Gli eretici d'Italia, vol. II - 51

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soffrendo non minacciò, ma affidò se stesso a Colui che giudica
giustamente._ Procedete dunque nel giudizio, proferite la sentenza
contro di Aonio, e date così soddisfazione a' suoi avversarj, e
adempimento al vostro incarico».
Dopo lungo carcere fu condannato ad essere strozzato ed arso.
È vero che in morte si pentì? Dai _ricordi spettanti alla Compagnia
della Misericordia di san Giovanni Decollato de' Fiorentini di Roma_ si
trasse un'annotazione di quelli che assistettero a' suoi estremi
momenti, e che ne narrano il pentimento, e come «confesso e pentito
chiedesse perdono al Signore, alla sua gloriosa madre, e a tutta la
corte del cielo, volendo morire da buon cristiano, e credendo tutto quel
che crede la santa Romana Chiesa, e così fu morto e bruciato l'8 luglio
1570»[485].
Eppure negli ultimi giorni scriveva a' suoi: «Consorte mia carissima;
Non vorrei che tu pigliassi dispiacere del mio piacere, nè a male il mio
bene. È venuta l'ora ch'io passi di questa vita al mio signore e padre
Dio. Io vi vo tanto allegramente quanto alle nozze del figlio del gran
re, del che ho sempre pregato il mio Signore che per sua bontà e
liberalità infinita mi conceda. Sicchè, la mia consorte dilettissima,
confortatevi della volontà di Dio e del mio contento, ed attendete alla
famigliola sbigottita che resterà, di allevarla e custodirla nel timor
di Dio, ed esserle madre e padre. Io era già di settant'anni, vecchio e
disutile: bisogna che i figli colla virtù e col sudore si sforzino a
vivere onoratamente. Il Padre e il nostro signor Gesù Cristo sia collo
spirito nostro.
«Di Roma il dì III luglio 1570.
«Tuo marito Aonio Paleario».
«Lampridio e Fedro figliuoli dilettissimi; Questi miei signori,
cortesissimi insino all'ultimo, non mancano adesso della loro cortesia,
e mi permettono ch'io vi scriva. Piace a Dio di chiamarmi a sè per
questo mezzo che voi intenderete, che vi parerà aspro ed amaro; ma se il
considerate bene, essendo di mia somma contentezza e piacere per
conformarmi alla volontà di Dio, vi avrete anche voi a contentare. La
virtù e diligenza vi lascio in patrimonio, e quelle poche facoltà che
avete. Non vi lascio debito; molti chiedono alle volte e devono dare.
Voi foste emancipati più di diciott'anni fa, non siete tenuti a miei
debiti. Quando vi fossero chiesti, ricorrete a S. E. il duca, che non vi
lascierà far torto. Diedi a Lampridio il conto di dare e avere. Ci sono
la dote di vostra madre, e di collocar, come Dio vi darà la grazia sua,
la vostra sorellina; salutate Aspasia e suor Aonilla mie care figliuole
dilettissime nel Signore. L'ora mia si avvicina. Lo spirito di Dio vi
consoli e vi conservi nella sua grazia.
«Vostro padre, Aonio Paleario»[486].
In queste lettere non è ombra di pentimento; e l'inesorabile continuator
del Baronio, scrive: «Quando si vide che questo figlio di Belial
rimaneva ostinato, nè si poteva per alcun mezzo ricondur dalle tenebre
dell'errore alla luce della verità, fu meritamente consegnato alle
fiamme, affinchè, dopo aver qui sofferto momentanei tormenti, si
trovasse nel fuoco eterno».
Le sue opere furono raccolte dai molti amici che ebbe[487], e vennero
più volte ristampate fuori, come esempio agli uni di bella latinità,
agli altri di molta cognizione delle sacre scritture e di integra fede e
zelo pacato.
Era stato amico del Paleario Latino Latini di Viterbo (1513-93) dotto
giureconsulto, uno dei trentacinque incaricati di correggere il digesto
del diritto canonico. Quando Antonio cambiò il nome in Aonio, parve a
costui lo il facesse per eliminare il t che ha forma di croce; e su
questo, che al più poteva esser oggetto d'una celia, fece un epigramma
feroce allorchè fu bruciato:
_Musis amicus factus olim Antonius_
_Crucem putavit nomine_
_Si ferret ingens se patraturum scelus_
_Nullo abluendum flumine;_
_Velut profana tinctus unda, vatibus_
_Probrum futurum se ratus,_
_Aonius ergo fit repente, atque ambulat_
_Novo superbus nomine._
_Nescitque cano, lustra post decem, miser_
_Ætate confectum, gravem_
_Crucemque, laqueumque simul, et rogum horridum_
_Tandem repositum regia_
_In urbe, tanti sceleris ut pœnas luat_
_Reputatus ut sacer cinis._
Medichiamolo con un altro epigramma a sua lode, dettato da Giovanni
Matteo Toscano, scolaro di lui, il quale molte poesie ne inserì nel
_Peplus Italiæ, sive Carmina illustrium poetarum italorum_ (Parigi
1577).
_Aonio Aonides grajos prompsere lepores_
_Et quascumque vetus protulit Hellas opes._
_Aonio Latiæ tinxerunt melle Camœnæ_
_Verba ligata modis, verba soluta modis._
_Quæ nec longa dies, nec (quæ scelerata cremasti_
_Aonii corpus) perdere flamma potest._
Le opinioni protestanti cercarono ravvivarsi in Toscana verso il 1840, e
n'erano principali apostoli Pietro e Luigi Guicciardini, che perciò
ebbero qualche disturbo, mansueto però come si soleva in que' tempi. A
Colle, ove il Paleario tenea possessi, trovarono essi, e misero in onore
una lapide che diceva _Aonia Aganippe_, e la immaginarono posta da lui
stesso a una fonte, della quale favella in lettera a Pterigi Gallo, e
intendeano onorar così «l'illustre ed infelice poeta, filosofo letterato
e martire della fede».
Come tale fu ammirato e rionorato a' dì nostri, massime da Tedeschi e
Inglesi: se non che dicono differisse dagli altri Protestanti in quanto
considerava il matrimonio come sacramento, e credeva illecito il prestar
giuramento in giudizio per qualsifosse caso.

NOTE
[465] Il signor Grotanelli, bibliotecario di Siena, che ci ajutò molto
nelle ricerche in quella città, pubblicò nel 1866 una _Canzone a santa
Caterina da Siena di Marcantonio Cinuzzi_, indicando che il costui nome
fu da me primo indicato nelle _Spigolature degli archivj toscani_. La
canzone mostrerebbe ch'egli fosse più buon cattolico che buon poeta; e
quando in un'ode spirituale canta,
Dunque de' miei gran falli
Pentito e tristo, in tua pietà confido,
non è che la voce d'ogni cristiano. Ch'egli fosse perseguitato per
materia d'eresia non appare; se non forse da una nota posta al fine
della suddetta canzone a santa Caterina, che la indica _fatta_ il 1583,
_doppo che l'autore havea hauta una lunga prigionia_.
[466] Nel 1546 si stampò a Siena la descrizione della festa fatta per la
Madonna d'agosto, e la prima edizione essendo divenuta rarissima, ne fu
fatta un'altra nel 1582, a Siena alla Loggia del papa; dedicata «alla
nobilissima et honorata madonna Gentile Fantucci». Dopo il _Fine_ si
legge: «Vostro servitore Cecchino libraro». Dovrebb'essere il Francesco
qui indicato, autore e librajo, che appartenne alla compagnia de' Rozzi
col nome di Bonaccio, come leggesi nel libro delle deliberazioni di essa
società, nella biblioteca di Siena (v. II 47) dove pure si legge: «El dì
4 di settembre 1547 andò a partito questi tre per lettori; el Materiale,
el Confuso, el Bonaccio; restò el Bonaccio».
[467] Archivio di Firenze, _Carteggio di Cosimo_, filza 143.
[468] _Id._ _Id._ filza 155.
[469] _Id._ _Id._ filza 161.
[470] _Id._ _Id._ filza 212 al 977.
[471] _Id._ _Id._ filza 217 al 73.
[472] _Id._ _Id._ filza 206 e 214.
[473] Vedasi CELSUS MINUS _senensis, disputatio in hæreticis coercendis
quatenus progredi liceat, ubi nominatim eos ultimo supplicio affici non
debere aperte demonstratur._ Christlingæ 1577. Nel 1584 fu ristampato
con due lettere di Teodoro Beza e di Andrea Dudicio sul tema stesso e in
contraria sentenza.
[474] _Archivio della Segreteria Vecchia_, N. 3101 e seguenti.
[475] _Thalmudicos hebræorum libros, impiæ ac prodigiosæ doctrinæ quos
Judæi ex omni ferme Italia in eam urbem tamquam in commune judaicæ
nationis asilum convexerant._
[476] Ritrovi simili continuarono poi sempre in Siena, finchè non
sottentrò alla benevola affabilità la moderna idrofobia: e i padri
nostri ricordavano la spezieria di Giovanni Olmi, alle Logge del papa,
buon chimico e intagliatore, dove s'univano uomini che onoravano Siena,
e dove s'ammansiva persino Vittorio Alfieri.
Fra le lettere di congratulazione dirette a Girolamo Gigli pel suo
_Vocabolario Cateriniano_, n'ha una di Antonio Pizzicagigli di Reggio,
fondator dell'Accademia degli Artificiosi, data da Roma il 30 giugno
1719, ove loda «la dottrina evangelica della santa Vergine, la quale fu
certamente colonna di fuoco accesa da Dio nel cielo della santa Chiesa
per illuminare gli errori di quel secolo perverso e scismatico, e fu
similmente colonna di nuvola per distillare manna di saporitissima
locuzione all'eloquenza vulgare mediante il dolcissimo sanese
dialetto...» E soggiunge che puossi «dire che ogni privata casa di Siena
sia un'accademia di ben parlare ed un areopago del buon vivere
cristiano, secondo che si vede nella numerosa serie de' servi di Dio, la
chiarezza dei quali (disse il gran cardinale Federigo Borromeo) fa
distinguere il vostro benedetto paese fra altri, nel modo che la via
lattea, tanto spessata di stelle, fa scomparire le altre parti del
cielo».
S'ha un'epistola della venerabile vedova Brigida, donna che fu di Nicola
Baldinotti di Pistoja, mandata alle religiose donne dell'ospitale di
Santa Maria Nuova di Firenze, che trovasi in molti manoscritti del 400,
ove fra altro dice:
«O quanto inestimabile e soave giubilo gusterebbi se, governando le
sordide piaghe degl'infermi, penserete che Cristo Gesù volle essere
tutto piagato per le nostre colpe! Questa ismisurata dolcezza sentì la
beata Caterina da Siena, che governando una leprosa, e parendole che la
sensualità un poco le contraddicesse, assalita dalla fiamma in superno
amore, non tanto con le mani la lavò, ma ponendovi su la bocca, la
leccò. O preziosa e pietosa commutazione dello eccelso Dio, che per la
puzzolenta piaga della creatura volle ch'ella ponesse la bocca al suo
santo costato, ecc.».
Un atto simile della contessa Arconati è lodato dal Manzoni nella
_Morale Cattolica_.
[477] SADOLETI _Ep._ 25, _lib._ V.
[478] Il Lazari trovò venticinque lettere di Aonio Paleario nella
biblioteca de' Gesuiti. _A. Palearii Miscellaneorum ex mss. lib.
bibliothecæ collegii romani._ Roma 1757. E vedi Jon. GURLITT, _Leben des
A. Palearius_. Amburgo 1805; _The Life and Times of Aonio Paleario, or a
history of the italian reformers in the sixteenth century: illustrated
by original letters and unedited documents._ London 1860, due volumi,
della signora Young.
[479] _Moriar si me non angunt putidissimæ interpretationes meæ sive
græcæ sive latinæ. Semper judicavi sordidum et obscurum iis, quorum
ingenio aliquid fieri potest illustrius, si interpretandis scriptis
aliorum humiles ac demissi quasi servitia ancillentur. Sed cum mihi res
domi esset angusta, uxor lauta, liberi splendidi, et propterea magnos
sumptus facerem, mancipavi prope me studiis iis a quibus semper
abhorrui._ Epist. 4, libri IV.
[480] Il Melzi, nel _Dizionario di opere anonime e pseudonime_ (Milano
1859) dice che «il solo scrittore che in due secoli abbia veduto questo
rarissimo libro fu il Reiderer. Non v'ha dubbio che ne sia autore il
famoso ed infelice Aonio Paleario, ecc.».
La traduzione latina si crede di Francesco Pucci.
[481] _Oratio III pro se ipso ad patres conscriptos reip. senensis._
[482]
_Ni mihi spem Christus faceret; quem vita secuta est,_
_Non possem abrupto vivere conjugio._
_Ille mihi te olim redituram in luminis oras_
_Pollicitus, dulci pascit amore animum._
_Interea Aonium venientem cursibus ad te_
_Expecta campis, uxor, in Elisiis._
[483] _Quoniam mei testimonii similitudinem non in verborum volubilitate
sed in re ipsa positam arbitror, missa nunc faciam dicendi ornamenta,
quæ in alia causa fortasse me delectassent; in ea quæ Christi est, qui
istis adjumentis non eget, minime delectant. Quod eo facio libentius ne
quis putet me gloriæ umbram quærere, aut aliud quid præter gloriam
Christi, qui per apostolum monet ne quis nos fallat sublimitate
orationis. Tenue itaque atque humile dicendi genus sequar, et libenter
profecto lingua vulgari et patria de his agerem, quominus viderentur hæc
elaborata et inquisita industria, nisi apud eos sermo esset, quorum
nonnulli italice nesciunt, latine omnes sciunt, etc._
La tradusse in italiano (Torino 1861) L. Desanctis, ma volle «mitigare
alquanto quello stile aspro e qualche volta ingiurioso, che non si affà
più alla civiltà de' nostri tempi», che ognun sa quanto siano parchi in
fatto d'ingiurie.
[484] Ap. SCHOELHORN.
[485] Vedi la memoria pubblicata nello Schoelhorn, come pure le lettere
seguenti del 3 e 5 luglio 1570. Erra dunque il Laderchi facendolo morto
il 1 ottobre 1569: era stato arrestato nel 1568.
[486] Il Paleario ebbe sette figliuoli, di cui alla sua morte viveano
due maschi e tre ragazze. Aspasia era stata, nel 1557, maritata a Fulvio
della Rena con 1200 fiorini di dote; Aonilla stava nel convento di Santa
Caterina a Colle; Sofonisba avea sposato Claudio Porzj, e forse era
morta: la sorellina di cui fa cenno pare si chiamasse Aganippe. Di Fedro
Paleario leggiamo in un manoscritto della biblioteca di Siena, ch'ebbe
una figlia Sofonisba, bella come il sole, e che venuta a Firenze, il
granduca ne fu così incantato, che la fece educare e le procurò buon
collocamento.
[487] Del Paleario, nella Biblioteca di Siena vedemmo tre lettere
autografe (_Miscellanee_, B, X, 8); due son le stampate, dirette alla
moglie e a Lampridio e Fedro figliuoli: una da Lucca a «Niccolò Savolini
scuolare a Pisa», del 9 novembre 1552, ove si firma «come padre Aonio
Paleario», e gli scrive d'aver parlato col vescovo per farlo ordinar
prete. Non ci pare importi pubblicarla. Nel codice II. X, 15, di
_Miscela poetica_, a c. 64, vi sono «Rime varie alle sacre e sante ombre
del Bongino» con una prefazione di Aonio Paleario «alla molto magnifica
et virtuosa madonna Aurelia Bellanti conmadre osservandissima». Fra le
molte rime vi ha due canzoni e tre sonetti del Paleario.
Ivi pure esistono (_Miscell._ C. VII, 12) «Memorie per servire alla vita
di Aonio Paleario, raccolte da Carli Girolamo, e dirette ad Antonio
Compagnoni». Fra queste è copia di una lettera di esso Paleario al
cardinale Cervini, che poi fu papa: e benchè di poca entità, la
trascriviamo:
«Monsignor reverendissimo et osservandissimo signor mio; Ho havuta la
cortesissima di vostra signoria reverendissima, nè altro aspettavo da
lei che cortesia et gentilezza, _quæ cum ætate et dignitate accrevit
simul_. In quanto a quello mi dice, che bisogna espedire _in evidentem
utilitatem_, nè io le harei chiesto altrimente, anzi, se vale V fiorini
il stajo della terra, darne VII; se VII dieci; sì perchè sono cose di
chiese, sì per l'onor di vostra signoria reverendissima, che lo prepongo
al mio utile di gran lunga. Potrassi investire in tant'altra terra, che
si vende contigua al podere di Corie, di un certo Cecchino collegiano,
molto più vicina et commoda alle cose di detto podere, non mancherà il
rinvestire con utile et commodo dell'abbadia.
«Ringratio la signoria vostra reverendissima dell'espeditione che mi
promette gratis, sarà tra li altri infiniti obblighi che le tengo. Che
Dio et padre del signor nostro Gesù Cristo la mi preservi sopra la vita
mia.
«Di Menzano il dì XXIX di agosto MDXLIIIJ.
«Di V. S. R. Osservandissimo Aonio Paleario».
Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano vedemmo pure varie lettere, anche
autografe, del Paleario: loda grandemente i Milanesi e i decurioni
perchè anche nella carestia non lo lasciarono mancare di nulla: altrove
al noto storico Michele Bruto si querela perchè avesse stampato una
lettera di lui senza informarnelo.
Nel suo processo mss. alla Magliabecchiana, segnato 393, è inserita in
istampa l'orazione sua detta a Siena.
Sono stampati a Venezia per Francesco Franceschini, 1567, i _Concetti di
Aonio Paleario per imparare insieme la grammatica e la lingua di
Cicerone_, ecc.: ma realmente sono di Lazzaro Bonamici, mentre del
Paleario è soltanto il _Supplemento de' concetti della lingua latina_.


DISCORSO XXXVII.
ERETICI DI LUCCA.

Il volgersi della critica alle cose sacre traeva a rigori anche
l'aristocratica Lucca. Non meno religiosa delle sorelle, essa
graziosissima città nel secolo XIII contava cinquantotto chiese, e
cinquecenventisei nella molto diffusa diocesi. Al par degli altri Comuni
italiani, avea fatto statuti contro gli eretici e i Patarini[488]: poi
nel 1525 proibito i libri di Lutero e de' Luterani, obbligo a chi ne
possedesse di consegnarli. Ma molti proseliti v'aveano fatto Pietro
Martire, l'Ochino, Aonio Paleario, che vi stettero predicatori e
professori. L'aristocrazia dominante o non se n'avvedea, o taceasi per
non invelenire gli umori quand'erano ancor recenti la sollevazione
democratica degli Straccioni e i tentativi parricidi di messer Pietro
Fatinelli[489], e quando dovea tremare delle mal dissimulate ambizioni
di Cosimo di Toscana. In nessun luogo trovammo accennato che si
divisasse tener il Concilio a Lucca; ma fra le carte medicee
dell'archivio di Firenze[490] ci occorse una nota del 1545, che annovera
i motivi per cui i Lucchesi declinavano quest'onore ed erano:
1º perchè sariano costretti a gravi spese onde premunirsi da pericoli;
2º perchè ne resterebbe disturbata la mercatanzia sopra cui vivono; 3º
che avendo appena da viver per tre mesi, troppo occorrerebbe fare venire
per tanta gente; 4º che difficilmente si troverebbero alloggi; 5º che i
prelati non avendo donne, non sarebbero veduti molto volentieri; 6º che
il paese non gradirebbe tale convegno, e però ne seguirebbero
maledizioni anzichè benedizioni.
Nel settembre 1541 Carlo V, reduce dalla dieta di Ratisbona ed avviato
alla famosa spedizione di Algeri, invitò Paolo III a venir a Lucca per
concertarsi sul Concilio. Il papa vi andò con sedici cardinali,
ventiquattro prelati, gli ambasciadori del re de' Romani e di Francia,
Portogallo, Firenze, Ferrara; l'ammiraglio de' cavalieri di Rodi con
diciotto cavalieri; cencinquanta soldati a cavallo, ducento a piedi.
Egli s'affaticò a distorre Carlo V dalla spedizione, che ognun sa come a
male riuscisse e dalle concessioni che ai Luterani avea dovuto fare a
Ratisbona. In quell'incontro verun disturbo fu recato ai dissidenti che
vi dimoravano, tra i quali Pietro Vermiglio.
L'illustre lucchese Bartolomeo Guidiccioni fu carissimo a Paolo III, che
lo indusse ad accettare impieghi, onorificenze e il cardinalato e varj
vescovadi, fra cui quello di Lucca, che presto rinunziò al nipote
Alessandro. Questi, operosissimo intorno al Concilio di Trento, scrisse
assai di materie di diritto, e quando morì, il papa, che nulla mai
intraprendeva senza consultarlo, disse saria stato il più meritevole di
succedergli per virtù, illibatezza, e scienza. Or egli da Roma nel 1542
scriveva al Governo di quella sua patria: «Qui è nuova per diverse vie
quanto siano moltiplicati i pestiferi errori di quella condannata setta
luterana in la nostra città; li quali, ancorchè paressero sopiti, si
vede che hanno dormito per svegliarsi più gagliardi... Fino ad ora si è
potuto pensare che il male fusse in qualche pedante e donne; ma
intendendosi le conventicole quali si fanno in Santo Agostino, e le
dottrine quali s'insegnano e stampano, e non vedendo fare alcuna
provisione da quelli che governano, o spirituale o temporale, nè
ricercare che altri la facci, non si puol credere altro se non che tutto
proceda con volontà e consenso di chi regge. Onde di nuovo prego le
signorie vostre che vi facciano tal provigione, che renda presto tanto
buon odore, quando fetore ha sparso e sparge il male: e chi cacciasse
con autorità della sede apostolica quelli frati, autori e nutritori già
tanto tempo di quelli pestiferi errori, e desse quel loco a chi facesse
frutto bono, e castigasse qualcuno di quella setta, saria forse
salutifero rimedio...
«Intanto pareria che le signorie vostre col loro braccio ordinassero che
il vicario del vescovo facesse incontinente prendere quel Celio (_il
Curione_) che sta in casa di messer Nicolò Arnollini, il quale dicono
aver tradotto in volgare alcune opere di Martino, per dare quel cibo
fino alle semplici donne de la nostra città, e che ha fatto stampar quei
precetti a sua fantasia: oltrechè e da Venezia e da Ferrara se ne
intende di lui pessimo odore. Così è da far diligenza in quei frati di
Sant'Agostino, massime di ritener quel vicario, il quale s'intende per
certo che ha comunicati più volte molti de' nostri cittadini con darli
dottrina che quello debbon fare in memoria solo della passione di
Cristo, non già perchè credino che nell'ostia vi sia il suo santissimo
corpo. E custoditi con diligenza, li potranno mandare a Roma, o vero
avvisare come li tengono ad istanza di sua beatitudine acciocchè ogni
uomo cognosca che le signorie vostre vogliono cominciare a far qualche
dimostrazione, ed essere, come sono stati i nostri avoli, buoni e
cattolici cristiani e obbedienti figli della santa sede apostolica...
«Questa mattina, da poi la partita dell'ambasciatore, in la
congregazione fatta dalli reverendissimi deputati sopra queste eresie e
errori luterani, dinanzi nostro signore sono state lette otto
conclusioni luterane e non cattoliche di don Costantino priore di
Fregonara, le quali sono tanto dispiaciute a n. s. e alli reverendissimi
deputati, che mi hanno commesso che io scrivi a v. s. che lo faccino
incarcerare con darne avviso, o che lo mandino con quello altro frate di
Sant'Agostino. E così le ricerco che vogliano fare e con diligenza,
perchè sarà grande purgazione del mal nome della nostra città, e
mostreranno che tali errori li dispiacciono, e faranno cosa grata a
Dio».
Il senato mandò a scolparsene: insieme comandò che il gonfaloniere e gli
anziani si porgessero più frequenti alle sacre funzioni: consentì
l'arresto d'alcuni sospetti, fra' quali il priore di Fregonara che potè
fuggir a tempo, e l'innominato agostiniano, che fu tratto di carcere da
aderenti suoi.
Se credessimo al Beverini, tardo espositore degli Annali Lucchesi, Luiso
Balbani, dimorante per affari a Brusselle, per opera del gran
cancelliere Granuela potè non visto intender un colloquio fra
l'imperatore, il nunzio pontifizio e l'oratore del duca di Toscana, ove
lamentavansi che la repubblica di Lucca fomentasse l'eresia, sicchè
converrebbe metterla in dipendenza di Cosimo, se tosto non si emendasse.
Il Balbani sarebbe corso ad annunziarlo al patrio senato, e i senatori
che sentivansi in colpa, sbigottiti fuggirono.
Nessun atto appoggia questa, ch'egli dà come tradizione orale. Pure
Pietro Martire Vermiglio, dirigendo ai fratelli lucchesi l'apologia
della propria fuga, si congratulava che colà i credenti aumentassero.
Forse ne esageravano il numero sì Roma per voglia di piantarvi
l'Inquisizione, sì il signor di Firenze per toglierne pretesto a mettere
le mani su quell'ambita repubblica, la quale pensò ovviare i pericoli
con esorbitanti rigori. Il consiglio generale con bando del 15 maggio
1545. «Dubitando che siano alcuni temerarj, li quali, con tutto che non
abbino alcuna intelligenzia delle scritture sacre nè di sacri canoni,
ardischino di metter bocca nelle cose pertinenti alla religione
cristiana, e di essa ragionar così alla libera come se fussero gran
teologi, e in tali ragionamenti dir qualche parola, o udita da altri
simili a loro, o suggerita dalla loro diabolica persuasione, la qual
declina e tiene della eresia, e legger anche libretti senza nome
d'autore, che contengono cose eretiche e scandalose; donde potrebbe
facilmente succedere, che non solo essi s'avviluppassero in qualche
errore, ma vi avviluppassero anche dentro degli altri», multa siffatti
discorsi, ed ai recidivi sin la galera; assolto chi denunzia altri; i
libri d'eretici si consegnino, pena la confisca; non si mantenga
corrispondenza con eretici, e nominatamente coll'Ochino o don Pietro
Martire; tre cittadini siano eletti annualmente per vigilare su tali
colpe. Tutto ciò per altro non concerneva che il futuro, del passato non
dovendosi far ricerca: al che il papa consentì, encomiando lo zelo de'
magistrati[491].
Crebbe i sospetti il noto affare di Francesco Burlamacchi. Associando,
come spesso si suole, le aspirazioni liberali politiche alle religiose,
aveva egli meditato resuscitar le cadute repubbliche toscane contro la
tirannide di Cosimo; unendole a quelle di Siena e di Lucca sua patria
ancor sopravviventi; insieme si ritornerebbe la Chiesa alla apostolica
povertà togliendo i beni agli ecclesiastici, e al papa il dominio
temporale per restituirlo alla supremazia dell'Impero. Nominato capo
delle cerne del contado e delle ordinanze della montagna, credea che
basterebbero per assalir Pisa e gridarvi libertà, donde moverebbe sopra
Firenze. Non misurando i mezzi al fine, confidava ne' pochi coi quali
aveva accordo, e in quelli che accettavano le dottrine eterodosse
(1546). Ma avutone conoscenza, i senatori stessi che sperava favorevoli,
l'arrestarono e fecero metter al tormento, poi lo consegnarono a un
commissario imperiale che lo tradusse a Milano, dove ebbe mozza la testa
il 14 febbrajo 1548.
Il Burlamacchi nella sua difesa non avea cercato se non dimostrare che
tutto ciò aveva intrapreso per far servigio all'imperatore.
«Interrogato qual beneficio intendesse fare a sua maestà con questa
unione,
«Rispose essere che, riuscendogli l'impresa dell'unire Toscana, avea
designato di poi andare o mandare o scrivere all'imperatore, e pregarlo
se ne venisse dalla parte di qua, e che vedesse di riformare la Chiesa
dalli molti abusi che vi sono e ridurla all'unione di molte varietà de
opinioni che vi sono, il che li poteva riuscire poi levarli l'entrata
lassandoli goder a quelli che l'hanno adesso, e dopo la morte loro
l'applicasse o al pubblico, o a sovenzione de' poveri, secondo che li
fosse parso meglio, e con questo avrebbe contentati li Alemanni, e
ridottili alla obedienza sua, li quali non desideravano altro, e avrebbe
esortato a pigliare la via di Roma, e coll'ajuto de' detti Alemanni e
della Toscana, a farsi imperadore de' Romani, e che questo facilmente si
sarebbe riuscito col soprascritto ajuto, e con aver lì vicino il reame
di Napoli e la parte in Roma»[492].
Pensava dunque sveller d'Italia i papi per piantarvi gli imperatori
tedeschi.
L'anno 1549 di repente si udì che il Sant'Uffizio, informato esser
giunti a Lucca molti libri luterani, mandava inquisitore il prior dei
Domenicani di San Romano. Sbigottironsi i senatori e il popolo di questo
tribunale eccezionale, e ne mossero richiami a Roma per mezzo del
cardinal vescovo, e ottennero quell'incombenza fosse affidata al vicario
vescovile, assistito dal Governo, senza ingerenze forestiere. Il qual
Governo, per mostrarsi zelante, al 24 settembre di quell'anno rivedea la
legge contro gli eretici, confermandola, ed estendendo le pene a
qualunque libro di religione non sottoscritto dal vicario del vescovo;
ognuno sia obbligato confessarsi e comunicarsi; in quaresima non si
macelli, nè si spacci carne se non di capretto, vitello o castrato;
niuno tenga a servizio persone uscite di convento; a tutto mettendo
comminatorie, e provocando a spioneggi. Pure il nuovo vescovo Alessandro
Guidiccioni ebbe frequenti contrasti di giurisdizione, dietro ai quali
vennero lamenti di negligenza nel vegliare sugli eretici, del lasciar
crescere questi al segno, che solo il braccio apostolico basterebbe a
sradicarli: l'imperatore stesso ne mosse rimproveri; il Sant'Uffizio a
Roma ne' suoi processi trovava continuamente avviluppati alcuni lucchesi
e in corrispondenza coi fuorusciti, talchè di nuovo venne istituita
l'Inquisizione. E i senatori mandarono Jacopo Arnolfini al papa per
assicurarlo sulla sincerità di credenze del Governo, e promettere
veglierebbero e punirebbero l'eresia, senza sconcertar la repubblica con
quella inusata autorità[493].
In fatto riuscirono a rimuover il pericolo; ma per estirpare l'infausto
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