Gli eretici d'Italia, vol. II - 48
nepote che doveva abjurar. Ed un altro cardinale (Morone?) ancora prese
licenza dal papa per andar fuori della terra, per non si ritrovare,
dubitando di poter essere da tutti riguardato, pel rispetto della
stretta amicizia e conversazion che avea avuta col Carnesecchi, che
dovea comparir tra' condannati. Furono i rei diecisette, de' quali
quindici si sono abjurati, restando condannati, chi serrati in perpetuo
fra due muri, chi in prigion perpetua, chi in galea perpetua o per
tempo, et alcuni appresso in certa somma di danari per la fabbrica che
s'ha da far d'un ospital per gli eretici, e tra questi vi sono stati sei
gentilomini bolognesi; ma gli altri due sono stati rimessi al foro
secolare, e conseguentemente destinati alla morte et al foco. L'uno di
loro è da Cividal di Bellun, frate di san Francesco Conventuale, maestro
di teologia, condannato come relasso; e l'altro il Carnesecchi,
incolpato di aver tenuta già lungo tempo continuamente la eresia di
Lutero e di Calvino, e d'aver più volte ingannato l'officio della
Inquisizione fingendo di pentirsi, ma infatto esser stato sempre
impenitente e pertinace, et in fine d'aver avuto stretta conversazione
et intelligenza con eretici e sospetti d'eresia, scrivendo loro spesse
volte, et ajutandoli con denari. E tra sospetti d'eresia si è nominato
qualcuno che è morto, del quale universalmente si ha già avuta ottima
opinion di bontà e santità, ma pare che si abbia premuto assai in tassar
la Corte del cardinal Polo, non avendo rispetto di nominar alcuno, con
intenzion principalmente di far parer che con qualche causa Paolo IV
avesse cercato di procedere contro di lui e contra i suoi dipendenti, e
per tassar anco con questo forse qualche cardinale.
«Così è passato questo atto di inquisizione, sopra ogn'altro che s'abbia
fatto notabile. E il Carnesecchi, al qual per maggior infelicità è
occorso di essere stato condannato dinanzi la sepoltura di papa Clemente
VII, che sopra ogn'altro lo aveva caro e favoriva, fu vestito di fiamme,
come si usa, insieme col frate, e condotto alla sagrestia a digradare, e
poi menato in Torre di Nona prigione, dove ancora si ritrova per esser
quest'altra settimana giustiziato. Hanno i cardinali dell'Inquisizione
fatta ogni opera per salvargli la vita, ma, come dicono, egli in
prigione ancora dimostrandosi impenitente, ha scritto fuori lettere per
avvertir altri suoi complici, ed ha negata ogni verità, ancor che
chiarissima, lasciandosi convincere sempre colle proprie lettere sue,
onde sono stati astretti far questa sentenza. Si desiderava ch'egli non
morisse, per rispetto di dar qualche satisfazione al duca di Fiorenza,
che lo diede a sua santità, e si sapeva che la regina di Francia,
riconoscendo in parte da lui la sua grandezza, desiderava la sua salute,
se ben ha avuto rispetto di domandarla; ma egli ne' suoi costituti ha
avuto a dire, che la regina dovea ricercar la serenità vostra che
intercedesse per lui. Delle entrate de' suoi benefizj già riscosse, o
che si devono riscuoter fin questo dì, le quali dicono che importano
circa cinquemila scudi all'anno, sua santità in gratificazione del duca
di Fiorenza ha fatto grazia alli suoi parenti. Ma li beneficj che
vacano, che sono principalmente due buone abbazie, l'una nel reame di
Napoli, e l'altra nel Polesine, sua santità non ha voluto in modo alcuno
conferir.....
«Mercoledì fu qui giornata per diversi accidenti assai notabile.
Perciocchè la mattina per tempo fu tagliata in ponte la testa al frate
di Cividal e al Carnesecchi, e l'uno e l'altro poi abbruciato. Morì il
frate di Cividal assai disposto; ma se il Carnesecchi avesse dimostrato
perfetto pentimento, averìa salvata la vita, che tale era la inclinazion
del pontefice e dei cardinali della Inquisizione. È stato egli tanto
vario nel suo dir e forse nel suo creder, che egli medesimo in ultimo
confessò non aver satisfatto nè alli eretici, nè alli cattolici. Fu
fatto domenica passata l'atto della Inquisizione nella Minerva con la
presenza di 72 cardinali: sono stati quattro impenitenti condannati al
fuoco; uno dei quali pentitosi quand'era per essere giustiziato, ebbe
grazia della vita: altri dieci sono abjurati e condannati a diverse
pene, e fra questi Guido Zinetti da Fano, che fu già mandato qua da
Venezia, il quale è stato forse vent'anni immerso nelle eresie, ed ha
avuto parte in tutte le sette. È stato condannato a prigion perpetua, e
gli è stata salvata la vita, parte perchè dicono che per lui si ha avuto
notizia di molte cose importanti, parte perchè non è mai stato abjurato,
e però non si può aver per relapso, se ben ha continuato nell'errore
tanti anni, e li canoni non levano la vita a chi è incorso in errore per
la prima volta».
L'anno stesso il cardinale di Pisa al 2 agosto lodava il principe di
Toscana di quanto apparentemente fu fatto a proposito del Carnesecchi e
narra alcune sue deposizioni intorno a' libri proibiti che quegli aveva,
come Bibbie di Leon Judæ e di Roberto Stefani, il Testamento Nuovo
tradotto da Erasmo, la _Medicina animæ_, il commento di Pietro Martire
sull'epistola ai Romani: il commento di Lutero sopra il Genesi e quello
sopra il Deuteronomio[447].
Oltre il Mollio e Pietro Martire, fuggirono da Firenze per religione
Bardo Lupetino, Antonio Albizi, Gianleone Nardi, il quale molto scrisse
a sostegno delle nuove credenze; frà Michelangelo predicatore, che
vedremo apostolare a Soglio nei Grigioni, e stampò _un'Apologia, nella
quale si tratta della vera e falsa Chiesa, dell'essere e qualità della
messa, della vera presenza di Cristo nel sacramento della Cena, del
papato e primato di san Pietro, de' concilj e autorità loro ecc._
Lodovico Domenichi, prete e noto letterato di mestiere, si credette
avesse tradotto e stampato a Firenze colla data di Basilea la
_Nicomediana_ di Calvino[448], e fu condannato abjurare col libro appeso
al collo, e a dieci anni di carcere, ma ne ottenne remissione per
interposto di monsignor Paolo Giovio. Lo Zilioli, che lasciò manuscritte
certe vite di letterati poco benevole, dopo parlato dello scriver
lascivo del Domenichi soggiunge: «Per quello e per un altro più
importante vizio, dell'avere malamente sentito o parlato della fede
cristiana, fu una volta dagl'inquisitori di Firenze trattenuto, e con
severissimi tormenti esaminato, con tanto rischio della vita che, benchè
non confessasse alcuna di quelle cose, delle quali per chiarissimi
indizj era convinto, restò nondimeno condannato nelle stinche a perpetue
calamità: ancorchè poco dopo, ad istanza di Paolo Giovio ed altri,
ottenesse grazia di uscir di carcere, e di trattenersi in un monastero e
finalmente l'intera libertà».
Il Tiraboschi crede non sia stato processato dall'Inquisizione, bensì
dal duca ad istanza di Carlo V, perchè nella patria Piacenza teneva
relazioni con quei che detestavano la usurpazione fattane allora
dall'imperatore. Si ha del 1553 una medaglia, coniata del valente
Domenico Poggi a onor del Domenichi, il cui rovescio rappresenta un vaso
di fiori, colpito, non bruciato da fulmine, colla legenda ΑΝΑΔΙΔΟΔΑΤΑΙ
ΚΑΙ ΟΥ ΚΑΙΕΙ: _ha colpito e non abbrucia._ Il Domenichi, nel _Dialogo
delle imprese_, ne dà una spiegazione che parrebbe alludere ad una
persecuzione religiosa, dicendo: «Il vaso sta là per la vita umana, i
fiori per le virtù e le grazie che sono doni del Cielo: Dio ha voluto
ch'esse fossero fulminate e colpite, ma non abbruciate e distrutte. Voi
sapete che vi sono fulmini di tre specie, di cui l'uno, per servirmi
delle parole di Plinio, colpisce e non abbrucia: questo è quello che,
arrecandomi tutti i flagelli e le tribolazioni per parte di Dio, il
quale, siccome dice san Paolo, castiga quelli che ama, mi ha fatto
scorgere e riconoscere i benefizj infiniti che mi aveva dispensati, e la
mia ingratitudine».
Prete come lui era il suo antagonista Anton Francesco Doni,
bizzarrissimo come uomo e come scrittore, e che, tra infiniti libercoli
pazzi, scrisse una _Dichiarazione sopra il terzo dell'Apocalisse contro
gli Eretici_. Costui voleva esser emulo dell'Aretino, al quale
pareggiavasi Nicolò Franco, fiero dilaniatore di principi, di papi, del
Concilio di Trento, finchè Pio V lo condannò alla forca. Egli esclamò:
«Questo è poi troppo».
Se qualche mio contemporaneo si ravvisa in questi originali, la colpa
non è dello specchio.
Cresciuti i rigori in Toscana, il Torrentino tipografo migrò ne' paesi
del duca di Savoja, e stampò le storie di Giovanni Sleidan,
probabilmente tradotte dal Domenichi; e i Giunti a Venezia, ove la
maggior libertà lasciava prosperare la tipografia. Alla stamperia dei
Giunti lavorò Francesco Giuntini fiorentino (1522-90) carmelitano, che
scrisse d'astrologia, poi apostatò in Francia, indi ravvedutosi, fece
pubblica abjura in Santa Croce di Lione. Quivi stette correttore di
stampe, e con una banca guadagnò sessantamila scudi, di cui tremila
lasciò ai Giunti; ma sepolto sotto le ruine della propria biblioteca, di
tal somma non si rinvenne traccia. Forse il testamento medesimo era una
celia, perocchè sappiamo ch'egli fu testa balzana e libertino. Lo perchè
il Possevino non crede guarì alla sua ritrattazione, benchè allo
_Speculum astrologiæ_ abbia anteposta una lettera diretta ai vescovi e
agl'inquisitori, protestando, _Ego revoco et tamquam a me nunquam dictum
volo_ ciò che avea scritto contro la Chiesa[449].
Antonio Bruccióli fiorentino, autore di dialoghi sulla filosofia pagana
stampati a Venezia li 1537, durando ancora la repubblica fiorentina
aveva cominciato a sparlare dei monaci: a che tante religioni e tanti
vestimenti? tutti dovrebbero ridursi sotto una regola sola; e non
impacciarsi d'affari mondani, ove non recano che guasto, come è avvenuto
di frà Girolamo; altre volte morendo lasciavasi di che abbellire e
fortificare la città, ora unicamente ai frati, di modo che trionfano e
poltreggiano, invece di lavorare come san Paolo. «Egli era tanto
costante e ostinato in questa cosa de' preti e de' frati, che, per molto
che ne fosse avvertito, e ripreso da più suoi amici, mai non fu ordine
ch'egli rimanere se ne volesse, dicendo, _Chi dice il vero non dice
male_» (VARCHI). Stabilitosi il dominio dei Medici, e svelenendosi egli
anche contro di questi, fu tenuto prigione, come partecipe della
congiura contro il cardinal Giulio: poi avutone perdono, fu di nuovo
imputato d'eresia, onde si salvò a Venezia con due fratelli stampatori,
pei quali pubblicò diverse versioni dal greco e dal latino, e la _Bibbia
tradotta in lingua toscana_ (1532). Questa dedicò al re di Francia, e
pretende averla vulgarizzata sull'originale, ma facilmente un si
convince ch'egli conoscea ben poco d'ebraico, e averla fatta sopra il
latino di Sante Pagnini. Inoltre fu trovata riboccante d'eresie; delle
quali sovrabbonda anche il prolisso commento che ne stese in sette
tomi[450]. Ha un bel confortarlo Pietro Aretino a non badare al
chiaccherar de' frati: quell'opera sua non merita che disprezzo. Nel
_Governo dell'ottimo principe_ si lagna d'esser caduto in disgrazia del
suo principe. E per verità gli avrebbe meritato tutt'altro il suo libro
sulla Toscana, la Francia e l'Impero che sta manuscritto nella
Magliabecchiana, ove suggerisce centotto modi d'impinguare l'erario, i
quali riduconsi a centotto modi di rubare. Inoltre noi trovammo ch'è
faceva da spia al duca, riferendogli i fatti de' fuorusciti[451]. Non
sembra disertasse dalla Chiesa cattolica; pure fu notato dal Concilio di
Trento fra i condannati di prima classe, cioè restandone proibite tutte
le opere.
Più tardi il cronista Settimani, al giugno 1626 rammenta Antonio
Albizzi, che in Firenze istituì l'accademia degli Alterati e fu anche
console dell'Accademia Fiorentina: mentre serviva al cardinale d'Austria
in Germania prese affetto alle dottrine nuove, e con un amico venne in
Italia onde metter sesto agli affari suoi, per poi andare ove
liberamente professarle. Ma scoperti, l'amico fu côlto e dato al
Sant'Uffizio; l'Albizzi fuggì, e tornò ad Innspruk, poi a Kempen in
Svevia; e quando appunto il Sant'Uffizio, mediante cedoloni affissi in
quei dintorni, gli iterava la citazione, morì.
Esso cronista Settimanni di tempo in tempo rammemora alcuni puniti per
eretici. «Addì 27 giugno 1660 in Santa Croce, fu posto sopra elevato
palco Marcello Basini di Pietralunga, d'anni 60, e furongli lette molte
eresie e enormità commesse, in presenza forse di 12 mila persone. Egli
stette sempre ritto in piedi con un cartello al petto e candela gialla
accesa in mano. Sul palco erano da sedici teologi col padre inquisitore,
dal quale fu condannato per cinque anni alle galere.
«1671, 6 dicembre fu eretto un palco nella chiesa di Santa Croce, sul
quale fu esposto alla vista di tutti, per lo spazio che durò la messa
cantata, un giovane con candela gialla in mano e con cartello nel petto
che diceva: _Per bestemmiatore ereticale_».
Un Tosinghi da Anversa fa sapere a Ceccotto Tosinghi d'essersi tolto
l'abito monastico, e sposato con una badessa giovane e nobile[452].
Non men attento stava Cosimo alle cose di Francia, e mandò denari e
uomini a combattervi la guerra di religione, intorno alla quale preziose
notizie son a raccogliere dai carteggi de' suoi residenti; come vi
trovammo lettere di Pio V, spiranti uno zelo smoderato; e sulla guerra
di Fiandra e gli Ugonotti un carteggio continuato di Chiappino Vitello
col principe don Francesco[453]. Anche gli avvisi dell'ambasciador di
Toscana alla Corte cesarea riferivansi sopratutto alle dissensioni
religiose.
In Firenze di solito metteansi inquisitori più cauti, oltre che alla
prudenza erano indotti dalla presenza de' principi. Nelle altre città
invece erano a continui contrasti coi ministri, de' quali intaccavano la
giurisdizione, e a Siena e a Pisa inesorabilmente perseguivano chi
uscisse in proposizioni ambigue, nè tampoco perdonando a leggerezza di
studenti. A Pisa erano consultori del Sant'Uffizio quattro teologi,
quattro legisti, quattro canonisti, quattro metafisici. In una lettera
di Francesco Spino a Pietro Vettori del novembre 1545 è detto che Simone
Porzio nell'Università di Pisa lesse sopra le meteore d'Aristotele, e
come finì, molti gridarono _Dell'anima, dell'anima_, onde di mala voglia
trattò quest'argomento, e fallì l'aspettazione. C'è poi una lettera di
Paolo Giovio, 20 maggio 1551 a questo Porzio, ove fa un'allusione che si
riferirebbe al soggetto nostro, ma che non ben capisco. «Preti riformati
si sono scandalizzati, per non dire ammottinati del titolo del vostro
libro _De mente humana_, dicendo che non vuol dire altro in effetto che
_De libero animæ arbitrio_: per il che è restato arenato, e poco mancò
che non abbi dato attraverso come le galee del duca Orazio»[454]. Nel
1567 gli studenti di Pisa appiccarono l'effigie di un santo; fattone
processo, l'Inquisizione ebbe ad annunziare che un prete côrso spargeva
dottrine ereticali, volendo che agli ecclesiastici si desse moglie, e il
costoro celibato derivare non dallo Spirito Santo ma dal diavolo[455].
Serbandoci a dir a parte di Siena, anche in altre città di Toscana
difondeasi lo spirito anticattolico, e nel 1564 l'Inquisizione di Roma
ammoniva il vescovo di Volterra sopra un'accademia erettasi nella
piccola città di San Geminiano da dilettanti di poesia, i quali
sostenevano che la volontà può esser forzata dall'amore; gente del resto
ignara delle dottrine teologiche[456]. In questa città, nel 1484 e 85
avea predicato il Savonarola con gran frutto. Nella vicina città di
Colle vedremo tener contagiosa abitazione il Paleario. Il vescovo di
Cortona nel 1569 informava il granduca essersi divulgato nella sua città
che era proibito tener croci ed immagini, lo perchè molti le ascondevano
o distruggevano, e chiedeva i modi di riparare a siffatto delirio[457].
Nel 1567 il prevosto di Lari, in occasione del _Corpus Domini_ recò in
processione l'ostensorio senza l'ostia sacra. Peggio fecero i preti e
cherici del Duomo di Pisa, nella messa valendosi d'orina invece del
vino; del che abbiam il processo, come altri contro violatori dei
conventi[458].
Dipoi gravi disturbi recò la pubblicazione della bolla _in Cœna Domini_,
ridotta all'ultima sua forma, sul qual proposito corsero lunghissimi
carteggi.
Già nel 53 erasi pubblicato in Toscana l'editto della romana
Inquisizione contro i libri degli Ebrei, e nominatamente il Talmud. Nel
1558 Paolo IV mettea fuori l'Indice dei libri proibiti, dove inchiudeva
non solo gli ereticali, ma quelli tutti scritti da eretici, o stampati
da chi n'avesse stampato di eretici, obbligando i fedeli a portarli al
Sant'Uffizio. Livio Torello, famoso giuridico, scriveva al Concino
segretario del duca, esser troppo indiscreta questa legge, che colpiva i
migliori libri, per esempio tutti i classici stampati oltremonte, e
recherebbe il danno di centomila ducati alla sola città di Firenze; e
consigliava di non attenervisi, come fecero e Milano e Venezia[459]. In
fatto il duca ordinò non tenesse il divieto se non per libri concernenti
religione, magia, astrologia giudiziaria, sospendendo l'esecuzione per
gli altri: e massimamente impedì che i frati di San Marco bruciassero i
libri riprovati che teneano nella loro biblioteca. Dopo lungo carteggio,
l'Indice venne modificato dal Pasquali, ed allora il 3 marzo 1559 una
quantità di libri fu mandata in fiamme sulle piazze di Santa Croce e di
San Giovanni[460].
Eppure l'ottobre 1570, l'inquisitore scriveva al granduca come fosse
smisurato il numero de' libri proibiti che vendeansi a Firenze, e
domandava di poter ordinare; 1º che i libraj fra quindici giorni diano
la nota di tutti i loro libri, nè abbiano a vendere che i catalogati; 2º
nulla si stampi senza licenza dell'inquisitore; 3º non possano
acquistarsi libri di morti, non visti dal Sant'Uffizio; proponendo multe
pei trasgressori. Il segretario Torelli rispondeva esser inammissibile
il 1º e il 3º punto, pel gran danno che ne ridonderebbe ai mercanti; il
2º già praticavasi; del resto i libraj avevano rimostrato come l'arte
loro fosse già in tal decadenza, che per fattorini e garzoni di bottega
non poteano omai trovar altro che figliuoli di birri[461].
Non vogliamo qui preterire come assai tardi sopravvivesse la venerazione
verso il Savonarola; e al 20 agosto 1593 l'arcivescovo di Firenze[462],
ambasciatore a Roma, scriveva al granduca che «per l'ostinazione de'
frati di San Marco, la memoria di frà Girolamo Savonarola, che era dieci
o dodici anni fa estinta, risorge, pullula, ed è più in fiore che mai
stata sia: si seminano le sue pazzie tra i frati e le monache, tra i
secolari, e nella gioventù: fanno cose prosuntuosissime; occultamente
gli fanno l'offizio come a martire, conservano le sue reliquie come se
santo fusse, insino a quello stilo dove fu appiccato, i ferri che lo
sostennero, li abiti, i cappucci, le ossa che avanzarono al fuoco, le
ceneri, il cilicio: conservano vino benedetto da lui, lo danno alli
infermi, ne contano miracoli: le sue immagini fanno in bronzo, in oro,
in cammei, in stampa, e quello che è peggio, vi fanno inscrizioni di
martire, profeta, vergine e dottore. Io mi sono per l'addietro, per
l'offizio mio, attraversato a molte di queste cose, ho fatto rompere le
stampe. Un frà Bernardo da Castiglione, che n'era stato autore e le
aveva fatte fare, lo feci levare di San Marco, e fu messo in Viterbo,
dove si è morto: ho impedito che la sua immagine non sia dipinta nel
chiostro di Santa Maria Novella in fra i santi dell'Ordine; il sommario
della sua vita e miracoli ho fatto che non sia stampato: ho messo paura
ai frati, gli ho fatti riprendere e ammonire, e penitenziare dai loro
superiori, e a tutto questo mi favorì a spada tratta il cardinale
Justiniano s. m., il qual conosceva l'importanza della cosa.....
«Serenissimo signor mio, per la molta pratica che io ho delli umori di
cotesta città, a me pare che la devozione di frà Girolamo causa duoi
effetti cattivi, anzi pessimi quando vi si gettano, come fanno di
presente; il primo è, che quelli che vi credono si alienano dalla sede
apostolica, e se non diventano eretici, non hanno buona opinion del
clero secolare e de' prelati, e gli obbediscono mal volentieri, ed io lo
pruovo. L'altra, che tocca a vostra altezza, è che si alienano dal
presente felice stato, ed all'altezza vostra concepono un certo odio
intrinseco, se ben la potenza e la paura li fa stare in offizio. Ed io
mi ricordo che Pandolfo Pucci, una volta, poco innanzi che si scoprisse
il suo tradimento, mi disse una mattina grandissimo bene di frà Girolamo
con mia grandissima meraviglia: so che leggeva le sue opere con quelli
altri congiurati... I suoi devoti son sempre queruli, sempre si
lamentano, e perchè temono a parlar del principe, parlano dei suoi
ministri et ordini; si fanno delle conventicole per le case: quando io
lo so che sieno con pretesto di religione li proibisco, ma io di questo
non posso essere molto informato».
E segue esortando a vigilar e punire.
Le cronache di San Marco riferiscono che in Firenze frà Ghislieri fece
processo contro un grande ecclesiastico che tentava d'opporglisi, ma non
sappiamo chi fosse[463].
Nell'archivio di Stato[464] troviamo memoria di Pandolfo Ricasoli, uomo
di bontà singolare, che fe venir da Lione, nel 1636, de' libri di
eretici col titolo di confutarli, e perciò ebbe brighe col Sant'Uffizio.
Non va confuso con altro Pandolfo Ricasoli, di cui diremo a luogo e
tempo.
A noi non parve nojoso il ripescare qua e là notizie relative
all'Inquisizione in Toscana, per chiarire quanto tardi si arrivò a voler
ottenere dalle coscienze spontaneamente fedeli un omaggio più prezioso,
una sommessione più meritoria; a comprendere quanta dignità dia alla
fede la libertà.
NOTE
[412] Per esempio in Santa Croce erano le cappelle degli Obizi, Busini,
Arrighi, Orlandi, Uzzano, Castellani, Baroncelli, Peruzzi, Magalotti,
Bellacci, Gubbio, Salviati, Valori, Covoni, Baldi, Ricasoli, Sacchetti,
Benvenuti, Sirigatti, Orlandi, Infangati, Lupi da Parma, Donati,
Ceffini, Asti, Riccialboni, Cavicciuli, Serristori, Panzano, Pierozzi,
Machiavelli, Tedaldi, Bastari, Spinelli, Pazzi, Cavalcanti, Boscoli,
Baroncelli, Zati, Altoviti, Giugni, Bucelli; tutte con bandiere e
targhe, depostevi per voto o per ringraziamento. Il convento de'
Cappuccini dovea un pranzo a casa Alberti, cui faceano l'invito regolare
e scritto. La famiglia Ughi, discendente dal conte Ugo, aveva il diritto
di ricevere una volta l'anno dall'arcivescovo di Firenze un pranzo. Le
era mandata una tavola imbandita, con cibi prescritti, la più parte di
majale: tutto a fiori e fiocchi, e portata da due servitori, fra la
baldoria di fanciulli, che poi la godevano. Degli Ughi stessi è il fondo
ove si fabbricò il teatro del Cocomero, e si riservarono diritto a un
biglietto tutte le sere, finchè la famiglia si estinse.
[413] _Storia delle Chiese di Firenze_, vol. I, p. 202.
[414] Fra tanti altri, in un manuscritto della Compagnia de' Pellegrini
a Firenze trovo questo:
_Qui non habet caritatem_
_Nihil habet,_
_Et in tenebris et umbra_
_Mortis manet._
_Nos alterutrum amemus,_
_Et in Deum_
_Sicut decet ambulemus_
_Lucis prolem._
_Clamat Dominus, et dicit_
_Clara voce:_
_Ubi fuerint in unum_
_Congregati_
_Propter nomen meum simul_
_Tres vel duo_
_Et in medio eorum_
_Ego ero....._
_Unanimiter excelsum_
_Imploremus_
_Ut det pacem nostris_
_In diebus_
_Jungat fidei speique_
_Opus bonum_
_Ut consortium cantemus_
_Supernorum._
[415] RICHA, _Storia delle Chiese di Firenze_, 8 volumi.
BROCCHI, _Vite de' Santi e Beati fiorentini_.
BISCIONI, _Lettere de' Santi e Beati fiorentini._
Oltre il Razzi e le tante monografie. E vedi qui sopra a pag. 297.
[416] Fra le carte tolte ai conventi, e deposte nella Magliabecchiana,
trovammo pure la storia de' conventi di Santa Maria Novella e di Santa
Croce, ma neppur parola dell'Inquisizione. Le carte di questa dovettero
esser deposte nell'archivio della Curia, dove giaciono in disordine.
[417] Lo Statuto di Firenze era stato compilato la prima volta nel 1353
da Tommaso da Gubbio, e divenne quasi comune a tutta la Toscana, eccetto
il Senese: talchè la repubblica ne commise una nuova redazione a Paolo
di Castro nel 1415. Era talmente accreditato, che, giusta il Gravina,
veniva chiamato _speculum et lucerna juris, virtus juris, dux
universorum, robur veritatis, auriga optimus, Apollo Pythius, Apollinis
oraculum, etc_.
[418] Di questa venuta di Cosimo a Roma fa cenno anche il De Thou,
Historiæ XXVI, sez. 16, dicendo: Fluctuanti (Pio IV p.p.) et de alia
quavis re potius quam de munere pastorali sollicito, supervenit
Cosmus... perhonorificeque exceptus, ac deinde ad colloquium privatum
admissus, rationibus suis pervicit ut Concilium indiceretur. Il
Lagomarsino inveisce contro questo passo (Comm. alle ep. del Poggiano.
Tom. II, pag. 154).
[419] N. CCIC del _Carteggio di papi e cardinali_ nell'Archivio di Stato
a Firenze.
[420] Già riferimmo nel Discorso XXXI, nota 15, alcun che delle
relazioni fiorentine sopra il Concilio di Trento. Singolarmente notevoli
sono le corrispondenze di Bernardo Daretti nel 1546, di Pier Francesco
del Riccio nei numeri 47 e 48 del _Carteggio universale_ nell'Archivio
di Stato. Ambasciadore pel duca al Concilio era Giovanni Strozzi, poi
Jacobo Guida vescovo di Penna. Del primo (al nº 4011) leggiam questa
lettera del 1555 15 marzo al granduca:
«Essendo occorse più volte quistioni fra servidori, come spesso accade
dove sono tante persone e di così diverse condizioni, e andatisi a poco
a poco ampliando e facendosi interesse di nazioni subito che duoi
s'affrontavano, del che qui si dà la colpa maggiore alli Spagnuoli,
parendo che sieno vaghi di far quadriglie, venerdì alquanti di loro
vennero alle mani con certi Italiani, e chiamando ciascheduno la sua
nazione, crebbe la zuffa con molti feriti et alcuni morti, di sorte che
il capitano della terra fece sonare a martello, e levato in arme il
popolo, quietò il tumulto, et ha ordinato certe guardie per ovviare a
simile scandalo».
Al 28 aprile 1563, Jacobo Guida scriveva al duca da Trento (nº 4015 del
_Carteggio mediceo_):
«Venne qui nuova, li 24 di questo, a monsignor d'Augusta, ambasciador
dell'illustrissimo duca di Savoja, d'una congiura che s'era scoperta di
certi Ugonotti di ammazzare quel duca e duchessa ancora, ed essersi
scoperta in questo modo. Un portiere di s. e., ingelosito che un suo
segretario non si raggirasse intorno alla moglie, venne seco alle mani,
tanto che l'ammazzò, sebbene egli restò ferito assai malamente: e preso
dalla giustizia e condannato alla morte, pregò quegli ministri che
dovessino sopratenere tanto l'esecuzione contro di lui ch'egli potesse
far intendere a s. e. alcune cose che gli sarebbono di salute,
rimettendosi alla bontà sua, intesa che n'avesse l'importanza, del
campargli poi o no la vita, avendo fatto quanto aveva per il suo onore.
Rivelò adunque come, per opera del principe di Condé, tre camerieri di
s. e. avevano determinato di torle, e alla duchessa ancora, la vita, e
che un italiano, che si tratteneva in quella Corte, era stato a nome del
medesimo principe ricercato, che, preso da lui conveniente stipendio, si
trattenesse in quella Corte per potergli far un dì qualche rilevato
servigio, al che l'italiano non volle consentire altrimenti. Questi tre
camerieri furono presi subito per intender da loro tutto il disegno, e
gli altri capi ed interessati. E di pochi giorni innanzi era venuto
nuova che monsignor illustrissimo di Lorena aveva in Venezia avuto
lettere che la regina di Scozia aveva portato pericolo della vita per
modo insolito: che in camera sua era entrato sotto il letto, poche ore
innanzi che ella se n'avesse a ire a dormire, uno armato tutto d'arma
bianca per ammazzarla la notte. Ma successe che, parendogli di sentire
qualche poco di movimento, e facendo cercare tutte le stanze sue
contigue alla camera, nè trovando cosa alcuna, commesse ancora che si
vedesse sotto il letto. Dove scoperto costui, e fatto mettere in mano
licenza dal papa per andar fuori della terra, per non si ritrovare,
dubitando di poter essere da tutti riguardato, pel rispetto della
stretta amicizia e conversazion che avea avuta col Carnesecchi, che
dovea comparir tra' condannati. Furono i rei diecisette, de' quali
quindici si sono abjurati, restando condannati, chi serrati in perpetuo
fra due muri, chi in prigion perpetua, chi in galea perpetua o per
tempo, et alcuni appresso in certa somma di danari per la fabbrica che
s'ha da far d'un ospital per gli eretici, e tra questi vi sono stati sei
gentilomini bolognesi; ma gli altri due sono stati rimessi al foro
secolare, e conseguentemente destinati alla morte et al foco. L'uno di
loro è da Cividal di Bellun, frate di san Francesco Conventuale, maestro
di teologia, condannato come relasso; e l'altro il Carnesecchi,
incolpato di aver tenuta già lungo tempo continuamente la eresia di
Lutero e di Calvino, e d'aver più volte ingannato l'officio della
Inquisizione fingendo di pentirsi, ma infatto esser stato sempre
impenitente e pertinace, et in fine d'aver avuto stretta conversazione
et intelligenza con eretici e sospetti d'eresia, scrivendo loro spesse
volte, et ajutandoli con denari. E tra sospetti d'eresia si è nominato
qualcuno che è morto, del quale universalmente si ha già avuta ottima
opinion di bontà e santità, ma pare che si abbia premuto assai in tassar
la Corte del cardinal Polo, non avendo rispetto di nominar alcuno, con
intenzion principalmente di far parer che con qualche causa Paolo IV
avesse cercato di procedere contro di lui e contra i suoi dipendenti, e
per tassar anco con questo forse qualche cardinale.
«Così è passato questo atto di inquisizione, sopra ogn'altro che s'abbia
fatto notabile. E il Carnesecchi, al qual per maggior infelicità è
occorso di essere stato condannato dinanzi la sepoltura di papa Clemente
VII, che sopra ogn'altro lo aveva caro e favoriva, fu vestito di fiamme,
come si usa, insieme col frate, e condotto alla sagrestia a digradare, e
poi menato in Torre di Nona prigione, dove ancora si ritrova per esser
quest'altra settimana giustiziato. Hanno i cardinali dell'Inquisizione
fatta ogni opera per salvargli la vita, ma, come dicono, egli in
prigione ancora dimostrandosi impenitente, ha scritto fuori lettere per
avvertir altri suoi complici, ed ha negata ogni verità, ancor che
chiarissima, lasciandosi convincere sempre colle proprie lettere sue,
onde sono stati astretti far questa sentenza. Si desiderava ch'egli non
morisse, per rispetto di dar qualche satisfazione al duca di Fiorenza,
che lo diede a sua santità, e si sapeva che la regina di Francia,
riconoscendo in parte da lui la sua grandezza, desiderava la sua salute,
se ben ha avuto rispetto di domandarla; ma egli ne' suoi costituti ha
avuto a dire, che la regina dovea ricercar la serenità vostra che
intercedesse per lui. Delle entrate de' suoi benefizj già riscosse, o
che si devono riscuoter fin questo dì, le quali dicono che importano
circa cinquemila scudi all'anno, sua santità in gratificazione del duca
di Fiorenza ha fatto grazia alli suoi parenti. Ma li beneficj che
vacano, che sono principalmente due buone abbazie, l'una nel reame di
Napoli, e l'altra nel Polesine, sua santità non ha voluto in modo alcuno
conferir.....
«Mercoledì fu qui giornata per diversi accidenti assai notabile.
Perciocchè la mattina per tempo fu tagliata in ponte la testa al frate
di Cividal e al Carnesecchi, e l'uno e l'altro poi abbruciato. Morì il
frate di Cividal assai disposto; ma se il Carnesecchi avesse dimostrato
perfetto pentimento, averìa salvata la vita, che tale era la inclinazion
del pontefice e dei cardinali della Inquisizione. È stato egli tanto
vario nel suo dir e forse nel suo creder, che egli medesimo in ultimo
confessò non aver satisfatto nè alli eretici, nè alli cattolici. Fu
fatto domenica passata l'atto della Inquisizione nella Minerva con la
presenza di 72 cardinali: sono stati quattro impenitenti condannati al
fuoco; uno dei quali pentitosi quand'era per essere giustiziato, ebbe
grazia della vita: altri dieci sono abjurati e condannati a diverse
pene, e fra questi Guido Zinetti da Fano, che fu già mandato qua da
Venezia, il quale è stato forse vent'anni immerso nelle eresie, ed ha
avuto parte in tutte le sette. È stato condannato a prigion perpetua, e
gli è stata salvata la vita, parte perchè dicono che per lui si ha avuto
notizia di molte cose importanti, parte perchè non è mai stato abjurato,
e però non si può aver per relapso, se ben ha continuato nell'errore
tanti anni, e li canoni non levano la vita a chi è incorso in errore per
la prima volta».
L'anno stesso il cardinale di Pisa al 2 agosto lodava il principe di
Toscana di quanto apparentemente fu fatto a proposito del Carnesecchi e
narra alcune sue deposizioni intorno a' libri proibiti che quegli aveva,
come Bibbie di Leon Judæ e di Roberto Stefani, il Testamento Nuovo
tradotto da Erasmo, la _Medicina animæ_, il commento di Pietro Martire
sull'epistola ai Romani: il commento di Lutero sopra il Genesi e quello
sopra il Deuteronomio[447].
Oltre il Mollio e Pietro Martire, fuggirono da Firenze per religione
Bardo Lupetino, Antonio Albizi, Gianleone Nardi, il quale molto scrisse
a sostegno delle nuove credenze; frà Michelangelo predicatore, che
vedremo apostolare a Soglio nei Grigioni, e stampò _un'Apologia, nella
quale si tratta della vera e falsa Chiesa, dell'essere e qualità della
messa, della vera presenza di Cristo nel sacramento della Cena, del
papato e primato di san Pietro, de' concilj e autorità loro ecc._
Lodovico Domenichi, prete e noto letterato di mestiere, si credette
avesse tradotto e stampato a Firenze colla data di Basilea la
_Nicomediana_ di Calvino[448], e fu condannato abjurare col libro appeso
al collo, e a dieci anni di carcere, ma ne ottenne remissione per
interposto di monsignor Paolo Giovio. Lo Zilioli, che lasciò manuscritte
certe vite di letterati poco benevole, dopo parlato dello scriver
lascivo del Domenichi soggiunge: «Per quello e per un altro più
importante vizio, dell'avere malamente sentito o parlato della fede
cristiana, fu una volta dagl'inquisitori di Firenze trattenuto, e con
severissimi tormenti esaminato, con tanto rischio della vita che, benchè
non confessasse alcuna di quelle cose, delle quali per chiarissimi
indizj era convinto, restò nondimeno condannato nelle stinche a perpetue
calamità: ancorchè poco dopo, ad istanza di Paolo Giovio ed altri,
ottenesse grazia di uscir di carcere, e di trattenersi in un monastero e
finalmente l'intera libertà».
Il Tiraboschi crede non sia stato processato dall'Inquisizione, bensì
dal duca ad istanza di Carlo V, perchè nella patria Piacenza teneva
relazioni con quei che detestavano la usurpazione fattane allora
dall'imperatore. Si ha del 1553 una medaglia, coniata del valente
Domenico Poggi a onor del Domenichi, il cui rovescio rappresenta un vaso
di fiori, colpito, non bruciato da fulmine, colla legenda ΑΝΑΔΙΔΟΔΑΤΑΙ
ΚΑΙ ΟΥ ΚΑΙΕΙ: _ha colpito e non abbrucia._ Il Domenichi, nel _Dialogo
delle imprese_, ne dà una spiegazione che parrebbe alludere ad una
persecuzione religiosa, dicendo: «Il vaso sta là per la vita umana, i
fiori per le virtù e le grazie che sono doni del Cielo: Dio ha voluto
ch'esse fossero fulminate e colpite, ma non abbruciate e distrutte. Voi
sapete che vi sono fulmini di tre specie, di cui l'uno, per servirmi
delle parole di Plinio, colpisce e non abbrucia: questo è quello che,
arrecandomi tutti i flagelli e le tribolazioni per parte di Dio, il
quale, siccome dice san Paolo, castiga quelli che ama, mi ha fatto
scorgere e riconoscere i benefizj infiniti che mi aveva dispensati, e la
mia ingratitudine».
Prete come lui era il suo antagonista Anton Francesco Doni,
bizzarrissimo come uomo e come scrittore, e che, tra infiniti libercoli
pazzi, scrisse una _Dichiarazione sopra il terzo dell'Apocalisse contro
gli Eretici_. Costui voleva esser emulo dell'Aretino, al quale
pareggiavasi Nicolò Franco, fiero dilaniatore di principi, di papi, del
Concilio di Trento, finchè Pio V lo condannò alla forca. Egli esclamò:
«Questo è poi troppo».
Se qualche mio contemporaneo si ravvisa in questi originali, la colpa
non è dello specchio.
Cresciuti i rigori in Toscana, il Torrentino tipografo migrò ne' paesi
del duca di Savoja, e stampò le storie di Giovanni Sleidan,
probabilmente tradotte dal Domenichi; e i Giunti a Venezia, ove la
maggior libertà lasciava prosperare la tipografia. Alla stamperia dei
Giunti lavorò Francesco Giuntini fiorentino (1522-90) carmelitano, che
scrisse d'astrologia, poi apostatò in Francia, indi ravvedutosi, fece
pubblica abjura in Santa Croce di Lione. Quivi stette correttore di
stampe, e con una banca guadagnò sessantamila scudi, di cui tremila
lasciò ai Giunti; ma sepolto sotto le ruine della propria biblioteca, di
tal somma non si rinvenne traccia. Forse il testamento medesimo era una
celia, perocchè sappiamo ch'egli fu testa balzana e libertino. Lo perchè
il Possevino non crede guarì alla sua ritrattazione, benchè allo
_Speculum astrologiæ_ abbia anteposta una lettera diretta ai vescovi e
agl'inquisitori, protestando, _Ego revoco et tamquam a me nunquam dictum
volo_ ciò che avea scritto contro la Chiesa[449].
Antonio Bruccióli fiorentino, autore di dialoghi sulla filosofia pagana
stampati a Venezia li 1537, durando ancora la repubblica fiorentina
aveva cominciato a sparlare dei monaci: a che tante religioni e tanti
vestimenti? tutti dovrebbero ridursi sotto una regola sola; e non
impacciarsi d'affari mondani, ove non recano che guasto, come è avvenuto
di frà Girolamo; altre volte morendo lasciavasi di che abbellire e
fortificare la città, ora unicamente ai frati, di modo che trionfano e
poltreggiano, invece di lavorare come san Paolo. «Egli era tanto
costante e ostinato in questa cosa de' preti e de' frati, che, per molto
che ne fosse avvertito, e ripreso da più suoi amici, mai non fu ordine
ch'egli rimanere se ne volesse, dicendo, _Chi dice il vero non dice
male_» (VARCHI). Stabilitosi il dominio dei Medici, e svelenendosi egli
anche contro di questi, fu tenuto prigione, come partecipe della
congiura contro il cardinal Giulio: poi avutone perdono, fu di nuovo
imputato d'eresia, onde si salvò a Venezia con due fratelli stampatori,
pei quali pubblicò diverse versioni dal greco e dal latino, e la _Bibbia
tradotta in lingua toscana_ (1532). Questa dedicò al re di Francia, e
pretende averla vulgarizzata sull'originale, ma facilmente un si
convince ch'egli conoscea ben poco d'ebraico, e averla fatta sopra il
latino di Sante Pagnini. Inoltre fu trovata riboccante d'eresie; delle
quali sovrabbonda anche il prolisso commento che ne stese in sette
tomi[450]. Ha un bel confortarlo Pietro Aretino a non badare al
chiaccherar de' frati: quell'opera sua non merita che disprezzo. Nel
_Governo dell'ottimo principe_ si lagna d'esser caduto in disgrazia del
suo principe. E per verità gli avrebbe meritato tutt'altro il suo libro
sulla Toscana, la Francia e l'Impero che sta manuscritto nella
Magliabecchiana, ove suggerisce centotto modi d'impinguare l'erario, i
quali riduconsi a centotto modi di rubare. Inoltre noi trovammo ch'è
faceva da spia al duca, riferendogli i fatti de' fuorusciti[451]. Non
sembra disertasse dalla Chiesa cattolica; pure fu notato dal Concilio di
Trento fra i condannati di prima classe, cioè restandone proibite tutte
le opere.
Più tardi il cronista Settimani, al giugno 1626 rammenta Antonio
Albizzi, che in Firenze istituì l'accademia degli Alterati e fu anche
console dell'Accademia Fiorentina: mentre serviva al cardinale d'Austria
in Germania prese affetto alle dottrine nuove, e con un amico venne in
Italia onde metter sesto agli affari suoi, per poi andare ove
liberamente professarle. Ma scoperti, l'amico fu côlto e dato al
Sant'Uffizio; l'Albizzi fuggì, e tornò ad Innspruk, poi a Kempen in
Svevia; e quando appunto il Sant'Uffizio, mediante cedoloni affissi in
quei dintorni, gli iterava la citazione, morì.
Esso cronista Settimanni di tempo in tempo rammemora alcuni puniti per
eretici. «Addì 27 giugno 1660 in Santa Croce, fu posto sopra elevato
palco Marcello Basini di Pietralunga, d'anni 60, e furongli lette molte
eresie e enormità commesse, in presenza forse di 12 mila persone. Egli
stette sempre ritto in piedi con un cartello al petto e candela gialla
accesa in mano. Sul palco erano da sedici teologi col padre inquisitore,
dal quale fu condannato per cinque anni alle galere.
«1671, 6 dicembre fu eretto un palco nella chiesa di Santa Croce, sul
quale fu esposto alla vista di tutti, per lo spazio che durò la messa
cantata, un giovane con candela gialla in mano e con cartello nel petto
che diceva: _Per bestemmiatore ereticale_».
Un Tosinghi da Anversa fa sapere a Ceccotto Tosinghi d'essersi tolto
l'abito monastico, e sposato con una badessa giovane e nobile[452].
Non men attento stava Cosimo alle cose di Francia, e mandò denari e
uomini a combattervi la guerra di religione, intorno alla quale preziose
notizie son a raccogliere dai carteggi de' suoi residenti; come vi
trovammo lettere di Pio V, spiranti uno zelo smoderato; e sulla guerra
di Fiandra e gli Ugonotti un carteggio continuato di Chiappino Vitello
col principe don Francesco[453]. Anche gli avvisi dell'ambasciador di
Toscana alla Corte cesarea riferivansi sopratutto alle dissensioni
religiose.
In Firenze di solito metteansi inquisitori più cauti, oltre che alla
prudenza erano indotti dalla presenza de' principi. Nelle altre città
invece erano a continui contrasti coi ministri, de' quali intaccavano la
giurisdizione, e a Siena e a Pisa inesorabilmente perseguivano chi
uscisse in proposizioni ambigue, nè tampoco perdonando a leggerezza di
studenti. A Pisa erano consultori del Sant'Uffizio quattro teologi,
quattro legisti, quattro canonisti, quattro metafisici. In una lettera
di Francesco Spino a Pietro Vettori del novembre 1545 è detto che Simone
Porzio nell'Università di Pisa lesse sopra le meteore d'Aristotele, e
come finì, molti gridarono _Dell'anima, dell'anima_, onde di mala voglia
trattò quest'argomento, e fallì l'aspettazione. C'è poi una lettera di
Paolo Giovio, 20 maggio 1551 a questo Porzio, ove fa un'allusione che si
riferirebbe al soggetto nostro, ma che non ben capisco. «Preti riformati
si sono scandalizzati, per non dire ammottinati del titolo del vostro
libro _De mente humana_, dicendo che non vuol dire altro in effetto che
_De libero animæ arbitrio_: per il che è restato arenato, e poco mancò
che non abbi dato attraverso come le galee del duca Orazio»[454]. Nel
1567 gli studenti di Pisa appiccarono l'effigie di un santo; fattone
processo, l'Inquisizione ebbe ad annunziare che un prete côrso spargeva
dottrine ereticali, volendo che agli ecclesiastici si desse moglie, e il
costoro celibato derivare non dallo Spirito Santo ma dal diavolo[455].
Serbandoci a dir a parte di Siena, anche in altre città di Toscana
difondeasi lo spirito anticattolico, e nel 1564 l'Inquisizione di Roma
ammoniva il vescovo di Volterra sopra un'accademia erettasi nella
piccola città di San Geminiano da dilettanti di poesia, i quali
sostenevano che la volontà può esser forzata dall'amore; gente del resto
ignara delle dottrine teologiche[456]. In questa città, nel 1484 e 85
avea predicato il Savonarola con gran frutto. Nella vicina città di
Colle vedremo tener contagiosa abitazione il Paleario. Il vescovo di
Cortona nel 1569 informava il granduca essersi divulgato nella sua città
che era proibito tener croci ed immagini, lo perchè molti le ascondevano
o distruggevano, e chiedeva i modi di riparare a siffatto delirio[457].
Nel 1567 il prevosto di Lari, in occasione del _Corpus Domini_ recò in
processione l'ostensorio senza l'ostia sacra. Peggio fecero i preti e
cherici del Duomo di Pisa, nella messa valendosi d'orina invece del
vino; del che abbiam il processo, come altri contro violatori dei
conventi[458].
Dipoi gravi disturbi recò la pubblicazione della bolla _in Cœna Domini_,
ridotta all'ultima sua forma, sul qual proposito corsero lunghissimi
carteggi.
Già nel 53 erasi pubblicato in Toscana l'editto della romana
Inquisizione contro i libri degli Ebrei, e nominatamente il Talmud. Nel
1558 Paolo IV mettea fuori l'Indice dei libri proibiti, dove inchiudeva
non solo gli ereticali, ma quelli tutti scritti da eretici, o stampati
da chi n'avesse stampato di eretici, obbligando i fedeli a portarli al
Sant'Uffizio. Livio Torello, famoso giuridico, scriveva al Concino
segretario del duca, esser troppo indiscreta questa legge, che colpiva i
migliori libri, per esempio tutti i classici stampati oltremonte, e
recherebbe il danno di centomila ducati alla sola città di Firenze; e
consigliava di non attenervisi, come fecero e Milano e Venezia[459]. In
fatto il duca ordinò non tenesse il divieto se non per libri concernenti
religione, magia, astrologia giudiziaria, sospendendo l'esecuzione per
gli altri: e massimamente impedì che i frati di San Marco bruciassero i
libri riprovati che teneano nella loro biblioteca. Dopo lungo carteggio,
l'Indice venne modificato dal Pasquali, ed allora il 3 marzo 1559 una
quantità di libri fu mandata in fiamme sulle piazze di Santa Croce e di
San Giovanni[460].
Eppure l'ottobre 1570, l'inquisitore scriveva al granduca come fosse
smisurato il numero de' libri proibiti che vendeansi a Firenze, e
domandava di poter ordinare; 1º che i libraj fra quindici giorni diano
la nota di tutti i loro libri, nè abbiano a vendere che i catalogati; 2º
nulla si stampi senza licenza dell'inquisitore; 3º non possano
acquistarsi libri di morti, non visti dal Sant'Uffizio; proponendo multe
pei trasgressori. Il segretario Torelli rispondeva esser inammissibile
il 1º e il 3º punto, pel gran danno che ne ridonderebbe ai mercanti; il
2º già praticavasi; del resto i libraj avevano rimostrato come l'arte
loro fosse già in tal decadenza, che per fattorini e garzoni di bottega
non poteano omai trovar altro che figliuoli di birri[461].
Non vogliamo qui preterire come assai tardi sopravvivesse la venerazione
verso il Savonarola; e al 20 agosto 1593 l'arcivescovo di Firenze[462],
ambasciatore a Roma, scriveva al granduca che «per l'ostinazione de'
frati di San Marco, la memoria di frà Girolamo Savonarola, che era dieci
o dodici anni fa estinta, risorge, pullula, ed è più in fiore che mai
stata sia: si seminano le sue pazzie tra i frati e le monache, tra i
secolari, e nella gioventù: fanno cose prosuntuosissime; occultamente
gli fanno l'offizio come a martire, conservano le sue reliquie come se
santo fusse, insino a quello stilo dove fu appiccato, i ferri che lo
sostennero, li abiti, i cappucci, le ossa che avanzarono al fuoco, le
ceneri, il cilicio: conservano vino benedetto da lui, lo danno alli
infermi, ne contano miracoli: le sue immagini fanno in bronzo, in oro,
in cammei, in stampa, e quello che è peggio, vi fanno inscrizioni di
martire, profeta, vergine e dottore. Io mi sono per l'addietro, per
l'offizio mio, attraversato a molte di queste cose, ho fatto rompere le
stampe. Un frà Bernardo da Castiglione, che n'era stato autore e le
aveva fatte fare, lo feci levare di San Marco, e fu messo in Viterbo,
dove si è morto: ho impedito che la sua immagine non sia dipinta nel
chiostro di Santa Maria Novella in fra i santi dell'Ordine; il sommario
della sua vita e miracoli ho fatto che non sia stampato: ho messo paura
ai frati, gli ho fatti riprendere e ammonire, e penitenziare dai loro
superiori, e a tutto questo mi favorì a spada tratta il cardinale
Justiniano s. m., il qual conosceva l'importanza della cosa.....
«Serenissimo signor mio, per la molta pratica che io ho delli umori di
cotesta città, a me pare che la devozione di frà Girolamo causa duoi
effetti cattivi, anzi pessimi quando vi si gettano, come fanno di
presente; il primo è, che quelli che vi credono si alienano dalla sede
apostolica, e se non diventano eretici, non hanno buona opinion del
clero secolare e de' prelati, e gli obbediscono mal volentieri, ed io lo
pruovo. L'altra, che tocca a vostra altezza, è che si alienano dal
presente felice stato, ed all'altezza vostra concepono un certo odio
intrinseco, se ben la potenza e la paura li fa stare in offizio. Ed io
mi ricordo che Pandolfo Pucci, una volta, poco innanzi che si scoprisse
il suo tradimento, mi disse una mattina grandissimo bene di frà Girolamo
con mia grandissima meraviglia: so che leggeva le sue opere con quelli
altri congiurati... I suoi devoti son sempre queruli, sempre si
lamentano, e perchè temono a parlar del principe, parlano dei suoi
ministri et ordini; si fanno delle conventicole per le case: quando io
lo so che sieno con pretesto di religione li proibisco, ma io di questo
non posso essere molto informato».
E segue esortando a vigilar e punire.
Le cronache di San Marco riferiscono che in Firenze frà Ghislieri fece
processo contro un grande ecclesiastico che tentava d'opporglisi, ma non
sappiamo chi fosse[463].
Nell'archivio di Stato[464] troviamo memoria di Pandolfo Ricasoli, uomo
di bontà singolare, che fe venir da Lione, nel 1636, de' libri di
eretici col titolo di confutarli, e perciò ebbe brighe col Sant'Uffizio.
Non va confuso con altro Pandolfo Ricasoli, di cui diremo a luogo e
tempo.
A noi non parve nojoso il ripescare qua e là notizie relative
all'Inquisizione in Toscana, per chiarire quanto tardi si arrivò a voler
ottenere dalle coscienze spontaneamente fedeli un omaggio più prezioso,
una sommessione più meritoria; a comprendere quanta dignità dia alla
fede la libertà.
NOTE
[412] Per esempio in Santa Croce erano le cappelle degli Obizi, Busini,
Arrighi, Orlandi, Uzzano, Castellani, Baroncelli, Peruzzi, Magalotti,
Bellacci, Gubbio, Salviati, Valori, Covoni, Baldi, Ricasoli, Sacchetti,
Benvenuti, Sirigatti, Orlandi, Infangati, Lupi da Parma, Donati,
Ceffini, Asti, Riccialboni, Cavicciuli, Serristori, Panzano, Pierozzi,
Machiavelli, Tedaldi, Bastari, Spinelli, Pazzi, Cavalcanti, Boscoli,
Baroncelli, Zati, Altoviti, Giugni, Bucelli; tutte con bandiere e
targhe, depostevi per voto o per ringraziamento. Il convento de'
Cappuccini dovea un pranzo a casa Alberti, cui faceano l'invito regolare
e scritto. La famiglia Ughi, discendente dal conte Ugo, aveva il diritto
di ricevere una volta l'anno dall'arcivescovo di Firenze un pranzo. Le
era mandata una tavola imbandita, con cibi prescritti, la più parte di
majale: tutto a fiori e fiocchi, e portata da due servitori, fra la
baldoria di fanciulli, che poi la godevano. Degli Ughi stessi è il fondo
ove si fabbricò il teatro del Cocomero, e si riservarono diritto a un
biglietto tutte le sere, finchè la famiglia si estinse.
[413] _Storia delle Chiese di Firenze_, vol. I, p. 202.
[414] Fra tanti altri, in un manuscritto della Compagnia de' Pellegrini
a Firenze trovo questo:
_Qui non habet caritatem_
_Nihil habet,_
_Et in tenebris et umbra_
_Mortis manet._
_Nos alterutrum amemus,_
_Et in Deum_
_Sicut decet ambulemus_
_Lucis prolem._
_Clamat Dominus, et dicit_
_Clara voce:_
_Ubi fuerint in unum_
_Congregati_
_Propter nomen meum simul_
_Tres vel duo_
_Et in medio eorum_
_Ego ero....._
_Unanimiter excelsum_
_Imploremus_
_Ut det pacem nostris_
_In diebus_
_Jungat fidei speique_
_Opus bonum_
_Ut consortium cantemus_
_Supernorum._
[415] RICHA, _Storia delle Chiese di Firenze_, 8 volumi.
BROCCHI, _Vite de' Santi e Beati fiorentini_.
BISCIONI, _Lettere de' Santi e Beati fiorentini._
Oltre il Razzi e le tante monografie. E vedi qui sopra a pag. 297.
[416] Fra le carte tolte ai conventi, e deposte nella Magliabecchiana,
trovammo pure la storia de' conventi di Santa Maria Novella e di Santa
Croce, ma neppur parola dell'Inquisizione. Le carte di questa dovettero
esser deposte nell'archivio della Curia, dove giaciono in disordine.
[417] Lo Statuto di Firenze era stato compilato la prima volta nel 1353
da Tommaso da Gubbio, e divenne quasi comune a tutta la Toscana, eccetto
il Senese: talchè la repubblica ne commise una nuova redazione a Paolo
di Castro nel 1415. Era talmente accreditato, che, giusta il Gravina,
veniva chiamato _speculum et lucerna juris, virtus juris, dux
universorum, robur veritatis, auriga optimus, Apollo Pythius, Apollinis
oraculum, etc_.
[418] Di questa venuta di Cosimo a Roma fa cenno anche il De Thou,
Historiæ XXVI, sez. 16, dicendo: Fluctuanti (Pio IV p.p.) et de alia
quavis re potius quam de munere pastorali sollicito, supervenit
Cosmus... perhonorificeque exceptus, ac deinde ad colloquium privatum
admissus, rationibus suis pervicit ut Concilium indiceretur. Il
Lagomarsino inveisce contro questo passo (Comm. alle ep. del Poggiano.
Tom. II, pag. 154).
[419] N. CCIC del _Carteggio di papi e cardinali_ nell'Archivio di Stato
a Firenze.
[420] Già riferimmo nel Discorso XXXI, nota 15, alcun che delle
relazioni fiorentine sopra il Concilio di Trento. Singolarmente notevoli
sono le corrispondenze di Bernardo Daretti nel 1546, di Pier Francesco
del Riccio nei numeri 47 e 48 del _Carteggio universale_ nell'Archivio
di Stato. Ambasciadore pel duca al Concilio era Giovanni Strozzi, poi
Jacobo Guida vescovo di Penna. Del primo (al nº 4011) leggiam questa
lettera del 1555 15 marzo al granduca:
«Essendo occorse più volte quistioni fra servidori, come spesso accade
dove sono tante persone e di così diverse condizioni, e andatisi a poco
a poco ampliando e facendosi interesse di nazioni subito che duoi
s'affrontavano, del che qui si dà la colpa maggiore alli Spagnuoli,
parendo che sieno vaghi di far quadriglie, venerdì alquanti di loro
vennero alle mani con certi Italiani, e chiamando ciascheduno la sua
nazione, crebbe la zuffa con molti feriti et alcuni morti, di sorte che
il capitano della terra fece sonare a martello, e levato in arme il
popolo, quietò il tumulto, et ha ordinato certe guardie per ovviare a
simile scandalo».
Al 28 aprile 1563, Jacobo Guida scriveva al duca da Trento (nº 4015 del
_Carteggio mediceo_):
«Venne qui nuova, li 24 di questo, a monsignor d'Augusta, ambasciador
dell'illustrissimo duca di Savoja, d'una congiura che s'era scoperta di
certi Ugonotti di ammazzare quel duca e duchessa ancora, ed essersi
scoperta in questo modo. Un portiere di s. e., ingelosito che un suo
segretario non si raggirasse intorno alla moglie, venne seco alle mani,
tanto che l'ammazzò, sebbene egli restò ferito assai malamente: e preso
dalla giustizia e condannato alla morte, pregò quegli ministri che
dovessino sopratenere tanto l'esecuzione contro di lui ch'egli potesse
far intendere a s. e. alcune cose che gli sarebbono di salute,
rimettendosi alla bontà sua, intesa che n'avesse l'importanza, del
campargli poi o no la vita, avendo fatto quanto aveva per il suo onore.
Rivelò adunque come, per opera del principe di Condé, tre camerieri di
s. e. avevano determinato di torle, e alla duchessa ancora, la vita, e
che un italiano, che si tratteneva in quella Corte, era stato a nome del
medesimo principe ricercato, che, preso da lui conveniente stipendio, si
trattenesse in quella Corte per potergli far un dì qualche rilevato
servigio, al che l'italiano non volle consentire altrimenti. Questi tre
camerieri furono presi subito per intender da loro tutto il disegno, e
gli altri capi ed interessati. E di pochi giorni innanzi era venuto
nuova che monsignor illustrissimo di Lorena aveva in Venezia avuto
lettere che la regina di Scozia aveva portato pericolo della vita per
modo insolito: che in camera sua era entrato sotto il letto, poche ore
innanzi che ella se n'avesse a ire a dormire, uno armato tutto d'arma
bianca per ammazzarla la notte. Ma successe che, parendogli di sentire
qualche poco di movimento, e facendo cercare tutte le stanze sue
contigue alla camera, nè trovando cosa alcuna, commesse ancora che si
vedesse sotto il letto. Dove scoperto costui, e fatto mettere in mano
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