Gli eretici d'Italia, vol. II - 07
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arditissimi, l'Ochino recossi per pubblicare i suoi sermoni: ad Augusta
chiesto predicatore con ducento fiorini l'anno, moltissimi uditori
attirava, sinchè la invasione di Carlo V gli lasciò appena tempo di
salvarsi, fuggendo collo Stancari di Mantova.
A Strasburgo ritrovò il vecchio suo amico e compatrioto Pietro Martire
Vermiglio, di cui ora diremo, e con lui passato in Inghilterra, predicò
ai rifuggiti italiani[49], ma cessata la tolleranza alla morte d'Eduardo
VI, tornò in Isvizzera, e fu assunto pastore dagli emigrati di Locarno,
i quali dal senato di Zurigo aveano ottenuto una chiesa e l'uso della
propria lingua.
Ma accusato di opinioni antitrinitarie, e di acconsentire la poligamia,
è costretto ad una professione di fede, ed egli giura di vivere e morire
nella fede di Zuinglio. Ma subito n'ha pentimento, in pulpito impugna
alcuni dogmi di questo, e ne' suoi _Labirinti_ nega quasi tutte le
verità cristiane: onde n'è sbandito, e neppure ottenendo d'indugiarsi
fino alla primavera, di settantasei anni, nel cuor dell'inverno, con
quattro figliuoli è costretto ripigliare il cammino dell'esiglio, verso
la Polonia.
La prima volta che predicò ai fratelli italiani in Cracovia, «Non
crediate (disse) venir oggi a veder altro che un vero apostolo di Gesù
Cristo. E pel nome e per la gloria di Cristo, e per chiarire la verità
delle cose celesti ho io patito ben più di quello che sia di fede aver
patito l'uomo o alcun degli apostoli. Nè, se a me non è conceduto come
ad essi di far miracoli, meno fede dovete aver a me che ad essi, giacchè
noi insegniamo le cose stesse dallo stesso Dio ricevute, ed è miracolo
abbastanza grande l'aver noi sofferto quel che patimmo»[50]. Fin a tal
punto spingeva la superbia!
Fu de' più bei trionfi della Chiesa nel medioevo l'aver sostenuto
l'indissolubilità del matrimonio, a fronte delle principesche lubricità.
Ma già Lutero, per ingrazianirsi il landgravio d'Assia, aveva approvato
la bigamia: ora l'Ochino, nel XXI de' suoi _Trenta dialoghi_, sostenne
che un marito, il quale abbia moglie sterile, malescia, insopportabile,
deve prima implorare da Dio la continenza; e se tal dono, chiesto con
fede, non possa ottenere, può senza peccato seguire l'istinto, che
conoscerà certamente provenire da Dio, e prendersi una seconda moglie
senza sciogliersi dalla prima[51].
Era una bassa condiscendenza a Sigismondo, re di Polonia, inuzzolito di
nuove nozze: e meritò all'Ochino lo sdegno di molti cattolici, e
principalmente del cardinale Osio gran difensore del regno d'Ungheria.
Il quale ne scrisse dissuadendo esso re, e mostrando qual pregiudizio ne
deriverebbe a tutto il paese. «Non credo che nel nostro secolo siavi
stato più pestilente eretico di quell'empio Bernardino Ochino, che osò
fin richiamare in dubbio se esista Dio, e se si prenda cura delle cose
umane. Ai consigli di questo scellerato dicesi che si ascolti nella
patria nostra; i quali se avesser sèguito, fin gli elementi
insorgerebbero contro di noi nè potrebber sì atroce delitto
sopportare[52]». Anche il protestante Bullinger inveiva contro l'Ochino,
meravigliandosi che un vecchio scrivesse di tali cose, e tanto più un
ministro della Chiesa: nei dialoghi aver ritratto se stesso, affinchè il
conosca chi nol conobbe finora: «è uomo dotto in senso reprobo, ingrato
contro il senato e i ministri, empio, malizioso per non dire
bugiardissimo».
L'Ochino di rimpatto lagnavasi di esso, e «Non pensavo che il Bullinger
fosse papa a Zurigo, e che non solamente a' suoi precetti, ma ancora
alle sue esortazioni s'avesse ad obbedire, e molto più che al senato».
Teodoro Beza pure gli urlava dietro: «Ochino è uno scellerato,
libidinoso, fautor degli Ariani, beffatore di Cristo e della sua
Chiesa»: onde non fu raccolto a Basilea, nè a Mulhausen; e s'ascose in
Moravia, dove, perduto due figliuole e un ragazzo dalla peste, morì nel
1564.
Tutt'altrimenti il Boverio ne racconta a lungo la fine, quasi avvenisse
in Ginevra, e che si confessò da un prete cattolico, e si ritrattò
dinanzi a quanti lo visitavano. Di ciò istizziti, i magistrati di
Ginevra ordinarono che, se persisteva, venisse ucciso, come fecero a
pugnalate. Di un fatto così improbabile adduce molte testimonianze, ma
non dirette. Egli fa gran caso che Teodoro Beza, nel libro intitolato
_Verae imagines virorum illustrium impietate et doctrina, quorum labore
Deus usus est, his extremis temporibus, ad veram religionem instaurandam
ex diversis christianitatis regionibus_ (Ginevra 1531), dice: _Petrus
Martir (Vermiglio) in egressu suo ex Italia habuit socium Bernardinum
Ochinum, monachum magni nominis apud Italos, et auctorem ordinis
Capucinorum_ (?), _qui in fine se ostendit esse iniquum hypocritam,
atque habuit alios qui omnino aliter se gesserunt._
Il Boverio argomenta che, se il Beza lo giudicò ipocrita, vuol dire che
l'Ochino finì cattolico[53]. Ma ognun comprende che allude alle opinioni
antitrinitarie del frate, per le quali i dissidenti fra loro
paleggiavansi ingiurie, non meno violente che contro i Cattolici[54].
NOTE
[28] Sul fregio di tutto il tempio corre la serie de' ritratti dei papi,
e fra questi la papessa Giovanna. Il cardinal Baronio ne mosse
rimostranza a papa Clemente VIII, che, per mezzo dell'arcivescovo
Tarugi, ottenne dal granduca un ordine del 9 agosto 1600, che fossero
modificati i lineamenti femminili, trasformandola in san Zaccaria.
Quella serie di ritratti fu appuntata di varj errori di cronologia,
emendati in quella che ora si va compiendo a Roma per fregio della
basilica di San Paolo, a musaico.
[29] Mal confuso da taluni con quello de' Gesuiti, e perciò occasione
d'ingiurie contro qualche nome; come fece Guglielmo Libri contro
l'insigne matematico Cavalieri, che egli avrebbe levato a cielo se si
fosse accorto ch'era Gesuato non Gesuita. Così scrivesi la storia.
Generale di quell'Ordine fu il milanese Paolo Morigia, che ne scrisse la
_Storia degli uomini illustri_, e sono sessanta morti in odor di
santità. A Milano, poc'anzi, col nome di _Società del biscottino_, era
scopo a tutti i vituperj del bel mondo e alle benedizioni de' soffrenti
un'accolta di pie persone, che visitavano gli ospedali, e portavano
qualche chicca. Per la ragione stessa erano chiamati padri
dell'acquavita i Gesuati, che ne fabbricavano e davano per ristoro a'
malati.
[30] BOVERIO, _Ann. dei Cappuccini_, all'anno 1539.
[31] GRAZIANI, _De vita Commendonis_.
[32] _Miscellanea di notizie di cose sanesi_, esistente nella pubblica
biblioteca comunale di Siena, di mano del padre Angiolo Maria Carapelli
domenicano, nei primi del XVIII secolo, e contrassegnata _A. V._ 14 ac.
58. — _Compagnia di San Domenico, al libro delle Deliberazioni del 1540,
a fo. 5, faccia seconda._
[33] _Vita di Paolo IV_, manoscritta.
[34] Nel libro entrata e uscita del Camerlingo dell'Opera (della
metropolitana di Siena) del 1540, a fol. 122, sotto il dì 28 gennajo
notasi che «furono pagate lire 32 04 a frà Bernardino di Domenico
Tommasini detto Ochino, e per lui fatte buone a Giovanni Battista,
fattore dell'Opera».
[35] BOVERIO, _Ann. de' Cappuccini_, tom. 1, p. 411.
[36] Nel 1542, il senese Alessandro Piccolomini stampava in Venezia la
_Istituzione dell'uomo nobile_, dove nel lib. I, c. 7 mette: «Se bene
alcuni saranno che, per più liberamente servire a Dio, dal legame del
matrimonio si guarderanno, non però da questa legge del giovare altrui
sciolti saranno: anzi assai più degli altri legati fieno; appartenendosi
loro, per mezzo dell'ammaestramento e delli esempj delle buone opere,
continuamente cercare di giovare alla salute di questo e di quello: come
fra gli altri fa oggi il sant'uomo frà Bernardino Ochino da Siena, molto
in questo più prudente e savio che coloro non sono, i quali come nemici
di tutti gli altri et amici sol di se istessi, vanno a viversi racchiusi
ne' chiostri, e per le folte selve dispersi, pensandosi d'imitare in tal
guisa Giovanni battezzatore, e non accorgendosi che egli continuamente
di predicare e mostrare altrui la via del cielo non restava».
[37] Puccio Antonio fiorentino, vescovo di Pistoja e cardinale.
[38] Manoscritto nella biblioteca di Siena.
[39] Il primo volume contiene cinquanta sermoni su varj soggetti, la
giustificazione, il matrimonio spirituale, la confessione, le
indulgenze, il purgatorio, il testamento, ecc. Il secondo tratta di Dio,
e via via della Fede, Speranza, Carità.
[40] Il Tolomei scriveva a frà Caterino Politi d'avere, in occasion di
malattia, studiato i principj della religione cristiana, e conosciuto
che «lo spirito apostolico, trapassato nella Chiesa di Cristo di mano in
mano per continuanza di tempo senza scrittura, è uno de' saldi e ben
fondati principj per insegnarci dirittamente la vera religione». Gli
eretici, conoscendo come ciò ruini il loro edifizio, lo impugnano; ed
egli aveva in animo di scrivere in proposito. Ma udito che nel
sacrosanto Concilio erasi fatto un decreto che determinava questo punto
della tradizione, lo pregava a farglielo conoscere, «ond'io possa pascer
l'animo di un nuovo cibo spirituale e divino». Gli chiede anche qualche
lavoro suo che «partorirà in me qualche frutto di più viva fede e di
carità più ardente». _Lettere di XIII uomini illustri_, pag. 385.
[41] È riferita nella _Storia dei Teatini_, di Giovanni Battista vescovo
di Acerra.
[42] La lettera dell'Ochino fu tradotta in francese e stampata senza
indicazione di luogo, col titolo: _Epistre aux magnifiques signeurs de
Siene par B. Ochin du dit lieu, auxquels il rend raison de sa foy et
doctrine. Avec une épistre à Mutio Justinopolitan, par laquel il rend
aussi raison de son departement d'Italie, et du changement de son état,
translatie de la langue italienne._ Super omnia vincit veritas. 1544,
in-8º.
[43] Il Pazzi scrive che il Caterino, già vecchio, nella Minerva di Roma
più volte era veduto piangere: e chiesto del perchè, rispondeva,
dolergli d'avere scritto con tanta acrimonia contro alcuni padri: e
suggeritogli che colla stessa mano che avea ferito potea medicare,
taceva e piangeva.
[44] Nei manuscritti della _Compagnia de' Pastori_ a Ginevra, sotto il
titolo _Spectacles, professeurs, recteurs et ministres des églises
étrangères qui sont dans la ville_, leggesi a pag. 181: _Eglise
italienne. Cette église fut établie en 1542, octobre... Bernardin de
Servas qui avait été religieux, préche à la chapelle du cardinal_
(d'Ostia) _tous les dimanches._ Certamente s'ha a leggere _Bernardin de
Senis_.
[45] «Apologi nelli quali si scoprono gli abusi, superstizioni, errori,
idolatrie et empietà della sinagoga del papa, e specialmente de' suoi
preti, monaci e frati, 1554». È l'Opera più rara dell'Ochino, e contiene
il solo primo libro, mentre la traduzione tedesca ne ha cinque.
[46] V'è apposta una nota che proibisce di lasciarla copiare. Anche
senza di ciò, non l'avrei riprodotta, tanta n'è la bassezza. Credo
alluda a questo un passo delle _Legazioni di Averardo Serristori_
(Firenze 1853, pag. 88). «Certi predicatori a Zurigo hanno dato alle
stampe un libello famoso contro Sua Santità, tassando i modi e costumi
suoi e de' papisti: per il quale i cinque Cantoni cattolici si
lamentano».
Crispino, librajo, scrittore e discepolo di Calvino, stampò _L'Estat de
l'Eglise avec les discours des temps depuis les apótres jusques au
présent, 1581_ in 8º piccolo; ove si trovano tutte queste diatribe
contro papa Paolo III; fin ad asserire che manteneva 45,000 cinedi;
ch'era astrologo, mago, indovino, ecc.
[47] _La seconda parte delle Prediche di messer Bernardino Ochino
senese._ Predica III.
[48] _Ib._ Predica IV.
[49] Succedeva a Giovanni Lasco polacco. La chiesa era dedicata a santa
Cecilia, e v'era predicatore Michelangelo Florio fiorentino, poco
accetto. Potrebb'essere dell'Ochino la _Forma delle pubbliche orationi
le quali si fanno nelle chiese de' pellegrini in Inghilterra_, libretto
rarissimo.
[50] Vedi la pag. 134 _Della Vita del cardinale Comendone_, di monsignor
Graziani, opera tanto reputata, che fu tradotta in francese, dal celebre
Flechier.
Il Comendone molto operò in Polonia, e fe sbandirne gli eretici
italiani. Di lui, mentre era vescovo di Zante, cioè verso il 1539, si ha
un _Discorso sulla Corte di Roma_, che non crediamo stampato, dove ne
annovera molti abusi, e suggerisce rimedj, per verità, poco concludenti.
E prima non vuole si correggano col limitare la podestà papale, il che
non può farsi per fatto umano. «Una certa sensualità (dice poi) ha
prodotto nella Chiesa molti difetti, i quali continuandosi tuttavia nel
medesimo stile, l'hanno condotta nel mal stato nel quale si trova, sì
che non può fare l'officio suo. Al quale officio può in doppio modo
mancare: nell'uno pubblicamente, intorno alla prudenza del governo;
nell'altro cristianamente intorno all'obbligo che ha tutto l'ordine
ecclesiastico. Il primo mancamento si commette volgendo la prudenza in
astuzia, e torcendo la ragione a servizio delle passioni. Perchè i
pontefici, essendo uomini, ed avendo innanzi tanti invecchiati esempj
del favorire i parenti singolarmente, facil cosa è che, vinti essi
ancora da questa carne, si lascino, dietro a quelli camminando,
traviare. Senza che, ancor si pecca intorno al governo, non per malizia,
ma per una spensierata negligenza, con la quale ad altro non si mira, se
non a vivere lietamente, e come persona che abbia avuta un'eredità
grande e non aspettata, parte permette che ne sia tolta per non entrar
in contese, parte n'è prodigo, perchè non gli par donare il suo; anzi
alcune volte gli par far guadagno, credendo di acquistar la grazia dei
principi.
«Ma fermandosi alla parte essenziale e propria della Chiesa, diremo del
secondo mancamento, il quale è intorno all'obbligo dell'ufficio
sacerdotale. Questo è proceduto sì da' mezzi, con che si acquistano
molte volte questi uffizj e dignità, e sì dai costumi, co' quali si vive
oggi nella Corte. E prima, restando palesemente divisa l'utilità
dell'entrata dall'ufficio ecclesiastico, e l'onore dalle fatiche, è nata
e radicata in molti una perversa opinione che alla Chiesa non si
convenga signoria. E non veggono che il Signore Iddio non diede altri
giudici nè signori al popolo suo che i sacerdoti, e che dimostrò molto
sdegno che dimandassino i re: benchè i figliuoli di Samuele, che allora
reggevano, fossero divenuti ingiusti; altri sono che si scandalizzano
che la Chiesa abbia rendite e ricchezze, dicendo che questa è una nuova
usanza, introdotta dall'avarizia dei preti contro i costumi della
primitiva e santa Chiesa. Intorno alla quale opinione, lasciando da
parte il giudizio che, senza alcuna autorità, così temerariamente fanno,
ho sempre, come nelle altre proposizioni, avuto grandissima meraviglia
del molto ardire e della poca vergogna, che altri hanno, di affermare
quello che non sanno; di che si ha il contrario, leggendosi sopra ciò il
decreto di Urbano I, papa e martire, già 1300 e più anni fa, dove
racconta il costume della primitiva Chiesa di vendere tutto quello che
l'era dato, e dispensarlo a' poveri; e come poco poi fu mutato in
meglio, ritenendo i beni, e dispensando le entrate; e questo costume
egli comanda che s'osservi. Senza che, molto innanzi d'Urbano, si legge
nei decreti di Pio I della consuetudine stessa della possessione de'
beni stabili, e se ne tratta come di cosa antica; in modo che è
manifesto che arriva fino a' tempi degli apostoli. Nondimeno per
l'ignoranza, e forse per la malignità di alcuni, non si distingue dalla
cosa in sè, all'abuso di quella. Anzi essendo cessata la dispensazione
che diede Urbano, già è qualche numero d'anni che non sieno lasciati più
alla Chiesa città o castella, nè poderi nè case; ma questo è proibito in
alcuni luoghi per legge; come per esempio in Inghilterra, già molti e
molti anni prima che levasse l'ubbidienza alla sede apostolica. E ormai
in ogni provincia s'è perduta gran parte de' beni che la Chiesa
possedeva, e l'ubbidienza ancora; e si è acceso, in persone poco
convenienti a questa maniera di vita, un iniquo desiderio di beneficj, e
insieme una gran volontà ne' principi temporali di poterne disporre;
contro il decreto di Simplicio I, già 1084 anni, e di Gregorio VII nel
concilio Lateranense e di Urbano II. Perchè essendo venuti i beni
ecclesiastici nell'estimazione che sono i beni temporali, dall'una parte
i principi li reputano per loro; i buoni, ingannati dalla credenza che
hanno di persone, meglio che qui non si farebbe; i non buoni dal
desiderio di avere, e da una certa comune rabbia di usurpare ogni
giurisdizione. — Non dico che di questi beni non si fanno tutti quei
contratti che si fanno de' beni temporali, e quelli che hanno i beneficj
non vogliono ritenerli per altro che per beni proprj, non che facciano
l'officio, e dispensino bene e dirittamente l'entrata; anzi che questa
Corte serve per isfogamento a quelli, che, gonfj di superbia e di
speranze, non potendo capire negli alvei delle loro patrie, a guisa di
fiumi rompono in questa repubblica per potersi allargare, e occupar
gradi e facoltà amplissime. Di modo che se questa città fosse veramente
città, e non più certo una lunga coabitazione di forestieri, simile ad
un mercato o ad una dieta, con un continuo flusso, senza congiunzione di
parentadi, ne nascerebbero e seguirebbero le sedizioni e i tumulti che
son nati e seguiti in tutte le repubbliche, le quali, con la facilità di
comunicarsi ad ognuno, hanno, come un perpetuo vento, tenuto accesa
l'ambizione. — Ma in questa, per la propria sua forma, non è dubbio ch'è
giusta, utile e necessaria una comune partecipazione di tutta la
Cristianità; la quale, ben usata, la conserva e accresce, e abusata
l'indebolisce e ruina, anche perchè, oltre al resto, ci conduce quantità
d'uomini indegni a cercar ordini, onori e ricchezze, l'uso delle quali,
conseguite che sono, come di sopra si è detto, necessariamente riesce
conforme alle arti e all'animo con cui sono state acquistate.»
Nel discorso medesimo egli tocca del paganizzamento d'allora. «Come
innanzi la pestilenza si sente la mala disposizione dell'aere, e la
putrefazione degli umori, così ora si scuopre una certa gentilità e
nelle opinioni e ne' costumi, che ne dà verisimile indizio; considerando
le tante memorie che si onorano, e si rifanno di coloro che furono
piuttosto mostri che uomini scellerati. E si passa tanto avanti, che a'
figliuoli che si battezzano, molto più volontieri mettono i nomi
gentili, che i cristiani; e alcuni lascian quelli che hanno, e quasi
sbattezzandosi, ne prendono de' nuovi e de' gentili. Alla quale gravità,
non senza gran mistero del giudizio di Dio, si oppose, quando essa prima
si scoperse, il pontefice di quei tempi Paolo II (anno 1471); perciocchè
questi tali sono come i segni, pe' quali i nocchieri prevedono le future
tempeste; e sono di più importanza che le dimostrazioni più espresse
delle cose più gravi; perchè nelle cose piccole dove non si teme di
esser puniti, non si mette studio di apparenza, e facilmente si vede la
segreta inclinazione dell'uomo verso i vizj».
[51] Telipoligamus. _Quid vero mihi das consilii_?
Ochinus. _Ut plures uxores non ducas, sed Deum ores ut tibi continentem
esse det._
Telipoligamus. _Quid si nec donum mihi, nec ad se petendum fidem dabit?_
Ochinus. _Tum, si id feceris ad quod te Deus impellet, dummodo divinum
esse instinctum exploratum habeas, non peceabis. Si quidem in obediendo
Deo errari non potest._
B. OCHINI _senensis dialogi XXX in duos libros divisi._
[52] RESCIUS, _Vita Hosii_, lib. III, cap. 6. L'Osio scrisse _De
hæresibus nostri temporis_.
[53] Il suddetto Graziani, nella vita del cardinale Comendone, ove molte
cose pone intorno all'Ochino, dice al lib. I, cap. 9: _Ochinus Polonia
excessit, ac omnibus extorris ac profugus, cum in vili Moraviæ pago a
vetere amico hospitio esset acceptus, ibi senio fessus, cum uxore ac
duabus filiabus, filioque una peste interiit._ Esso Graziani attribuisce
il merito dell'Ochino piuttosto alla dizione che al fondo. _Fuit vir non
ineruditus, quamquam majori multo verborum quam rerum doctrina excultus,
sed patrio sermone_ (_nam latinas literas vix didicerat_) _in eo quod
sciret adeo comptus, ornatusque et copiosus, ut mirum in modum captos
specie ac nitore orationis teneret audientium animos. Nam hominum
nostrorum plerique conciones, quæ, more antiquitus tradito, de divinis
rebus in templis habentur, frequentant celebrantque, non tam quidem quo
mentem præceptis cœlesti doctrina haustis instruant ad religionem, ad
pietatem excitent, quam quod ducuntur orantis ingenio, et genere illo
speciosæ et omnibus undique luminibus omnibus, undique floribus exornatæ
atque expolitæ orationis delectantur. Cæterum inde nihilo meliores
effecti, plane iidem abeunt, qui venerant._ E prosegue descrivendo le
arti della falsa eloquenza de' predicatori. Pag. 126.
[54] Il Sandio, nella Biblioteca Antitrinitaria, dà la nota di tutte le
opere dell'Ochino. Noi rammenteremo, oltre le suddette prediche in 3
volumi, a Zurigo 1555, e in-4º senza data, il _Dialogo del Purgatorio,
1555; Sposizione sull'epistola ai Galati; Risposta alle false calunnie e
impie bestemmie di F. A. Caterino, 1546; Prediche, novene. Laberinto del
libero o ver servo arbitrio: prescienza, predestinazione e libertà
divina, e del modo d'uscirne._ Basilea s. a. tradotto anche in latino. A
torto si disse che la traduzione latina de' suoi _Trenta dialoghi_ fosse
opera del celebre Castalion. I primi sette furono stampati a Venezia nel
1542-43: _Dialoghi VII del reverendo padre frate Bernardino Ochino
senese, generale de' frati Cappuccini_: e trattano
1. _Del modo d'innamorarsi di Dio_; fra la Duchessa e Bernardino.
2. _Del modo di diventar felice_; fra la Duchessa di Camerino e
Bernardino.
3. _In che modo la persona si debba reggere bene_; Maestro e Discepolo.
4. _Dialogo del ladrone in croce_; fra Uomo e Donna.
5. _Dialogo del convertirsi presto_; fra Cristo e l'anima.
6. _Dialogo del peregrinaggio per andar in paradiso_; fra Angelo
Custode e l'anime purganti.
7. _Dialogo della divina professione_; fra Uomo e Donna.
Vennero poi tutti pubblicati a Basilea nel 1563 da Pietro Perna. Nel
XXVIII tratta _quo pacto tractandi sunt hæretici_, e stabilisce si deva
punirli di morte.
DISCORSO XXIV.
PIETRO MARTIRE VERMIGLIO.
A un Vermiglio di Firenze morivano tutti i figliuoli: onde fece voto, se
uno ne conservasse, dedicarlo a san Pietro Martire. E di questo pose il
nome a un maschio, natogli la madonna di settembre 1500, e che
sopravvisse.
L'affettuosa madre Maria Fumantina coltivò di buon'ora i talenti del
fanciullo, e gl'insegnò il latino, ch'essa conosceva a segno da poter
tradurre Terenzio: non furono risparmiate spese per l'educazione di
esso: e sotto Marcello Vergilio, secretario della repubblica fiorentina,
ebbe valenti condiscepoli, Francesco Medici, Alessandro Capponi, Angelo
e Pandolfo Stufa, Francesco Rafaele Ricci e, miglior umanista di tutti,
Pietro Vettori. A sedici anni dalla corruttela del secolo rifuggitosi
nel chiostro, si fe canonico regolare agostiniano a Fiesole, mentre sua
sorella Felicita entrava nelle monache di San Pietro Martire. Ne provò
dolore, pur non senza compiacenza, il loro padre, ch'era uno dei devoti
a frà Savonarola, e che morendo lasciò parte de' suoi beni all'_Albergo
de' Forestieri_ in sussidio dei poveri.
A Fiesole Pietro Martire trovò grande opportunità agli studj; e massime
alle sacre scritture dava grand'attenzione, e se ne metteva a mente dei
pezzi, del che si giovò in appresso grandemente. Dopo tre anni passato
nel convento di San Giovan di Verdara presso Padova onde frequentare
quella Università, vi studiò otto anni le varie opinioni filosofiche e
teologiche; e poichè la filosofia d'Aristotele c'era in voga, nè egli si
soddisfaceva della traduzione latina, s'applicò al greco assiduamente:
mentre nella teologia l'istruivano due professori domenicani ed uno
eremitano. Di ventisei anni si pose a predicare; al che gli Agostiniani
di solito erano scelti nell'advento e nella quaresima, serbandosi le
prediche ordinarie dell'anno ai Domenicani. Fece il primo saggio a
Brescia, indi a Roma, Bologna, Venezia, Mantova, Bergamo, Pisa, Casal
Monferrato; oltre che leggeva scrittura sacra in varj conventi del suo
Ordine, a Padova, a Ravenna, a Bologna, a Vercelli, dove legò amicizia
con Benedetto Cusano vercellese, buon grecista e traduttore d'Omero, e
da cui siamo informati degli studj assidui di quello.
Dapprincipio la devozione di suo padre l'ebbe innamorato del Savonarola,
e ne ammirava l'intrepidezza al predicare e al soffrire. Egli stesso
predicando seguiva i metodi scolastici; leggeva i Padri, e non
trovandoli concordi, si appigliò al Vecchio e Nuovo Testamento, e per
meglio comprenderlo apprese l'ebraico da Isacco, medico israelita.
Investito dell'abazia di Spoleto, mostrò capacità agli affari e
prudenza; molte irregolarità vedute in conventi e monasteri cercò
emendare, come pure di riconciliare i partiti della città.
Accettato quindi nel convento di San Pietro ad Ara di Napoli, maggiore
in dignità, quivi gli capitarono i commenti del Bucer sul vangelo e sui
salmi, stampati il 1527, e tradotti in italiano sotto il falso nome del
Arezzo Felino; poi la _Vera e falsa religione_ di Zuinglio, ed altre
opere di Riformati. Se ne invaghì e le meditava col Cusano e col poeta
Flaminio, e più dopo che strinse relazione cogli amici del Valdes. Già
intinto di questi principj, cominciò nel 1541 in San Pietro ad esporre
l'epistola ai Corinti, con tal concorso, che, chi non v'andasse, era
reputato mal cristiano. Un giorno prese per testo le parole della prima,
delle quali soleano valersi i teologi per appoggiar la credenza al
purgatorio: «Il dì del Signore farà conoscere le opere di ciascuno; il
fuoco proverà qual sia l'opera di ciascuno; se l'opera di alcuno
brucerà, egli ne soffrirà il danno: ma sarà salvato, però per mezzo al
fuoco». Aspettavansi la solita parenesi sulle anime purganti, e invece
provò che quelle parole doveano prendersi in senso emblematico,
significando l'intera distruzione dell'errore, e ciò sostenne con grandi
autorità. I preti, e massime i Teatini, lo denunziarono, onde il vicerè
Toledo gli interdisse di più predicare: ma Pietro Martire, sorretto da'
suoi frati e da persone ragguardevoli, ricusò obbedire, n'appellò al
papa, ottenne di continuare come prima, e così sparse quel seme che poi
germogliò.
Se non che, avanti compiere il suo triennio, gittaronsi pericolose
febbri, delle quali il Cusano morì, e Pietro Martire fu costretto
cangiar aria. Allora destinato visitatore generale del suo Ordine in
Italia, ebbe modo di riparare molti abusi, all'uopo consigliandosi col
cardinal Gonzaga, protettore di quella religione, e rimovendo i
contumaci: uno de' più resistenti fu relegato in vita nell'isola
Diomedea.
Posto priore a San Frediano di Lucca (1541), meno velò le sue opinioni,
e quasi ne aperse scuola, ed affinchè la gioventù fosse ben istrutta,
chiamò Paolo Lazise, famoso aristotelico di Verona, a insegnare il
latino; Celso Martinengo il greco, Emanuele Tranellio di Ferrara
l'ebraico, ed eccitava i giovani a tenere ben d'occhio se egli spiegasse
rettamente le epistole di san Paolo e qualche salmo. Così acquistò alle
nuove credenze diciotto monaci, che nelle vicinanze le sparpagliarono,
mentr'egli le predicava nella cattedrale di Lucca.
Il cardinale Contarini, tornando dal colloquio di Ratisbona, venne col
maestro del Sacro Palazzo a far riverenza a papa Paolo III, ch'erasi
reso a un congresso in Lucca con Carlo V, e quivi si trattenne con
Pietro Martire in discussioni religiose, siccome le aveva intese in
Germania, e per le quali il Fiorentino venne a confermarsi nelle sue
idee[55]. Pure nella dimora del papa egli non ebbe disturbo. Ma presto a
Roma se ne sussurrò, e il vescovo Bartolomeo Guidiccioni scrisse alla
signoria di Lucca, lamentando vi si tollerassero i nuovi errori:
ch'erano predicati anche apertamente da don Costantino priore di
Fregonara.
Di Pietro Martire non è cenno in quelle lettere, forse per riguardo a'
chiesto predicatore con ducento fiorini l'anno, moltissimi uditori
attirava, sinchè la invasione di Carlo V gli lasciò appena tempo di
salvarsi, fuggendo collo Stancari di Mantova.
A Strasburgo ritrovò il vecchio suo amico e compatrioto Pietro Martire
Vermiglio, di cui ora diremo, e con lui passato in Inghilterra, predicò
ai rifuggiti italiani[49], ma cessata la tolleranza alla morte d'Eduardo
VI, tornò in Isvizzera, e fu assunto pastore dagli emigrati di Locarno,
i quali dal senato di Zurigo aveano ottenuto una chiesa e l'uso della
propria lingua.
Ma accusato di opinioni antitrinitarie, e di acconsentire la poligamia,
è costretto ad una professione di fede, ed egli giura di vivere e morire
nella fede di Zuinglio. Ma subito n'ha pentimento, in pulpito impugna
alcuni dogmi di questo, e ne' suoi _Labirinti_ nega quasi tutte le
verità cristiane: onde n'è sbandito, e neppure ottenendo d'indugiarsi
fino alla primavera, di settantasei anni, nel cuor dell'inverno, con
quattro figliuoli è costretto ripigliare il cammino dell'esiglio, verso
la Polonia.
La prima volta che predicò ai fratelli italiani in Cracovia, «Non
crediate (disse) venir oggi a veder altro che un vero apostolo di Gesù
Cristo. E pel nome e per la gloria di Cristo, e per chiarire la verità
delle cose celesti ho io patito ben più di quello che sia di fede aver
patito l'uomo o alcun degli apostoli. Nè, se a me non è conceduto come
ad essi di far miracoli, meno fede dovete aver a me che ad essi, giacchè
noi insegniamo le cose stesse dallo stesso Dio ricevute, ed è miracolo
abbastanza grande l'aver noi sofferto quel che patimmo»[50]. Fin a tal
punto spingeva la superbia!
Fu de' più bei trionfi della Chiesa nel medioevo l'aver sostenuto
l'indissolubilità del matrimonio, a fronte delle principesche lubricità.
Ma già Lutero, per ingrazianirsi il landgravio d'Assia, aveva approvato
la bigamia: ora l'Ochino, nel XXI de' suoi _Trenta dialoghi_, sostenne
che un marito, il quale abbia moglie sterile, malescia, insopportabile,
deve prima implorare da Dio la continenza; e se tal dono, chiesto con
fede, non possa ottenere, può senza peccato seguire l'istinto, che
conoscerà certamente provenire da Dio, e prendersi una seconda moglie
senza sciogliersi dalla prima[51].
Era una bassa condiscendenza a Sigismondo, re di Polonia, inuzzolito di
nuove nozze: e meritò all'Ochino lo sdegno di molti cattolici, e
principalmente del cardinale Osio gran difensore del regno d'Ungheria.
Il quale ne scrisse dissuadendo esso re, e mostrando qual pregiudizio ne
deriverebbe a tutto il paese. «Non credo che nel nostro secolo siavi
stato più pestilente eretico di quell'empio Bernardino Ochino, che osò
fin richiamare in dubbio se esista Dio, e se si prenda cura delle cose
umane. Ai consigli di questo scellerato dicesi che si ascolti nella
patria nostra; i quali se avesser sèguito, fin gli elementi
insorgerebbero contro di noi nè potrebber sì atroce delitto
sopportare[52]». Anche il protestante Bullinger inveiva contro l'Ochino,
meravigliandosi che un vecchio scrivesse di tali cose, e tanto più un
ministro della Chiesa: nei dialoghi aver ritratto se stesso, affinchè il
conosca chi nol conobbe finora: «è uomo dotto in senso reprobo, ingrato
contro il senato e i ministri, empio, malizioso per non dire
bugiardissimo».
L'Ochino di rimpatto lagnavasi di esso, e «Non pensavo che il Bullinger
fosse papa a Zurigo, e che non solamente a' suoi precetti, ma ancora
alle sue esortazioni s'avesse ad obbedire, e molto più che al senato».
Teodoro Beza pure gli urlava dietro: «Ochino è uno scellerato,
libidinoso, fautor degli Ariani, beffatore di Cristo e della sua
Chiesa»: onde non fu raccolto a Basilea, nè a Mulhausen; e s'ascose in
Moravia, dove, perduto due figliuole e un ragazzo dalla peste, morì nel
1564.
Tutt'altrimenti il Boverio ne racconta a lungo la fine, quasi avvenisse
in Ginevra, e che si confessò da un prete cattolico, e si ritrattò
dinanzi a quanti lo visitavano. Di ciò istizziti, i magistrati di
Ginevra ordinarono che, se persisteva, venisse ucciso, come fecero a
pugnalate. Di un fatto così improbabile adduce molte testimonianze, ma
non dirette. Egli fa gran caso che Teodoro Beza, nel libro intitolato
_Verae imagines virorum illustrium impietate et doctrina, quorum labore
Deus usus est, his extremis temporibus, ad veram religionem instaurandam
ex diversis christianitatis regionibus_ (Ginevra 1531), dice: _Petrus
Martir (Vermiglio) in egressu suo ex Italia habuit socium Bernardinum
Ochinum, monachum magni nominis apud Italos, et auctorem ordinis
Capucinorum_ (?), _qui in fine se ostendit esse iniquum hypocritam,
atque habuit alios qui omnino aliter se gesserunt._
Il Boverio argomenta che, se il Beza lo giudicò ipocrita, vuol dire che
l'Ochino finì cattolico[53]. Ma ognun comprende che allude alle opinioni
antitrinitarie del frate, per le quali i dissidenti fra loro
paleggiavansi ingiurie, non meno violente che contro i Cattolici[54].
NOTE
[28] Sul fregio di tutto il tempio corre la serie de' ritratti dei papi,
e fra questi la papessa Giovanna. Il cardinal Baronio ne mosse
rimostranza a papa Clemente VIII, che, per mezzo dell'arcivescovo
Tarugi, ottenne dal granduca un ordine del 9 agosto 1600, che fossero
modificati i lineamenti femminili, trasformandola in san Zaccaria.
Quella serie di ritratti fu appuntata di varj errori di cronologia,
emendati in quella che ora si va compiendo a Roma per fregio della
basilica di San Paolo, a musaico.
[29] Mal confuso da taluni con quello de' Gesuiti, e perciò occasione
d'ingiurie contro qualche nome; come fece Guglielmo Libri contro
l'insigne matematico Cavalieri, che egli avrebbe levato a cielo se si
fosse accorto ch'era Gesuato non Gesuita. Così scrivesi la storia.
Generale di quell'Ordine fu il milanese Paolo Morigia, che ne scrisse la
_Storia degli uomini illustri_, e sono sessanta morti in odor di
santità. A Milano, poc'anzi, col nome di _Società del biscottino_, era
scopo a tutti i vituperj del bel mondo e alle benedizioni de' soffrenti
un'accolta di pie persone, che visitavano gli ospedali, e portavano
qualche chicca. Per la ragione stessa erano chiamati padri
dell'acquavita i Gesuati, che ne fabbricavano e davano per ristoro a'
malati.
[30] BOVERIO, _Ann. dei Cappuccini_, all'anno 1539.
[31] GRAZIANI, _De vita Commendonis_.
[32] _Miscellanea di notizie di cose sanesi_, esistente nella pubblica
biblioteca comunale di Siena, di mano del padre Angiolo Maria Carapelli
domenicano, nei primi del XVIII secolo, e contrassegnata _A. V._ 14 ac.
58. — _Compagnia di San Domenico, al libro delle Deliberazioni del 1540,
a fo. 5, faccia seconda._
[33] _Vita di Paolo IV_, manoscritta.
[34] Nel libro entrata e uscita del Camerlingo dell'Opera (della
metropolitana di Siena) del 1540, a fol. 122, sotto il dì 28 gennajo
notasi che «furono pagate lire 32 04 a frà Bernardino di Domenico
Tommasini detto Ochino, e per lui fatte buone a Giovanni Battista,
fattore dell'Opera».
[35] BOVERIO, _Ann. de' Cappuccini_, tom. 1, p. 411.
[36] Nel 1542, il senese Alessandro Piccolomini stampava in Venezia la
_Istituzione dell'uomo nobile_, dove nel lib. I, c. 7 mette: «Se bene
alcuni saranno che, per più liberamente servire a Dio, dal legame del
matrimonio si guarderanno, non però da questa legge del giovare altrui
sciolti saranno: anzi assai più degli altri legati fieno; appartenendosi
loro, per mezzo dell'ammaestramento e delli esempj delle buone opere,
continuamente cercare di giovare alla salute di questo e di quello: come
fra gli altri fa oggi il sant'uomo frà Bernardino Ochino da Siena, molto
in questo più prudente e savio che coloro non sono, i quali come nemici
di tutti gli altri et amici sol di se istessi, vanno a viversi racchiusi
ne' chiostri, e per le folte selve dispersi, pensandosi d'imitare in tal
guisa Giovanni battezzatore, e non accorgendosi che egli continuamente
di predicare e mostrare altrui la via del cielo non restava».
[37] Puccio Antonio fiorentino, vescovo di Pistoja e cardinale.
[38] Manoscritto nella biblioteca di Siena.
[39] Il primo volume contiene cinquanta sermoni su varj soggetti, la
giustificazione, il matrimonio spirituale, la confessione, le
indulgenze, il purgatorio, il testamento, ecc. Il secondo tratta di Dio,
e via via della Fede, Speranza, Carità.
[40] Il Tolomei scriveva a frà Caterino Politi d'avere, in occasion di
malattia, studiato i principj della religione cristiana, e conosciuto
che «lo spirito apostolico, trapassato nella Chiesa di Cristo di mano in
mano per continuanza di tempo senza scrittura, è uno de' saldi e ben
fondati principj per insegnarci dirittamente la vera religione». Gli
eretici, conoscendo come ciò ruini il loro edifizio, lo impugnano; ed
egli aveva in animo di scrivere in proposito. Ma udito che nel
sacrosanto Concilio erasi fatto un decreto che determinava questo punto
della tradizione, lo pregava a farglielo conoscere, «ond'io possa pascer
l'animo di un nuovo cibo spirituale e divino». Gli chiede anche qualche
lavoro suo che «partorirà in me qualche frutto di più viva fede e di
carità più ardente». _Lettere di XIII uomini illustri_, pag. 385.
[41] È riferita nella _Storia dei Teatini_, di Giovanni Battista vescovo
di Acerra.
[42] La lettera dell'Ochino fu tradotta in francese e stampata senza
indicazione di luogo, col titolo: _Epistre aux magnifiques signeurs de
Siene par B. Ochin du dit lieu, auxquels il rend raison de sa foy et
doctrine. Avec une épistre à Mutio Justinopolitan, par laquel il rend
aussi raison de son departement d'Italie, et du changement de son état,
translatie de la langue italienne._ Super omnia vincit veritas. 1544,
in-8º.
[43] Il Pazzi scrive che il Caterino, già vecchio, nella Minerva di Roma
più volte era veduto piangere: e chiesto del perchè, rispondeva,
dolergli d'avere scritto con tanta acrimonia contro alcuni padri: e
suggeritogli che colla stessa mano che avea ferito potea medicare,
taceva e piangeva.
[44] Nei manuscritti della _Compagnia de' Pastori_ a Ginevra, sotto il
titolo _Spectacles, professeurs, recteurs et ministres des églises
étrangères qui sont dans la ville_, leggesi a pag. 181: _Eglise
italienne. Cette église fut établie en 1542, octobre... Bernardin de
Servas qui avait été religieux, préche à la chapelle du cardinal_
(d'Ostia) _tous les dimanches._ Certamente s'ha a leggere _Bernardin de
Senis_.
[45] «Apologi nelli quali si scoprono gli abusi, superstizioni, errori,
idolatrie et empietà della sinagoga del papa, e specialmente de' suoi
preti, monaci e frati, 1554». È l'Opera più rara dell'Ochino, e contiene
il solo primo libro, mentre la traduzione tedesca ne ha cinque.
[46] V'è apposta una nota che proibisce di lasciarla copiare. Anche
senza di ciò, non l'avrei riprodotta, tanta n'è la bassezza. Credo
alluda a questo un passo delle _Legazioni di Averardo Serristori_
(Firenze 1853, pag. 88). «Certi predicatori a Zurigo hanno dato alle
stampe un libello famoso contro Sua Santità, tassando i modi e costumi
suoi e de' papisti: per il quale i cinque Cantoni cattolici si
lamentano».
Crispino, librajo, scrittore e discepolo di Calvino, stampò _L'Estat de
l'Eglise avec les discours des temps depuis les apótres jusques au
présent, 1581_ in 8º piccolo; ove si trovano tutte queste diatribe
contro papa Paolo III; fin ad asserire che manteneva 45,000 cinedi;
ch'era astrologo, mago, indovino, ecc.
[47] _La seconda parte delle Prediche di messer Bernardino Ochino
senese._ Predica III.
[48] _Ib._ Predica IV.
[49] Succedeva a Giovanni Lasco polacco. La chiesa era dedicata a santa
Cecilia, e v'era predicatore Michelangelo Florio fiorentino, poco
accetto. Potrebb'essere dell'Ochino la _Forma delle pubbliche orationi
le quali si fanno nelle chiese de' pellegrini in Inghilterra_, libretto
rarissimo.
[50] Vedi la pag. 134 _Della Vita del cardinale Comendone_, di monsignor
Graziani, opera tanto reputata, che fu tradotta in francese, dal celebre
Flechier.
Il Comendone molto operò in Polonia, e fe sbandirne gli eretici
italiani. Di lui, mentre era vescovo di Zante, cioè verso il 1539, si ha
un _Discorso sulla Corte di Roma_, che non crediamo stampato, dove ne
annovera molti abusi, e suggerisce rimedj, per verità, poco concludenti.
E prima non vuole si correggano col limitare la podestà papale, il che
non può farsi per fatto umano. «Una certa sensualità (dice poi) ha
prodotto nella Chiesa molti difetti, i quali continuandosi tuttavia nel
medesimo stile, l'hanno condotta nel mal stato nel quale si trova, sì
che non può fare l'officio suo. Al quale officio può in doppio modo
mancare: nell'uno pubblicamente, intorno alla prudenza del governo;
nell'altro cristianamente intorno all'obbligo che ha tutto l'ordine
ecclesiastico. Il primo mancamento si commette volgendo la prudenza in
astuzia, e torcendo la ragione a servizio delle passioni. Perchè i
pontefici, essendo uomini, ed avendo innanzi tanti invecchiati esempj
del favorire i parenti singolarmente, facil cosa è che, vinti essi
ancora da questa carne, si lascino, dietro a quelli camminando,
traviare. Senza che, ancor si pecca intorno al governo, non per malizia,
ma per una spensierata negligenza, con la quale ad altro non si mira, se
non a vivere lietamente, e come persona che abbia avuta un'eredità
grande e non aspettata, parte permette che ne sia tolta per non entrar
in contese, parte n'è prodigo, perchè non gli par donare il suo; anzi
alcune volte gli par far guadagno, credendo di acquistar la grazia dei
principi.
«Ma fermandosi alla parte essenziale e propria della Chiesa, diremo del
secondo mancamento, il quale è intorno all'obbligo dell'ufficio
sacerdotale. Questo è proceduto sì da' mezzi, con che si acquistano
molte volte questi uffizj e dignità, e sì dai costumi, co' quali si vive
oggi nella Corte. E prima, restando palesemente divisa l'utilità
dell'entrata dall'ufficio ecclesiastico, e l'onore dalle fatiche, è nata
e radicata in molti una perversa opinione che alla Chiesa non si
convenga signoria. E non veggono che il Signore Iddio non diede altri
giudici nè signori al popolo suo che i sacerdoti, e che dimostrò molto
sdegno che dimandassino i re: benchè i figliuoli di Samuele, che allora
reggevano, fossero divenuti ingiusti; altri sono che si scandalizzano
che la Chiesa abbia rendite e ricchezze, dicendo che questa è una nuova
usanza, introdotta dall'avarizia dei preti contro i costumi della
primitiva e santa Chiesa. Intorno alla quale opinione, lasciando da
parte il giudizio che, senza alcuna autorità, così temerariamente fanno,
ho sempre, come nelle altre proposizioni, avuto grandissima meraviglia
del molto ardire e della poca vergogna, che altri hanno, di affermare
quello che non sanno; di che si ha il contrario, leggendosi sopra ciò il
decreto di Urbano I, papa e martire, già 1300 e più anni fa, dove
racconta il costume della primitiva Chiesa di vendere tutto quello che
l'era dato, e dispensarlo a' poveri; e come poco poi fu mutato in
meglio, ritenendo i beni, e dispensando le entrate; e questo costume
egli comanda che s'osservi. Senza che, molto innanzi d'Urbano, si legge
nei decreti di Pio I della consuetudine stessa della possessione de'
beni stabili, e se ne tratta come di cosa antica; in modo che è
manifesto che arriva fino a' tempi degli apostoli. Nondimeno per
l'ignoranza, e forse per la malignità di alcuni, non si distingue dalla
cosa in sè, all'abuso di quella. Anzi essendo cessata la dispensazione
che diede Urbano, già è qualche numero d'anni che non sieno lasciati più
alla Chiesa città o castella, nè poderi nè case; ma questo è proibito in
alcuni luoghi per legge; come per esempio in Inghilterra, già molti e
molti anni prima che levasse l'ubbidienza alla sede apostolica. E ormai
in ogni provincia s'è perduta gran parte de' beni che la Chiesa
possedeva, e l'ubbidienza ancora; e si è acceso, in persone poco
convenienti a questa maniera di vita, un iniquo desiderio di beneficj, e
insieme una gran volontà ne' principi temporali di poterne disporre;
contro il decreto di Simplicio I, già 1084 anni, e di Gregorio VII nel
concilio Lateranense e di Urbano II. Perchè essendo venuti i beni
ecclesiastici nell'estimazione che sono i beni temporali, dall'una parte
i principi li reputano per loro; i buoni, ingannati dalla credenza che
hanno di persone, meglio che qui non si farebbe; i non buoni dal
desiderio di avere, e da una certa comune rabbia di usurpare ogni
giurisdizione. — Non dico che di questi beni non si fanno tutti quei
contratti che si fanno de' beni temporali, e quelli che hanno i beneficj
non vogliono ritenerli per altro che per beni proprj, non che facciano
l'officio, e dispensino bene e dirittamente l'entrata; anzi che questa
Corte serve per isfogamento a quelli, che, gonfj di superbia e di
speranze, non potendo capire negli alvei delle loro patrie, a guisa di
fiumi rompono in questa repubblica per potersi allargare, e occupar
gradi e facoltà amplissime. Di modo che se questa città fosse veramente
città, e non più certo una lunga coabitazione di forestieri, simile ad
un mercato o ad una dieta, con un continuo flusso, senza congiunzione di
parentadi, ne nascerebbero e seguirebbero le sedizioni e i tumulti che
son nati e seguiti in tutte le repubbliche, le quali, con la facilità di
comunicarsi ad ognuno, hanno, come un perpetuo vento, tenuto accesa
l'ambizione. — Ma in questa, per la propria sua forma, non è dubbio ch'è
giusta, utile e necessaria una comune partecipazione di tutta la
Cristianità; la quale, ben usata, la conserva e accresce, e abusata
l'indebolisce e ruina, anche perchè, oltre al resto, ci conduce quantità
d'uomini indegni a cercar ordini, onori e ricchezze, l'uso delle quali,
conseguite che sono, come di sopra si è detto, necessariamente riesce
conforme alle arti e all'animo con cui sono state acquistate.»
Nel discorso medesimo egli tocca del paganizzamento d'allora. «Come
innanzi la pestilenza si sente la mala disposizione dell'aere, e la
putrefazione degli umori, così ora si scuopre una certa gentilità e
nelle opinioni e ne' costumi, che ne dà verisimile indizio; considerando
le tante memorie che si onorano, e si rifanno di coloro che furono
piuttosto mostri che uomini scellerati. E si passa tanto avanti, che a'
figliuoli che si battezzano, molto più volontieri mettono i nomi
gentili, che i cristiani; e alcuni lascian quelli che hanno, e quasi
sbattezzandosi, ne prendono de' nuovi e de' gentili. Alla quale gravità,
non senza gran mistero del giudizio di Dio, si oppose, quando essa prima
si scoperse, il pontefice di quei tempi Paolo II (anno 1471); perciocchè
questi tali sono come i segni, pe' quali i nocchieri prevedono le future
tempeste; e sono di più importanza che le dimostrazioni più espresse
delle cose più gravi; perchè nelle cose piccole dove non si teme di
esser puniti, non si mette studio di apparenza, e facilmente si vede la
segreta inclinazione dell'uomo verso i vizj».
[51] Telipoligamus. _Quid vero mihi das consilii_?
Ochinus. _Ut plures uxores non ducas, sed Deum ores ut tibi continentem
esse det._
Telipoligamus. _Quid si nec donum mihi, nec ad se petendum fidem dabit?_
Ochinus. _Tum, si id feceris ad quod te Deus impellet, dummodo divinum
esse instinctum exploratum habeas, non peceabis. Si quidem in obediendo
Deo errari non potest._
B. OCHINI _senensis dialogi XXX in duos libros divisi._
[52] RESCIUS, _Vita Hosii_, lib. III, cap. 6. L'Osio scrisse _De
hæresibus nostri temporis_.
[53] Il suddetto Graziani, nella vita del cardinale Comendone, ove molte
cose pone intorno all'Ochino, dice al lib. I, cap. 9: _Ochinus Polonia
excessit, ac omnibus extorris ac profugus, cum in vili Moraviæ pago a
vetere amico hospitio esset acceptus, ibi senio fessus, cum uxore ac
duabus filiabus, filioque una peste interiit._ Esso Graziani attribuisce
il merito dell'Ochino piuttosto alla dizione che al fondo. _Fuit vir non
ineruditus, quamquam majori multo verborum quam rerum doctrina excultus,
sed patrio sermone_ (_nam latinas literas vix didicerat_) _in eo quod
sciret adeo comptus, ornatusque et copiosus, ut mirum in modum captos
specie ac nitore orationis teneret audientium animos. Nam hominum
nostrorum plerique conciones, quæ, more antiquitus tradito, de divinis
rebus in templis habentur, frequentant celebrantque, non tam quidem quo
mentem præceptis cœlesti doctrina haustis instruant ad religionem, ad
pietatem excitent, quam quod ducuntur orantis ingenio, et genere illo
speciosæ et omnibus undique luminibus omnibus, undique floribus exornatæ
atque expolitæ orationis delectantur. Cæterum inde nihilo meliores
effecti, plane iidem abeunt, qui venerant._ E prosegue descrivendo le
arti della falsa eloquenza de' predicatori. Pag. 126.
[54] Il Sandio, nella Biblioteca Antitrinitaria, dà la nota di tutte le
opere dell'Ochino. Noi rammenteremo, oltre le suddette prediche in 3
volumi, a Zurigo 1555, e in-4º senza data, il _Dialogo del Purgatorio,
1555; Sposizione sull'epistola ai Galati; Risposta alle false calunnie e
impie bestemmie di F. A. Caterino, 1546; Prediche, novene. Laberinto del
libero o ver servo arbitrio: prescienza, predestinazione e libertà
divina, e del modo d'uscirne._ Basilea s. a. tradotto anche in latino. A
torto si disse che la traduzione latina de' suoi _Trenta dialoghi_ fosse
opera del celebre Castalion. I primi sette furono stampati a Venezia nel
1542-43: _Dialoghi VII del reverendo padre frate Bernardino Ochino
senese, generale de' frati Cappuccini_: e trattano
1. _Del modo d'innamorarsi di Dio_; fra la Duchessa e Bernardino.
2. _Del modo di diventar felice_; fra la Duchessa di Camerino e
Bernardino.
3. _In che modo la persona si debba reggere bene_; Maestro e Discepolo.
4. _Dialogo del ladrone in croce_; fra Uomo e Donna.
5. _Dialogo del convertirsi presto_; fra Cristo e l'anima.
6. _Dialogo del peregrinaggio per andar in paradiso_; fra Angelo
Custode e l'anime purganti.
7. _Dialogo della divina professione_; fra Uomo e Donna.
Vennero poi tutti pubblicati a Basilea nel 1563 da Pietro Perna. Nel
XXVIII tratta _quo pacto tractandi sunt hæretici_, e stabilisce si deva
punirli di morte.
DISCORSO XXIV.
PIETRO MARTIRE VERMIGLIO.
A un Vermiglio di Firenze morivano tutti i figliuoli: onde fece voto, se
uno ne conservasse, dedicarlo a san Pietro Martire. E di questo pose il
nome a un maschio, natogli la madonna di settembre 1500, e che
sopravvisse.
L'affettuosa madre Maria Fumantina coltivò di buon'ora i talenti del
fanciullo, e gl'insegnò il latino, ch'essa conosceva a segno da poter
tradurre Terenzio: non furono risparmiate spese per l'educazione di
esso: e sotto Marcello Vergilio, secretario della repubblica fiorentina,
ebbe valenti condiscepoli, Francesco Medici, Alessandro Capponi, Angelo
e Pandolfo Stufa, Francesco Rafaele Ricci e, miglior umanista di tutti,
Pietro Vettori. A sedici anni dalla corruttela del secolo rifuggitosi
nel chiostro, si fe canonico regolare agostiniano a Fiesole, mentre sua
sorella Felicita entrava nelle monache di San Pietro Martire. Ne provò
dolore, pur non senza compiacenza, il loro padre, ch'era uno dei devoti
a frà Savonarola, e che morendo lasciò parte de' suoi beni all'_Albergo
de' Forestieri_ in sussidio dei poveri.
A Fiesole Pietro Martire trovò grande opportunità agli studj; e massime
alle sacre scritture dava grand'attenzione, e se ne metteva a mente dei
pezzi, del che si giovò in appresso grandemente. Dopo tre anni passato
nel convento di San Giovan di Verdara presso Padova onde frequentare
quella Università, vi studiò otto anni le varie opinioni filosofiche e
teologiche; e poichè la filosofia d'Aristotele c'era in voga, nè egli si
soddisfaceva della traduzione latina, s'applicò al greco assiduamente:
mentre nella teologia l'istruivano due professori domenicani ed uno
eremitano. Di ventisei anni si pose a predicare; al che gli Agostiniani
di solito erano scelti nell'advento e nella quaresima, serbandosi le
prediche ordinarie dell'anno ai Domenicani. Fece il primo saggio a
Brescia, indi a Roma, Bologna, Venezia, Mantova, Bergamo, Pisa, Casal
Monferrato; oltre che leggeva scrittura sacra in varj conventi del suo
Ordine, a Padova, a Ravenna, a Bologna, a Vercelli, dove legò amicizia
con Benedetto Cusano vercellese, buon grecista e traduttore d'Omero, e
da cui siamo informati degli studj assidui di quello.
Dapprincipio la devozione di suo padre l'ebbe innamorato del Savonarola,
e ne ammirava l'intrepidezza al predicare e al soffrire. Egli stesso
predicando seguiva i metodi scolastici; leggeva i Padri, e non
trovandoli concordi, si appigliò al Vecchio e Nuovo Testamento, e per
meglio comprenderlo apprese l'ebraico da Isacco, medico israelita.
Investito dell'abazia di Spoleto, mostrò capacità agli affari e
prudenza; molte irregolarità vedute in conventi e monasteri cercò
emendare, come pure di riconciliare i partiti della città.
Accettato quindi nel convento di San Pietro ad Ara di Napoli, maggiore
in dignità, quivi gli capitarono i commenti del Bucer sul vangelo e sui
salmi, stampati il 1527, e tradotti in italiano sotto il falso nome del
Arezzo Felino; poi la _Vera e falsa religione_ di Zuinglio, ed altre
opere di Riformati. Se ne invaghì e le meditava col Cusano e col poeta
Flaminio, e più dopo che strinse relazione cogli amici del Valdes. Già
intinto di questi principj, cominciò nel 1541 in San Pietro ad esporre
l'epistola ai Corinti, con tal concorso, che, chi non v'andasse, era
reputato mal cristiano. Un giorno prese per testo le parole della prima,
delle quali soleano valersi i teologi per appoggiar la credenza al
purgatorio: «Il dì del Signore farà conoscere le opere di ciascuno; il
fuoco proverà qual sia l'opera di ciascuno; se l'opera di alcuno
brucerà, egli ne soffrirà il danno: ma sarà salvato, però per mezzo al
fuoco». Aspettavansi la solita parenesi sulle anime purganti, e invece
provò che quelle parole doveano prendersi in senso emblematico,
significando l'intera distruzione dell'errore, e ciò sostenne con grandi
autorità. I preti, e massime i Teatini, lo denunziarono, onde il vicerè
Toledo gli interdisse di più predicare: ma Pietro Martire, sorretto da'
suoi frati e da persone ragguardevoli, ricusò obbedire, n'appellò al
papa, ottenne di continuare come prima, e così sparse quel seme che poi
germogliò.
Se non che, avanti compiere il suo triennio, gittaronsi pericolose
febbri, delle quali il Cusano morì, e Pietro Martire fu costretto
cangiar aria. Allora destinato visitatore generale del suo Ordine in
Italia, ebbe modo di riparare molti abusi, all'uopo consigliandosi col
cardinal Gonzaga, protettore di quella religione, e rimovendo i
contumaci: uno de' più resistenti fu relegato in vita nell'isola
Diomedea.
Posto priore a San Frediano di Lucca (1541), meno velò le sue opinioni,
e quasi ne aperse scuola, ed affinchè la gioventù fosse ben istrutta,
chiamò Paolo Lazise, famoso aristotelico di Verona, a insegnare il
latino; Celso Martinengo il greco, Emanuele Tranellio di Ferrara
l'ebraico, ed eccitava i giovani a tenere ben d'occhio se egli spiegasse
rettamente le epistole di san Paolo e qualche salmo. Così acquistò alle
nuove credenze diciotto monaci, che nelle vicinanze le sparpagliarono,
mentr'egli le predicava nella cattedrale di Lucca.
Il cardinale Contarini, tornando dal colloquio di Ratisbona, venne col
maestro del Sacro Palazzo a far riverenza a papa Paolo III, ch'erasi
reso a un congresso in Lucca con Carlo V, e quivi si trattenne con
Pietro Martire in discussioni religiose, siccome le aveva intese in
Germania, e per le quali il Fiorentino venne a confermarsi nelle sue
idee[55]. Pure nella dimora del papa egli non ebbe disturbo. Ma presto a
Roma se ne sussurrò, e il vescovo Bartolomeo Guidiccioni scrisse alla
signoria di Lucca, lamentando vi si tollerassero i nuovi errori:
ch'erano predicati anche apertamente da don Costantino priore di
Fregonara.
Di Pietro Martire non è cenno in quelle lettere, forse per riguardo a'
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