Gli eretici d'Italia, vol. II - 33

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le difficoltà de' sacri libri, e che serve come d'introduzione agli
_Annali_ del Baronio. Enrico IV nel 1610 domandò a Paolo V una missione
dei nostri Barnabiti per convertire il Bearn, ove neppure una chiesa
cattolica restava più, ed ove di numerose conversioni si consolarono,
coadjuvati da san Francesco di Sales.
Filippo Neri, che faceva versi italiani come tutti i fiorentini, e versi
latini come pochi, cercava il disprezzo con tant'arte, con quanta altri
l'ammirazione. Padre spirituale de' più gran santi, quali gli operosi
Carlo Borromeo e Francesco di Sales, e il contemplativo Felice da
Cantalice; amico de' maggiori studiosi, quali il Tarugi insigne
predicatore poi cardinale, Silvio Antoniano poeta e scrittore dei brevi
papali, il celebre medico Michele Mercati, Filippo adagiavasi or fra i
cenciosi che mendicano sotto ai portici di San Pietro, ora ai banchi de'
cambisti o ai tribunali o nei palagi, colla soavità inalterabile e colle
arguzie fiorentinesche insinuando la carità, persuadendo la giustizia,
sorreggendo la vacillante virtù.
Indulgente nelle cose accessorie quanto irremovibile nelle essenziali,
al confessionario dirigeva con mirabile perspicacia le coscienze. A un
che veniva per ambizioni a Roma, e gli diceva che aspirava al fiocco
pavonazzo, domandò: «E poi? — E poi potrebbe venire il verde — E poi? —
Chi sa che non segua il rosso! — E poi? — Se n'è vedute tante: e il papa
è scelto fra' cardinali. — E poi? (conchiudeva Filippo) «E poi morire».
Diceva ancora che rovinano il mondo rispetti, sospetti, dispetti.
Persuase egli Tommaso Bozio da Gubbio, gran conoscitore di lingua e di
storia, a privarsi della cosa che più tenea cara, i suoi libri, e
destinollo per umiltà a insegnare la grammatichetta. Il qual Bozio, fra
opere da grand'erudito, scrisse una confutazione della politica del
Macchiavelli.
Accoglieva la gioventù a devote ricreazioni, a musiche, a passeggi, a
visite di santuarj, a studj liberali, a una pietà affabile come la sua.
Con venerazione si va all'oratorietto dov'egli spesso confabulava con
san Carlo, san Camillo, sant'Ignazio, san Felice da Cantalice, e con
dilettazione a sedere sopra un amenissimo poggetto del Gianicolo, donde
si domina tutta Roma, e ch'egli avea ridotto ad anfiteatro, ove
all'ombra di begli alberi faceva ai giovinetti recitare commediole
volgenti alla pietà; vera ribenedizione dell'arte e del teatro[263]. E
diceva: «La pratica ha mostrato che, interponendosi agli esercizj gravi,
fatti da persone ancor gravi, la piacevolezza e la purità dei putti,
s'attrae moltissimo popolo d'ogni sorta, con un concorso forse di 3 o 4
mila persone; e s'è visto che Nostro Signore si è servito di queste reti
per pescare anime[264]». Introdusse la visita delle sette basiliche,
sopprattutto nel carnevale, e a mezzo fermavasi a refiziarsi sulla
verdura di villa Massimi, o Crescenzi o Mattei del monte Celio.
Facendosi un deserto nella popolosa Roma, nottetempo le visitava, poi
ritiravasi nel cimitero di San Calisto e nelle catacombe di San
Sebastiano. Col Baronio, ch'egli eccitò, come dicemmo, al gigantesco
lavoro degli _Annali_, e con altre persone di merito, nel 1564 istituì
la comunità de' Preti dell'Oratorio, non aventi altre regole che i
canoni; altri voti che il battesimo e il sacerdozio, altri legami che
quelli della carità.
Con Persiano Rosa aprì l'ospizio di Santa Trinita per quei che
pellegrinavano alle soglie degli Apostoli; e quattrocento
quarantaquattromila cinquecento uomini, venticinquemila donne vi furono
ospitate per tre giorni in quel giubileo del 1600, pel quale vuolsi
concorressero tre milioni di devoti a Roma, e dove principi e cardinali
faceano le stazioni, indistinti dal vulgo; e moltiplicaronsi le
conversioni.
I suoi cherici si diffusero subito, e a Napoli[265] principalmente
operarono su quella plebe famosa con confraternite, ospedali, rifugi per
pentite e pericolanti; massime dai trivj e dalle bettole chiamandoli
alla dottrina festiva; e uscendo dal Carmine Maggiore, conduceanli
processionalmente per le piazze del Mercato, della Selleria, della
Vicaria; spettacolo ammirabile ai buoni, d'inestinguibil riso ai
giornalisti d'oggi, veneratori de' carabinieri e de' fucili rigati. Gran
giovamento portarono a quella città Nicolantonio Bellarbore di Trani,
occupato a ridur i concubinarj; G. B. Antonino di Lanciano, Matteo
Borello di Napoli, e principalmente Alessandro Barla piacentino, ch'era
stato come «il foriero del novello oratorio»; e buttatosi negli
ospedali, ne eresse dei nuovi, introdusse le Suore del ben morire, i
Fatebene-fratelli, i Ministri degl'infermi: e in Santa Maria del Rifugio
un ospizio per le figliuole di meretrici: e Giovenale Ancina da Fossano,
che oltre dieci anni faticò negli incurabili ai più bassi uffizi, e vi
chiamava giovani di buone case e gentili donne per assisterli, tra le
quali ricordano la viceregina, le contesse di Miranda e di Monterey, la
duchessa di Mondragone, la principessa di Stigliano, sicchè, a detta di
un contemporaneo, quella casa potea dirsi un paradiso di delizie[266]. E
quell'opera vive ancora, per subire i colpi di una dotta persecuzione
non meno impopolare che irreligiosa.
Anche i Teatini erano poveri, e a Firenze spesero centomila scudi in
fabbricar San Gaetano, una delle più splendide chiese.
Nella qual città Ippolito Galantini setajuolo, fin dall'adolescenza
applicato ad amare e soccorrere i poveri, col sussidio del cardinale
Alessandro Medici fondava la congregazione de' Vanchetoni o della
Dottrina Cristiana, che durò fin oggi, principalmente a vantaggio de'
lavoranti in seta. Ivi stesso, a persuasione di frate Alberto Leoni,
fondavasi una pia casa de' catecumeni.
Le primarie famiglie fiorentine crebbero lor nobiltà con qualche santo.
Maddalena de' Pazzi e de' Buondelmonti, sin da fanciulla dilettandosi
alla gioja dell'obbedienza, divenne miracolo della perfezione spirituale
e della contemplazione delle cose eterne, accoppiate a intensa carità
del prossimo. Lorenza Strozzi di Capalle, vestitasi domenicana, si trovò
in gran relazione coll'Ochino e col Vermiglio, la loro apostasia pianse
a calde lacrime, e tutta infervorata d'amor divino, compose inni per
ciascuna solennità dell'anno, cantati lungamente e messi in musica, e
tradotti anche in francese. Caterina de' Ricci, sottrattasi alle
lusinghe preparatele dalla domestica lautezza, sacrò a Dio una vita
tutta d'amore e di dolori, provata dalle contraddizioni e dalla
calunnia, poi dalle lodi e dall'ammirazione: e come la beata Michelina a
Giotto, santa Umiltà a Bufalmacco, santa Caterina da Siena al Vanni e al
Pacchiarotto, così la Ricci divenne soggetto di pitture al Parenti e al
Tosini in Prato.
Veronica Franco, rinomata a Venezia per amori e per chiassosi convegni
di musica e poesia, contrita fondò per le sue pari il ricovero di Santa
Maria del Soccorso; Francesca Longa a Napoli, il famoso ospedale degli
incurabili; Mariola Negra di Genova, un reclusorio per le femmine
disperse, un altro per le pentite, e intendeva porne uno per ciascun
sestiere della città.
E Genova, oltre Caterina Fieschi e altri beati, ricorda Battista
Interiano, che all'Acquassola aperse un conservatorio, dove le zitelle
si educassero a lavori femminili; Vittoria Fornari, che vedovata a
venticinque anni, votò i suoi sei figli a Maria, e fatta povera per amor
di questa, fondò le Annunziate, che solo tre volte l'anno riceveano al
parlatorio i più stretti parenti; la venerabile Battista Vernazza,
autrice di trattati e poesie pastorali; Agostino Adorno, che con
Francesco Caracciolo istituì i Cherici Regolari Minori e l'adorazione
perpetua al Sacramento. Nè dimenticheremo quei diciotto di casa
Giustiniani, che côlti dai Turchi, sostennero il martirio piuttosto che
aderire al Corano.
In essa città si moltiplicarono sino a ventuna le confraternite, dette
Casaccie, che si corruppero poi in gare di lusso e di esercizj atletici.
Tre sorelle Gonzaga, nipoti di san Luigi, fondarono a Castiglione delle
Stiviere le Vergini di Gesù, nobili, senza clausura, e dedite
all'istruzione, per la quale furono risparmiate fin da Giuseppe II e da
Napoleone, non dal nuovo regno d'Italia.
Camillo de Lellis, da Bacchiano negli Abruzzi, biscazzato ogni aver suo,
e ridotto a far da manuale in una fabbrica de' Cappuccini, ivi tocco nel
cuore da Dio, si veste frate: tormentato da un'ulcera alla gamba, sente
quanto mal giovi agli infermi la prezzolata assistenza, e nel 1586 fonda
i Crociferi che li servano come servirebbero a Cristo stesso.
Dopo la peste del 1528 una società a Cremona istituì un ritiro, dove
orfani d'ambo i sessi lavorassero seta, bambagia, lana; la compagnia di
san Vincenzo vi aprì un conservatorio per donne vedove o mal maritate,
uno per le convertite, uno per le pericolanti; un ricovero pei poveri,
al quale il medico Giorgio Fundulo aggiunse un legato onde esimere i
mezzajuoli dalle esecuzioni per debiti in causa d'affitto; nel 1562
l'ospedale di sant'Alessio per gl'incurabili, e i Barnabiti nel 1575 una
Compagnia della Carità per soccorrere ai poveri vergognosi; onorevoli
cittadini si congregavano tutte le domeniche, e dopo un discorso morale,
davano relazione delle famiglie povere, de' bisogni d'orfani e pupilli,
de' pericoli di zitelle, e consultavano sul modo di provvedervi,
mediante offerte loro o collette; istituzione, imitata in molti luoghi,
e che rivisse ai dì nostri nelle conferenze di san Vincenzo di
Paolo[267]. E in quella città il Campi ricorda una Margherita Spineta,
terziaria carmelitana, che per trentacinque anni si tenne rinchiusa in
una cameretta presso Sant'Antonio: e l'affollatissimo concorso al
giubileo del 1575, venendovi tutti i diocesani in processione vestiti di
sacco, e la gara di alloggiarli nelle case: la notte principalmente
vedeansi queste lunghe schiere d'uomini e donne andar coi lumi accesi e
scalzi anche di stridente inverno, flagellandosi e cantando salmi e
litanie.
In Roma all'oratorio del Divino Amore appartenevano Contarini, Sadoleto,
Giberti, Caraffa, che poi furono cardinali, e Gaetano Tiene e il
Lippomano. Sotto Paolo III, i curiali fondarono l'Arciconfraternita, che
educa e istruisce nelle arti poveri orfani d'ambo i sessi; come la
Compagnia di Sant'Ivone assume a patrocinare le cause di poveri e di
pupilli. Leonardo Ceruso salernitano, palafreniere del cardinale de'
Medici, radunava in Roma i fanciulli abbandonati (1580), e li facea
cantar laudi e scopar le vie, raccogliendo limosine, e così cominciò
quell'istituto, poi tanto ammirato col nome d'Ospizio apostolico di San
Michele a Ripa, ove centinaja di trovatelli sono educati nelle arti
industri e belle; al tempo stesso che il suo compagno Ottavio
raccoglieva le zitelle sviate, e cominciava il Conservatorio di Santa
Eufemia.
Tra le guerre di quel secolo era cresciuta la miseria; e il chiudersi di
tanti conventi tolse a un'infinità d'uomini non meno il pane spirituale
che quello del corpo; sicchè troppo avea dove esercitarsi la multiforme
carità cattolica. Girolamo Miani, patrizio veneto, difesa contro la lega
di Cambrai la fortezza di Castelnuovo di Piave e cadutovi prigioniero,
votossi alla beata Vergine di Treviso, e miracolosamente liberato,
raduna gli orfani rimasti da quelle battaglie e dalla fame del 1528, ove
si mangiavano sin gli animali più schifi; e pertutto fonda ospizj a
ricovero ed istruzione di quelli, e ad emenda delle povere traviate:
assiste in Venezia gl'incurabili, a cui faticarono pure sant'Ignazio,
san Gaetano, il Saverio: fa istituire o sistemare gli ospedali di
Verona, Padova, Brescia, Bergamo. Sul bergamasco lasciavansi in campagna
le biade per mancanza di braccia; ed egli raccoglie falci, e mena
attorno mietitori, che invece delle villotte, cantano orazioni. Poi nel
1531 fonda a Somasca altri cherici regolari, diretti ad istruire nelle
lettere, nei mestieri, nella virtù.
Dai Somaschi uscì poi la congregazione della Dottrina Cristiana,
istituita nel 1592 da Cesare de' Bussi, milanese nato in Francia, e
applicata a catechizzare i poveri.
Il beato Giovanni Marinone veneziano, maestro di Andrea Avellino, compì
prodigi di pietà e di carità a Napoli, di cui ricusò l'arcivescovado.
Suor Angela Merighi di Desenzano (-1540), trovate settantatre compagne
di primarie case bresciane, le pose in protezione di sant'Orsola (1527)
senza regole austere, nè contemplazione, nè le altre esigenze, contro le
quali allora gli eretici declamavano: rimanevano in grembo alle
famiglie, variando il tenore di lor vita secondo i luoghi e le
circostanze, intente a scoprire gli infelici per soccorrerli, visitare
spedali e malati, educar bambine. Dicevano: «Bisogna innovare il mondo
corrotto per mezzo della gioventù; le fanciulle riformeranno le
famiglie, le famiglie le provincie, e le provincie il mondo».
Quest'istituzione di carità e beneficenza esalava tale fragranza di
santità, che san Carlo accolse ben quattrocento suore nella sua diocesi:
poi diffuse in Europa non solo, ma oltre l'Atlantico, coi miracoli della
carità faceano stupire i selvaggi del Canadà, ove predicavano il
Vangelo, del pari che le capitali della Francia e dell'Inghilterra; e
pur testè faceano invidiare dagli Inglesi le sante loro industrie e i
soccorsi ch'elle prestavano ai guereggianti nella Crimea. Ciò non tolse
che, adesso appunto, il regno d'Italia dicesse a loro, come a tutti gli
Ordini religiosi: «Andate via! Io saprò meglio orare, meglio istruire,
meglio beneficare».
Il nome di Vincenzo di Paolo, popolano francese, ricorda quanto la
carità ha di sacro, di spontaneo, di squisito. I suoi Preti della
Missione, istituiti nel 1625, ben presto si diffusero nella Corsica,
straziata da efferate vendette; e nell'Italia, ove il Piemonte, il
Genovesato, la Romagna offrivano tanta materia al loro zelo. I pastori
che guidano gli armenti per la campagna di Roma e nelle valli
dell'Apennino, mesi e mesi restavano senza sacramenti nè predicazione,
ignorando fin le cardinali verità della fede; e i Missionarj li
raccoglievano la sera per ammaestrarli nelle stalle o a cielo aperto, e
la festa li chiamavano attorno a qualche tabernacolo per rigenerarli coi
santi riti.
Un Gesuita nel 1569 sotto il nome di Maria associava i giovani studenti
a Napoli, e già nel 1584 ogni città possedeva siffatta congregazione,
che Gregorio XIII arricchiva d'indulgenze. Dalle scuole trapassarono
tali unioni di spirito alle varie condizioni; artigiani e nobili,
mendicanti e magistrati, invocavano Maria in concordia di formole. In
Milano prete Castellini da Castello formò la Compagnia della riforma
cristiana, che insomma era quella del catechismo, e che poi prese il
nome di _Servi de' puttini_. Frate Buono da Cremona vi introdusse la
devozione delle quarant'ore, il sonar l'agonia alle ventun'ore, e un
asilo per le pentite a Santa Valeria. Potremmo aggiungere le
congregazioni del Buon Gesù, della Madre di Dio, della Buona Morte, e
d'altri nomi.
Quanto il sentimento religioso si fosse ravvivato lo attestano i tanti
miracoli allora proclamati, e le frequenti apparizioni della Beata
Vergine a Caravaggio, ai Monti in Roma, a Narni, a Todi, a San Severino,
nella Val San Bernardo del Savonese; sul monte Pitone a Brescia ordina a
un pastore di fabbricarvi una Chiesa; l'effigie di Subiaco suda; davanti
al santo Crocifisso di Como si spezzano le catene opposte alla
processione; una Madonna piange a Treviglio, e così salva questa borgata
dai latrocinj del Lautrech; una parla in San Silvestro; una in
Sant'Eugenio di Concorezzo dà segni miracolosi; una è prodigiosamente
scoperta a Portovenere, un'altra a Castiglione delle Stiviere entro un
grosso noce. Un soldato a Lucca nel 1588, perdendo al giuoco, avventa
bestemmiando i dadi a una Madonna, ma in quell'atto gli si rompe il
braccio; pel qual miracolo i doni fioccarono, e dugencinquanta
processioni in mezz'anno vi accorsero, dalle cui oblazioni si fabbricò
la Madonna de' miracoli. Tutti avvenimenti alla cui storia abbisogna il
prolegomeno della fede. E noi gli enunciamo solo come segni del tempo;
poichè, mentre al principio di quel secolo tutto era paganizzato ne'
costumi, nelle arti, ne' governi, nella Chiesa, al fine di esso non si
operava quasi che per interessi religiosi; in nome del cristianesimo si
scriveva, si combatteva, si uccideva, si educava, si sfamava;
ecclesiastici di robustissima potenza entrano ne' consigli dei re a
dirigerne i modi e gli atti; i papi, spogliati di mezzo mondo, se ne
rifanno coll'acquisto delle due Indie, e mettono soggezione ai re ed ai
pensatori con un pugno di cherici, paventati dovunque vi sia rivolta
contro l'autorità di Pietro.
Se la riforma cattolica non ebbe divelto il vizio e la corruttela, non
mutato la struttura delle Università e dei corpi religiosi, cui l'alta
istruzione veniva affidata; se anche gli Ordini nuovi s'intepidirono o
corruppero, il rinvigorito spirito cristiano combatteva l'effervescenza
della carne e la voluttà sensuale; la carità che aveva balsami per ogni
piaga, impediva che la corruzione toccasse all'estremo. Quante anime,
stanche dal fortuneggiare del mondo, cercavano ricovero in grembo a Dio!
Le Suore della Carità, lanciandosi in mezzo alle miserie, le Carmelitane
seppellendosi anticipatamente, pareano invase da una passione cristiana;
il clero spandeasi dapertutto a cercar l'ignoranza da istruire, il vizio
da correggere, la virtù da sostenere, la povertà da pascere, esposto al
quotidiano martirio del disprezzo e della calunnia.
Siamo forse usciti dal nostro tema col mostrare quali ripari opponesse
la Chiesa agli assalti portatile dall'eresia? Ammirando questi prodigi
della carità non possiam di meno di ricordare come Lutero esclamasse:
«Almeno sotto al papato le persone erano caritatevoli, e non si faceano
tirar le orecchie per dare; adesso, sotto il Vangelo, invece di dare,
tolgon l'uno all'altro; vi scorticherebbero vivo purchè ci trovino
qualche piccolo guadagno, e pare non s'abbia nulla se non si ha tutto
l'altro[268]».
E Musculo: «Abbiam fino cangiato natura; divenuti benevoli e
caritatevoli gli uni agli altri press'a poco come le fiere. Chi più
s'interessa del prossimo? Tutti amano se soli, di se soli fan conto, e
si può dubitare se rimanga ancora in noi goccia di sangue umano[269]».
E Wizel: «Per lo passato v'avea cristiani che amavano talmente i poveri,
da chiamarsi padri e figliuoli: lavavan loro i piedi, li servivano a
tavola, come ha fatto Gesù Cristo. Ora si escludono di città e di casa
come reprobi e pubblici nemici. È il tuo spirito, o Signore, questo che
regna oggi nelle Chiese? Qual purificazione, qual riforma, quali
elementi d'unità e concordia»[270]. E potremmo seguitare lunghissimo
tempo queste citazioni, e conchiuderemmo con quello onde cominciammo,
che l'albero si giudica dal frutto.

NOTE
[225] Il vol. XII della collezione Mazzoleni più volte citata contiene,
fra altri, uno scritto, _Abusus qui circa sacrum missæ sacrificium
evenire solent_; e un _Manuale de quibusdam abusibus_, relativo
principalmente alle prediche de' frati, ai questuanti, e alla loro
riforma.
[226] ARNOBIO, _adv. Gentes_ III, 7.
[227] Negli _Atti degli Apostoli_, cap. XIX, V. 19: _Multi eorum, qui
fuerant curiosa sectati contulerunt libros, et comburerunt coram
omnibus._
[228] Volume I pag. 245.
[229] Nel _Fedro_ di Platone è acuto quanto elegante il discorso di
Socrate intorno ai danni che la scrittura apportò al pensiero, e il
confronto tra la parola viva e la scritta: con ciò condannando già
quegli eterodossi, che la sostanza della verità ripongono in un libro.
[230] Allo scopo del nostro lavoro serve notare i seguenti libri del
primo Indice:
JULIUS CÆSAR P., _Qui Calvini Institutiones in italicam linguam
transtulit_.
CASTELVETRO, _Opera omnia, donec expurgentur_.
BATTISTA DA CREMA, _Opera omnia nisi emendentur_.
FIRMANUS SERAPHINUS, _Apologia pro Baptista de Crema_.
ANTONIO D'ADAMO, _Anatomia della messa_.
Il Brucioli è pure fra i proibiti di prima classe. Dappoi
_Modo di tenere nell'insegnare e nel predicare al principio della
religione cristiana._
_Modo o via breve di consolare quelli che stanno in pericolo di morte._
_Opera divina della cristiana vita._
_Opera utilissima intitolata, Dottrina vecchia e Dottrina nuova._
_Maniera di tenere a insegnar i figliuoli cristiani._
Tutte le opere di Alberico Gentile e del De Dominis.
_Precedenzie alla apologia della confessione virtembergense._
ANTONIUS POLUS _venetus, Lucidarium potestatis papalis, septem libros
complectens._ (Appendice).
[231] Per esempio, il _Consilium de emendanda Ecclesia_ per le note e
prefazione ereticali; _Epitome responsionis Silvestri ad M. Luterum_,
edita da Lutero; _S. Concilii trid. decisiones_, edite da Giovanni di
Gallemart; FECEBICO FREGOSO, _Pio e cristianissimo trattato della
orazione; Della giustificazione della fede e delle opere; Prefazione
alla lettera di san Paolo ai Romani_, opere attribuitegli falsemente.
_Poemata varia doctorum piorumque virorum de corrupto Ecclesiæ statu,
cum præfatione_ M. FLACCI ILLYRICI.
_Scripta quædam papæ et monachorum de Concilio tridentino, ann._ 1547
_et_ 1548, _cum præfatione_ MATTHIÆ FLACCI ILLYRICI. Così i decreti di
Alessandro VII e di Innocenzo XI contro le proposizioni di morale lassa:
il decreto del Sant'Uffizio contro certe confraternite, perchè nella
ristampa venne esteso più che non fosse in origine.
[232] Stimo non disopportuno avvertire che, dovendo pe' miei lavori, e
più specialmente per questo, valermi d'ogni sorta di libri, anche de'
peggiori e degli ereticali, chiesi e ottenni la più ampia licenza dal
santo padre.
E mi sia dato citare alcuni casi particolari non senza importanza
intrinseca, nè senza opportunità.
Lodovico Muratori, bersagliato come ogni letterato, e specialmente ogni
storico nel nostro paese, fu anche accusato di opinioni antipapali, e
sin dai pulpiti come pazzo, temerario, eretico. Denunziato alla sacra
Congregazione, il Muratori ne scrisse al pontefice, chiedendo esser
edotto degli errori appostigli. E Benedetto XIV gli rispondeva, ne' suoi
scritti trovarsi certamente molte cose disapprovabili, ma che «secondo
l'esempio dei predecessori, le opere degli uomini grandi non si
proibiscono», e tanto meno il farebbe delle sue, attesa la gran fama
dell'autore e la conosciuta sua pietà: quel ch'era spiaciuto in esse non
si riferiva se non ai possessi temporali della santa sede: egli «avea
sempre creduto non convenisse disgustare per discrepanza di sentimenti
in materie non dogmatiche nè di disciplina, ancorchè ogni governo possa
proibire quei libri che contengono cose che gli dispiacciono» (Roma, 25
settembre 1748).
Gian Domenico Romagnosi in fondo era filosofo sensista e giurista
statolatro. Le opere sue divennero più celebri dopo la sua morte, e
nessuno può non ravvisarvi lo spirito degli Enciclopedisti, per cui la
religione è considerata come un affare civile, e piuttosto trascurata
che attaccata. Dovette dunque alcuno zelante denunziare al sant'Uffizio
la _Genesi del diritto penale_. E la sacra Congregazione mandò a lui
l'arciprete del duomo di Milano Opizzoni, nel novembre 1827,
esponendogli i varj passi incriminati. «Grato ai generosi riguardi coi
quali veniva onorato dalla sacra Congregazione», il Romagnosi si sentì
«in dovere di corrispondere con la dovuta venerazione e lealtà», ed
espose spiegazioni, che io ho pubblicate in una biografia di quel mio
maestro. La sacra Congregazione, «dopo diligentemente esaminate le
osservazioni e spiegazioni sopra le proposizioni censurate, commendò la
sommessione e il rispetto» di lui; solo «consigliando pel caso di
ristampa, alcune aggiunte spiegative».
Le dottrine religiose del Romagnosi erano state impugnate vivamente
dall'insigne filosofo Antonio Rosmini. Uomo religiosissimo, fondatore
d'un Ordine nuovo, esemplare di vita, splendidamente caritatevole, parve
però ad alcuno che, colle sue teoriche filosofiche, arrivasse a vere
eresie, e specialmente nel _Trattato della Coscienza_. Fu dapprima
imputato in giornali cattolici, poi virulentemente in alcune lettere di
Eusebio Cristiano, nelle quali si volle vedere una vendetta de' Gesuiti,
perchè esso piantava sistemi contrarj a quelli sostenuti da filosofi di
quella Compagnia. Dai libri la cosa procedette ai tribunali: e deferite
quelle opere alla sacra Congregazione dell'Indice, vennero prese a
severo esame. Gli avversarj de' Gesuiti asserivano che la costoro
potenza riuscirebbe certo a farlo condannare. Noi amici dell'autore
restavamo in un'ansietà paurosa, temendo di vedere riprovato un
tant'uomo, e condannate opere che, camminando sempre sulle traccie dei
santi padri, erano sembrate un gran sostegno della religione contro gli
errori de' nostri tempi, e l'irruzione della filosofia eclettica e del
panteismo. Quale immensa consolazione quando Roma proferì non esser
condannabili!
Di rimpatto quella spudorata che si chiama opinione pubblica avea
sparnazzato coi suoi organi che la _Storia Universale_ del Cantù era
lavoro complessivo de' Gesuiti, a cui egli non dava che il nome o la
forma. In quella vece dai Gesuiti stessi gli vennero severissimi appunti
e pubblici e privati: ond'egli supplicò alcun di loro togliesse in esame
l'opera sua, indicandogliene gli errori, sicchè potesse correggerli
nelle successive edizioni. Si cominciò in fatto il caritatevole officio;
poi, forse perchè la messe crescente sbigottisse il pio annotatore, si
giudicò opportuno trasmettere quelle note, anzichè all'autore, alla
sacra Congregazione dell'Indice. Il Cantù, privatamente informatone,
dichiarò sottomettersi a qualunque decisione prendesse la santa sede,
ma, a norma della Costituzione di Benedetto XIV, invocava d'essere
informato e di potersi difendere. Non fu esaudito in ciò, forse perchè
sembrasse bastante la difesa che internamente se ne farebbe; e dopo
lungo tempo, che fa supporre accurata indagine, gli venne rescritto che
«la sacra Congregazione in maturo esame ha dovuto convincersi essere
nella _Storia Universale_ trascorse qua e là inesattezze ed anche
proposizioni erronee: in vista però della vastità dell'opera, delle
molte edizioni, delle belle pagine che contiene, della rettitudine
dell'autore.... avuto riguardo alla Costituzione Benedettina, ha
dichiarato non si condannano esse istorie, benchè vi s'incontrino
opinamenti erronei che l'autor medesimo potrà col suo senno e colla sua
erudizione avvertire».
Accompagnando questa decisione, il 7 settembre 1860, il cardinale
prefetto della sacra Congregazione in particolare si congratulava
coll'autore «del non essersi lasciato adescare da quel partito
antipapale e forse anticattolico, il quale dispensa le più clamorose
corone. Ella ha saputo tanto scostarsene, che mai non ne otterrà gli
applausi».
[233] È all'indice FURIUS CORIOLANUS (cioè Federico Valentino) _Bononia,
sive de libris sacris in vernaculam linguam convertendis_.
La regola IV dell'Indice edito per ordine del Concilio Tridentino pone:
«Essendo manifesto dall'esperienza che, se la sacra Bibbia in lingua
vulgare si permetta _senza distinzione_, ne vien più detrimento che
utilità, in grazia della temerità degli uomini, stiasi in ciò al
giudizio del vescovo o dell'inquisitore, acciocchè col consiglio del
parroco o del confessore possano concedere di legger la traduzione de'
libri santi fatta da cattolici, a coloro che capiscano poter trarre da
tale lettura non danno, ma aumento di fede e di pietà.
«Lo stesso dicasi pei libri vulgari di controversie fra cattolici ed
eretici del nostro tempo» (Regola VI).
[234] Manuscritto della Magliabecchiana, classe XXV, 274, al marzo 1549.
[235] _Storia della Scultura_.
[236] È chiamata _missa papæ Marcelli_, ma non par vero la componesse
per difendere la musica sacra davanti a Marcello II, il quale non regnò
che 22 giorni. La compose per commissione di san Carlo, e fu cantata
nella cappella Sistina il 19 giugno 1565.
[237] Il padre Pietro Canisio di Nimega, gesuita, fu uno de' più operosi
avversarj della Riforma. Assistette al Concilio: fu spedito a missioni
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