Gli eretici d'Italia, vol. II - 20
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mi ricordo affettuosamente _de Comunione_, e perchè io aveva
prima massima che li libri eretici fossero contrarj a tutti li
sacramenti, non mi venne in mente che questo libretto, che
parlava sì bene del Santissimo Sacramento, potesse avere
qualche male nascosto, e mi rallegrai molto che mi fosse
capitato alle mani. Ed ordinai a questo librajo che me ne
facesse venire assai, e avendolo mostrato al mio vicario, il
quale era stato 30 anni in questa città, e fu sempre buon
cattolico, mi disse che il libretto gli pareva molto
spirituale, e ad ognuno che lo leggeva pareva il medesimo.
Dopo qualche tempo mi pervenne alle orecchie che si mormorava
contro questo libro, ed io era già ritornato a Roma, e parlando
al reverendissimo Cortese, il qual era uno de' reverendissimi
inquisitori, per saper il parere di sua signoria
reverendissima, mi disse le formali parole: «Quando la mattina
mi metto il giuppone, io non mi so vestire di altro che di
questo Beneficio di Cristo». Ma perchè la mormorazione del
libretto perseverava, e perchè vedeva diversi pareri, lo
lasciai, e mai più l'ho veduto, e con verità posso dire che non
mi ricordo che cosa contenga, altro che quella esortazione a
ricever il Corpo e Sangue del nostro Redentore. E se il libro
fosse stato proibito, o se io avessi compresa qualche malignità
in esso, non l'avria lasciato vendere. Però questo si ha da
imputare a mera malavvertenza e trascuraggine, come ancora mi è
avvenuto in un altro libro che io sempre ho reputato buono e
santo, che è il Concilio Coloniense, il quale da monsignor
Giovan Matteo (Giberto) vescovo di Verona fu fatto stampare, e
dato alli suoi curati, e poco fa ho inteso che vi son cose mal
dette dentro e sospette di eresia, per non dire eresie. E come
ancora pochi giorni fa fui avvertito che nelle prediche del
Savonarola erano molto eresie, quali sinora non sono state
manifeste. Però voglio dire che quando un libro par buono, e
non è proibito, avendo qualcosa mala dentro, è facil cosa che
uno, anche più dotto di me, si inganni, e non avverta gli
errori. Ma io non difendo il libro e lascio la censura alla
sede apostolica, la quale io sempre voglio seguitare, e lo
voglio avere per reprobo in tutti quelli punti che si trovano
contro la verità cattolica; e perchè intorno a questo libretto
possono esser occorsi diversi accidenti, delli quali non ho
così particolar memoria, mi rimetto in tutto alla verità. Mi
pare aver detto la somma di quanto mi ricordo: sol questo
voglio aggiungere perchè sia più conosciuta la sincerità
dell'animo mio, che, essendo in conclave, e avendo sentito
mormorar non so che contro di me per questo libretto, lo dissi
al cardinale di Trento, il quale mi rispose: «Io l'ho _in
delitiis_, ligato in oro in casa mia»; ed io gli dissi
lasciasselo, giacchè pativa eccezione. Voglio ancor dire che
non potei mai saper l'autore del libro _se non dopo alcuni
anni_, perchè si diceva esser stato il Flaminio, ed esso lo
negava: dopo intesi esser stato un monaco di San Benedetto,
credo o siciliano, o del Regno, che non ho saputo il nome.
_Di frate Bernardo._
Avendo il vescovado di Modena, per esser quei cervelli
gagliardi, e contaminati come erano, e avendo li magistrati
secolari allora poco favorevoli, essendo persuaso ed avendo per
l'esperienza provato che, prima di esecuzione, non poteva
provvedere agli inconvenienti, cominciai a pensar se per via di
benignità e di confidenza potessi scoprir bene tutto il male,
del quale era impossibile aver notizia per via di deposizione,
perchè nessuno voleva far l'ufficio. E per venir a questo, e
anche per evitar li rumori, andava cercando d'aver predicatori
di buona e sana dottrina e di spirito mansueto e buono, il qual
potesse fruttificar nell'animo loro. Ma avea gran fatica ad
aver persona al proposito. Stando in quello, poco dopo che fui
fatto cardinale mi fu posto alle mani un frate Bernardo
viterbese, credo, il quale mi diceva il reverendissimo Polo e
Priuli e gli altri che era un buon padre, e che saria stato al
proposito per Modena. Io aveva ancor poca cognizione del
prefato reverendissimo, perchè _in minoribus_ non l'avea mai
veduto che una volta, passando per Viterbo, ove sua signoria
reverendissima era Legato. Ma informato _etiam_ dalli frati
suoi, lo mandai a predicar a Modena, essendo fatto Legato al
Concilio quasi subito.
In Modena questo frate si portava bene, come intendeva per
relazione del mio vicario e di altri ancora, e aveva fatto
molte buone opere, e tra le altre aveva instituita l'orazione
continua di quarant'ore al Santissimo Sacramento. Io era stato
non molto avanti in Modena, ed avendo fatto venir a me molti
preti, curati della montagna, per esaminarli e vedere come
erano idonei a far l'officio suo, trovai uno fra li primi,
curato, come credo, di Monte Cretto, uomo vecchio, il quale
interrogato da me sopra il Sacramento della penitenza, non si
sapeva risolvere in che modo, essendo Dio misericordioso e
giusto insieme, rimettesse i peccati a lui ed agli altri
uomini. Onde dicendogli io che li peccati nostri meritavano la
giustizia severa di Dio, ma che questa giustizia alli veri
penitenti confessi ecc. si voltava in misericordia per amor di
Gesù Cristo, il quale aveva patito la morte della croce per
placare e procacciar la salute nostra; questo prete cominciò a
piangere, e gettandosi in ginocchioni, ringraziava mirabilmente
Iddio e me che gli avevo mostrato la via, per la quale avesse
la remissione delli suoi peccati, essendo stato sin a quell'ora
sempre dubbioso tra sè stesso come, essendo Dio giusto, usasse
la misericordia verso li peccatori.
Essendo dunque Legato al Concilio in Trento, ed essendo la
quadragesima, mi ricordai di questo effetto, e scrissi al mio
vicario che facesse intendere al predicatore che ammonisse il
popolo a far la sua confessione, ma che avvertisse di sperar la
remissione de' peccati da Cristo, e che ammonisse tutti li
confessori delle religioni di frati e tutti li curati che
insegnassero questo alli penitenti. Il vicario dette la mia
lettera al predicatore, il quale, pensando forse di far bene,
la volle leggere in pubblico: ma ne seguì gran bisbiglio,
perchè li cattivi la dicevano altrimenti che non stava. Di che
essendo avvertito dal vicario, sebben vi si era già rimediato,
scrissi subito che facesse osservar nelle confessioni la forma
del Concilio Coloniense, stampato a Verona, e così fu eseguito.
Ora essendo venuto questo frate, qualche anno dopo, in man
della Santa Inquisizione, depose alcune cose contro a me
intorno a questo. Il che papa Giulio mi fece intendere,
mandando a me il maestro _Sacri Palatii_, ora arcivescovo
Conza. Io feci venir le lettere che si trovarono ancora in
Modena, e sua santità le vide, come credo, ed il frate si
ridisse di quello aveva detto a torto contro di me: e
mandandomi sua santità Legato in Germania, mi dette il
processo, e ragionando poi intorno a simili materie, e massime
sopra la materia della giustificazione del reverendissimo
Contarino, che costì si chiama la Concordia di Ratisbona, e
discorrendo delle altre delazioni fatte contro di me, sua
santità abbracciandomi teneramente, mi disse, se era bisogno,
che mi dava la benedizione e assoluzione di tutto _in nomine
Patris et Filii et Spiritus Sancti_, e mi disse con le lacrime
che sperava che, per mio mezzo, s'avesse a ridur la Germania
all'antica e vera religione; con molte altre parole circa ciò,
che non fa bisogno raccontare.
_Dal Salmerono._
Stando pure in Trento, mandai il Salmerono della compagnia di
Gesù, a predicar a Modena, perchè sempre fui affezionato ad
essa compagnia; e in Germania ebbi per confessore, sinchè morì,
un mr. Pietro Fabro di detta compagnia, ottimo religioso: e
dopo la morte sua, quando poteva averla, mi valeva dell'opera
di mr. Claudio Jaio, pur della medesima compagnia. E perchè
detto Salmerono mi pareva ben dotto ed istrutto contro
Luterani, pensai fosse buono per Modena. Ed essendo lui andato,
cominciò a fare il debito suo, benchè si facesse gran rumori
contro di lui da quelli dell'Accademia, che erano li sospetti;
ed il governatore di Modena più volte si lamentasse che il
predicatore era ingiurioso, perchè chiamava costoro con il suo
nome. In quel tempo ritornai a Modena, essendosi fatta la
sospensione del Concilio; ed essendo andato alla sua predica,
udii che attribuiva assai e lodava li meriti degli uomini,
tanto che mi pareva desse occasione a far gli uomini più
arroganti e superbi verso Dio. Onde lo chiamai in camera, e
cominciammo a ragionare insieme noi due soli, e venimmo sopra a
questo. Esso, che era giovane ardito e dotto mi parlava molto
gagliardamente, come credo ora, con buon zelo. Io non avendo
pazienza, essendo più insolente di lui, me lo levai d'avanti, e
alterato dal ragionamento, credo che io dicessi molte inezie,
di nessuna delle quali io mi ricordo, se non che di questa,
ch'io non sapeva tanti meriti, ch'ancora in dire la messa, la
quale è la più santa opera che si possi fare, io faceva
peccato. Esso mi replicò che questa era mala opinione, come è
in effetto, intendendosi che a dir la messa sia peccato: ma io
intendo che, quantunque nessuna cosa si possa fare più grata a
Dio che il celebrar divotamente, nondimeno a me intervenne che,
o per la poca devozione e riverenza, o per la distrazione della
mente, mi bisognava dir mia colpa delli difetti commessi
intorno a tanto misterio.
Nondimeno io so che feci male, e ho soddisfatto dopo a esso
Salmerono non solo in parole, ma con fatti, perchè per il
servizio di Dio e per ajutar quelle anime e per dare ad
intendere a questa città ch'io approvo la dottrina di questa
compagnia, ho contribuito da molti anni in qua cinquanta scudi
d'oro l'anno per mantenere un collegio di essa compagnia e
tuttavia vi contribuisco[171]. E perchè siamo in questo
proposito, non per gloriarmi che non sta bene, dovendosi dar
tutta la gloria a Dio, ma per dare un evidentissimo testimonio
della volontà mia nelle cose della religione, dico che, molti
anni fa, vedendo che le cose di Germania tendevano alla totale
rovina per difetto di ministri, i quali avessero buona dottrina
e buoni costumi, fui il primo che proposi la via di fare il
Collegio Germanico in Roma, ove si istruiscano in sana dottrina
e buoni costumi quei giovani, sotto la disciplina di quei Padri
del Gesù, per mandarli poi in Germania a predicare e lavorare
_in vinea Domini_. E dal principio dell'istituzione del
Collegio sin all'ora presente, che son molti anni, ho dato
sempre più di cento scudi l'anno della povertà mia: nel che
mostro con l'effetto continuo che approvo e seguo la vera
dottrina ch'essi insegnano: e di questo si può chiarire.
_Delle opere e meriti._
Perchè abbiam tocco di sopra delli meriti nostri e delle opere
buone, voglio in qualche modo esplicare qui il mio concetto, il
quale è ch'io non mai ho dubitato che le buone opere non siano
necessarie alla salute nostra quando si possono fare; e che,
quando sono fatte in grazia, non siano meritorie di tutto
quello che Cristo benedetto ha promesso non solamente delli
beni di questa vita, ma della vita eterna; e trovo questa
verità fondata nella Scrittura, e tenuta da tutta la Santa
Chiesa. Ma perchè noi uomini siamo di natura assai arrogante, e
cerchiamo sempre d'esaltare noi stessi, leggendo continuamente
quanto sia grato a Dio la vera umiltà, nelli ragionamenti miei
ho molte volte detto che, quando m'appresento nel cospetto di
Dio, non posso metter la speranza nelli miei meriti, nè nelle
mie opere perchè son poche ed imperfettissime, e li peccati e
le negligenze sono infiniti e gravi: e perchè molti anni fa
aveva letto nella vita di san Bernardo che, essendo egli
gravemente infermo, stando per morire, fu presentato innanzi al
tribunal del Signore in excessu mentis, ove venne ancora
l'avversario, il quale l'accusava delli suoi difetti, e quando
toccò a san Bernardo a dire la parte sua, disse queste parole:
_Fateor non sum dignus ego, nec propriis possum meritis
obtinere regnum cœlorum; duplici jure illud obtinet Dominus
meus heres, hereditate patris et merito passionis, altera ipse
contentus, alterum mihi donat, ex cujus dono jure illud mihi
vendicans non confundor_, ed ho veduto in molti libri
spirituali in una simil sentenza, come dice Lodulfo Cartusiense
_In vita Cristi: Caveat prudenter fidelis peccator ne unquam,
in quocumque statu fuerit, confidentiam in suis meritis habeat,
sed tamquam mendicus pauperculis omnino nudus ad elemosinam
dominicam mendicandam semper vacuus accedat; hoc autem faciat
non quasi ex humilitate facti merita sua abscondens, sed
certissime sciens quod non justificabitur in conspectu Dei
omnis vivens; etiam solius cogitationis nostræ non possumus
rationem reddere, si ipse voluerit nobiscum in judicium
intrare_, ed altri simili detti appresso li santi dottori.
Conscio a me stesso delli peccati miei e delli pochi beni ch'io
ho fatto, del che me ne rincresce assai, ho detto più volte
ch'io non voglio tener conto con Dio de' miei meriti, ma che
desidero entrare nel cielo per la sua misericordia e per li
meriti della passione di Gesù Cristo, conforme a quel del
Canone, _Non estimator meriti, sed veniæ quæsumus largitor
admitte_. E questo mio dico non è stato per contemplazione
delle buone opere nelle quali dovevo esercitarmi sempre sinchè
vivevo, ed io potrei dire senza jattanza, per grazia di Dio,
che tuttavia ne faccio qualcuna, ma non tante quante vorria, e
avrei potuto verso Dio, verso il prossimo e verso me medesimo.
Di che me ne duole: ma perchè sono poche, sono imperfette, ed
io ne son debitore di molte più, ancora che così siano, so però
che Dio le rimunera come piace alla sua infinita liberalità: ma
io non riguardo a questo, rimettendomi sempre alla sua grazia
immensa, della quale conosco bene aver gran bisogno. Ed ho però
più volte insieme detto che alcuno si sente aver avuto tanta
grazia e tanti meriti, che possa star per quelli nel giudizio
con Dio, me ne riporto a lui; faccia quel che può, ch'io per me
non posso. E questo è stato il mio sentimento ed il mio parlare
quasi ordinario delle buone opere e meriti: nel che se vi è
qualche errore, me ne rimetto, ecc.
_Dell'elemosine date a persone sospette._
Mi fu ricordato che dovessi pensare se avessi mai dato denari a
persone sospette. Io risposi che, quando avea denari, ne dava
volentieri qualche volta a quelli che me ne chiedevano, secondo
quel detto dell'Evangelo, _Omni petenti te tribue_ e
quell'altro _Estote perfecti sicut et pater vester cœlestis
perfectus est, qui solem suum facit oriri super bonos et
malos_. E ho dato assai indifferentemente, con intenzione però
di darli per amor di Dio, al quale sono cogniti coloro che
hanno da riempir il cielo. E dico la verità che molte volte ho
dato limosina a soldati e gentiluomini e a meretrici, ma con
l'intenzione a Dio, benchè più spesso e più volentieri l'ho
data a quelli che credevo fossero uomini da bene, ancorchè da
questi spesse volte mi son trovato ingannato, come ho fatto da
un prete Lorenzo Davitico, al quale io ho date parecchie decine
di scudi. In Germania ho dato più volte denari a molti
Luterani, e donai diverse cose, come qualche bicchier
d'argento, anelli, collane, medaglie ed altre simil cose, per
valermi ad intender i loro secreti, e per servirmene nelle
occorrenze del mio offizio. Ne ho dato ancora a qualche
predicatore luterano, ma con animo d'acquistarli, come mi venne
fatto una volta in Spira, ove, per Dio grazia, con
l'amorevolezza e con donar in un tratto 30 fiorini d'oro a un
frate di sant'Agostino, sfratato e predicator luterano ed
inimicissimo di questa Santa Sede, diventò cattolico, e stette
con l'abito, e fu cagione che quella città non diventò in tutto
luterana, stando per diventare se costui non si mutava.
Sono sforzato a questo proposito manifestar la mia presunzione,
e forse parzialità, la quale parrà coperta da buon desiderio. E
questa era che, essendo io stato molti anni in Germania, mi
dava ad intendere che dovesse toccar a me ad esser ministro di
ridurre quella provincia all'obbedienza, all'unica religione,
perchè sapevo esservi amato universalmente, e che avevano buona
opinione di me, e che confidavano nella conformità del sangue,
dal quale essi non temevano esser ingannati: ed io conosceva
assai bene i loro umori, e sapevo trattenerli. Stando questa
mira non senza un poco di vanità, mi sforzavo in ogni occasion
fare cosa grata universalmente a quella nazione ovunque mi
trovava, e in ispecie a Bologna ove ero Legato. E benchè
credeva che ve ne fossero de' scolari luterani, pure io non li
cercava: e se non avessero fatte cose scandalose, non gli
diceva altro; anzi gli faceva delle grazie, come di dargli
licenza di portar le armi. E perchè sapeva che in Germania è
gran curiosità di saper le cose d'Italia, mi sforzava ancora di
non acquistar nome di persecutore dei Luterani per poter
guadagnarli se a Dio fosse piaciuto. E questo medesimo aveva
prima fatto in Trento quando era Legato al Concilio, ove, per
speranza di farli venire, mostrava ed in pubblico alcuna volta
di difendere in qualche cosa la loro parte, sapendo che in
Trento v'erano molte loro spie; il che forse anco mi ha nociuto
alli sospetti di qua, perchè mi pareva onesto che fosse alcuno
in Italia, dal quale essi non fossero totalmente aborrenti, e
non credeva mai che potesse nascere sospetti di me, avendo
tanti anni faticato per servir questa Santa Sede.
Ma confesso che l'amor proprio mi faceva credere più di me che
non doveva; e se avessi ben considerato l'insufficienza mia,
non sarei entrato in tal presunzione, e conseguentemente non
avrei fatto le cose che ho detto di sopra.
Ora al proposito avendo considerato a che persone sospette
posso aver dato denari, mi pare ricordarmi ancora che qui in
Roma donai una collana a un gentiluomo siciliano, don
Bartolomeo Spatafora, il quale però era stato assolto per
giustizia del reverendissimo Sfondrato, come esso me diceva, e
pareva garbato e gentilissimo ed era povero e voleva partirsi
per casa sua.
In Bologna poi, essendo legato, venne da me uno che sollecitava
cause per certi gentiluomini delli Desiderj, ovvero Ghisleri
salvo il vero: costui era di color bruno, e non mi sovviene il
nome, e si mostrava molto mortificato, e sempre aveva Cristo in
bocca, e mi diceva che quelli suoi principali erano buoni
cristiani, ma che per la inimicizia e per la lite della roba
erano anco imputati e travagliati per conto della religione.
Oltre di costui, vennero in diverse volte molti gentiluomini,
parenti ed amici di costoro, secondo l'usanza di Bologna, a
raccomandarmeli. Può esser facilmente, come mi ricordò,
monsignor reverendissimo Reomano, sebben io non gli ho a
memoria, perchè non è manco di 10 anni da questi fatti, dicono
dicessi: Se verrà da Roma ordine, io vi avviserò; per mostrarmi
benigno alle raccomandazioni e dar buone parole come si suole
fare; ma non lo feci nè l'avrei fatto quando l'ordine fosse
venuto: anzi l'avrei fatto eseguir, come faceva sempre eseguir
ogni volta che bisognava per l'officio dell'Inquisizione, come
ne posson render buon testimonio li frati istessi di San
Domenico di Bologna, che mai li son mancato quando m'han
richiesto: e credo che l'arcivescovo di Conza se ne potrebbe
raccordare, perchè era priore del monastero di Bologna. E mi
ricordo aver dato ogni prova ch'io ho possuto, e credo anche
denari all'Inquisizione, per fare lemosina e per ajuto
dell'officio che non aveva cosa alcuna. Costui un giorno mi
domandò elemosina per dar a certi poveri uomini, buoni
cristiani, come esso diceva, carichi di famiglia, femmine e
putti, e senza recapito, che potevano assai. Io glie la diedi
per l'amor d'Iddio, ma non so chi fossero, nè io lo vidi mai,
nè so se esso gliela diede o la ritenesse per sè.
Un'altra volta costui venne da me, e cominciò a volersi
domesticare meco e ragionar di materia della religione. Invero
ch'avea molte occupazioni per il governo, e Dio sa che a un
certo modo il genio mio l'aborriva, ed anco non giudicava bene
parlar di simil materie con laici: se ben mi posso ricordare,
credo che in sostanza gli dicessi, se egli era buon cristiano
che si doveva contentare che non gli era tolto Cristo, e che
dovesse pigliar le cose in bene come si poteva, e doveva fare.
Credo che questo medesimo mi portasse un libro luterano _contra
Judæos_, il quale io tolsi, e per essere _contra Judæos_, de'
quali ne erano assai a Bologna, e favoriti dalli Cristiani, lo
diedi a vedere all'inquisitore, il quale me lo riportò, e disse
che, se l'autor non fosse stato cattivo, il libro saria molto
buono, acconciando qualche cosetta delli suoi andamenti soliti
contro questi inimici della fede nostra, perchè usava de' buoni
argomenti e autorità per convertirli. E mi lasciò il libro, e
fummo in ragionamento di farlo acconciare e farlo volgare: ma
perchè aveva molte occupazioni, ed esso padre non era atto a
farlo ben volgare; e non era bene dar la cura ad altro, non se
ne parlo più, ed il libro, come credo, fu posto tra gli altri
nella libreria apostolica. Credo non ebbi tempo nemmeno mai di
leggerlo, perchè al legger e scriver molto la natura e volontà
mia presto si straccano. Non voglio però affermar in tutto che
fosse costui proprio che mi desse il libro, perchè per esser,
come ho detto, molti anni, non me ne ricordo preciso, ma non
posso ricordarmi che fosse altro, ed io ebbi il libro come ho
detto, e me ne rimetto alla verità; nè ancora mi ricordo dopo
aver mai più veduto costui, e mi rincresce non mi ricordar il
nome, ma era agente, come ho detto, delli Ghisleri o Desiderj.
_Delle reliquie dei Santi._
In questo luogo, se mi fosse lecito, pregherò nostro signore
volesse informarsi bene delli miei vicelegati, se io attendeva
in quel governo alla verità della fede nostra e al beneficio
pubblico, di che li miei ordini e gride, _etiam_ nelle cose
della religione, ne possono rendere vivo testimonio. E questo
durò per 4 anni continui, nelli quali non lasciai mai officio
alcuno, mentre vi stetti presente nè pubblico nè privato che
facesse al buono esempio, ed a servare il popolo nella antica
religione. E fra altri mi ricordo (perchè monsignor
reverendissimo Alessandrino mi toccò un motto ch'io ero
imputato sentir male delle reliquie de' Santi) che mai lasciai
d'andar solennemente a visitar le reliquie di san Stefano, e di
accompagnar la Madonna di san Luca secondo il costume della
città; ed andava sempre a piedi, il che non facevano li miei
antecessori; e lo faceva puramente e con divozione, e da molti
ne era biasimato, quasi che avvilissi il grado di magistrato. E
per continuar in questa objezione fattami delle reliquie de'
Santi, dirò quanta affezione ho sempre portato e porto alli
gloriosi Santi, veri amici di Dio, li quali in vita sono stati
tempio di Dio e abitacolo della sua santità, e dopo la morte
son fatti _consortes divinæ naturæ_, come dice san Pietro. E mi
meraviglio assai come possa essere ch'alcuno dubiti di me in
questo, essendo assai manifesto nella Scrittura che non solo la
fimbria del vestimento del Salvatore nostro salvò il flusso
della Emoroissa, _sed umbra Petri et semicintia Pauli sanabant
infirmos_. E perchè sono andato pensando tra me stesso onde
possa nascere questo sospetto, mi son ricordato, ma non saprei
dire con chi, che qualche volta ho detto che a Roma si
mostravano alcune reliquie, le quali dubitava non fosser vere,
come il fieno del presepio che si mostra a Santa Maria
Maggiore, e li capelli e camicia della Maddalena; e ragionando
ho contato delle imposture che fanno alcuni barri nelle ville:
portano fuori qualche osso d'asino o di cavallo, con dire che
sono reliquie, per ricoglier denari; e questo ho biasimato,
come ancora le favole che raccontano molti questuanti, li quali
introducono molte superstizioni. E ho detto che se gli dovrebbe
provvedere. Ma alle reliquie vere ho sempre portato gran
riverenza, e l'ho mostrata in ogni luogo pubblico e privato:
come _etiam nunc_ si può vedere che qui in Castello ho la croce
d'argento piena di reliquie, che almeno 12 anni fa si porta
meco in ogni luogo: se forse non fossi mancato per la
negligenza solita in ogni mia azione, come mancano il più degli
uomini, ch'è difetto a me ordinario e comune con molti nelle
buone azioni. E mi rincresce ancor aver detto questo, massime
in quelli tempi che non faceva _ad ædificationem_; come ancora
mi è rincresciuto aver parlato dopo desinar o nel desinare
contro frati, cioè contro tanti Ordini, ricordandomi tra le
altre, aver detto, _Omnis plantatio quam non plantavit pater
meus cœlestis eradicabitur_; il che però non dissi per biasimar
le religioni buone, le quali attendono alla perfezione; delle
quali ho avuto sempre gran protezione, come essi sanno; ma
contra tanta varietà, non solo di Ordini, ma delli medesimi
Ordini, dispiacendomi le novità e la mala vita di molti.
Il reverendissimo Alessandrino mi raccomandò ancora che io
dovessi pensare se avevo mai sentito male della intercessione
dei Santi: io risposi che aveva sempre creduto che i Santi
intercedessero appresso Dio per noi, e così credo perchè
_caritas manet_, e tanto maggiore quanto per se stessi non
hanno bisogno più di preghi, ma pregano per noi. È ben vero
ch'alcuna volta questo punto mi aveva dato un poco di molestia,
che mi pareva meglio indirizzar l'orazione, nella quale si
ricerca l'ajuto de' Santi, a Dio come sono scritte nel messale
e nel breviario, che indirizzarle a loro Santi come si fa nelle
litanie, perchè in quella orazione si domanda l'intercessione
de' Santi a Dio _per dominum nostrum Jesum Christum_, secondo
l'ordinario della Chiesa. In questo altro mi dava molestia, che
non era capace come le creature potessero udire li nostri
preghi così di lontano, essendo il proprio di Dio di vedere e
udire tutto, _etiam corda et cogitationes hominum_: ma questo
mio dubbio non durò molto tempo, perchè vidi che san Leone papa
voltava i preghi suoi a san Pietro, san Bernardo alla gloriosa
Vergine, e sant'Agostino alla medesima, e il mio lodato
Cartusiense, ch'io leggo spesso, a diversi Santi nell'orazioni
sue dopo i sermoni. E mentre stetti in questo dubbio, servai
però sempre la consuetudine della Chiesa, captivando
l'intelletto mio, e dicendo le litanie ordinariamente la
quaresima con li sette salmi, e dicendo ordinariamente
l'antifona _Sancti Dei omnes, intercedere dignemini pro nostra
omniumque salute_. È vero che domandava qualche volta di tal
dubbio, poi mi risolsi in san Tommaso che li Santi intendono le
cose di qua in Dio, e restai da me stesso quietissimo e senza
alcuno scrupolo, come ancora restai quieto nella _Salve
Regina_, la quale non lasciai mai dopo l'offizio, se non
quando, in luogo di quella, dicevo _Regina cœli lætare_ ecc.,
prima massima che li libri eretici fossero contrarj a tutti li
sacramenti, non mi venne in mente che questo libretto, che
parlava sì bene del Santissimo Sacramento, potesse avere
qualche male nascosto, e mi rallegrai molto che mi fosse
capitato alle mani. Ed ordinai a questo librajo che me ne
facesse venire assai, e avendolo mostrato al mio vicario, il
quale era stato 30 anni in questa città, e fu sempre buon
cattolico, mi disse che il libretto gli pareva molto
spirituale, e ad ognuno che lo leggeva pareva il medesimo.
Dopo qualche tempo mi pervenne alle orecchie che si mormorava
contro questo libro, ed io era già ritornato a Roma, e parlando
al reverendissimo Cortese, il qual era uno de' reverendissimi
inquisitori, per saper il parere di sua signoria
reverendissima, mi disse le formali parole: «Quando la mattina
mi metto il giuppone, io non mi so vestire di altro che di
questo Beneficio di Cristo». Ma perchè la mormorazione del
libretto perseverava, e perchè vedeva diversi pareri, lo
lasciai, e mai più l'ho veduto, e con verità posso dire che non
mi ricordo che cosa contenga, altro che quella esortazione a
ricever il Corpo e Sangue del nostro Redentore. E se il libro
fosse stato proibito, o se io avessi compresa qualche malignità
in esso, non l'avria lasciato vendere. Però questo si ha da
imputare a mera malavvertenza e trascuraggine, come ancora mi è
avvenuto in un altro libro che io sempre ho reputato buono e
santo, che è il Concilio Coloniense, il quale da monsignor
Giovan Matteo (Giberto) vescovo di Verona fu fatto stampare, e
dato alli suoi curati, e poco fa ho inteso che vi son cose mal
dette dentro e sospette di eresia, per non dire eresie. E come
ancora pochi giorni fa fui avvertito che nelle prediche del
Savonarola erano molto eresie, quali sinora non sono state
manifeste. Però voglio dire che quando un libro par buono, e
non è proibito, avendo qualcosa mala dentro, è facil cosa che
uno, anche più dotto di me, si inganni, e non avverta gli
errori. Ma io non difendo il libro e lascio la censura alla
sede apostolica, la quale io sempre voglio seguitare, e lo
voglio avere per reprobo in tutti quelli punti che si trovano
contro la verità cattolica; e perchè intorno a questo libretto
possono esser occorsi diversi accidenti, delli quali non ho
così particolar memoria, mi rimetto in tutto alla verità. Mi
pare aver detto la somma di quanto mi ricordo: sol questo
voglio aggiungere perchè sia più conosciuta la sincerità
dell'animo mio, che, essendo in conclave, e avendo sentito
mormorar non so che contro di me per questo libretto, lo dissi
al cardinale di Trento, il quale mi rispose: «Io l'ho _in
delitiis_, ligato in oro in casa mia»; ed io gli dissi
lasciasselo, giacchè pativa eccezione. Voglio ancor dire che
non potei mai saper l'autore del libro _se non dopo alcuni
anni_, perchè si diceva esser stato il Flaminio, ed esso lo
negava: dopo intesi esser stato un monaco di San Benedetto,
credo o siciliano, o del Regno, che non ho saputo il nome.
_Di frate Bernardo._
Avendo il vescovado di Modena, per esser quei cervelli
gagliardi, e contaminati come erano, e avendo li magistrati
secolari allora poco favorevoli, essendo persuaso ed avendo per
l'esperienza provato che, prima di esecuzione, non poteva
provvedere agli inconvenienti, cominciai a pensar se per via di
benignità e di confidenza potessi scoprir bene tutto il male,
del quale era impossibile aver notizia per via di deposizione,
perchè nessuno voleva far l'ufficio. E per venir a questo, e
anche per evitar li rumori, andava cercando d'aver predicatori
di buona e sana dottrina e di spirito mansueto e buono, il qual
potesse fruttificar nell'animo loro. Ma avea gran fatica ad
aver persona al proposito. Stando in quello, poco dopo che fui
fatto cardinale mi fu posto alle mani un frate Bernardo
viterbese, credo, il quale mi diceva il reverendissimo Polo e
Priuli e gli altri che era un buon padre, e che saria stato al
proposito per Modena. Io aveva ancor poca cognizione del
prefato reverendissimo, perchè _in minoribus_ non l'avea mai
veduto che una volta, passando per Viterbo, ove sua signoria
reverendissima era Legato. Ma informato _etiam_ dalli frati
suoi, lo mandai a predicar a Modena, essendo fatto Legato al
Concilio quasi subito.
In Modena questo frate si portava bene, come intendeva per
relazione del mio vicario e di altri ancora, e aveva fatto
molte buone opere, e tra le altre aveva instituita l'orazione
continua di quarant'ore al Santissimo Sacramento. Io era stato
non molto avanti in Modena, ed avendo fatto venir a me molti
preti, curati della montagna, per esaminarli e vedere come
erano idonei a far l'officio suo, trovai uno fra li primi,
curato, come credo, di Monte Cretto, uomo vecchio, il quale
interrogato da me sopra il Sacramento della penitenza, non si
sapeva risolvere in che modo, essendo Dio misericordioso e
giusto insieme, rimettesse i peccati a lui ed agli altri
uomini. Onde dicendogli io che li peccati nostri meritavano la
giustizia severa di Dio, ma che questa giustizia alli veri
penitenti confessi ecc. si voltava in misericordia per amor di
Gesù Cristo, il quale aveva patito la morte della croce per
placare e procacciar la salute nostra; questo prete cominciò a
piangere, e gettandosi in ginocchioni, ringraziava mirabilmente
Iddio e me che gli avevo mostrato la via, per la quale avesse
la remissione delli suoi peccati, essendo stato sin a quell'ora
sempre dubbioso tra sè stesso come, essendo Dio giusto, usasse
la misericordia verso li peccatori.
Essendo dunque Legato al Concilio in Trento, ed essendo la
quadragesima, mi ricordai di questo effetto, e scrissi al mio
vicario che facesse intendere al predicatore che ammonisse il
popolo a far la sua confessione, ma che avvertisse di sperar la
remissione de' peccati da Cristo, e che ammonisse tutti li
confessori delle religioni di frati e tutti li curati che
insegnassero questo alli penitenti. Il vicario dette la mia
lettera al predicatore, il quale, pensando forse di far bene,
la volle leggere in pubblico: ma ne seguì gran bisbiglio,
perchè li cattivi la dicevano altrimenti che non stava. Di che
essendo avvertito dal vicario, sebben vi si era già rimediato,
scrissi subito che facesse osservar nelle confessioni la forma
del Concilio Coloniense, stampato a Verona, e così fu eseguito.
Ora essendo venuto questo frate, qualche anno dopo, in man
della Santa Inquisizione, depose alcune cose contro a me
intorno a questo. Il che papa Giulio mi fece intendere,
mandando a me il maestro _Sacri Palatii_, ora arcivescovo
Conza. Io feci venir le lettere che si trovarono ancora in
Modena, e sua santità le vide, come credo, ed il frate si
ridisse di quello aveva detto a torto contro di me: e
mandandomi sua santità Legato in Germania, mi dette il
processo, e ragionando poi intorno a simili materie, e massime
sopra la materia della giustificazione del reverendissimo
Contarino, che costì si chiama la Concordia di Ratisbona, e
discorrendo delle altre delazioni fatte contro di me, sua
santità abbracciandomi teneramente, mi disse, se era bisogno,
che mi dava la benedizione e assoluzione di tutto _in nomine
Patris et Filii et Spiritus Sancti_, e mi disse con le lacrime
che sperava che, per mio mezzo, s'avesse a ridur la Germania
all'antica e vera religione; con molte altre parole circa ciò,
che non fa bisogno raccontare.
_Dal Salmerono._
Stando pure in Trento, mandai il Salmerono della compagnia di
Gesù, a predicar a Modena, perchè sempre fui affezionato ad
essa compagnia; e in Germania ebbi per confessore, sinchè morì,
un mr. Pietro Fabro di detta compagnia, ottimo religioso: e
dopo la morte sua, quando poteva averla, mi valeva dell'opera
di mr. Claudio Jaio, pur della medesima compagnia. E perchè
detto Salmerono mi pareva ben dotto ed istrutto contro
Luterani, pensai fosse buono per Modena. Ed essendo lui andato,
cominciò a fare il debito suo, benchè si facesse gran rumori
contro di lui da quelli dell'Accademia, che erano li sospetti;
ed il governatore di Modena più volte si lamentasse che il
predicatore era ingiurioso, perchè chiamava costoro con il suo
nome. In quel tempo ritornai a Modena, essendosi fatta la
sospensione del Concilio; ed essendo andato alla sua predica,
udii che attribuiva assai e lodava li meriti degli uomini,
tanto che mi pareva desse occasione a far gli uomini più
arroganti e superbi verso Dio. Onde lo chiamai in camera, e
cominciammo a ragionare insieme noi due soli, e venimmo sopra a
questo. Esso, che era giovane ardito e dotto mi parlava molto
gagliardamente, come credo ora, con buon zelo. Io non avendo
pazienza, essendo più insolente di lui, me lo levai d'avanti, e
alterato dal ragionamento, credo che io dicessi molte inezie,
di nessuna delle quali io mi ricordo, se non che di questa,
ch'io non sapeva tanti meriti, ch'ancora in dire la messa, la
quale è la più santa opera che si possi fare, io faceva
peccato. Esso mi replicò che questa era mala opinione, come è
in effetto, intendendosi che a dir la messa sia peccato: ma io
intendo che, quantunque nessuna cosa si possa fare più grata a
Dio che il celebrar divotamente, nondimeno a me intervenne che,
o per la poca devozione e riverenza, o per la distrazione della
mente, mi bisognava dir mia colpa delli difetti commessi
intorno a tanto misterio.
Nondimeno io so che feci male, e ho soddisfatto dopo a esso
Salmerono non solo in parole, ma con fatti, perchè per il
servizio di Dio e per ajutar quelle anime e per dare ad
intendere a questa città ch'io approvo la dottrina di questa
compagnia, ho contribuito da molti anni in qua cinquanta scudi
d'oro l'anno per mantenere un collegio di essa compagnia e
tuttavia vi contribuisco[171]. E perchè siamo in questo
proposito, non per gloriarmi che non sta bene, dovendosi dar
tutta la gloria a Dio, ma per dare un evidentissimo testimonio
della volontà mia nelle cose della religione, dico che, molti
anni fa, vedendo che le cose di Germania tendevano alla totale
rovina per difetto di ministri, i quali avessero buona dottrina
e buoni costumi, fui il primo che proposi la via di fare il
Collegio Germanico in Roma, ove si istruiscano in sana dottrina
e buoni costumi quei giovani, sotto la disciplina di quei Padri
del Gesù, per mandarli poi in Germania a predicare e lavorare
_in vinea Domini_. E dal principio dell'istituzione del
Collegio sin all'ora presente, che son molti anni, ho dato
sempre più di cento scudi l'anno della povertà mia: nel che
mostro con l'effetto continuo che approvo e seguo la vera
dottrina ch'essi insegnano: e di questo si può chiarire.
_Delle opere e meriti._
Perchè abbiam tocco di sopra delli meriti nostri e delle opere
buone, voglio in qualche modo esplicare qui il mio concetto, il
quale è ch'io non mai ho dubitato che le buone opere non siano
necessarie alla salute nostra quando si possono fare; e che,
quando sono fatte in grazia, non siano meritorie di tutto
quello che Cristo benedetto ha promesso non solamente delli
beni di questa vita, ma della vita eterna; e trovo questa
verità fondata nella Scrittura, e tenuta da tutta la Santa
Chiesa. Ma perchè noi uomini siamo di natura assai arrogante, e
cerchiamo sempre d'esaltare noi stessi, leggendo continuamente
quanto sia grato a Dio la vera umiltà, nelli ragionamenti miei
ho molte volte detto che, quando m'appresento nel cospetto di
Dio, non posso metter la speranza nelli miei meriti, nè nelle
mie opere perchè son poche ed imperfettissime, e li peccati e
le negligenze sono infiniti e gravi: e perchè molti anni fa
aveva letto nella vita di san Bernardo che, essendo egli
gravemente infermo, stando per morire, fu presentato innanzi al
tribunal del Signore in excessu mentis, ove venne ancora
l'avversario, il quale l'accusava delli suoi difetti, e quando
toccò a san Bernardo a dire la parte sua, disse queste parole:
_Fateor non sum dignus ego, nec propriis possum meritis
obtinere regnum cœlorum; duplici jure illud obtinet Dominus
meus heres, hereditate patris et merito passionis, altera ipse
contentus, alterum mihi donat, ex cujus dono jure illud mihi
vendicans non confundor_, ed ho veduto in molti libri
spirituali in una simil sentenza, come dice Lodulfo Cartusiense
_In vita Cristi: Caveat prudenter fidelis peccator ne unquam,
in quocumque statu fuerit, confidentiam in suis meritis habeat,
sed tamquam mendicus pauperculis omnino nudus ad elemosinam
dominicam mendicandam semper vacuus accedat; hoc autem faciat
non quasi ex humilitate facti merita sua abscondens, sed
certissime sciens quod non justificabitur in conspectu Dei
omnis vivens; etiam solius cogitationis nostræ non possumus
rationem reddere, si ipse voluerit nobiscum in judicium
intrare_, ed altri simili detti appresso li santi dottori.
Conscio a me stesso delli peccati miei e delli pochi beni ch'io
ho fatto, del che me ne rincresce assai, ho detto più volte
ch'io non voglio tener conto con Dio de' miei meriti, ma che
desidero entrare nel cielo per la sua misericordia e per li
meriti della passione di Gesù Cristo, conforme a quel del
Canone, _Non estimator meriti, sed veniæ quæsumus largitor
admitte_. E questo mio dico non è stato per contemplazione
delle buone opere nelle quali dovevo esercitarmi sempre sinchè
vivevo, ed io potrei dire senza jattanza, per grazia di Dio,
che tuttavia ne faccio qualcuna, ma non tante quante vorria, e
avrei potuto verso Dio, verso il prossimo e verso me medesimo.
Di che me ne duole: ma perchè sono poche, sono imperfette, ed
io ne son debitore di molte più, ancora che così siano, so però
che Dio le rimunera come piace alla sua infinita liberalità: ma
io non riguardo a questo, rimettendomi sempre alla sua grazia
immensa, della quale conosco bene aver gran bisogno. Ed ho però
più volte insieme detto che alcuno si sente aver avuto tanta
grazia e tanti meriti, che possa star per quelli nel giudizio
con Dio, me ne riporto a lui; faccia quel che può, ch'io per me
non posso. E questo è stato il mio sentimento ed il mio parlare
quasi ordinario delle buone opere e meriti: nel che se vi è
qualche errore, me ne rimetto, ecc.
_Dell'elemosine date a persone sospette._
Mi fu ricordato che dovessi pensare se avessi mai dato denari a
persone sospette. Io risposi che, quando avea denari, ne dava
volentieri qualche volta a quelli che me ne chiedevano, secondo
quel detto dell'Evangelo, _Omni petenti te tribue_ e
quell'altro _Estote perfecti sicut et pater vester cœlestis
perfectus est, qui solem suum facit oriri super bonos et
malos_. E ho dato assai indifferentemente, con intenzione però
di darli per amor di Dio, al quale sono cogniti coloro che
hanno da riempir il cielo. E dico la verità che molte volte ho
dato limosina a soldati e gentiluomini e a meretrici, ma con
l'intenzione a Dio, benchè più spesso e più volentieri l'ho
data a quelli che credevo fossero uomini da bene, ancorchè da
questi spesse volte mi son trovato ingannato, come ho fatto da
un prete Lorenzo Davitico, al quale io ho date parecchie decine
di scudi. In Germania ho dato più volte denari a molti
Luterani, e donai diverse cose, come qualche bicchier
d'argento, anelli, collane, medaglie ed altre simil cose, per
valermi ad intender i loro secreti, e per servirmene nelle
occorrenze del mio offizio. Ne ho dato ancora a qualche
predicatore luterano, ma con animo d'acquistarli, come mi venne
fatto una volta in Spira, ove, per Dio grazia, con
l'amorevolezza e con donar in un tratto 30 fiorini d'oro a un
frate di sant'Agostino, sfratato e predicator luterano ed
inimicissimo di questa Santa Sede, diventò cattolico, e stette
con l'abito, e fu cagione che quella città non diventò in tutto
luterana, stando per diventare se costui non si mutava.
Sono sforzato a questo proposito manifestar la mia presunzione,
e forse parzialità, la quale parrà coperta da buon desiderio. E
questa era che, essendo io stato molti anni in Germania, mi
dava ad intendere che dovesse toccar a me ad esser ministro di
ridurre quella provincia all'obbedienza, all'unica religione,
perchè sapevo esservi amato universalmente, e che avevano buona
opinione di me, e che confidavano nella conformità del sangue,
dal quale essi non temevano esser ingannati: ed io conosceva
assai bene i loro umori, e sapevo trattenerli. Stando questa
mira non senza un poco di vanità, mi sforzavo in ogni occasion
fare cosa grata universalmente a quella nazione ovunque mi
trovava, e in ispecie a Bologna ove ero Legato. E benchè
credeva che ve ne fossero de' scolari luterani, pure io non li
cercava: e se non avessero fatte cose scandalose, non gli
diceva altro; anzi gli faceva delle grazie, come di dargli
licenza di portar le armi. E perchè sapeva che in Germania è
gran curiosità di saper le cose d'Italia, mi sforzava ancora di
non acquistar nome di persecutore dei Luterani per poter
guadagnarli se a Dio fosse piaciuto. E questo medesimo aveva
prima fatto in Trento quando era Legato al Concilio, ove, per
speranza di farli venire, mostrava ed in pubblico alcuna volta
di difendere in qualche cosa la loro parte, sapendo che in
Trento v'erano molte loro spie; il che forse anco mi ha nociuto
alli sospetti di qua, perchè mi pareva onesto che fosse alcuno
in Italia, dal quale essi non fossero totalmente aborrenti, e
non credeva mai che potesse nascere sospetti di me, avendo
tanti anni faticato per servir questa Santa Sede.
Ma confesso che l'amor proprio mi faceva credere più di me che
non doveva; e se avessi ben considerato l'insufficienza mia,
non sarei entrato in tal presunzione, e conseguentemente non
avrei fatto le cose che ho detto di sopra.
Ora al proposito avendo considerato a che persone sospette
posso aver dato denari, mi pare ricordarmi ancora che qui in
Roma donai una collana a un gentiluomo siciliano, don
Bartolomeo Spatafora, il quale però era stato assolto per
giustizia del reverendissimo Sfondrato, come esso me diceva, e
pareva garbato e gentilissimo ed era povero e voleva partirsi
per casa sua.
In Bologna poi, essendo legato, venne da me uno che sollecitava
cause per certi gentiluomini delli Desiderj, ovvero Ghisleri
salvo il vero: costui era di color bruno, e non mi sovviene il
nome, e si mostrava molto mortificato, e sempre aveva Cristo in
bocca, e mi diceva che quelli suoi principali erano buoni
cristiani, ma che per la inimicizia e per la lite della roba
erano anco imputati e travagliati per conto della religione.
Oltre di costui, vennero in diverse volte molti gentiluomini,
parenti ed amici di costoro, secondo l'usanza di Bologna, a
raccomandarmeli. Può esser facilmente, come mi ricordò,
monsignor reverendissimo Reomano, sebben io non gli ho a
memoria, perchè non è manco di 10 anni da questi fatti, dicono
dicessi: Se verrà da Roma ordine, io vi avviserò; per mostrarmi
benigno alle raccomandazioni e dar buone parole come si suole
fare; ma non lo feci nè l'avrei fatto quando l'ordine fosse
venuto: anzi l'avrei fatto eseguir, come faceva sempre eseguir
ogni volta che bisognava per l'officio dell'Inquisizione, come
ne posson render buon testimonio li frati istessi di San
Domenico di Bologna, che mai li son mancato quando m'han
richiesto: e credo che l'arcivescovo di Conza se ne potrebbe
raccordare, perchè era priore del monastero di Bologna. E mi
ricordo aver dato ogni prova ch'io ho possuto, e credo anche
denari all'Inquisizione, per fare lemosina e per ajuto
dell'officio che non aveva cosa alcuna. Costui un giorno mi
domandò elemosina per dar a certi poveri uomini, buoni
cristiani, come esso diceva, carichi di famiglia, femmine e
putti, e senza recapito, che potevano assai. Io glie la diedi
per l'amor d'Iddio, ma non so chi fossero, nè io lo vidi mai,
nè so se esso gliela diede o la ritenesse per sè.
Un'altra volta costui venne da me, e cominciò a volersi
domesticare meco e ragionar di materia della religione. Invero
ch'avea molte occupazioni per il governo, e Dio sa che a un
certo modo il genio mio l'aborriva, ed anco non giudicava bene
parlar di simil materie con laici: se ben mi posso ricordare,
credo che in sostanza gli dicessi, se egli era buon cristiano
che si doveva contentare che non gli era tolto Cristo, e che
dovesse pigliar le cose in bene come si poteva, e doveva fare.
Credo che questo medesimo mi portasse un libro luterano _contra
Judæos_, il quale io tolsi, e per essere _contra Judæos_, de'
quali ne erano assai a Bologna, e favoriti dalli Cristiani, lo
diedi a vedere all'inquisitore, il quale me lo riportò, e disse
che, se l'autor non fosse stato cattivo, il libro saria molto
buono, acconciando qualche cosetta delli suoi andamenti soliti
contro questi inimici della fede nostra, perchè usava de' buoni
argomenti e autorità per convertirli. E mi lasciò il libro, e
fummo in ragionamento di farlo acconciare e farlo volgare: ma
perchè aveva molte occupazioni, ed esso padre non era atto a
farlo ben volgare; e non era bene dar la cura ad altro, non se
ne parlo più, ed il libro, come credo, fu posto tra gli altri
nella libreria apostolica. Credo non ebbi tempo nemmeno mai di
leggerlo, perchè al legger e scriver molto la natura e volontà
mia presto si straccano. Non voglio però affermar in tutto che
fosse costui proprio che mi desse il libro, perchè per esser,
come ho detto, molti anni, non me ne ricordo preciso, ma non
posso ricordarmi che fosse altro, ed io ebbi il libro come ho
detto, e me ne rimetto alla verità; nè ancora mi ricordo dopo
aver mai più veduto costui, e mi rincresce non mi ricordar il
nome, ma era agente, come ho detto, delli Ghisleri o Desiderj.
_Delle reliquie dei Santi._
In questo luogo, se mi fosse lecito, pregherò nostro signore
volesse informarsi bene delli miei vicelegati, se io attendeva
in quel governo alla verità della fede nostra e al beneficio
pubblico, di che li miei ordini e gride, _etiam_ nelle cose
della religione, ne possono rendere vivo testimonio. E questo
durò per 4 anni continui, nelli quali non lasciai mai officio
alcuno, mentre vi stetti presente nè pubblico nè privato che
facesse al buono esempio, ed a servare il popolo nella antica
religione. E fra altri mi ricordo (perchè monsignor
reverendissimo Alessandrino mi toccò un motto ch'io ero
imputato sentir male delle reliquie de' Santi) che mai lasciai
d'andar solennemente a visitar le reliquie di san Stefano, e di
accompagnar la Madonna di san Luca secondo il costume della
città; ed andava sempre a piedi, il che non facevano li miei
antecessori; e lo faceva puramente e con divozione, e da molti
ne era biasimato, quasi che avvilissi il grado di magistrato. E
per continuar in questa objezione fattami delle reliquie de'
Santi, dirò quanta affezione ho sempre portato e porto alli
gloriosi Santi, veri amici di Dio, li quali in vita sono stati
tempio di Dio e abitacolo della sua santità, e dopo la morte
son fatti _consortes divinæ naturæ_, come dice san Pietro. E mi
meraviglio assai come possa essere ch'alcuno dubiti di me in
questo, essendo assai manifesto nella Scrittura che non solo la
fimbria del vestimento del Salvatore nostro salvò il flusso
della Emoroissa, _sed umbra Petri et semicintia Pauli sanabant
infirmos_. E perchè sono andato pensando tra me stesso onde
possa nascere questo sospetto, mi son ricordato, ma non saprei
dire con chi, che qualche volta ho detto che a Roma si
mostravano alcune reliquie, le quali dubitava non fosser vere,
come il fieno del presepio che si mostra a Santa Maria
Maggiore, e li capelli e camicia della Maddalena; e ragionando
ho contato delle imposture che fanno alcuni barri nelle ville:
portano fuori qualche osso d'asino o di cavallo, con dire che
sono reliquie, per ricoglier denari; e questo ho biasimato,
come ancora le favole che raccontano molti questuanti, li quali
introducono molte superstizioni. E ho detto che se gli dovrebbe
provvedere. Ma alle reliquie vere ho sempre portato gran
riverenza, e l'ho mostrata in ogni luogo pubblico e privato:
come _etiam nunc_ si può vedere che qui in Castello ho la croce
d'argento piena di reliquie, che almeno 12 anni fa si porta
meco in ogni luogo: se forse non fossi mancato per la
negligenza solita in ogni mia azione, come mancano il più degli
uomini, ch'è difetto a me ordinario e comune con molti nelle
buone azioni. E mi rincresce ancor aver detto questo, massime
in quelli tempi che non faceva _ad ædificationem_; come ancora
mi è rincresciuto aver parlato dopo desinar o nel desinare
contro frati, cioè contro tanti Ordini, ricordandomi tra le
altre, aver detto, _Omnis plantatio quam non plantavit pater
meus cœlestis eradicabitur_; il che però non dissi per biasimar
le religioni buone, le quali attendono alla perfezione; delle
quali ho avuto sempre gran protezione, come essi sanno; ma
contra tanta varietà, non solo di Ordini, ma delli medesimi
Ordini, dispiacendomi le novità e la mala vita di molti.
Il reverendissimo Alessandrino mi raccomandò ancora che io
dovessi pensare se avevo mai sentito male della intercessione
dei Santi: io risposi che aveva sempre creduto che i Santi
intercedessero appresso Dio per noi, e così credo perchè
_caritas manet_, e tanto maggiore quanto per se stessi non
hanno bisogno più di preghi, ma pregano per noi. È ben vero
ch'alcuna volta questo punto mi aveva dato un poco di molestia,
che mi pareva meglio indirizzar l'orazione, nella quale si
ricerca l'ajuto de' Santi, a Dio come sono scritte nel messale
e nel breviario, che indirizzarle a loro Santi come si fa nelle
litanie, perchè in quella orazione si domanda l'intercessione
de' Santi a Dio _per dominum nostrum Jesum Christum_, secondo
l'ordinario della Chiesa. In questo altro mi dava molestia, che
non era capace come le creature potessero udire li nostri
preghi così di lontano, essendo il proprio di Dio di vedere e
udire tutto, _etiam corda et cogitationes hominum_: ma questo
mio dubbio non durò molto tempo, perchè vidi che san Leone papa
voltava i preghi suoi a san Pietro, san Bernardo alla gloriosa
Vergine, e sant'Agostino alla medesima, e il mio lodato
Cartusiense, ch'io leggo spesso, a diversi Santi nell'orazioni
sue dopo i sermoni. E mentre stetti in questo dubbio, servai
però sempre la consuetudine della Chiesa, captivando
l'intelletto mio, e dicendo le litanie ordinariamente la
quaresima con li sette salmi, e dicendo ordinariamente
l'antifona _Sancti Dei omnes, intercedere dignemini pro nostra
omniumque salute_. È vero che domandava qualche volta di tal
dubbio, poi mi risolsi in san Tommaso che li Santi intendono le
cose di qua in Dio, e restai da me stesso quietissimo e senza
alcuno scrupolo, come ancora restai quieto nella _Salve
Regina_, la quale non lasciai mai dopo l'offizio, se non
quando, in luogo di quella, dicevo _Regina cœli lætare_ ecc.,
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