fosse versato nei sacri autori, e
che, anche nel tradur lo scisma d'Inghilterra, «più che a pruova di
lingua mirò a mostrare da che laide origini sorse il funesto dissidio
inglese, non potendo così non illuminare anche sul conto degli altri
nimici della verità cattolica».
Nella biblioteca stessa sono i manuscritti di Baccio Bandinelli, nipote
dello scultore omonimo, del quale è memoria che scrisse 24 libri contro
gli eretici nel 1611, e un'opera _De invisibili Lutheri, Calvini, et
aliorum hujus temporis hæreticorum ecclesia_.
Ivi pure è un poema in terzine _Della diffusione del sommo bene_,
probabilmente di frà Paolo del Rosso, cavaliere gerosolimitano, fatto
attorno al 1530, ove confuta le varie eresie, e le nuove, e canta:
Lutero, al tuo dispetto lo vedrai
Che i tuoi errori alfine andranno al fondo,
Ed i piaceri in pene cangerai.
[242] Per un esempio trovava,
_Ad cœnam agni providi_
_Et stolis albis candidi_
_Post transitum maris Rubri_
_Christo canamus principi,_
_Cujus corpus sanctissimum_
_In ara crucis torridum_
_Cruore ejus roseo_
_Gustando vivimus Deo._
Esso toglie le assonanze e le oscurità, e fa
_Ad regias agni dapes_
_Stolis amicti candidis_
_Post transitum maris Rubri_
_Christo canamus principi,_
_Divina cujus charitas_
_Sacrum propinat sanguinem,_
_Almique membra corporis_
_Amor sacerdos propinat._
Urbano VIII alcuni inni fece riformare da Famiano Strada, Tarquinio
Galluzzi, Girolamo Petrucci; ma si disse che _accessit latinitas,
recessit pietas_. Egli stesso ci lavorò, e fece quel di santa Elisabetta
regina.
Un innario fu pubblicato nel passato secolo dal cardinale Tommasi,
diviso in tre parti: _hymni de anni circulo; hymni de natalitiis
sanctorum; hymni de quotidianis_, cioè i feriali. Il cardinale Giovanni
Battista Bussi, nelle _Istruzioni pratiche sulla recita del divino
uffizio_, indica gli autori di molti inni.
[243] Le differenze della Bibbia di Sisto V e Clemente VIII non sono
importanti, come avea voluto far credere TH. JANNES, _Bellum papale seu
concordia discors Sixti V et Clementis VIII, circa hieronymianam
editionem_, Londra 1600. Fu confutato trionfalmente sin d'allora: ma
adesso il barnabita Vercellone (_Variæ lectiones vulgatæ bibliorum
editionis_, Roma 1860-64), compiendo la fatica cominciata dal suo
maestro e confratello Ungarelli (_De castigatione vulgatæ Bibliorum
editionis peracta jussu Concilji tridentini_. Roma 1847) pubblica
gl'immensi lavori fatti dalle Congregazioni, e tutte le varianti della
Vulgata, cominciando dal _Codex Amiatinus_ ch'è il più antico; e le
ragioni che fecer preferire la adottata nell'edizione Clementina e gli
sbagli della Sistina. È insigne dimostrazione delle pazienti e generose
fatiche sostenute dai dotti d'allora, e del merito dell'edizione del
1592, sola riconosciuta autentica. Ciò non toglie che possa esaminarsi e
criticarsi il testo, e Pio IX incoraggiò il Vercellone all'impresa;
_tibi addimus animos ut inceptum opus naviter scienteque absolvendum ac
perficiendum cures, omnesque ingenii tui vires in iis peragendis semper
impendas._ Con queste potrà benissimo farsi una nuova edizione della
Bibbia, non per autorità privata, bensì della Chiesa.
Le dissertazioni che accompagnano il lavoro del Vercellone chiariscono
la consuetudine costante della Chiesa rispetto a traduzioni e lezioni
nuove, e come il Concilio di Trento non avesse voluto che provvedere
alle infinite varietà che l'opera umana potesse introdurre nella divina,
assicurando però solo la conformità sostanziale della Vulgata cogli
originali, e non già la conformità fin nelle minime particelle, come si
usa dai Rabbini.
Vedasi il nostro discorso XV e la nota 31.
La prima edizione ebraica del commento al _Pentateuco_ di Rabbi Salomon
Jarco fu fatta da Abramo Gorton a Reggio di Calabria nel 5235 della
creazione, mese di adar, cioè nel marzo 1475. L'anno stesso erasi
stampato a Pieve di Sacco nel Padovano il Rabbi Jacob ben Ascer Arba
Jurim, che è la più antica edizione ebraica che si conosca, ma porta la
data del mese jamuz, cioè di quattro mesi posteriore a questa di Reggio.
Della versione greca del testo ebraico, detta dei Settanta, i più
antichi codici conosciuti appartengono al IV o V secolo di Cristo, e
sono: il _Vaticano_, edito nel 1857 a Roma dal padre Vercelloni:
l'_Alessandrino_, pubblicato dal 1816 al 1828 a Londra dal Baber: il
_Sinaitico_, pubblicato a Pietroburgo il 1862 da Costantino Tischendorf,
che lo scoprì in un convento del monte Sinai, ma dove manca più di metà
del vecchio Testamento. Alla Vaticana c'è pure il codice Marcheliano del
VII o VIII secolo; tutti in caratteri unciali. Or ora se ne scoprì un
altro a Grottaferrata da palimsesto, non posteriore al VII secolo, con
moltissime note marginali greche e latine, ed appartiene alla recensione
esaplare.
Al suddetto Tischendorf dobbiamo, oltre molte pubblicazioni bibliche,
una nuova edizione dei vangeli e degli atti apostolici apocrifi, con una
dissertazione storico-critica.
[244] Nella Magliabecchiana (Classe XXXVII, 292) è manuscritto _Modus
propagandi fidem catholicam_, che, tra il resto, raccomanda che i
vescovi comunichino libri pii ai loro parroci, e se ne mandino alle più
lontane parti. _Quod si una genevensis civitas, hac una cura
disseminandi libros, literasque scripti, tandi, paucissimorum annorum
spatio regna orbemque pœne ipsum, satana vires suppedi tante, aut
infecit erroribus, aut everti, sane contra multo magis sperandum est a
dextra Dei si, etc._
[245] Vedi la nota 24 del discorso XVI. Giovanni Bollando, gesuita
d'Anversa, cominciò nel 1643 quella gran collezione, che fu proseguita
fino nel 1794. In 53 volumi di forse 25 mila vite, arriva solo a mezzo
ottobre. Gli immensi materiali raccolti andarono all'asta nella
vandalica soppressione di Giuseppe II. Racimolati in parte, ora se ne
stampa la continuazione.
[246] Il padre Laderchi, nel tom. XXIII, pag. 160 degli _Annali
Ecclesiastici_, toglie dalla vita di san Filippo, di Pietro Giacomo
Bacci, questo racconto: che il Baronio, essendo entrato nella
congregazione dell'Oratorio, dal pulpito non cessava di sgomentare gli
uditori colle minaccie della morte e dell'inferno. A san Filippo parve
soverchio, e l'esortò a lasciar via cotesti spauracchi, e narrar
piuttosto la storia ecclesiastica. Il Baronio non vi badò, sicchè
Filippo usò dell'autorità per comandarglielo. L'amor proprio di Cesare
n'era offeso, e stava perplesso, quando una notte sognò che Onofrio
Panvino (valentissimo erudito di cose sacre, e dal quale esso avrebbe
voluto vedere scritta essa storia) lo esortasse a far gli Annali
Ecclesiastici; e tra il sogno udì la voce di Filippo che gli diceva:
«Orsù, Cesare, non ti ostinare; tu, non il Panvino, devi scrivere la
storia ecclesiastica».
Del Baronio esiste fra i manoscritti della Magliabecchiana (Cl. XXXVII
Nº 292) una apologia diretta a papa Clemente VIII, difendendosi da
quelli che lo tacciavano d'aver sostenuto, nel V volume della sua
storia, che, per antica disciplina, la Chiesa non ricevesse più a
penitenza i relapsi. Con fatti e con detti de' Padri egli prova che
tutt'altrimenti fu sempre costumato.
[247] A confutare il Baronio da Giacomo I d'Inghilterra fu adoperato il
famoso erudito francese Casaubono. Questi, in settembre 1609, scriveva
che un Italiano cercò introdursi presso di lui, dicendosi inviato dal re
di Spagna. Entrato, esitò lungamente a dir il vero motivo della sua
venuta, poi pregò il Casaubono ad evocare per lui il suo demonio
familiare, assicurando non esser a ciò mosso che da mera curiosità e per
accertarsi di quel che tutti diceano e credeano. Casaubono durò gran
fatica a persuader costui del contrario; il quale gli diceva che in
Italia moltissimi, e fin cardinali, si occupano di arti magiche.
L'opera del Baronio fu pubblicata dal 1588 al 1593. Nel 1705 il
francescano Pagi ne emendò molti errori cronologici. Il trevisano
Rainaldi lo continuò con minor critica dal 1198 al 1571 in 10 vol.
in-fol.: a cui il Laderchi ne aggiunse 3 altri che comprendono solo 7
anni dei tempi della Riforma; ma Benedetto XIV gli diceva: «Meno fede e
più criterio». Questi non son compresi nella edizione di Lucca, in 38
volumi con note. Ora si ristampa il tutto a Bar le Duc con aggiunte e
correzioni del padre Theiner, e nuovi documenti; egli ne farà la
continuazione già cominciata.
[248] Cap. 18, sez. XXIII, _De Reform_.
[249] Già notammo come il Sadoleto paganeggi: e infatto non parla di
pratiche nè di teologia. Il cardinale Polo, lodandolo assai, gli facea
riflettere che lasciava il suo allievo nel porto della filosofia,
_statio malefida carinis_ quanto il porto di Tenedo, invece di condurlo
in uno molto più tranquillo, ignoto agli antichi, e aperto ai figli di
Dio; avrebbe desiderato trattasse della teologia in una continuazione.
Il Sadoleto rispondea che la teologia è compresa nel nome di filosofia,
della quale è il colmo e la corona; ch'egli conduce il suo allievo
soltanto ai 23 anni; mentre lo studio della teologia non si addice che
ad età matura.
Nell'Indice tridentino è _De disciplina puerorum recteque formandis
eorum et studiis et moribus; ac simul tam præceptorum quam parentum in
eosdem officio, doctorum virororum libelli aliquot vere aurei._
[250] Anche san Girolamo che, come troppo ciceroniano fu battuto dal
demonio, biasima quei «_Sacerdoti che posti da parte gli evangeli e i
profeti_, leggono comedie, ripetono i motti amorosi de' Bucolici, han
per le mani Virgilio e traducono in peccato di voluttà quel ch'è studio
necessario al fanciulli». (_Ep. ad Damasum_). Ma sant'Agostino non
disapprova i fanciulli che _Virgilium legunt, ut poeta magnus omniumque
præclarissimus atque optimus, teneris imbibitus annis, non facile
oblivione possit aboleri_ (_Civ. Dei_ I, 3).
L'effetto de' classici sulle opinioni fu indicato dal Gioberti nel
_Rinnovamento d'Italia_, II, 122, credendo derivi di là la pendenza
repubblicana de' nostri tempi. «Da tre o quattro secoli la gioventù
culta si è imbevuta e s'imbeve nelle scuole di nozioni conformi: il che
a poco a poco ritira il mondo a repubblica, sovratutto dacchè il seme
classico, portato in America e cresciuto in pianta, fu trasportato in
Europa...... Certo quei papi e principi che promossero con tanto ardore
il culto delle lettere e delle arti classiche, nol prevedevano; e meno
ancora quei preti e frati che fecero di quelle il fondamento e l'anima
del tirocinio».
[251] _Divin. Lect._, c. XXVIII.
[252] Questo passo non isfugga agli odierni spiritisti. Pietro Giannone,
così lodato dai liberali, teme che «la stampa pregiudichi» al genio
dell'erudizione, e all'educazione colla moltiplicità de' libri, alla
diffusione delle idee potenti per la copia de' cattivi libri (_Storia
Civile del regno di Napoli_, I VIII). Trova usurpazione della Chiesa
l'essersi attribuita la censura e vorrebbe fosse riservata ai principi
acciocchè «i sudditi non s'imbevino d'opinioni che ripugnino col buon
governo... e delle nuove dottrine contrarie agl'interessi de' principi e
alle supreme regalie»: e li loda delle proibizioni che posero ai vescovi
di stampar neppure i concilj e i calendarj senza licenza de' ministri
(ib. lib. XXVII c. 4.).
[253] _Hist._ GLABER, ap. Bouquet, _Rec. d'hist._, X, 23.
[254] Su ciò vedasi pure TOMMASSINI, _Modo d'insegnare e leggere
cristianamente i poeti e gli storici_. Giovan Battista Crispo, buon
teologo e poeta di Gallipoli, nel 1594 stampò a Roma un volume in-fol.
_De Ethnicis philosophis caute legendis_; e il Possevino lo dichiara
_vir vere philosophus, qui nimirum acri et quali christianum decet
judicio, philosophiam expendit, librum sat grandem de philosophis caute
legendis scripsit, ut quæcumque hæreses a philosophis minus cautis
manarunt, eæ judicatæ sint, ac solidis rationibus confutatæ, ex divinis
scripturis et Patribus, ex synodorum decretis, ex scholasticis; quibus
cautionibus præmuniti, philosophi, sive publici professores, inoffenso
pede curriculum hoc decurrent, tantamque ancillam recto adducent ad
arcem_. Apparat. sacr., t. II, p. 147.
[255] Le penitenze non le pose soltanto nel rituale, ma le voleva
eseguite. È nell'archivio arcivescovile una sua lettera del 6 maggio
1569, dove ordina che Giacomo Riva di Calenico e Margherita Defilippi di
Tonza, in val di Blenio, che avean avuto ardire di coabitare prima
d'essere benedetti dal curato, «tutte le domeniche d'un anno continuo
stiano ambedue su la porta della chiesa con una corda al collo e con
candela accesa in mano mentre si dirà la messa, e il sacerdote che dirà
la messa avvisi il popolo della causa perchè si fa far loro questa
penitenza, che è per l'inobbedienza predetta».
[256] Editti del 7 marzo 1579 e del 13 novembre 1574.
[257] I signori Svizzeri saputolo, spedirono un ambasciadore a Milano
perchè quel governatore richiamasse il cardinale. L'ambasciadore
scavalcò in casa d'un mercante compatrioto; ma prima che presentasse le
credenziali, l'Inquisizione l'arrestò. Il mercante informò del successo
il governatore, che fece rilasciar l'ambasciadore e onorollo: ma gli
Svizzeri, appena udito il fatto, mandarono intimare avrebbero arrestato
il cardinale, che per lo meglio si ritirò.
De' processi suoi per stregherie ho parlato in altri libri: fatti
speciali, la cui colpabilità non può asserirsi se non dopo esaminato
ciascuno, e veduto quanto si peccasse contro la carità e abusando di
oggetti sacri. D'altra parte, anche posto impossibile il delitto, il
tentarlo palesa malvagità, e può punirsi come l'attentato fallito. San
Carlo avea vietato che nessuno, predicando, dicesse il giorno della fine
del mondo: _Ne certum tempus antichristi adventus et extremi judicii
diem prædicent; cum illud Christi Domini ore testatum sit, non est
vestrum nosse tempora vel momenta;_ Act. pag. 5. Pure nel V Concilio
provinciale dice: _Ad nuptias matrimoniaque impedienda vel dirimenda eo
cum ventum sit, ut veneficia fascinationesve homines adhibeant, atque
usque adeo frequenter id sceleris committant, ut res plena impietatis ac
propterea gravius detestanda; itaque, ut a tanto tamque nefario crimine
pœnæ gravitate deterreantur, excommunicationis latæ sententiæ vinculo
fascinantes et venefici id generis irretiti sint._
[258] Il senato di Milano scriveva a Pio V circa alla famiglia armata di
san Carlo, che _tanta fuit archiepiscopi duritia, ut, etiam si de jure
nostro non parum decedere voluerimus, ad conditiones aliquas accipiendas
flecti numquam potuerit: intereaque numerosi, nunc alios laicos, non
sine regiæ jurisdictionis læsione, per suos comprehendi fecit, id ab
aliis archiepiscopis ante se factitatum affirmans, quod tamen minime
verum est; quandoquidem illi familiam armatam numquam habuerunt, sed
brachium sæculare semper implorarunt_ (13 luglio 1567).
[259] _Decreta generalia in visitatione Comensi edita,_ Vercelli 1579, e
Como 1618.
[260] Quest'uso fu continuato nelle università pontificie, finchè durò
il dominio papale. Sottentrato il regno d'Italia, si prescrisse ai
professori che giurassero fedeltà al re; e poichè molti ricusarono
questo nuovo peso, vennero destituiti nel 1865.
[261] Lettere a Venceslao Link, a Codart, a Amsdorf ap. NICOLAS _du
Protestantisme_. Lib. III, cap. 4. E il lamento è comunissimo ne'
Riformati.
[262] Del b. Alessandro si pubblicò or ora a Roma _Commentariolum de
off. civili et moribus episcopi_.
[263] Negli oratorj vennero poi famosi il Balducci, il cardinale
Filippino Petrucci, il padre Antonio Ghielmo, autore delle _Grandezze
della Trinità_ e di poemi varj, il padre Gizzio, il Villarosa, ed ora il
padre Giulio Metti, come prima lo Zeno e il Metastasio; li musicavano
Erasmo da Bartolo di Gaeta (1606-56), Scipione Dentice napoletano ecc.
[264] A Clemente VII scriveva: — Santo padre, cosa son io che i
cardinali vengano a trovarmi? Jer da sera ci furono i cardinali di Cusa
e Medici. E avendo io bisogno d'un po' di manna, quest'ultimo me ne fece
dare due once dall'ospedal di Santo Spirito, a cui n'ha procurato molta.
Restò da me fin alle due di notte, dicendo di vostra santità tanto bene,
che parvemi troppo; giacchè, a parer mio, un papa dev'essere trasformato
nell'umiltà stessa. Alle sette, Cristo è venuto da me, e mi ha
riconfortato col sacratissimo suo corpo. Vostra santità invece neppur
una volta s'è degnata venire alla nostra chiesa. Cristo è Dio e uomo,
eppure ogni qualvolta lo chiedo viene da me... Ordino a vostra santità
di permettermi d'ascriver alle monache la figlia di Claudio Neri, alla
quale da un pezzo avete promesso di prendervi cura de' suoi figliuoli. E
un papa deve mantener la parola; sicchè affidate a me questo affare
ecc.».
Clemente sul foglio stesso gli rispondeva: — Il papa dice che la prima
parte del viglietto sente d'ambizione, ostentando le frequenti visite
de' cardinali; se pur non fosse per mostrare che questi sono persone
pie, del che nessuno dubita. Che, se non è venuto in persona, è colpa
vostra, che non voleste mai esser cardinale. A quel che comandate
consente, e che voi sgridiate quelle buone madri, come solete, con forza
e autorità se non obbediscono alla bella prima. Di rimpatto vi comanda
di curare la vostra salute, e non tornar a confessare senza ch'egli lo
sappia; e che quando riceverete nostro Signore, preghiate per lui e per
le permanenti necessità della repubblica cristiana». Negli _Acta
Sanctorum_, al 26 maggio. E vedansi BACCI, _vita di s. Filippo Neri_.
GALLONIO _id._ MARCIANO, _Mem. della congregaz. dell'Oratorio_.
[265] San Filippo chiamava Napoli terra benedetta dal cielo. Vi mandò a
istituir gli oratoriani il Tarugi, e quando partì, _Populus neapolitanus
videns illis orbatum, per quos divini verbi pabulum, aliarumque piarum
exercitationum suavitatem gustare, ac ipsum Christum peculiari modo
cognoscere cœperat, vehementer indoluit (Hist. erectionis congr. neapol.
mss.)._
[266] LOMBARDO, _Vita di Giovanni Ancina_. E vedi _Breve notizia
dell'origine della Congregazione delle dame benefattrici._ Napoli 1821.
MAGNALI, _teatro della Carità._ Venezia 1727.
[267] La carità a domicilio e i visitatori del povero, istituzioni così
lodate all'età nostra, appartengono anch'esse a quel medioevo, che tanti
esempj ci potrebbe offrire, studiato con benevolenza. Nel 1402, Pileo
de' Marini, vescovo di Genova, aveva istituito un uffizio per raccorre e
distribuir l'elemosine ai poveri della città. Questo _Magistrato della
Misericordia_ fu poi amplificato, e aggiuntovi l'_Ufficio dei poveri_, i
cui statuti furono fatti nel 1593. Sant'Antonino, non ancora arcivescovo
di Firenze, il 1441 ordinò i _Proveditori dei poveri vergognosi_, che
dal popolo furono detti Buonomini di san Martino, i quali, divisi pei
sestieri della città, soccorrevano a tutte le necessità dei poverelli, a
maritar fanciulle, a dar letti, coperte, panni, medicine, a riscattar
pegni, a ritrarre dal vizio; con divieto alla pubblica autorità civile
nè ecclesiastica di intromettersene, o di mutarne gli ordini, o di
esplorarne gli averi; tutto volendo affidato all'onestà de' proveditori
e alla Providenza. In tal modo si distribuivano l'anno quattordicimila
zecchini, e diecimila nel secolo seguente. PASSERINI, _Storia degli
istituti di beneficenza di Firenze._
[268] _Hauspostill. Walch._ XIII, 1572, 1584.
[269] MUSCULUS, _Vom Himmel und der Hoell_. Frankfurt 1559, _D._ 3, 4.
[270] _Retectio Lutherismi f._ 91, 246, _ap._ NICOLAS _du Protestantisme
ecc._ Lib. III, cap. 4.
DISCORSO XXXII.
IL SANT'UFFIZIO. LA TOLLERANZA RELIGIOSA.
Si è potuto vedere come, coll'unità delle dottrine evangeliche,
sostenuta contro le prime eresie, la Chiesa salvasse la civiltà,
stabilendo una dottrina morale e sociale, da cui non si dovesse
declinare. Così formossi quel fondo di principj che costituisce
l'incivilimento moderno, e che tutti è forza confessino esser dovuto
alla Chiesa.
La divisione che or vi portava il protestantesimo non aboliva quelle
massime e quelle pratiche, quasi connaturate coi varj popoli; sicchè il
cattolicesimo operava ancor potentemente sopra coloro stessi che lo
repudiavano, e che, se pure la subodoravano, erano ben lontani dal
conoscere l'importanza della distinzione dei due poteri, e raggiungere
la vera indipendenza delle coscienze.
Tutta la storia ci attesta come i governi antichi si arrogassero
ingerenza sulla fede e sul culto de' governati; appena Diagora volge in
beffa qualche cerimonia di Efeso, o Prodico di Ceo sostiene che gli
elementi furono divinizzati perchè utili, o Socrate asserisce
l'esistenza e l'ispirazione de' genj, sono condannati a morte; il
sagrifizio del Calvario e le migliaja de' martiri nostri ne sono pruova
solenne. Il cristianesimo, posando la incompetenza delle podestà
temporali sopra le coscienze, sottraeva la fede al dominio della forza.
Come sempre gli oppressi, i primi Cristiani disapprovavano ogni
costrizione in fatto di coscienza; riprovavano l'intolleranza politica,
armandosi solo dell'intolleranza religiosa, cioè del diritto di non
servire che alla verità, accettata da una società d'anime libere, difesa
in questa società da un potere, armato soltanto di parola e di spirito,
e che la mantiene scevra da ogni errore. Ma per isbandire l'errore, che
serviva di base all'antico edifizio sociale, e domar l'egoismo
gentilesco e la ferocia barbarica, cercò impossessarsi del potere.
Anche dopo riconosciuta la nuova religione, nessuno ignora i testi che
riprovano il rigore usato agli eretici. Il _compelle intrare_ della
parabola evangelica in san Luca XIV, 23, non indica coercizione fisica,
bensì istanza, e tanto il _compelle_ latino come l'ἀνάγκασον greco sono
adoprati altra volta in questo senso. Così i due discepoli al castello
di Emaus fanno forza a Gesù perchè rimanga con loro[271]. Altrove Gesù
costrinse, coegit, ἠνάγκασεν, i discepoli a salir nel battello[272]. E
san Paolo dice a san Pietro: «Se tu giudeo vivi alla gentile, anzichè
alla giudaica, perchè costringi (cogis, ἀναγκάζεις) i Gentili a
giudaizzare?[273]. In nessuno di questi luoghi trattasi di violenza
materiale. E san Paolo a Timoteo raccomanda: _Prædica verbum, insta
opportune, importune; argue, obsecra, increpa in omni patientia et
doctrina_[274].
La Chiesa ammise sempre possibile la buona fede negli eretici.
Sant'Agostino assicura da ogni persecuzione i Manichei. Salviano di
Marsiglia, nel secolo V diceva: «Gli Ariani sono eretici, ma nol sanno,
e credonsi talmente cattolici, che trattan noi d'eretici. Noi siam
persuasi ch'essi fan un pensiero ingiurioso alla generazione divina,
dicendo che il Figliuolo è inferiore al Padre: essi credono che noi
abbiam un pensiero ingiurioso al Padre col farlo uguale al Figlio. La
verità sta con noi, ma essi credono averla per sè. Essi sono empj, ma in
ciò appunto credono seguir la vera pietà. S'ingannano, ma per un
principio d'amor verso Dio. Solo il supremo giudice dell'universo può
sapere come saranno puniti il giorno del giudizio: intanto li sopporta,
perchè vede che, se errano, è per un movimento di pietà»[275].
Pure chi ben esamini quei testi vi riconoscerà piuttosto le aspirazioni
della bontà, i rimedj della carità cristiana; mentre dottrinalmente
s'interpretava a rigore il _Compelle intrare_; e gli stessi Padri che
avevano aborrito da ogni persecuzione contro gli eterodossi, fu volta
che la trovarono necessaria contro le rivoluzioni selvagge o
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