Gli eretici d'Italia, vol. II - 19

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altri, particolarmente con certi prelati, e dava denaro a poveri
ereticanti o sospetti; altri favoriva; particolarmente a Bologna promise
non sarebbe nulla decretato contro di essi, nè verrebbero arrestati,
giacchè anche Iddio li tollerava.
Tali imputazioni leggiamo in fatto nel suo processo; aggiungiamo,
diceasi aver egli pensato cattolicamente finchè non andò al Concilio,
ove per via il........[162] l'assalse con robusti argomenti, ai quali
applaudiva il Polo; e che avesse traviato si fu certi allorchè, tornato
a Modena, si scusò con que' cittadini d'averli perseguitati come
luterani; al Salmerone che predicava con perfetta ortodossia disse,
«Annunziate Cristo, e non mi state a insistere su cotesti meriti de'
santi o nostri»; e lo fe rinviare, mentre invece mandò Bartolomeo
Pergola frate minore, conosciutissimo luterano che disse molte cose
scandalose, asserendo che «monsignor Morone avealo spedito là perchè
predicasse Cristo nudo, e non tante novelle e tanti meriti»: ed esso
Morone durò poi fatica a salvarlo da persecuzioni[163].
Quando fu messo legato a Bologna, il Soranso vescovo di Bergamo e
monsignor Carnesecchi[164], entrambi condannati poi d'eterodossia,
scrissero ai fratelli di colà congratulandosi di sì bella scelta, e che
non la guastassero con imprudenze. Il Morone in fatto ai Luterani di
colà promise non eseguir ordini che a loro danno venissero da Roma,
senza prima avvertirli; anzi professava non doversi i dissidenti
perseguitare, bensì imitare Dio che potrebbe farli morire di subito,
eppur li sopporta: e forse chiamiamo luterani di tali che son migliori
di noi.
Della giustificazione parlava, non come si definì a Trento, ma come
erasi accordato il Contarini coi Luterani in Germania[165]; e de' meriti
de' santi in modo, che pareva escludere l'efficacia delle opere e il
libero arbitrio; dolersi che i frati volessero esaltar la Madonna più
che Gesù Cristo[166].
Il processo apertogli[167] noi scorremmo con quello stringimento di
cuore che cagiona il vedere anche allora tutte le sevizie e le arguzie
che, in questi giorni di terrore e d'eccezioni, si usano sia da'
denunziatori, sia dai giudici inquirenti. Questi rimuginarono
attentamente tutti i libri e le carte del cardinale; e colla atroce
finezza dei moderni lo chiamavano a render ragione d'ogni periodo di
lettere sue e d'altrui, di note marginali, di ogni ambiguità
d'espressioni, benchè in iscritture di dieci e più anni prima. Quanto
agli accusatori, molti non adduceano che voci vaghe, presunzioni, il
dirsi _universalmente_ e altre frasi, nulla più attendibili che le
insinuazioni degli odierni giornalisti[168].
Altre però erano accuse, come oggi dicesi, dirette: e principalmente il
Pergola imputò dapprima il Morone, dappoi si ritrattò, infine sostenne
di nuovo che opinava erroneamente; che fu pervertito dal Polo; che a lui
diede il comando di predicar Cristo nudo.
Altri dicevano avesse disapprovato alcune pratiche; giudicato
superstizioso il prender la misura della cattedra di san Pietro, che si
mette fuori nelle solennità in Vaticano[169]; le quali misure poi
vendeansi per cingersene le donne di parto: d'aver detto che «ai Germani
avevamo dato noi stessi molta causa d'esser diventati eretici, e se Roma
fosse rassettata, facilmente essi potrebbero tornar alla fede»; e che il
cardinale Polo «vorria levar via in gran parte la cancelleria, la
penitenzieria in grandissima parte, e si facesse vescovi che sapessero
predicare e che le parrocchie non si dessero a cortigiani, e si
lasciasse tutta la sua giurisdizione libera a' vescovi, e si facesser
uomini degni di stare al vescovado, secondo si faceva nella Chiesa
primitiva».
Un superiore dei Domenicani, che dal Morone era stato chiamato ad
assisterlo in Modena, depone che una volta questi «disse alcune cose _de
oratione crucis_, che non stavano secondo la verità della santa fede, e
vedendo io che il padre maestro non diceva nulla, dissi io: — Monsignor,
queste cose che dice son contrarie alla fede. — Rispose: — Io mi
rimetto, e in fatti so poco di queste materie. — Soggiunsi io: — Però
vostra signoria reverendissima non ne sapendo, non ne debbe ancor
parlare perchè non erri e non sia notato; e come amorevole della
signoria vostra reverendissima, gli voglio dire che sia più cauto per
l'avvenire, che non si guadagni nome di luterano: massime che io ho
inteso dal padre reggente di San Domenico che vostra signoria
reverendissima mostra non sentir bene de' santi, non avendo fatto quella
riverenza al corpo di san Domenico che fanno gli altri, non
inginocchiandosi in terra. — Rispose: — Io vi ringrazio, e cercherò non
dare materia di esser reputate nè luterano, nè altrimenti eretico, ma vi
dico bene che, quanto alla riverenza di quel corpo, parmi aver fatto
quanto ero debitore. Mi son bene come scandolezzato de' vostri frati,
uomini altrimenti dotti e savj, che faccino più riverenza al capo di san
Domenico che al corpo di Gesù Cristo, con tener più lampade e torcie
accese, che quando si mostra il santissimo sacramento. E vedendo io
tutti li frati inginocchiati quando mi mostrarono il detto capo, dissi
fra me, Non si potrebbe mostrare maggior riverenza al santissimo
sacramento, di quella che ora fanno a questo capo: e per questo io
stetti in piedi con la berretta in mano».
Quel voluminoso processo ci somministrò non poche notizie, e qui
tenendoci a Modena, aggiungeremo come Domenico Morando, parroco della
pieve di San Jacobo cremonese, scrivesse lunghe lettere al vicario del
vescovo di Modena: in una delle quali informava che, nella settimana
santa, poche fosser le confessioni e sprezzati gli uffizj; e mentre
facea l'acqua battesimale, fu sparata un'archibugiata per la finestra, e
la palla giunse fino all'altare, con grande turbazione di quanti erano
in Chiesa. Il secondo giorno di Pasqua altri diedero ferite ad un
poveretto disarmato avanti la Chiesa, e perchè si rifuggì in Chiesa,
voleano seguitarlo colà; «e son gente che teme nè Dio, nè gli uomini, nè
possono patire di udir la verità, e turbano quei che vorriano udirla: ma
son soli tre o quattro. Il signor Iddio mi fe conoscere che non vuole
ch'io dipenda dagli uomini, perchè quelli che io pensava mi dovessero
esser favorevoli alle cose buone, mi hanno fatto maggior contrasto,
perchè non ho voluto che nella casa della Chiesa si faccia un luogo
disonesto, e che non voglio far giocare in casa, far banchetti e simili
cose». Questo l'aprile 1541. In un'altra del 7 gennajo:
«Pare che in Cremona[170] e fora de Cremona sia molto di questa
infermità (luterana).
«Ragionando con don Geronimo, e domandandogli che dottrina avesse
insegnato a questi uomini, mi rispose: — Io ho predicato lo evangelio.
«Io volendo pur intendere di più, gli domandai se aveva predicato alcuna
dottrina di questi presenti tempi. Mi disse: — Io gli dissuasi la
peregrinazione e il visitar le statue e immagini. — Domandandogli se del
sacramento dell'altare avesse detto alcuna cosa, rispose: — Io gli ho
predicato che quella è una memoria delli benefizj che da Gesù Cristo
avemo ricevuti, e di questa cosa ne ho parlato con monsignor (Morone),
che ancora lui è della medesima opinione. — Domandandogli se lui avesse
detto che realmente nel sacramento ci fosse il corpo di Gesù Cristo, e
se era la transustanziazione, mi disse non gli aver detto alcuna cosa,
perchè stimava questi uomini non intendere. È ben vero che non teneva la
lampada accesa innanzi al sacramento».
Esso vicario di Modena al Morone a Bologna, scriveva il 1 marzo 1541:
«Per quanto intendo, la setta va perseverando, e moltiplicando, ma nullo
viene a denunziare. Io ne ho dato avviso a Roma mediante il nostro
monsignor Giovanni Battista Guidobono, con quella cautela che io non
fossi scoperto, avisando il parer mio circa la provisione».
Aggiunge che, non potendo aver eretici a predicare, fanno letture; col
che si disturba la città e la religione. Molto s'occupa de' predicatori,
e d'un Agostiniano che «se io lasciava perseverare, si moltiplicava
tanto la setta che avrebbero evacuato l'udienza del Duomo, perchè la
setta andava invitando, esortando, pregando, praticando le persone che
andassero a Sant'Agostino alla predica».
E al 26 ottobre 1540:
«Tutta quella famiglia (della Lucrezia Pica, vedova Rangoni) ho veduto
molto familiare e di stretta pratica con messer Bonifazio, il qual è
reputato luterano perfetto: s'è posta a studiar il Testamento Nuovo, e
farsi leggere da certi forestieri che sono reputati luterani, che
andavano sin da questa quaresima in quella o quell'altra bottega a
subornar di quelle materie rancide luterane, talchè questa città è molto
infamata. Non per questo che alcuno sia venuto mai a far una minima
deposizione, se non che generalmente si diceva di questo e quello... Due
volte io ho fatto dire a messer Bonifazio di queste eresie che intendo
che 'l va diseminando lui e quel santo clerico, suo servitore in casa
per maestro delli suoi putti; il qual santo in sacristia pubblicamente
diceva dell'officio che non si debbe dire».
Fra gli altri ministri dell'Anticristo «vi erano due. Un siciliano per
nome Fileno, o Paolo; si varia il nome a suo modo; già frate predicatore
di san Francesco sfratato, fuggito da diverse parti, che ha processo
sopra di lui di omicidj e di eresia, ed è fuggito da Bologna, ed è stato
preso qua sopra il Modenese, che andava sovvertendo li villani in un
castello dove il duca ha mandato un frate di San Domenico che lo
esaminasse insieme coll'inquisitore di Bologna. Io con bel modo me li
voleva pur ingerire, ma quello di Bologna dice ch'è del suo Foro, per
aver già cominciato il processo in Bologna contro costui; promettendomi
che, se accuserà alcuno di questa diocesi, me lo notificherà perchè io
possa fare il debito mio.... Non manca intercessori per questo ribaldo,
li quali dicono che ben si veda non fosse calunniato per esser
dottissimo nella scrittura e nella dottrina platonica.
«L'altro simile era ancor lui alienigeno, ed è scappato, e faceva il
medesimo ufficio luteranesco, e di nome era il Turchetto, figliuolo d'un
Turco aut Turca, il quale era carissimo a questi accademici: però andava
a insegnar l'evangelio a monsignor Bonifazio....
«Sono due frati: l'uno tutto spirito audace, letterato, mandato dal
duca; l'altro vecchio pratico in inquisizione, animoso, di buona casa di
Bologna».
In altra del 21 aprile 1541:
«La setta va pur (_ut audio_) perseverando, se il signor duca non se
muove; credo ben che, se gli fosse denunciato alcun colpevole, si
risentirebbe, ma nullo vuol esser delatore nè a noi, nè
all'inquisitore».
In sì lunga prigionia e con tali procedure ognuno s'immagina quanto
dovesse soffrire il cardinal Morone, a cui, oltre le interrogazioni a
voce, fu data facoltà di vedere le accuse appostegli (sempre tacendo il
nome de' testimonj) e porre in iscritto la propria difesa. Questa
abbiamo noi, e non crediamo superfluo il qui pubblicarla, per quanto
estesa:
Alli 12 di giugno 1557 sono venuti da me nel castello
Santangelo di Roma li reverendissimi et illustrissimi signori
miei cardinali di Pisa, Reomano, Spoletano e Alessandrino,
mandati da nostra santità papa Paolo IV, li quali si condolsero
meco del travaglio nel quale era per conto della religione, e
mi esposero il paterno animo di sua santità, esortandomi a dire
tutto spontaneamente e con verità, perchè andando sinceramente,
se avesse avuto bisogno di grazia, sua santità non mi saria
mancata.
Io prima pregai Dio benedetto per amor del suo unigenito
figliuolo Gesù Cristo nostro salvatore volesse spirarmi a dire
tutto quello che fosse a onore e gloria della sua divina Maestà
ed a salute dell'anima mia ed a soddisfazione della santa e
retta mente di sua santità e delle loro signorie
reverendissime. Da poi mi offersi a dire ingenuamente tutto
quello che mi fossi ricordato; e ridussi a memoria a monsignor
reverendissimo Alessandrino che, prima ancora io mi era offerto
a farlo, e dal principio del pontificato di sua santità l'avevo
ricerco alcuna volta, come spero sua santità ne abbia memoria.
Dissi di poi che io era nato tra cristiani, sotto l'obbedienza
della santa sede apostolica e della santa romana Chiesa, madre
e maestra di tutte l'altre chiese, e che io volevo morire in
quella, sottomettendo sempre ogni mia non solo azione ma parere
e sentimento alla correzione sua, non essendomi con la volontà
mai partito da essa, nè volendo partire in modo alcuno, con
l'ajuto di Dio. Il che di nuovo replicai, essendo certissimo
che nessuno si può salvare fuori di questa sacra romana Chiesa,
di cui ora è presidente e capo papa Paolo IV, vicario di Cristo
in terra e successore di san Pietro.
Aggiunsi che io non era nè teologo nè canonista, ma più presto
ignorante, e che naturalmente io aveva poca memoria, la quale
ancora per li accidenti e travagli miei continui era fatta
minore; e però pregai detti reverendissimi signori volessero
dirmi come potessi in tutto soddisfare nel presente negozio,
perchè io era prontissimo a dire tutto quello di cui mi fossi
ricordato.
Ricordai ancora con ogni reverenza per testimonio del buon
animo mio nella religione, che, avanti che entrassi in
conclave, e dopo che fui entrato, sempre io fui risoluto per il
servizio di Dio e per l'affezione che io portava alle rare
virtù di sua santità, di favorire la promozione di sua
beatudine, come feci, ed è notorio. Il che non avrei fatto
conoscendo il zelo di sua santità, se avessi avuto l'animo
pravo nelle cose della religione. E così cominciai a dire
spontaneamente alcune cose, le quali con altre ancora saranno
scritte qui, come fui esortato a scrivere da quelli
reverendissimi.
_Delli libri Eretici._
Io son stato nuncio tre volte in Germania, mandato da papa
Paolo III, ed un'altra volta ci sono andato legato, mandato da
papa Giulio III: tre altre volte sono stato legato del detto
papa Paolo III al concilio di Trento nel 1543, se ben mi
ricordo; al governo di Bologna, e all'imperatore per trattare
la pace col re de' Francesi. Ho avuto in quelle legazioni
facoltà amplissime, secondo si soleva avanti che nostro signore
moderno le restringesse. Stando la prima volta in Germania,
perchè si trattava di fare il Concilio, misi insieme tutti i
libri luterani e di altri eretici che potei avere, per farli
studiare dai Cattolici, e cavar gli articoli falsi acciocchè,
facendo il Concilio, si potessero più facilmente impugnare. Ed
a diversi teologi detti o libri o denari per comprarli e fare
gli estratti: della qual diligenza nacque che furono poi
scritti molti libri contro a' Luterani, da diversi Cattolici di
Germania, li quali si trovano ancora, come da Giovanni Fabro
vescovo di Vienna, da Alberto Piggio, dal Cocleo, dal Casio ed
altri.
Ritornando in Italia la prima volta, passando per Trento, il
reverendissimo Tridentino vecchio sapendo questa mia diligenza,
me ne dette degli altri, che egli aveva raccolto per il
medesimo effetto, desiderando che nostro signore facesse fare
la medesima fatica in Italia da qualche buoni teologi. Questi
libri furono condotti a Modena, e perchè io veniva con
diligenza a Roma, e non avevo comodità di farli portar meco, li
feci riponere in un monastero di monache in una cassa
inchiodata, perchè non andassero in mano di altri, e venuto a
Roma fra le altre relazioni ch'io feci a sua santità fu
dell'ordine detto di sopra, domandandole a chi voleva si
dessero li libri avuti dal cardinal di Trento. La quale mi
disse che li tenessi così sinchè deliberasse. E stato alcuni
pochi giorni in Roma, fui licenziato per andar in Lombardia a
dare ordine alle cose di casa, ma perchè quasi importunamente
aveva ottenuto licenza di venire in Italia, sua santità mi
comandò che, quanto più presto poteva, ritornassi, il che feci,
e fui rimandato in Germania, da onde ritornai la seconda volta
in Italia, chiamato da sua santità, e passando per Modena feci
portar libri dal monastero nel vescovato, perchè dubitai che
non fossero aperti nel monastero. E li lasciai nel vescovato e
trovandosi sin allora, se ben mi ricordo, frate Reginaldi da
Mantova bonissimo cattolico e dotto, gli diedi le opere del
Pelicano, le quali io feci legare a Modena, con altri,
acciocchè levasse fuori le eresie, nel che il buon padre si è
affaticato alcuni giorni: dopo mi disse che non gli bastava
l'animo di fornirlo, perchè li volumi erano grandi e pieni
d'eresie. E per venire al fine dell'istoria di questi libri,
essi con alcuni altri furono condotti qui in Roma, ove io ne
feci legare qualch'uno e ne lessi parte, e ultimamente li
mandai nella libreria apostolica per mano di messer Guglielmo
protonotaro, e non so che ne sia rimasto alcuno in casa mia,
benchè non ho fatto diligenza di cercarlo; se non che ho
ritenute alcune bibbie ebraiche, con la traduzione
dell'Amastero, avendo etiam ritenuto tutte le altre bibbie che
aveva, le quali credo siano sei o sette di varie sorta, perchè,
per intendere meglio la scrittura secondo la lettera, ho sempre
avuto caro aver diverse traduzioni per confrontarle insieme.
Questi andamenti de' libri possono avere partorito qualche
ombra presso molti, massime presso libraj e legatori ed altri
che sapevano od avevano inteso che io li aveva, ma non sapevano
ch'io li poteva avere, e la causa.
Ma perchè dal leggere di questi libri, avea ben conosciuto con
quanta arte gli eretici porgevano il veleno nei suoi scritti,
più volte feci istanze a papa Paolo III che revocasse tante
licenze ch'erano uscite di tenere detti libri, e proibisse alla
penitenzieria che non desse più licenze, e più volte lo
ricordai al reverendissimo Santa Croce, al quale stava vicino
in capella e concistoro; e sua signoria reverendissima mi
diceva che la medesima opinione era delle soprastanti alla
santa Inquisizione, e credo anche averne parlato più volte al
reverendissimo San Jacobo.
Non resterò di dire, che essendo legato in Bologna, ebbi per
spia che una suma di libri luterani di passaggio erano portati
a Lucca: con gran diligenza la feci intercipere, e la mandai
all'Inquisitore che si chiamava frate Leandro, col nome e
cognome nella lettera che portava il mulattiere a chi andavano.
_Della giustificazione._
L'ultima volta che fui mandato in Germania da papa Paolo III
alla dieta di Ratisbona, nella qual venne legato il
reverendissimo Contareno, designando l'imperatore di accordar
insieme la provincia della quale, stando rimossa e piena di
mutui sospetti, non poteva valersi nelli suoi bisogni, fu
proposto un libro da sua maestà, sopra il quale da parte de'
Cattolici furono designati dodici, quattro per nostra santità,
quattro per l'imperatore, quattro per li principi cattolici, se
la memoria non m'inganna. Li nostri furono con il
reverendissimo legato, il maestro di sacro palazzo, che fu poi
il cardinale Badia, Alberto Piggio ed il dottore Scotto cieco,
che fu poi arcivescovo. Per l'Inquisizione furono certi
Spagnuoli, tra' quali mi ricordo un dottore Ortizo e del
Maluendo, e due che non mi ricordo. Per li Cattolici fu il
Groppero, e monsignor Giulio Fulgo, ora vescovo nurembergense,
e il dottore Ecchio, e credo il Cocleo. In questa deputazione
fu trattato l'articolo della giustificazione, e fu concordato
come si può vedere nel libro stampato nelli atti de' Comizj
Ratisbonensi, il quale è nel mio studio.
Io sempre fui presente al trattato, come nuncio, non come
teologo, e non parlava: e benchè sentissi dire dopo varj pareri
di questo articolo, nondimeno, sapendo non esser alcun altro
risoluto per migliore, mi tenni a quello. Fra poco tempo nacque
che Luterani cominciarono a scrivere che il colloquio avea
risoluto quell'articolo in favor loro, stando il senso di esso
che pareva si potesse interpretare variamente, e li Cattolici
scrivevano al contrario, e furono fatti diversi libri. Io, che
mi ero trovato presente al trattato, e sapeva che i nostri
deputati erano dotti e reputati cattolici, quando mi occorreva
ragionarne difendevo questo articolo, perchè mi pareva si
potesse difendere, essendovi dentro, se ben ne ricordo, che
quella fede _per quam justificamur, est fides viva et efficax,
quæ per dilectionem operatur_. Di poi nel fine del capitolo vi
era che a questa si doveva aggiungere la dottrina dei
sacramenti e delle buone opere, e ho sentito dire da molti
dotti che stava bene, e così mi stetti sino alla conclusione
fatta nel Concilio Tridentino sopra detto articolo, ed allora
mi fermai nella determinazione di detto Concilio. Se ben non è
stata fatta sin ora l'approvazione autentica del papa di quel
Concilio, senza la qual si sa che i Concilj non sono validi.
Nondimeno, come io ho detto, mi acquietai a quella, e sempre
l'ho tenuto e tengo e terrò col divino ajuto, sin ch'io viva,
se la Chiesa non mutasse che non credo.
E perchè mi è stato ricordato da questi reverendissimi, li
quali sono stati da me, che debba pensar bene se mai ho detto o
scritto qualche cosa in questa materia dopo la determinazione
del Concilio, avendo pensato e ripensato non mi posso ricordare
aver scritto o detto altro intorno a questo, se non che quando
ne ho parlato ho sempre detto: Il Concilio l'ha determinata,
perchè in questo io era risoluto, ed io non ho mai scritto nè
mandato fuori cosa alcuna mia, eccetto che per mio esercizio ed
istruzione. Ho esposto quattro o cinque salmi, alcuni anni fa,
cioè il salmo _Benedicam Dominum in omni tempore; Misericordias
Domini in æternum cantabo; Dominus regit me, nihil mihi deerit;
Laudate Dominum omnes gentes; In convertendo Dominus
captivitatem Sion_; ho ancora scritto sopra le due epistole
canoniche di san Pietro, ma non le ho ben rivedute, e perchè
credo che questi miei scritti forse saranno stati trovati, se
ben non mi ricordo ove fossero tra le mie scritture, desidero e
prego se vi fosse qualche cosa che potesse dispiacere, sia
interpretata in bene, perchè rimetto il tutto alla debita
censura; oltre che non erano finiti. E ricordandomi, come ho
detto, d'avere scritto altro, pensando e ripensando mi è venuto
in mente che, molti anni fa, benchè con verità non mi ricordi
se fosse innanzi o dopo la determinazione del Concilio, mi fu
data una scrittura, come credo, da monsignor Aloysio Priuli o
dal Flaminio, che era, come mi dissero, del reverendissimo
Polo, la quale, essendo venuto a visitarmi l'arcivescovo
d'Otranto, me la cavò dalle mani, ed io non la lessi e non so
se fosse restituita; ma come ho detto, non avendola letta, con
verità del soggetto non mi ricordo, e forse potrebbe essere che
in ciò vi fosse qualche altra cosa; intorno questo non so, e se
me ne ricordo lo dirò con ogni sincerità.
E perchè siamo a ragionare del reverendissimo Polo, e più volte
ho udito dire che si sono avuti sospetti di lui, io voglio dire
ingenuamente _et coram Deo_ quel che ne sento sulla materia
della giustificazione. Esso ha dato il parer suo in iscritto al
Concilio, e questo si potrà trovare negli atti del Concilio,
perchè io non mi ricordo se sia nelle mie scritture. Dopo il
Concilio ragionando meco una sola volta, non mi parlò della
sostanza, ma disse che aveva desiderato l'ordine del decreto in
altro modo, e che gli pareva che avesse compilato molte cose
insieme, le quali più comodamente si sariano potute dividere in
molti articoli. Nel resto della dottrina sua, per quanto ho
potuto conoscere io, e che mi ricordo, sua signoria
reverendissima nelli suoi ragionamenti attendeva ad abbassar
l'uomo, e rappresentar dopo il peccato del primo parente li
gran mali che sono in esso uomo, ed in questo soleva
diffondersi assai, tanto che qualche volta diceva che saria
stato buono, per mortificare il vecchio uomo, che fossimo come
morti e sepolti con Cristo, e resuscitati con lui, acciò
_ambulare in novitate vitæ_: e soleva poi magnificare assai
l'immensa carità e grazia di Dio, mostrataci e dataci nel
Figliuol suo, della quale mai si saziava di ragionare con
incredibile allegrezza: e se occorreva qualche volta di
ragionare delle cose del mondo, esso sempre mostrava una grande
fede nella providenza divina, e si riponeva tanto in quella ne'
fatti proprj, che mi faceva stupire, non trovando in me tale
affetto.
De' dogmi particolari, Dio sa che mai son venuto a ragionamento
privato con lui, se non che, essendomi stato detto da un certo
ferrarese, che si faceva parente del Savonarola, il quale non
vidi mai più che una volta, ed era di passaggio per Bologna; e
come mi disse, era venuto a posta per amor di Dio ad avvertirmi
del cardinal Polo, a causa non credeva che fosse il purgatorio,
ritenendo questa memoria, quando mi trovai con sua signoria
reverendissima per esplorar la mente sua gli dissi che molti in
Italia negavano il purgatorio, che le pareva? Sua signoria
reverendissima subitamente mi rispose: Sono molto presuntuosi e
temerarj quelli che lo negano, tenendolo la Chiesa.
Un'altra volta ragionando con lui di certi versi del Flaminio,
gli dissi che molte persone mormoravano che lo tenesse in casa,
perchè si diceva che era allievo del Valdesio e di frate
Bernardino da Siena: esso mi rispose: — Ho veduto questo
bell'ingegno e le belle lettere del Flaminio, e ho avuto paura
che non facesse di gran male se diventava eretico, e son andato
pian piano ritirandolo alla buona via, di modo che spero sarà
guadagnato alla Chiesa di Dio; e però quelli che mi biasimano
mi dovriano più presto lodare per avere fatto tal opera». Ed
altro particolare non mi ricordo avere ragionato.
Dal detto Flaminio ebbi una volta un libro spagnuolo sopra li
salmi, composto dal Valdesio; il qual Valdesio non vidi mai, e
mi disse che quello era un bel libro, e che lo leggessi. Io ne
lessi alquanto, ma per esser in lingua spagnuola, la quale
troppo bene non intendeva, e perchè l'uomo si fastidisce di
legger tanti che scrivono, lo restituii. Ebbi ancora certe
interrogazioni in un fascio che dicevano esser del Valdesio, le
quali non apersi mai, e non so che ne sia seguito. Dopo ho
sentito molto biasimare detto Valdesio come autore delle eresie
di Napoli. Ma per concludere del reverendissimo Polo, monsignor
Aloysio Priuli e l'arcivescovo di Salerno credo siano meglio
informati della dottrina sua che altri, perchè ho inteso che
l'arcivescovo ha veduto molti suoi scritti per correggerli, ed
è uomo dotto che potria giudicare al vero; il che non posso io
non essendo dotto, nè avendo veduto molte sue composizioni.
_Del libro del Benefizio di Cristo._
Molti anni fa le cose della religione in Italia andavano con
poca regola, perchè non era istituito l'ufficio della santa
Inquisizione e non era ancora ben fondato, e gagliardo, e però
in ogni cantone si parlava de' dogmi ecclesiastici, ed ognuno
faceva da teologo, e si componevano libri _passim_, e si
vendevano senza considerazione per tutti i luoghi, e molti
luoghi erano senza inquisitore, ed in molti l'inquisitori erano
di poca portata; talmente che era quasi lecito o tollerato a
ognuno fare e dire quanto gli pareva. In questi tempi fu
portato un libretto a Modena, intitolato il Benefizio di
Cristo, stampato, e se ben mi ricordo mi fu dato da un librajo
Picciolino, vestito di Bertino del terzo ordine; credo abbia
nome mastro Antonio.
Questo libretto fu letto da me e quasi divorato con grande
avidità, perchè mi pareva fosse molto spirituale, e in specie
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