Gli eretici d'Italia, vol. II - 17

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tavola più bassa nel cospetto de' padri, e delle madri, e de' zii, ed
erano serviti dalle sorelle più grandicelle. Mangiavano ancora alla
tavola più alta con esse loro i forestieri, i quali erano assai e
continui, conciosiacosachè la predetta casa fosse un pubblico comune
albergo de' letterati e d'altre persone di valore, che passavano per la
città di Modena, e molti s'invitavano da sè, non essendo chiamati per
vedere quest'ordine e concordia, parendo loro cosa non mai più vista e
miracolosa. Niuno de' predetti fratelli era ozioso e scioperato. Egli
era medico, un altro era giudice, un altro speziale, un altro mercante
da panni di lana, un altro avea la cura della casa, e un altro attendeva
a quella della villa, e un altro era prete. E quantunque le facoltà non
fossero molte, nondimeno per l'ordine e buon governo bastavano a tanta
spesa».
Parlato degli studj del Grillenzone, dell'adoperarsi ch'e' fece, perchè
fosse chiamato in Modena Francesco da Porto a insegnar pubblicamente
lingua greca, soggiunge che, quando questi dovette trasferirsi a
Ferrara, «ordinò, che in casa sua ogni giorno fossero lette a certa ora
due lezioni, una latina e l'altra greca per coloro che fossero più
sufficienti, e erano stati discepoli del Porto, e a chiunque vi voleva
intervenire. E così furono interpretati i più difficili libri della
lingua latina, e fra gli altri Plinio dal principio al fine, e i più
difficili della lingua greca. Si leggeva senza pompa di parole, di
prologo, nè s'interpretavano se non i passi più difficili, sopra i quali
ognuno degli ascoltatori poteva dir liberamente il parer suo, e si
faceva giudicio delle cose lette, e specialmente delle cose de' poeti,
approvandole o riprovandole. Il qual giudicio era di gran giovamento a'
giovani, de' quali alcuni sono riusciti uomini valenti. Fu egli autore
che s'ordinassero certe cene a certi tempi dell'anno, nelle quali
interveniva solamente un certo numero di persone, che per l'ingegno
potessero ubbidire alla legge delle cene, e ciascuno della brigata
faceva la sua cena, la quale, per legge ordinata e approvata da tutti,
era limitata e di quantità, e di qualità di vivande e di giuochi e di
simili cose. E in ciascuna cena era proposto alcuno esercizio ingegnoso,
come che ciascuno dovesse comporre epigramma greco o latino, o sonetto,
o madrigale sopra alcuna o alcune vivande recate in tavola, o che niuno
potesse domandar da bere se non in quella lingua che il signor della
cena prima domandava, nè domandare con quel modo di parlare col quale
fosse stato domandato o da lui o da altri altra volta; nè gli era dato
se non ne domandava; che ciascuno dovesse dire tutti i proverbj che
erano intorno ad alcuno animale terrestre o acquatico o celeste, o tutti
i proverbj che sono intorno ad un mese o ad alcun santo o ad una
famiglia della città, o che ciascuno dovesse dire una novella della vita
di Tommaso dal Forno vescovo Gerapolitano, e simili cose».
Chi così parla è Lodovico Castelvetro, bello scrittore e critico arguto,
nato pure a Modena, dove aveva imparato l'ebraico da David, giudeo
modenese, «filosofo e teologo da non sprezzare»: il provenzale da
Giammaria Barbieri, che in Francia avea studiato i trobadori, e volea
dedur l'italiano dalla costoro favella. Il Gravina attribuisce al
Castelvetro il titolo di «Varrone della lingua vulgare», e per avventura
egli ci ha maggior merito che non il Bembo; mostrò conoscere altri
idiomi, e non la filiazione ma la fratellanza del nostro col provenzale.
Più tardi egli pubblicò la _Poetica_ d'Aristotele, con bastante
erudizione, riflessi sottili, critica assennata e franchezza di
appuntare anche là dove i commentatori non sanno che applaudire; osa
criticare Virgilio; imputa a Dante la pedanteria di parole scientifiche,
inintelligibili al popolo; all'Ariosto i plagi e l'infedeltà storica; e
osò dire che in Ispagna e in Francia v'avea poeti grandi quanto in
Italia. Libertà di giudizio che scandolezzava gli umanisti.
La presenza o il ricordo di tali personaggi doveva inanimare gli studj
in Modena; e non una vera accademia, ma una brigata di letterati vi si
era costituita, alla quale col Castelvetro appartenevano i già detti
Giovanni, Francesco e Bartolomeo Grillenzoni, don Giovanni Beretta,
Nicolò Machella medico, il dottore Filippo Valentini, Camillo Molza,
Gabriele Faloppio, allora empirico, dappoi famoso anatomista; Pellegrino
Degli Erri, Francesco Camurana, Lodovico del Monte ed altri. Aggiungiamo
Francesco da Porto, venuto povero fanciullo da Creta a studiare a Padova
poi a Venezia, e rimasto in Italia ad insegnar il greco in molte città,
e alla Corte della duchessa di Ferrara (1546).
Accoglievansi costoro alla spezieria de' Grillenzoni sul mercato delle
ova, sotto al palazzo dell'economo ducale; e talvolta erano tanti, che
il passaggio per la via ne restava impedito. Quando poi se ne levavano,
mostravano andar a prendere la perdonanza alla Madonna delle Fosse fuor
città, per continuar meglio a discorrere fra loro.
In que' ritrovi spiegavansi Dante, il Petrarca, i filosofi anche greci;
e nella inclinazione introdottasi di raffacciare la bellezza e
limpidezza classica alla barbarie scolastica, ne prendeano titolo a
censurare gli scrittori ecclesiastici, e vantare le dottrine degli
eretici. Da ciò passavano a divertirsi alle spalle de' predicatori
avveniticci, che per verità si prestavano troppo alla celia. Nel 1532 in
quel duomo frà Francesco Filauro da Castrocaro, minore osservante,
pubblicò un breve di Gesù Cristo, steso secondo le formole della curia
romana, intestato _Jesus episcopus_ ecc. e _datum in paradiso terrestri,
creationis mundi die sexto, pontificatus nostri anno æterno_, e
confermato e suggellato il giorno di parasceve sul monte Calvario; nel
qual breve era approvata e confermata d'autorità divina la regola dei
Minori Osservanti.
Se ne rideva fuori, e talvolta fin in chiesa levavasi qualche accademico
o altro galantuomo per dire, «Cessate coteste buffonerie»; oppure, «Ciò
non è vero»; e li costringevano a scendere dal pergamo; e la cosa arrivò
al punto, che predicatori non voleano più venire in quella città.
Naturalmente si vide in ciò un'adesione alle eresie; e nel 1536 Paolo
III ingiunse al vescovo di ricercare e punir i colpevoli; nel 1539 vi
mandò un inquisitore per esaminar le case monastiche, sospette
d'errori[135].
Don Serafino da Ferrara agostiniano, nel 1537 predicando l'advento in
quel duomo, si dolse cominciassero a spargersi le eresie luterane, e
addusse in pruova un libriccino, allora allora introdotto. L'aveva egli
sorpreso nella camera della signora Lucrezia Pico, vedova del conte
Claudio Rangone, ed esaminatolo coll'inquisitore, avealo deferito al
vicario del vescovo acciocchè indagasse chi l'avesse scritto, e chi
intromesso. Il titolo del libro era: _El summario de la Sancta Scriptura
et l'ordinario de li Christiani, qual demonstra la vera fede Christiana,
mediante la quale siamo justificati, et de la virtù del baptesmo secondo
la doctrina de l'evangelio et de li apostoli, cum una informazione come
tutti li stati debbono vivere secondo l'evangelio_. Comprendeva trentun
capitoli: in fronte l'effigie dei santi Pietro e Paolo, senza nome di
stampatore o d'autore, ma pare fosse d'uno degli accademici, i quali
certo ne presero la difesa[136].
Nel febbrajo del 1538, in casa del fisico Machella tenevasi un banchetto
da nozze, quando si presentano tre trombetti sonando come allorchè s'ha
da pubblicare le gride: e due maschere, montate sopra una credenza,
leggono e commentano una carta piena di vituperj contro esso padre
Serafino, per aver dichiarato ereticale un libro, che dodici letterati
di Modena erano pronti a difendere; intanto dicevan ingiurie a donne
devote de' frati, e massime alla signora Lucrezia, la quale pensava
introdur la _setta della contessa di Guastalla della perfezione_, cioè
un ricovero di matrone dedite alla pietà, come le signore della
Guastalla, istituite da quella contessa a Milano.
Si scoprì che i mascherati erano Antonio Bendinelli lucchese[137],
tagliacantone ch'era stato soldato sotto agli Strozzi e al Valori, poi
venuto pitoccando a Lucca, vi s'era posto maestro di leggere, indi di
grammatica: egli e un altro maestro furono arrestati, ma presto dimessi
perchè que' bandi non infamavano alcuno. Essendo però frà Serafino
tornato l'anno dietro a predicare, trovò sconciamente insozzato il
pergamo[138].
Di rimpatto si applaudiva a chi paresse nelle prediche favorire le
sentenze nuove, come frà Antonio della Catellina minor conventuale nel
1539, che fu vantato per non so quali proposizioni: del che sbigottito,
egli ne fece solenne ritrattazione. Paolo Ricci siciliano, minor
conventuale e maestro di teologia in Napoli, deposto l'abito e
abbracciate molte credenze nuove, le annunziava sotto il nome di Lisia
Fileno. Venuto a Modena nel 1540, tolse a spiegare le epistole di san
Paolo nel senso nuovo. Accorreasi in folla a udirlo, e non solo ne'
dotti ma fin nel vulgo entrò il farnetico, di disputare sulla fede nelle
case, nelle botteghe, nelle chiese, allegando a casaccio san Paolo, san
Matteo, san Giovanni e altri dottori che mai costoro non aveano veduti.
Il duca di Modena fece arrestare il Fileno, e quantunque l'accademia ne
assumesse il patrocinio, fu condotto a Ferrara, ivi processato e
costretto a ritrattarsi. Nella cronaca manoscritta di Alessandro Tassoni
il vecchio, vissuto dal 1488 al 1562, leggiamo al 1540:
_Eodem anno venit quidam Philenus in civitate Mutinæ, et multi
Mutinenses receperunt eum libenter, tamquam hominem literatum et doctum
in sanctis scripturis. Et cœpit legere æpistolas Pauli, et docere
sanctam scripturam occulte, idest solum eis quos sciebat esse suos
fautores, quia erat hereticus: et in civitate Mutinæ erant multi
sequentes suas opiniones etiam antequam venisset. Sed postquam venit,
auctus est numerus: et primi confirmati ab ipso sunt. Et non solum
ubicumque homines cujuscumque conditionis docti et indocti et ignari
literarum, sed et mulieres, ubicumque occasio dabatur, in plateis, in
apothecis, in ecclesiis de fide et lege Christi disputabant; et omnes
promiscue sacras scripturas lacerabant allegantes Paulum, Mattheum,
Joannem, Apocalipsim, et omnes doctores quos numquam viderant. Et cum
dictus zizaniæ seminator esset in villa Stagiæ cum aliquibus civibus
Mutinæ suæ sectæ, captus fuit a stipendiariis ducis Herculis Estensis,
et missus in carcere in Castro Mutinæ ad istantiam Inquisitionis patrum
sancti Dominici. Et sic examinatus pluries, tandem quadam nocte duxerunt
eum Ferrariam, et illic diligenter inquisitus et examinatus, tandem
retractavit omnes opiniones hereticas, subdens se Ecclesiæ catholicæ, et
condemnatus fuit ad perpetuos carceres pro pœnitentia. Nec per hoc
Mutinenses sequaces harum hæresum sunt conversi. Sed in sua obstinatione
permanserunt, sed non omnes. Verum est quod, propter metum, aliquantulum
abstinuerunt se colloquiis et disputationibus publicis. Hæc sunt
retractationes dicti Phileni, publice in civitate Ferrariæ factæ._
«Io Lisia Fileno, alias Paolo Riccio siciliano, constituto personalmente
in judicio avanti a voi, reverendo monsignore Ottaviano de Castello,
vescovo di San Leone e suffraganeo e vicario del reverendo cardinale
Salviato vescovo di Ferrara; e di voi, reverendo frate Foscherara di
Bologna, inquisitore della eretica pravità, dalla santa sede apostolica
delegato specialmente, toccando con le mani li santi Evangelji, giuro
ch'io caddi; e col cuore confesso e con la bocca quella fede, che la
Romana Chiesa crede, confessa, predica et osserva; e conseguentemente
abjuro e renego ogni eresia di qualunque condizione si sia, che altre
volte abbia tenuto. Item giuro e confesso la Chiesa Romana, alla quale
tutti i Cristiani debbono dare obbedienza, massime quanto appartiene
allo spirituale, e sono tenuti tutti li Cristiani all'osservazione di
quella. Item giuro che l'uomo sia di libero arbitrio così al ben, come
al mal operare, benchè non possa operare operazione meritoria a vita
eterna senza special grazia dello Spirito Santo. Item giuro che il
Purgatorio si ritrova, per il modo che la Chiesa romana insegna. Item
che l'anima de' santi et altri giusti defunti, che con grazia del
Signore sono passati di questa vita, sono entrati in cielo a fruire le
delizie del Paradiso. Item che li santi e le sante canonizzati dalla
Chiesa, le anime de' quali sono entrate in cielo, si possono invocare in
nostro ajuto, come avvocati et intercessori nostri appresso di Dio e
Cristo salvator nostro. Item giuro che la confessione sacramentale sia
de jure divino, e che li Cristiani siano obbligati de necessitate
salutis a confessare li suoi peccati al sacerdote, e che sono obbligati
all'osservanza della quadragesima e degli altri digiuni di precetto, nel
modo che la santa Chiesa comanda. Item che la messa è tutta santa, la
qual messa debbono udire così gli uomini come le donne nelle feste di
precetto, e che ci stia sino alla fine, e non solamente sino che è
finito l'evangelo. Item, che è lecito, et alcuna volta laudabile e
virtuoso far voto a Dio e ai santi; e quando son fatti, si devono
necessariamente adempiere, non essendo commutati dal superiore. E che è
laudabil cosa a dir l'uffizio della Madonna e la Salve Regina mater
misericordiæ, con altre orazioni approvate dai santi pontefici.
Conseguentemente abiuro e rinego quelle eresie dannate da santa Chiesa,
che falsamente affermano contro a quello che di sopra ho affermato, e
così ogni altra eresia».
Peggioravano la causa buona certi frati che, per gelosie d'ordine,
contendevano fra sè dal pulpito, l'uno disapprovando l'altro; e alla
cautela presa che nessuno montasse in pergamo senza licenza del vicario
generale non si badava. Tra quegli oratori fu l'Ochino, che nel 1541 al
28 febbrajo passando per recarsi a Milano, fu chiesto di predicare in
duomo, e v'attirò folla grandissima, e l'accademia lo pregava a restar
la quaresima, del che egli non potè compiacerli.
L'avvenimento capitale in Modena era dunque il predicatore. Parlava
ortodosso? veniva fischiato. Era dissenziente? veniva applaudito, ma
denunziato e costretto a disdirsi. Fra altri, Giovanni Berettari
Poliziano, modenese, contato fra' migliori poeti e maestro in casa
Molza, datosi tutto alle sacre carte, spiegava le epistole di san Paolo
con gran concorso, e disse pure che le preghiere in latino non poteano
piacere a Dio. Per questo citato dal sant'Uffizio e non comparso, in
contumacia fu condannato il 2 aprile 1541. Corse a Roma, e
coll'assistenza del poeta modenese Molza, che stava col cardinale
Farnese, ebbe dichiarazione d'innocenza. Sottoposta però la sua causa a
nuovo esame, venne obbligato a ritrattare alcune proposizioni.
Soggiungiamo una lettera in proposito.

All'illustrissimo et eccellentissimo signore signor mio singolarissimo
il signor duca di Ferrara.
Modena alli 18 d'aprile 1540.
Vostra eccellenza deve sapere come questo anno in questa città
si fa il Capitolo delli frati di Santo Agostino, il qual'hora
si ritrova essere principiato: e perchè pare consuetudine che,
per il tempo ch'egli dura, il pergamo della chiesa cathedrale
suol essere deputato a quella religione, il Capitolo della
quale si celebra, acciochè li frati d'essa possano predicarvi a
lor piacere, egli così havendolo domandato qui questo anno, il
reverendo vicario di monsignor il vescovo ricercatone, anche
dalli magnifici conservatori, s'era contentato che essi,
secondo il solito, l'havessero. E perchè si ritrovava essere
qui un frate di zoccoli, qual vi predicava, ben comportato dal
precitato vicario et con licenza sua, e per certe conclusioni
quali gli erano state mandate dalli precitati frati di Santo
Agostino, per le quali s'erano scambiate alcune parole tra il
precitato predicatore di zoccoli et il frate che gliel haveva
portate era nata qualche altercatione et alteration dell'animo
d'esso predicatore, per la quale pare che nella predica del
venerdì lui con qualche parola pungesse questi frati de Santo
Agostino; havendone loro inteso qualche cosa, mandarono alla
sua predica di hier mattina due deli loro frati, dali quali
esso fu notato che, nelle due infrascritte cose, havesse
predicato a carico della loro religione: l'una che
raccomandando lui al popolo li detti frati de Santo Agostino
acciò che gli porgesse ajuto de limosine in questo Capitolo,
haveva soggionto, che, oltra questa limosina attuale, pregava
ii popolo che ne facesse anche loro un'altra spirituale, cioè
di pregare Dio che inspirasse li cuori di tutti quei frati a
fare elettione de predicatori et confessori, li quali
predicassero et confessassero più catholicamente che fin qui
non havevano fatto: l'altra che, annonciando al popolo il
giubileo e plenaria indulgenza che haveva concessa Nostro
Signore a questi frati per questo loro Capitolo, haveva detto:
Io credo bene che sarò forsi riputato un buffone da loro,
facendomi essi annonciare quell'in che non credono. E così
essendosi per detti due frati di Santo Agostino, quali havevano
udita questa predica, riferito à tutti li altri questi due
punti, vennero dopo desinare a me alcuni de' loro, mandati in
nome di tutto 'l Capitolo, li quali mi dissero quanto io ho
soprascritto a vostra eccellenza della consuetudine del
deputare il pergamo del Duomo alli frati che fanno il Capitolo,
et della promissione che n'era stata fatta loro, la quale non
ostante ci predicava un frate di zoccoli, il che loro dicevano
non curare però molto, perchè poteva predicare nella loro
Chiesa. Ma che ben havendo il Capitolo inteso che nella sua
predica di hier mattina il detto frate haveva nelle sopraddette
due cose tassato et infamato molto tutta la loro religione,
n'haveva sentito incredibil dispiacere, et tutti li frati se
n'erano gravati, et che essi in nome de tutti erano venuti a
dirmi che, desiderando loro giustitia dalle false calunnie che
gli erano state date, volevano questa mattina predicare sul
detto pergamo del Duomo un loro frate secondo l'ingiuria che da
esso pergamo gli era stata fatta, overo quando pur quest'altro
di zoccoli ci dovesse predicare loro voleano similmente mandare
loro frati, li quali gli rinfacciassero tutto quello che haveva
detto della religione essere falso, mostrandosi in questa cosa
molto offesi d'esser talmente ingiuriati, che non potevano
senza gran disonore lasciar di risentirsene. Io che cognoscevo
che, quando non havessi messo le mani dinanzi a questo loro
animo, poteva facilmente per questa gara nascere qualche gran
seditione et disordine, non quanto fosse per li frati soli, che
quando la cosa havesse dovuto solamente passare tra frati e
frati non me ne sarei curato; ma per rispetto di quelli della
terra, li animi delli quali havrebbono potuto applicarsi qual
ad una openione et quali ad un'altra, et massimamente essendovi
pur molti cervelli intelligenti et svegliati come ci sono; e
però parendomi mio debito provedergli con ogni studio, risposi
loro, che di quanto mi riferivano essere stato predicato da
questo frate a carico della loro religione io non sapevo cosa
alcuna, perchè non ero stato a quella predica, nemeno da altri
n'havevo sentito ragionare: ma che bene tenendo il luoco che
tenevo, l'uficio mio era di non lasciare pullulare contese nè
discordie, ma di spegnerle et conservare la unione e la pace in
la città, e che ricordavo anche loro che era cosa molto più
conveniente a buoni religiosi il trattare questa cosa
amichevolmente et fra poca brigata, che esclamarne et
contenderne publicamente; e che, fin che fra loro non erano
d'accordo, io non volevo che nè l'uno nè l'altro predicasse nel
Duomo. Loro mi risposero essere apparechiati a parlarne in
presenza mia col precitato frate zoccolante, e che ogni volta
che lui disdicesse quanto l'haveva detto a carico della
religion loro erano satisfatti, et metterebbono la cosa in
silentio. E mi ricercarono che io lo mandassi a chiamare, il
che non mi parendo de fare così improvisamente, mandai prima a
chiamare il reverendo guardiano di essi di zoccoli, il qual
venuto e me insieme con un altro frate di suoi, qual diceva
essere stato a quella predica, et essendosegli comunicato la
doglianza che facevano questi frati de Santo Agostino,
esortandolo a vedere d'accomodare questa differenza, lui
respose essere nuovo di questa cosa perchè non era stato alla
predica, e che quando pur esso predicatore havesse detto
qualche cosa di dispiacere alli Augustiniani, l'haveva forsi
fatto provocato da colera per una mentita che gli haveva dato
quel frate che gli portò le conclusioni. Et il frate che era
col precitato guardiano, et che diceva essere stato alla
predica, affermava chel predicatore non haveva detto quelle
cose del modo che le esponevano li frati de Santo Agostino.
Replicavano il contrario li augustiniani, et dicevano havere
già fatto examinare molte persone, le quali erano state alla
predica, et che havevano deposto la cosa nel modo che loro la
narravano, e che se il frate di zoccoli era stato ingiuriato da
alcuno delli loro, doveva modestamente dolersene a li suoi
superiori, li quali non seriano mancati di farne opportuna
dimostratione, e non in publico biasimare tutta una religione,
e mettere male impressioni nelle orecchie delli auditori, et
tanto maggiormente che, come diceva il procuratore generale
d'essi Augustiniani qual si ritrovava presente a questo
ragionamento, era di pochi mesi inanzi stata fatta una
constitutione da molti reverendissimi deputati da nostro
signore che nel pergamo niun frate dovesse predicare a carico
d'alcuna religione: ma se si haveva notitia che alcuno fosse in
qualche errore o incredulità, si deferisse alli precitati
reverendissimi deputati. Finalmente, di parere del precitato
guardiano si mandò a chiamare il precitato predicatore di
Zoccoli che dicono sia un frate Francesco Farino de Monferrato,
e così venuto dinanzi a me, li precitati Augustiniani
cominciarono a replicare il sopra detto, lui havere detto a
loro carico, gravandosi delle calunnie che lui gli haveva date,
et instando che lui le negasse overo, le disdicesse, altrimenti
che essi se ne risentirebbono davanti altro più competente
giudice, et non tacerebbono anche quanto incontro potevano
dire. Il prefato predicatore con molta patientia e con tutta
quella consideratione che havrebbe potuto fare, cominciò a dire
che li frati adversarj dicevano la bugia, et lo imputavano di
quel che esso non haveva detto; riferendo quanto alla prima
oppositione havere simplicemente detto chel popolo pregasse Dio
ad inspirare quei frati che facessero elettione di predicatori
et confessori che predicassero et confessassero catholicamente:
e non havere detto che quello non havevano fatto sin qui.
Quanto alla seconda, havere detto che se tutti li frati di
Santo Augustino fossero come erano alcuni dei loro, lui sarebbe
riputato un buffone a predicare per loro quel che non
credevano. Se per la prima li Augustiniani, anchor che
dicessero haverne molte prove, mostravano restare satisfatti,
poi che lui proprio s'era disdetto, sopra la seconda si
dolevano di lui in qualunque modo sel havesse detta, dicendo
che fra loro non conoscevano alcuno nè pur un solo che non
credesse catholicamente, ma che tutti si riputavano fedelissimi
Christiani. Sopra questo il precitato frate cominciò a
nominargli un certo frate Giulio di Santo Augustino, qual
diceva essere già stato perseguitato per incredulo; al che essi
Augustiniani respondevano che frate Giulio non era delli loro,
ma era delli Conventuali. Questo alla prima vedendo esso
predicatore che li precitati Augustiniani toglievano la sua
resposta per una disdetta, cominciò ad adirarsi, et a dire che
per questo lui però non si disdiceva, ma quanto haveva detto,
era ben detto e che non venisse voglia alli adversarj d'andarsi
gloriando d'haverlo fatto disdire, perchè così non era l'animo
suo, et che, anchor che lui fosse qui di transito et gli
importasse il partire, voleva però predicare ancho questa
mattina acciò che li precitati Augustiniani non dicessero che,
se ne fosse fuggito, e cominciò ancho a tassare uno d'essi
Augustiniani, qual ha predicato qui questa quaresima, che
havesse messo in dubio il purgatorio, come a lui era stato
riferito, il qual predicatore di Santo Augustino respose non
havere mai parlato parola del purgatorio in le sue prediche, e
che quanto lui haveva predicato era stata vera dottrina
christiana, et era paratissimo a così sostentare: e quando gli
fosse fatto constare d'havere mal detto, che nol credeva
ridirsi con la propria lingua. Et così essendo sin presso a
sera durata questa quistione senza pigliare forma d'acquetarsi
e concordarsi, et in la quale anchor che quei frati di Santo
Augustino sempre procedessero molto costumatamente e con
humanissime parole, nondimeno quell'altro di zoccoli per il
primo procedeva rottamente et in colera, io li risolsi
chiaramente che io non volevo che loro mi mettessero la città
in conquasso et in rotta con le sue discordie et suoi
dispareri. E che però, quando fra loro non rimanessero
d'accordo, non pensassero alcun di loro di predicare questa
mattina nel Duomo perchè non mi pareva che l'havessero a fare
così partiti da me. E sapendo che havevano a ridursi al
precitato vicario, feci tal ufitio, et tenni tal modo con lui,
che 'l dispose quel frate di zoccoli a non predicare altrimente
questa mattina nel Duomo; ove lui così non ha predicato, nè
meno vi ha predicato alcuno di quelli di Santo Augustino. Non
tacerò che quello di zoccoli disse ancho questa parola; E ci
sono stati di vostri frati che sono andati vantando che
monsignor Augustino, qual ha predicato quest'advento in
Ferrara, n'ha fatto fuggire don Calisto. Al che li Augustiniani
resposero che queste erano parole impertinenti e che li
Augustiniani non potevano havere detto questa cosa non
appartenente a loro, perchè monsignor Augustino non era delli
suoi ma è conventuale.
Il tutto ho voluto, parendomi di qualche importanza, fare
sapere a vostra eccellenza togliendo solamente il succo e la
sostanza di infinite parole che dall'una parte e l'altra furono
dette e replicate, e così questa mia glie ne sia per aviso.
La qui alligata è resposta di quella che, addì passati, vostra
eccellenza scrisse all'illustrissimo signor duca de Mantova
contro quel Guido Del Fante, la qual ha fatto buon frutto.
Spero che sua eccellenza con una sua patente data in mano a
questi adversarj de Guido comette che, in qualonque luogo del
suo Stato egli capiterà, li suoi uficiali gli debbano fare
porre le mani adosso et ritenerlo, il che acciò che così possa
succedere, li precitati suoi adversarj non mancheranno
d'osservare tutti li suoi andamenti per farlo incappare nella
rete.
Nè altro mi occorre dire a vostra eccellenza alla qual bacio le
mani.
Di vostra signoria illustrissima et eccellentissima
_Umil. servitore_ BATTISTINO STROZZI.

Il libretto ereticale che accennammo fu arso in Roma, e Paolo III andava
a scagliare la scomunica contro tutta l'accademia modenese, se il
cardinale Sadoleto non si fosse interposto. Sempre incline alla
mansuetudine, egli scriveva il 12 giugno 1542 al Castelvetro, che il
giorno innanzi in concistoro s'erano portati dei dubbj intorno alla fede
d'essi accademici; egli aver mitigato il pontefice: ma gli esortava con
paterna tenerezza ad attestare il loro attaccamento alla Chiesa
cattolica, e dissipare i motivi di sospetto; e avendo essi risposto
com'e' desiderava, ne li congratula, e gli esorta a diriger tutti
insieme al papa una lettera protestandosi veri e fedeli figliuoli della
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