Gli eretici d'Italia, vol. II - 49
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della giustizia, pare che dapprincipio dicesse che, preso dall'amore di
lei, si fosse messo a questo, ma che poi in ultimo, stretto dai
tormenti, confessasse che vi era stato indirizzato per ammazzarla, ma da
chi non si sa ancora.
«Posso dire di più che di Francia è stato scritto a monsignore cardinale
di Lorena come, sendosi inteso ch'egli pigliava una villa qui vicina a
cinque miglia per trattenervisi alle volte in questa state, vi era chi
disegnava contro la vita sua, e che per niente non la usasse
altramente».
[421] Bolla di Pio V, 1569.
[422] _Literæ SS. D. N. Pii V super creationem Cosimi Medicis in magnum
ducem provinciæ Etruriæ ei subjectæ._ Firenze 1570.
[423] Archivio di Stato, _Carteggio universale_, N. 44.
[424] _Carteggio universale_, N. 30.
[425] _Carteggio di Cosimo_, filza XXIX.
[426] _Carteggio universale_, N. 161 al 1561.
[427] _Legazione di Roma_, N. XI.
[428] _Ill. Domine frater noster honorande,
Scimus excellentiam tuam non ignorare S. D. N. hisce proximis diebus nos
super negocio fidei deputasse. Verum, quia in præsentia ex officio nobis
injuncto est super aliquibus rebus agere, atque a Petro Martyre, ordinis
canonicorum lateranensium, de eis informari cupimus, exc. tuam enixe
rogamus, velit, pro singulari suo in Christo amore, ac in hanc sanctam
sedem apostolicam studio dare operam ut, quanto honestius et cautius
fieri possit, idem Petrus capiatur, et ad nos eodem modo quo rev.
dominus cardinalis Burgensis collega noster scripsit, cum alio fratre
lucensi transmittendum curret etc._
_Romæ_ XVII _kal. octobris_ MD. XXXXII.
_Cardinales deputati_, IO. PETRUS.
CARDINALIS S. CLEMENTIS.
CARDINALIS BURGENSIS.
P. CARDINALIS PARISIENS?
B. CARDINALIS GUIDICIONUS.
_Archivio Mediceo_, cartella 3717.
[429] «Illustrissimo patrone. Io ricèvetti le di v. e. delli XI, al
solito gratissime, insieme con la copia delle lettere scrittele dal
commissario di Pisa sopra quello frate Cilio da Turino che le ho fatto
intendere. E non pensi v. e. che quanto io ho scritto sopra ciò sia
stato senza causa, chè mi pareva veder ordito una tela cui faceva
ricordare di frà Girolamo al tempo del magnifico Piero de Medici, di che
mi ricordo bene. Ma penso per grazia di Dio ne siamo presso che fuora,
mediante le buone opere di frate Bernardino da Siena generale de'
Cappuccini, che avrà chiarito che non sempre è oro quello che luce.
Credami V. E. l'amor mi fa dire non meno ch'ella ha da guardarsi dagli
eretici che ci abbiamo noi prelati, perchè menano la folla contro a
tutte le potestà, ecc.
«Di Perugia XVI di settembre 1512.
Cardinale DE PUCCI.
_Archivio Mediceo_, fascio 5717.
[430] «Confidando s. s. nella buona e cristiana mente et intentione
delle E. V., sicurissimo che non dispiacerà a Lei quel che mi ha
ordinato che le faccia intendere, come è pesato oltre modo alla santità
sua, e vi farà subito la provisione che le si ricorda, si è novamente
ridotto in Pisa un pessimo spirito, chiamato Celio da Turino, quale
pubblicamente e in più luoghi ha fatto professione di luteranesimo, et
ultimamente trovandosi in Lucca, ove si dimostrò tale, ne è stato
bandito, e si è ricovrato in Pisa, ove, sotto professione di maestro di
scuola, ha insegnato quella mala setta et eresia. Il che essendo della
importanza che v. e. può per sua prudenza considerare, ha bisogno di
presto rimedio, onde s. b. la ricerca e stringe quanto più può per
debito dell'offizio suo a mandar subito commissione al suo offiziale in
Pisa che lo faccia carcerare et tenere sotto buona custodia, finchè si
sarà fatta palese l'iniquità sua e castigata per esempio degli altri
ecc.
«Da Roma 26 agosto 1552.
«Il cardinale FARNESE».
_Archivio Mediceo_, cartella 3717.
[431] In Santa Maria Maggiore a Firenze, nella nave a mezzodì, è la
cappella dei Carnesecchi, collo stemma, che consiste in tre liste d'oro
con sotto un ròcco pur d'oro; e da una parte l'arma de' Capponi,
dall'altra quella de' Velluti per due dame entrate in quella casa. Anche
la cappella della Comunione nella nave a tramontana fu fondata da
Bernardo Carnesecchi nel 1449, oltre un'altra cappella pure dei
Carnesecchi: e vi sono sparse qua e là molte lapidi de' Carnesecchi.
Le corrispondenze del Carnesecchi col Grannela sono nei manuscritti
della Magliabecchiana, Classe VIII, 51: e così le lettere al Vergerio
del 1534, in risposta a quelle che son nella Vaticana, _Nuntiatura
Germaniæ_. Vol. IV.
[432] «Ho inteso per lettere di M. Marcantonio Flaminio, che v. s. ha
avuto una febbre acutissima, la quale l'ha condotta appresso alla morte,
e che ancora non è fuor del letto benchè sia fuor del pericolo. Ne ho
sentito, come debbo, gravissimo dispiacere: e considerando fra me
stesso, come v. s. è in ogni cosa temperatissima, e con quanto regolato
ordine di vivere si governi, non so trovare altra causa delle tante
infermità sue, se non che è di troppo nobile complessione, il che ben
dimostra l'animo suo divino. Dovrìa Iddio, come i Romani conservavano
quella statua, che cadde loro dal cielo, così conservar la vita di v. s.
per benefizio di molti: e lo farà, acciocchè così per tempo non
s'estingua in terra uno dei primi lumi della virtù di Toscana. Vostra
signoria dunque col presidio di Dio attenda a ristorarsi e vivere con
quell'allegria, con che soleva, quando eravamo in Napoli. Così ci
fossimo ora con la felice compagnia! E mi par ora di vederla con un
intimo affetto sospirar quel paese, e spesse volte ricordar Chiaja col
bel Posilippo. Monsignore, confessiamo pure il vero, Firenze è tutta
bella, e dentro e fuori, non si può negare; nondimeno quell'amenità di
Napoli, quel sito, quelle rive, quell'eterna primavera mostrano un più
alto grado di eccellenza, e là pare che la natura signoreggi con
imperio, e nel signoreggiare tutta da ogni parte piacevolissimamente
s'allegri e rida. Ora se vostra signoria fosse alle finestre della torre
da noi tanto lodata, quando ella volgesse la vista d'ogn'intorno per
quei lieti giardini, o la stendesse per lo spazioso seno di quel ridente
mare, mille vitali spiriti se le multiplicherebbono intorno al cuore. Mi
ricordo che innanzi la partita sua, V. S. più volte disse di volerci
tornare, e mi ci invitò più volte. Piacesse a Dio, che ci tornassimo:
benchè, pensando dall'altra parte, dove anderemo noi, poichè il signor
Valdes è morto? È stata questa certo una gran perdita ed a noi ed al
mondo, perchè il signor Valdes era uno de' rari uomini d'Europa, e quei
scritti ch'egli ha lasciato sopra l'Epistole di san Paolo, ed i Salmi di
David, ne faranno pienissima fede. Era senza dubbio nei fatti, nelle
parole, ed in tutti i suoi consigli un compiuto uomo. Reggeva con una
particella dell'animo il corpo suo debole e magro; con la maggior parte
poi, e col puro intelletto, quasi come fuori del corpo, stava sempre
sollevato alla contemplazione della verità e delle cose divine. Mi
condoglio con messer Marcantonio, perchè egli più ch'ogni altro l'amava
ed ammirava. A me par, signore, quando tanti beni, e tante lettere e
virtù sono unite in un animo, che faccian guerra al corpo, e cerchino,
quanto più tosto possono, di salire insieme con l'animo alla stanza,
ond'egli è sceso: però a me non incresce averne poche, perchè dubiterei
qualche volta, che non s'ammutinassero, e mi lasciassero in terra come
un goffo, vorrei vivere, se io potessi: così esorto V. S. che faccia: le
bacio la mano. Nostro Signore le dia quella prosperità di vita ch'ella
desidera».
[433] Bisogna intendere Andrea, non Filippo, che non fu in Francia.
[434] _Carteggio universale_, filza 2972.
[435] Una lettera di Angelo Cajazzi teatino denunziava al papa, come
eretico Giambattista Veneto, proposto generale della sua congregazione.
_Carteggio di Cosimo_ 199.
[436] VIII del _Carteggio di Cosimo_.
[437] Il De Thou accusa Achille Stazio, valente letterato portoghese,
cantore d'un poema sulla _Vittoria di Lepanto_, d'aver denunziato il
Carnesecchi. Fra i 430 e più testimonj sentiti nel costui processo, o
nominati come correi, lo Stazio non compare.
[438] Le due lettere sono nel Laderchi, vol. XXII, pag. 97, 98.
[439] Nominatamente Pero Gelido suddetto e Pietro Leone Marioni.
[440] Il Gibbings crede alluda all'imperatore. Vedi qui sopra a pag.
324.
[441] Forse il Paleario.
[442] Arch. Toscano. _Appendice al carteggio_ di Roma, filza IV.
[443] _Ibid_.
[444] _Legazione di Averardo Serristori ambasciadore di Cosimo I_ a
Carlo V e in Corte di Roma 1537-1568 (Firenze Le Monnier 1853).
[445] Per soddisfazione della regina Caterina De Medici, il papa non
esitò a mandarle il processo, che così venne conosciuto anche fuori del
Sant'Uffizio. Gli estratti ne sono prodotti dal Laderchi, tom. XXII, p.
325; poi fu stampato da Richard Gibbings, _Report of the trial and
martyrdom of Pietro Carnesecchi_. Dublino 1856.
Il Serristori scrive al 19 luglio. «Quanto più s'allunga il processo, le
condizioni si peggiorano, al rovescio di quel che il Carnesecchi
aspettava.
12, 19 e 21 settembre. «Gli si diedero altre dilazioni, se mai volesse
ravvedersi, ma egli stette duro: invano gli parlò il cardinale Paceco».
[446] «Al supplizio andò tutto attillato, con la camicia bianca, con un
par di guanti nuovi e una pezzuola bianca in mano. Piaccia a Dio averlo
compunto in quel punto di morte, perchè per prima non si era partito
dalla sua prava opinione». SERRISTORI.
[447] _Carteggio di Roma_, appendice, filza XXVI. Nella XXXVI della
legazione di Roma vi sono diligenze affinchè resti proibita la storia di
Michele Bruto, scritta, dicesi, a istanza d'alcuni mercanti fiorentini a
Lione: l'autore si esibì a modificarla nelle parti che ledono la casa
Medici: ma essendo egli eretico, non si volle intraprenderne il
trattato.
Nella filza LIII è un'istanza del granduca perchè le opere di Nicolò
Machiavello vengano levate dall'Indice, facendone un'edizione espurgata.
[448] Io non trovai alcuno che avesse veduto questo libro, e non conosco
alcun'opera di Calvino con questo titolo. Ben so che il Domenichi, al
fin della sua vita, tradusse «La spada della fede per difesa della
Chiesa cristiana contro i nemici della verità, cavata dalle sacre
scritture, per frate Nicolò Granier» (Venezia 1565).
[449] Da un Giunti fiorentino, stabilitosi a Troyes in Sciampagna,
nacque nel 1540 Pietro De Larivey, il primo che scrivesse commedie in
Francia; e nella ristampa fatta il 1855 si attesta l'efficacia di lui
sopra il teatro francese, specialmente sopra Moliére, e si mostra quanto
abbia tratto da' nostri. Tradusse pure le _Notti facete_ dello
Strapparola.
[450] È poc'altro che una revisione di quella del Bruccioli la _Bibbia
novamente tradotta da la hebraica verità in lingua toscana_, per maestro
Santi Marmochino fiorentino, dell'ordine de' Predicatori (Venezia,
Giunti 1538 e 46). Anche Filippo Rustici, lucchese apostata, a Ginevra
fece o rivide una versione della Bibbia sopra i volgarizzamenti del
Vatable, del Pagnini, del Bruccioli. Solo da una lettera dell'Aretino al
Dolce, novembre 1545, raccolgo che questi traducesse o illustrasse la
Bibbia, scrivendogli esso: «Sì che seguitate pure la incominciata
Bibbia, avvegnachè il fattor sommo vi aprirà i di lei secreti, così nel
fine come nel mezzo».
[451] Il Bruccioli scrive a Cosimo I.
«Ill. ed Ecc. Duca, Ho, poche ore sono, avuta una di v. e., ed inteso il
contenuto, non poco mi dolgo della malignità degli uomini, che sono
sempre pronti a riferir male e far poco bene, come mi pare che qualche
maligna anima abbia fatto a v. e. di me pure. Bisognando far altro che
dolersi, dico il caso mio esser passato in questa forma, che qua è pena
cinquanta ducati d'oro chi stampa cose senza licenzia, e due anni bando
di Venezia. Ora essendo io andato fuor della terra, uno mio, che è sopra
la stamperia, prese a stampare senza chieder la licenzia, una opera
sospetta. La qual cosa saputa, furono tolti tutti i libri d'essa opera,
non mia composizione e che non era in Venezia, ed arsi; e così caddi
nella pena per la colpa d'altri: dipoi intesa bene la cosa, hanno levato
il bando di due anni, ma che io debba pagare detti denari, che se ne
vanno in ducati settanta: e che non sia stato per mia composizione o
openione di eresia ne mando la fede a v. e. sigillata dal padre
inquisitore, che si trovò a tutta la causa, e se non che i danari sono
destinati a luoghi pii, avevo la grazia. Ancora di quegli delle opere
mie ove sia il mio nome non è stata mossa, nè tocca, nè dannata alcuna,
come ne può far fede ancora il segretario di v. e., al quale le ho
mostrate, e chiarito che si vendono per tutti li librari. E se io fossi
stato notato d'eresia, non potrei stare, non che in Venezia, neancora
nel dominio, e tutte le mie opere sariano dannate, che non è dannata
alcuna, ma approvatissime; nè è qua gentilomo a chi non sia doluto di
tal disgrazia, che mi è stata di gran danno..... nè mai ho trovato uomo,
per frate che sia, che abbia avuto ardire alla mia presenza di mettervi
bocca.... È se nessuno è nello Stato di v. e. che abbia ardire di
dannare cosa alcuna ne' miei libri della Scrittura sacra, sono parato
sempre a mostrar che non sa che cosa sia Scrittura sacra nè pietà
cristiana, e che è uomo maligno et ignorante, o voglia con li scritti, o
voglia con la presenzia trattar la cosa davanti a v. e.
«Circa a scrivere a v. e. avvisi utili alla conservazione del suo Stato,
al presente per il poco tempo che io ho da scrivere, non posso
soddisfare, come farò per l'avvenire.... (_qui dà alcuni avvisi e
finisce col_ baciar le signorili mani).
«Di Venezia 20 aprile 1549».
«La quarta opera che io dissi, nella epistola della dedicazione del
libro, avere principiato per v. e., per buon rispetto ho voluto serbarmi
a dirla qui, essendo di grandissima importanza e momento, perchè è tale
che in essa vedreste gli avisi di tutte le cose che possono toccar lo
Stato vostro, non solamente del passato e del presente, ma ancora del
futuro. Questo è che, considerando io che tutti gli scrittori che hanno
voluto costituire un principe che potesse sicuramente governare lo
Stato, tutti hanno assegnato precetti e consigli, comuni a tutti i
generi di principati che potessero servire, a tutti i luoghi e regioni
ove fussino, ma nissuno, ch'io abbia mai visto o letto, ha nel dare buon
ricordi al principe per la salvazione del suo Stato, avuto in
considerazione la qualità de' suoi cittadini, gli umori di quelli, le
fazioni di dentro e di fuori, le condizioni de' sudditi, come sieno
animati verso il principe, o se sono desiderosi d'altri governi, e come
ne' pericoli se ne abbia a fidare: di poi la qualità de' potentati
attorno ecc. ecc. (_qui divisa la sua opera_). Dovendo esser quest'opera
solo per v. e. come uno specchio, nel quale vedesse non solamente se
medesima, ma e i suoi cittadini grandi e piccoli, fuorusciti e
malcontenti, e tutta la possanza ed umore de' principi e dominj che
potesse mai avere a fare cosa alcuna con v. e., e non solamente vedere i
volti, ma e gli animi e le forze ed i pensieri, e perchè tal cosa doveva
solamente servire per v. e. veggendomi di esser poco in sua grazia, se
ben non lo merita l'amore e reverenzia che gli porto, e servigi che già
gli feci, ho lasciato di seguitar tal opera, solamente facendo intender
a v. e. che quella lascia perdere una delle più utili cose che si
potessino mai pensare per quella....
«Di Venezia 8 giugno 1549».
Il 29 giugno torna alla cerca di sussidj:
«Quando primieramente scrissi a v. e. la pregai, per la necessità in che
mi trovo, che mi volesse fare un poco di bene, o per l'amor di Dio o per
servizj fattigli già in tempi pericolosi, o per quegli che mi promettevo
fare. La risposta fu che io dovessi prima giustificarmi della
imputazione d'eresia, il che feci, nè per questo ebbi mai cosa alcuna. E
chi non direbbe di aver poco credito con un principe, se gli chiede una
grazia di pochi scudi, e non la ottiene per promessa che gli si faccia?
E se io mi trovassi il modo di poter vivere uno o due mesi di tempo che
andiamo in dar compimento a tal opera, e da poterla far copiare, l'avrei
fatto senza chieder prima cosa alcuna. Ma non avendo altra rendita che
il tempo, mi bisogna metterlo in cose, per le quali io possa guadagnar
il vitto alla mia famiglia.....»
E segue insistendo sull'utilità di quell'opera, con bassezza chiedendo.
Poi il 4 agosto 1554, a M. Agnolo Dovizio da Bibiena segretario del
duca, dà contezza de' maneggi di Piero Strozzi col Cavalcanti ed altri
profughi, per far la guerra di Siena; al 18 agosto informa sugli
andamenti e progetti de' fuorusciti, e continua a domandare per sè.
Un'altra del 25 agosto va sul tenore stesso. Sotto al 28 luglio 1554
troviamo questo estratto:
_Il Bruciolo vorria sapere se v. e. vuole che sia al suo servizio o no,
e che desidera servirla_.
Il duca scrive di proprio pugno:
_Che serva, se lo vuole per ogni modo_.
Il 1º settembre costui fa congratulazione per le vittorie di Siena,
promette un'orazione con cui mostrerà al mondo esser Cosimo giustissimo
principe ed ornato di tutte le virtù ecc.; ragguaglia sugli Strozzi e su
chi dà danari, e che partì l'ambasciadore di Francia, «e se avessi avuto
la possibilità, e non avessi avuto l'obbligo delle lezioni, io pigliavo
l'occasione d'andar seco fin a Ferrara, dove pel camino arei intese più
cose più particolarmente. Corrono spesso di simili casi, a' quali
sarebbe bene andar dietro con ogni diligenza, il che farò se vorrete.
Per quest'altro corriere vi aviserò di cosa che ne potresti col tempo
cavare qualche buon utile per le cose vostre».
Eppure solamente jeri, un di questi storici ciarlatani che or vanno per
la maggiore, noverava il Bruccioli fra i martiri della buona causa, sol
perchè messo all'Indice.
[452] Carte strozziane, filza 246.
[453] _Carteggio concernente Cosimo I_, filza LVIII. Quando l'esercito
del sig. Gabrio Serbollone accampava in Francia, san Carlo a nome del
papa informava il duca di Firenze che le sue genti aveano fatto danni al
paese, onde lo pregava a desistere dai guasti e dalle prede, e risarcire
quel che si potrà. Lettera 10 luglio 1560, nell'archivio di Stato di
Firenze.
[454] Lettera d'illustri uomini, per Antonio Manuzio, 1561.
[455] _Carteggio di Cosimo_, N. 198.
[456] Arch. di Firenze, _Carteggio univers._, N. 180.
[457] _Carteggio di Cosimo_, N. 211.
[458] _Id._ N. 199, 200.
[459] _Carteggio universale_, N 145.
[460] _Id._ N. 147.
[461] _Carteggio di Cosimo_, N. 224.
[462] È Alessandro De Medici de' principi d'Ottajano, cugino di Cosimo
I, che stette quindici anni ambasciator suo a Pio V a Roma, poi nel 1605
fu papa col nome di Leone XI, ma per soli 26 giorni.
[463] Ap. LAMI, _Lezioni_, pag. 600.
[464] _Carteggio di Roma_, filza C.
DISCORSO XXXVI.
ERETICI SENESI. AONIO PALEARIO.
Espugnata Siena, il duca di Toscana dovette adoprare ogni arte per
soffogarvi i tentativi di nuova insurrezione: vi soppresse le accademie
de' Rozzi e degli Intronati; carcerò, sbandì, fece com'è costretto a
fare chiunque incatena un popolo.
Avremo a discorrere a parte dei Soccini: e già indicammo le prediche
fattevi dall'Ochino. Nofri Camajani, che colà stava capitano di
giustizia pel duca, s'accorse di semi di protestantismo difusi, e ne fe
motto a Cosimo. Poi al 5 settembre 1558 scriveagli:
«Io non volsi mancare di dare avviso a v. e. ill. di quel che mi era
stato parlato da più persone di certa semenza d'eresia che par si sia
sparsa in questa città da qualche mese in qua, e ne detti avviso
generale, secondo che mi fu rapporto allora da quelli tali. Dalli quali
di poi ho avuto una lista di più persone, parte nobili e parte artigiani
e plebei, che ne devono fare più scoperta professione, la quale sarà con
la presente. Ho voluto intendere più particolarmente quel che si sia
visto o inteso delle lor male operazioni. Dicono che per le chiese sono
stati visti udire solo il vangelio, e poi voltar le spalle al
Sacramento, con atti ed altre dimostrazioni derisorie del comune culto
divino, e ragionar del purgatorio in burla, e un di loro par che una
mattina, ritrovandosi alla predica di un frate teatino o riformato, che
conteneva del purgatorio, subito si partì ridendo, e dicendo che non
voleva più star a udire simili favole; oltre al parlare poco conveniente
dell'autorità della sedia apostolica. Ma perchè simili umori non si
sogliono scoprire più oltre che con piccoli segni, parimenti la legge si
contenta di piccoli indizj per poter perseguitarli. Il signor G.
(Inquisitore, Governatore?) mi ha detto che n'è stato parlato a s. s.
ancora, e che io gli facessi avere quella medesima nota come ho fatto: e
poi se piacerà o all'e. v. o a s. s. si potrà procedere in quel modo che
più li parrà opportuno (_Omissis_).
«Lista dei nobili: li duoi figliuoli di M. Maria Sozini, cioè Carlo e
Camillo. Fausto, fratello di M. Alessandro Sozino. Savola f. di M. Levio
Pecci, e anco si dubita di lui. Marcantonio Cinuzi[465]. Nicolò
Spanocchi. M. Francesco Buoninsegni.
«Lista d'ignobili: Mess. Paolo marescalco al ponte. M. Ippolito
marescalco in Pantaneto. Francesco libraro alla Beccheria[466]. Nicolò
conciator di cori (_cuoi_) barbarossa. Quel che assetta l'oriol di
piazza. M. Cesare Sarto incontro alla fonte di Piazza»[467].
Noi abbiamo fatto ogni possibile per seguire questa traccia, ma fu
invano, se non che da Roma al 23 luglio 1560, veniva diretta al duca
questa lettera:
«Illustrissimo ed eccellentissimo signore,
«Essendo che ci consti al presente ne' suoi Stati, e principalmente
nella città di Siena pullulare alcune eresie, e di giorno in giorno
augumentarsi, alle quali se di breve non si provede, dubitiamo non
avenghi come in molti luoghi di cristianità è avvenuto, partoriscano la
perdita di molte anime, oltre a quelle che già sono in periculo, se la
mano potentissima de Iddio non vi provede, e desiderando noi con il
mezzo di s. e., si come è cura nostra, provederli per quanto possiamo;
il che anche speriamo per il suo buon e santo zelo, quale sempre in lei
abbiamo conosciuto verso la santa fede catolica, e questa sancta sede,
abbi da desiderare e procurare, abbiamo dato ordine di mandarvi qualche
servo da bene, proporzionato a questo bisogno; acciò, con l'ajuto di n.
s. Iddio e per mezzo di v. e., possi provedere alla salute di tali, a'
quali, se così non si provede, oltre il danno loro, seran causa di
dannificare li altri. Et perchè desideriamo eseguir ciò quanto più
presto, preghiamo v. e. si degni avisarci di quel che gli occorre e più
li piace in questo negozio, alla cui gratia ci raccomandiamo sempre.
«Di V. E. Ser.
Il card. De Carpi.
Il card. Puteo.
Il card. Alessandrino.
Il card. d'Araceli.[468]
Esso rispose, gloriandosi di esser persecutor de' ribelli di Cristo; ma
poichè ama la giustizia, e talvolta queste accuse sono date per passioni
private o per voglia di nuocere, desidera gli siano porte notizie più
precise intorno a questo affare, e allora penserà al rimedio, senza
ch'essi prendansi molestia. Altrove[469] abbiamo lettera del nunzio, che
richiede al duca Cornelio Sozzini, per mandarlo all'Inquisizione di
Roma.
Al qual punto si riferiscono pure le lettere seguenti al granduca;
«Ill. et Ecc. Padrone mio,
«Io non resto nè resterò di continuo de procurare con ogni destra opera,
anche nelle proprie case de sospetti, per ritrovare la imboscata delli
eretici, de quali potria forsi essere ora molta la segretezza, che
continuasse nelli animi di qualche persona il credere che egli sieno in
alcune loro male opinioni antiche, dipoi già lassate. Per il che odo
dallo Inquisitore che alcuni sono andati da esso a dimandare et
ottenutone il perdono, massime dopo la cattura di M. Achille
Benvoglienti e de un M. Aonio (Paleario), molto tempo fa preso in
Roma, che fu già qui pedante in casa de' Belanti, e seminava tal peste
con chiunque praticava, et in fra altri di questa città era un M. Mino
Celsi, che pochi dì fa se ne è partito e vistosi a Bologna, e si bene si
crede per molti debiti che in vero si trova, e ne ha lassato ricordo a
la moglie, con dirli de più che perciò si è allargato, da qualche altro
si fa giudizio che possa essersi partito per la presa e pratica del
sopradetto M. Aonio, e che forsi possi passare a Ginevra: però se
ritrarrò dove egli si posi o altro de li sopradetti, ne farò subito
consapevole v. e. ill. alla quale con debita reverenza m'inchino».
«Di Siena l'ultimo de luglio 69.
«Di V. E. Ill. divotissimo servitore
Federigo delli Conti Monteaguto[470].
«Serenissimo Padrone mio,
«Ho fatto, secondo il solito, pubblicare in Balia li nuovi Capitani di
Giustizia di questo Stato, conforme al comandatomi da v. a., quale
supplico si degni farmi dar cenno se io debbo lasciar abjurar in giorno
festivo nella catedrale di questa città M. Achille Benvoglienti, come di
già si intende aver abjurato in Roma, di dove pochi dì fa è tornato
secondo l'ordine del Santo Offizio della Inquisizione, che se bene lo
inquisitore qui questa mattina ch'è ritornato da Fiorenza, me ne mostra
lettere e commessione di detto Offizio, e mi dice averne avuto licenza
da v. a., mi è parso nondimeno a consentirlene, per più sicurità,
aspettarne il comandamento di quella, si come ancora io desidero intorno
alla ultima risoluzione nella causa delli uomini della Badia a Isola con
li monaci di Santo Eugenio, quali, con tutto che pregati da me e fatti
pregar instantemente dalli avvocati e procuratori loro, però solo in mio
nome, non si sono possuti indurre, nè mi meraviglio essendo frati e bene
stanti, ad alcuna concordia, e fanno gran diligenza per ottener
l'esecutione delle sentenze, le quali si sarieno forsi possute concedere
da me secondo il tenor dell'ultimo rescritto da v. a. ma per desiderio
di non errare mi scuserà se novamente ne ricerchi il cenno di quella,
alla quale pregando felicità e contento con ogni umiltà le faccio
riverenza.
«Di Siena li 11 aprile 70.
«Di V. A. servitore fedelissimo
Federigo delli Conti Monteaguto[471].
Nel processo di questo Achille Benvoglienti, il Sant'Uffizio fece
arrestare cinque streghe, che, convinte d'aver negato la fede,
rinunziato al battesimo, ammazzati diciotto bambini, furono condannate
al fuoco. Il granduca permette si eseguisca la sentenza. Nell'archivio
fiorentino sta il costituto del Benvoglienti sopra materie religiose, e
il Montaguto lo accompagna a Cosimo con notizie relative a quel
processo[472].
Mino Celsi fu creduto un pezzo fosse un nome di guerra, sotto cui
s'ascondessero Lelio o Fausto Soccino o il Castalio. Ma realmente egli
fu di Siena, donde fuggì nel 1569, e visse tre anni fra i Grigioni, de'
quali ci dà una pittura tutt'altro che lusinghiera. Passò poi a Basilea,
e cercò sempre metter concordia fra i dissidenti; e fu uno dei tre, che,
soli fra i teologi protestanti, disapprovarono il supplizio di Serveto:
egli medesimo non impugna il diritto di punire per opinioni eterodosse
ma vorrebbe applicata un'ammenda o l'esiglio, non la morte[473].
Nel settembre del 60 il mentovato Pero Gelido, da Venezia scriveva al
granduca:[474]
«È capitato in questa città otto dì fa un Nicolò Spanocchi, cittadino
senese, il quale subito è venuto a trovarmi, e dopo un poco di proemio
molto bene acconciato, essendo uomo di lingua e di buon intelletto,
mostrò esser sempre stato devoto della regia casa de' Medici....... e
che per calunnie de' suoi nemici, più che egli l'abbia meritato è
lei, si fosse messo a questo, ma che poi in ultimo, stretto dai
tormenti, confessasse che vi era stato indirizzato per ammazzarla, ma da
chi non si sa ancora.
«Posso dire di più che di Francia è stato scritto a monsignore cardinale
di Lorena come, sendosi inteso ch'egli pigliava una villa qui vicina a
cinque miglia per trattenervisi alle volte in questa state, vi era chi
disegnava contro la vita sua, e che per niente non la usasse
altramente».
[421] Bolla di Pio V, 1569.
[422] _Literæ SS. D. N. Pii V super creationem Cosimi Medicis in magnum
ducem provinciæ Etruriæ ei subjectæ._ Firenze 1570.
[423] Archivio di Stato, _Carteggio universale_, N. 44.
[424] _Carteggio universale_, N. 30.
[425] _Carteggio di Cosimo_, filza XXIX.
[426] _Carteggio universale_, N. 161 al 1561.
[427] _Legazione di Roma_, N. XI.
[428] _Ill. Domine frater noster honorande,
Scimus excellentiam tuam non ignorare S. D. N. hisce proximis diebus nos
super negocio fidei deputasse. Verum, quia in præsentia ex officio nobis
injuncto est super aliquibus rebus agere, atque a Petro Martyre, ordinis
canonicorum lateranensium, de eis informari cupimus, exc. tuam enixe
rogamus, velit, pro singulari suo in Christo amore, ac in hanc sanctam
sedem apostolicam studio dare operam ut, quanto honestius et cautius
fieri possit, idem Petrus capiatur, et ad nos eodem modo quo rev.
dominus cardinalis Burgensis collega noster scripsit, cum alio fratre
lucensi transmittendum curret etc._
_Romæ_ XVII _kal. octobris_ MD. XXXXII.
_Cardinales deputati_, IO. PETRUS.
CARDINALIS S. CLEMENTIS.
CARDINALIS BURGENSIS.
P. CARDINALIS PARISIENS?
B. CARDINALIS GUIDICIONUS.
_Archivio Mediceo_, cartella 3717.
[429] «Illustrissimo patrone. Io ricèvetti le di v. e. delli XI, al
solito gratissime, insieme con la copia delle lettere scrittele dal
commissario di Pisa sopra quello frate Cilio da Turino che le ho fatto
intendere. E non pensi v. e. che quanto io ho scritto sopra ciò sia
stato senza causa, chè mi pareva veder ordito una tela cui faceva
ricordare di frà Girolamo al tempo del magnifico Piero de Medici, di che
mi ricordo bene. Ma penso per grazia di Dio ne siamo presso che fuora,
mediante le buone opere di frate Bernardino da Siena generale de'
Cappuccini, che avrà chiarito che non sempre è oro quello che luce.
Credami V. E. l'amor mi fa dire non meno ch'ella ha da guardarsi dagli
eretici che ci abbiamo noi prelati, perchè menano la folla contro a
tutte le potestà, ecc.
«Di Perugia XVI di settembre 1512.
Cardinale DE PUCCI.
_Archivio Mediceo_, fascio 5717.
[430] «Confidando s. s. nella buona e cristiana mente et intentione
delle E. V., sicurissimo che non dispiacerà a Lei quel che mi ha
ordinato che le faccia intendere, come è pesato oltre modo alla santità
sua, e vi farà subito la provisione che le si ricorda, si è novamente
ridotto in Pisa un pessimo spirito, chiamato Celio da Turino, quale
pubblicamente e in più luoghi ha fatto professione di luteranesimo, et
ultimamente trovandosi in Lucca, ove si dimostrò tale, ne è stato
bandito, e si è ricovrato in Pisa, ove, sotto professione di maestro di
scuola, ha insegnato quella mala setta et eresia. Il che essendo della
importanza che v. e. può per sua prudenza considerare, ha bisogno di
presto rimedio, onde s. b. la ricerca e stringe quanto più può per
debito dell'offizio suo a mandar subito commissione al suo offiziale in
Pisa che lo faccia carcerare et tenere sotto buona custodia, finchè si
sarà fatta palese l'iniquità sua e castigata per esempio degli altri
ecc.
«Da Roma 26 agosto 1552.
«Il cardinale FARNESE».
_Archivio Mediceo_, cartella 3717.
[431] In Santa Maria Maggiore a Firenze, nella nave a mezzodì, è la
cappella dei Carnesecchi, collo stemma, che consiste in tre liste d'oro
con sotto un ròcco pur d'oro; e da una parte l'arma de' Capponi,
dall'altra quella de' Velluti per due dame entrate in quella casa. Anche
la cappella della Comunione nella nave a tramontana fu fondata da
Bernardo Carnesecchi nel 1449, oltre un'altra cappella pure dei
Carnesecchi: e vi sono sparse qua e là molte lapidi de' Carnesecchi.
Le corrispondenze del Carnesecchi col Grannela sono nei manuscritti
della Magliabecchiana, Classe VIII, 51: e così le lettere al Vergerio
del 1534, in risposta a quelle che son nella Vaticana, _Nuntiatura
Germaniæ_. Vol. IV.
[432] «Ho inteso per lettere di M. Marcantonio Flaminio, che v. s. ha
avuto una febbre acutissima, la quale l'ha condotta appresso alla morte,
e che ancora non è fuor del letto benchè sia fuor del pericolo. Ne ho
sentito, come debbo, gravissimo dispiacere: e considerando fra me
stesso, come v. s. è in ogni cosa temperatissima, e con quanto regolato
ordine di vivere si governi, non so trovare altra causa delle tante
infermità sue, se non che è di troppo nobile complessione, il che ben
dimostra l'animo suo divino. Dovrìa Iddio, come i Romani conservavano
quella statua, che cadde loro dal cielo, così conservar la vita di v. s.
per benefizio di molti: e lo farà, acciocchè così per tempo non
s'estingua in terra uno dei primi lumi della virtù di Toscana. Vostra
signoria dunque col presidio di Dio attenda a ristorarsi e vivere con
quell'allegria, con che soleva, quando eravamo in Napoli. Così ci
fossimo ora con la felice compagnia! E mi par ora di vederla con un
intimo affetto sospirar quel paese, e spesse volte ricordar Chiaja col
bel Posilippo. Monsignore, confessiamo pure il vero, Firenze è tutta
bella, e dentro e fuori, non si può negare; nondimeno quell'amenità di
Napoli, quel sito, quelle rive, quell'eterna primavera mostrano un più
alto grado di eccellenza, e là pare che la natura signoreggi con
imperio, e nel signoreggiare tutta da ogni parte piacevolissimamente
s'allegri e rida. Ora se vostra signoria fosse alle finestre della torre
da noi tanto lodata, quando ella volgesse la vista d'ogn'intorno per
quei lieti giardini, o la stendesse per lo spazioso seno di quel ridente
mare, mille vitali spiriti se le multiplicherebbono intorno al cuore. Mi
ricordo che innanzi la partita sua, V. S. più volte disse di volerci
tornare, e mi ci invitò più volte. Piacesse a Dio, che ci tornassimo:
benchè, pensando dall'altra parte, dove anderemo noi, poichè il signor
Valdes è morto? È stata questa certo una gran perdita ed a noi ed al
mondo, perchè il signor Valdes era uno de' rari uomini d'Europa, e quei
scritti ch'egli ha lasciato sopra l'Epistole di san Paolo, ed i Salmi di
David, ne faranno pienissima fede. Era senza dubbio nei fatti, nelle
parole, ed in tutti i suoi consigli un compiuto uomo. Reggeva con una
particella dell'animo il corpo suo debole e magro; con la maggior parte
poi, e col puro intelletto, quasi come fuori del corpo, stava sempre
sollevato alla contemplazione della verità e delle cose divine. Mi
condoglio con messer Marcantonio, perchè egli più ch'ogni altro l'amava
ed ammirava. A me par, signore, quando tanti beni, e tante lettere e
virtù sono unite in un animo, che faccian guerra al corpo, e cerchino,
quanto più tosto possono, di salire insieme con l'animo alla stanza,
ond'egli è sceso: però a me non incresce averne poche, perchè dubiterei
qualche volta, che non s'ammutinassero, e mi lasciassero in terra come
un goffo, vorrei vivere, se io potessi: così esorto V. S. che faccia: le
bacio la mano. Nostro Signore le dia quella prosperità di vita ch'ella
desidera».
[433] Bisogna intendere Andrea, non Filippo, che non fu in Francia.
[434] _Carteggio universale_, filza 2972.
[435] Una lettera di Angelo Cajazzi teatino denunziava al papa, come
eretico Giambattista Veneto, proposto generale della sua congregazione.
_Carteggio di Cosimo_ 199.
[436] VIII del _Carteggio di Cosimo_.
[437] Il De Thou accusa Achille Stazio, valente letterato portoghese,
cantore d'un poema sulla _Vittoria di Lepanto_, d'aver denunziato il
Carnesecchi. Fra i 430 e più testimonj sentiti nel costui processo, o
nominati come correi, lo Stazio non compare.
[438] Le due lettere sono nel Laderchi, vol. XXII, pag. 97, 98.
[439] Nominatamente Pero Gelido suddetto e Pietro Leone Marioni.
[440] Il Gibbings crede alluda all'imperatore. Vedi qui sopra a pag.
324.
[441] Forse il Paleario.
[442] Arch. Toscano. _Appendice al carteggio_ di Roma, filza IV.
[443] _Ibid_.
[444] _Legazione di Averardo Serristori ambasciadore di Cosimo I_ a
Carlo V e in Corte di Roma 1537-1568 (Firenze Le Monnier 1853).
[445] Per soddisfazione della regina Caterina De Medici, il papa non
esitò a mandarle il processo, che così venne conosciuto anche fuori del
Sant'Uffizio. Gli estratti ne sono prodotti dal Laderchi, tom. XXII, p.
325; poi fu stampato da Richard Gibbings, _Report of the trial and
martyrdom of Pietro Carnesecchi_. Dublino 1856.
Il Serristori scrive al 19 luglio. «Quanto più s'allunga il processo, le
condizioni si peggiorano, al rovescio di quel che il Carnesecchi
aspettava.
12, 19 e 21 settembre. «Gli si diedero altre dilazioni, se mai volesse
ravvedersi, ma egli stette duro: invano gli parlò il cardinale Paceco».
[446] «Al supplizio andò tutto attillato, con la camicia bianca, con un
par di guanti nuovi e una pezzuola bianca in mano. Piaccia a Dio averlo
compunto in quel punto di morte, perchè per prima non si era partito
dalla sua prava opinione». SERRISTORI.
[447] _Carteggio di Roma_, appendice, filza XXVI. Nella XXXVI della
legazione di Roma vi sono diligenze affinchè resti proibita la storia di
Michele Bruto, scritta, dicesi, a istanza d'alcuni mercanti fiorentini a
Lione: l'autore si esibì a modificarla nelle parti che ledono la casa
Medici: ma essendo egli eretico, non si volle intraprenderne il
trattato.
Nella filza LIII è un'istanza del granduca perchè le opere di Nicolò
Machiavello vengano levate dall'Indice, facendone un'edizione espurgata.
[448] Io non trovai alcuno che avesse veduto questo libro, e non conosco
alcun'opera di Calvino con questo titolo. Ben so che il Domenichi, al
fin della sua vita, tradusse «La spada della fede per difesa della
Chiesa cristiana contro i nemici della verità, cavata dalle sacre
scritture, per frate Nicolò Granier» (Venezia 1565).
[449] Da un Giunti fiorentino, stabilitosi a Troyes in Sciampagna,
nacque nel 1540 Pietro De Larivey, il primo che scrivesse commedie in
Francia; e nella ristampa fatta il 1855 si attesta l'efficacia di lui
sopra il teatro francese, specialmente sopra Moliére, e si mostra quanto
abbia tratto da' nostri. Tradusse pure le _Notti facete_ dello
Strapparola.
[450] È poc'altro che una revisione di quella del Bruccioli la _Bibbia
novamente tradotta da la hebraica verità in lingua toscana_, per maestro
Santi Marmochino fiorentino, dell'ordine de' Predicatori (Venezia,
Giunti 1538 e 46). Anche Filippo Rustici, lucchese apostata, a Ginevra
fece o rivide una versione della Bibbia sopra i volgarizzamenti del
Vatable, del Pagnini, del Bruccioli. Solo da una lettera dell'Aretino al
Dolce, novembre 1545, raccolgo che questi traducesse o illustrasse la
Bibbia, scrivendogli esso: «Sì che seguitate pure la incominciata
Bibbia, avvegnachè il fattor sommo vi aprirà i di lei secreti, così nel
fine come nel mezzo».
[451] Il Bruccioli scrive a Cosimo I.
«Ill. ed Ecc. Duca, Ho, poche ore sono, avuta una di v. e., ed inteso il
contenuto, non poco mi dolgo della malignità degli uomini, che sono
sempre pronti a riferir male e far poco bene, come mi pare che qualche
maligna anima abbia fatto a v. e. di me pure. Bisognando far altro che
dolersi, dico il caso mio esser passato in questa forma, che qua è pena
cinquanta ducati d'oro chi stampa cose senza licenzia, e due anni bando
di Venezia. Ora essendo io andato fuor della terra, uno mio, che è sopra
la stamperia, prese a stampare senza chieder la licenzia, una opera
sospetta. La qual cosa saputa, furono tolti tutti i libri d'essa opera,
non mia composizione e che non era in Venezia, ed arsi; e così caddi
nella pena per la colpa d'altri: dipoi intesa bene la cosa, hanno levato
il bando di due anni, ma che io debba pagare detti denari, che se ne
vanno in ducati settanta: e che non sia stato per mia composizione o
openione di eresia ne mando la fede a v. e. sigillata dal padre
inquisitore, che si trovò a tutta la causa, e se non che i danari sono
destinati a luoghi pii, avevo la grazia. Ancora di quegli delle opere
mie ove sia il mio nome non è stata mossa, nè tocca, nè dannata alcuna,
come ne può far fede ancora il segretario di v. e., al quale le ho
mostrate, e chiarito che si vendono per tutti li librari. E se io fossi
stato notato d'eresia, non potrei stare, non che in Venezia, neancora
nel dominio, e tutte le mie opere sariano dannate, che non è dannata
alcuna, ma approvatissime; nè è qua gentilomo a chi non sia doluto di
tal disgrazia, che mi è stata di gran danno..... nè mai ho trovato uomo,
per frate che sia, che abbia avuto ardire alla mia presenza di mettervi
bocca.... È se nessuno è nello Stato di v. e. che abbia ardire di
dannare cosa alcuna ne' miei libri della Scrittura sacra, sono parato
sempre a mostrar che non sa che cosa sia Scrittura sacra nè pietà
cristiana, e che è uomo maligno et ignorante, o voglia con li scritti, o
voglia con la presenzia trattar la cosa davanti a v. e.
«Circa a scrivere a v. e. avvisi utili alla conservazione del suo Stato,
al presente per il poco tempo che io ho da scrivere, non posso
soddisfare, come farò per l'avvenire.... (_qui dà alcuni avvisi e
finisce col_ baciar le signorili mani).
«Di Venezia 20 aprile 1549».
«La quarta opera che io dissi, nella epistola della dedicazione del
libro, avere principiato per v. e., per buon rispetto ho voluto serbarmi
a dirla qui, essendo di grandissima importanza e momento, perchè è tale
che in essa vedreste gli avisi di tutte le cose che possono toccar lo
Stato vostro, non solamente del passato e del presente, ma ancora del
futuro. Questo è che, considerando io che tutti gli scrittori che hanno
voluto costituire un principe che potesse sicuramente governare lo
Stato, tutti hanno assegnato precetti e consigli, comuni a tutti i
generi di principati che potessero servire, a tutti i luoghi e regioni
ove fussino, ma nissuno, ch'io abbia mai visto o letto, ha nel dare buon
ricordi al principe per la salvazione del suo Stato, avuto in
considerazione la qualità de' suoi cittadini, gli umori di quelli, le
fazioni di dentro e di fuori, le condizioni de' sudditi, come sieno
animati verso il principe, o se sono desiderosi d'altri governi, e come
ne' pericoli se ne abbia a fidare: di poi la qualità de' potentati
attorno ecc. ecc. (_qui divisa la sua opera_). Dovendo esser quest'opera
solo per v. e. come uno specchio, nel quale vedesse non solamente se
medesima, ma e i suoi cittadini grandi e piccoli, fuorusciti e
malcontenti, e tutta la possanza ed umore de' principi e dominj che
potesse mai avere a fare cosa alcuna con v. e., e non solamente vedere i
volti, ma e gli animi e le forze ed i pensieri, e perchè tal cosa doveva
solamente servire per v. e. veggendomi di esser poco in sua grazia, se
ben non lo merita l'amore e reverenzia che gli porto, e servigi che già
gli feci, ho lasciato di seguitar tal opera, solamente facendo intender
a v. e. che quella lascia perdere una delle più utili cose che si
potessino mai pensare per quella....
«Di Venezia 8 giugno 1549».
Il 29 giugno torna alla cerca di sussidj:
«Quando primieramente scrissi a v. e. la pregai, per la necessità in che
mi trovo, che mi volesse fare un poco di bene, o per l'amor di Dio o per
servizj fattigli già in tempi pericolosi, o per quegli che mi promettevo
fare. La risposta fu che io dovessi prima giustificarmi della
imputazione d'eresia, il che feci, nè per questo ebbi mai cosa alcuna. E
chi non direbbe di aver poco credito con un principe, se gli chiede una
grazia di pochi scudi, e non la ottiene per promessa che gli si faccia?
E se io mi trovassi il modo di poter vivere uno o due mesi di tempo che
andiamo in dar compimento a tal opera, e da poterla far copiare, l'avrei
fatto senza chieder prima cosa alcuna. Ma non avendo altra rendita che
il tempo, mi bisogna metterlo in cose, per le quali io possa guadagnar
il vitto alla mia famiglia.....»
E segue insistendo sull'utilità di quell'opera, con bassezza chiedendo.
Poi il 4 agosto 1554, a M. Agnolo Dovizio da Bibiena segretario del
duca, dà contezza de' maneggi di Piero Strozzi col Cavalcanti ed altri
profughi, per far la guerra di Siena; al 18 agosto informa sugli
andamenti e progetti de' fuorusciti, e continua a domandare per sè.
Un'altra del 25 agosto va sul tenore stesso. Sotto al 28 luglio 1554
troviamo questo estratto:
_Il Bruciolo vorria sapere se v. e. vuole che sia al suo servizio o no,
e che desidera servirla_.
Il duca scrive di proprio pugno:
_Che serva, se lo vuole per ogni modo_.
Il 1º settembre costui fa congratulazione per le vittorie di Siena,
promette un'orazione con cui mostrerà al mondo esser Cosimo giustissimo
principe ed ornato di tutte le virtù ecc.; ragguaglia sugli Strozzi e su
chi dà danari, e che partì l'ambasciadore di Francia, «e se avessi avuto
la possibilità, e non avessi avuto l'obbligo delle lezioni, io pigliavo
l'occasione d'andar seco fin a Ferrara, dove pel camino arei intese più
cose più particolarmente. Corrono spesso di simili casi, a' quali
sarebbe bene andar dietro con ogni diligenza, il che farò se vorrete.
Per quest'altro corriere vi aviserò di cosa che ne potresti col tempo
cavare qualche buon utile per le cose vostre».
Eppure solamente jeri, un di questi storici ciarlatani che or vanno per
la maggiore, noverava il Bruccioli fra i martiri della buona causa, sol
perchè messo all'Indice.
[452] Carte strozziane, filza 246.
[453] _Carteggio concernente Cosimo I_, filza LVIII. Quando l'esercito
del sig. Gabrio Serbollone accampava in Francia, san Carlo a nome del
papa informava il duca di Firenze che le sue genti aveano fatto danni al
paese, onde lo pregava a desistere dai guasti e dalle prede, e risarcire
quel che si potrà. Lettera 10 luglio 1560, nell'archivio di Stato di
Firenze.
[454] Lettera d'illustri uomini, per Antonio Manuzio, 1561.
[455] _Carteggio di Cosimo_, N. 198.
[456] Arch. di Firenze, _Carteggio univers._, N. 180.
[457] _Carteggio di Cosimo_, N. 211.
[458] _Id._ N. 199, 200.
[459] _Carteggio universale_, N 145.
[460] _Id._ N. 147.
[461] _Carteggio di Cosimo_, N. 224.
[462] È Alessandro De Medici de' principi d'Ottajano, cugino di Cosimo
I, che stette quindici anni ambasciator suo a Pio V a Roma, poi nel 1605
fu papa col nome di Leone XI, ma per soli 26 giorni.
[463] Ap. LAMI, _Lezioni_, pag. 600.
[464] _Carteggio di Roma_, filza C.
DISCORSO XXXVI.
ERETICI SENESI. AONIO PALEARIO.
Espugnata Siena, il duca di Toscana dovette adoprare ogni arte per
soffogarvi i tentativi di nuova insurrezione: vi soppresse le accademie
de' Rozzi e degli Intronati; carcerò, sbandì, fece com'è costretto a
fare chiunque incatena un popolo.
Avremo a discorrere a parte dei Soccini: e già indicammo le prediche
fattevi dall'Ochino. Nofri Camajani, che colà stava capitano di
giustizia pel duca, s'accorse di semi di protestantismo difusi, e ne fe
motto a Cosimo. Poi al 5 settembre 1558 scriveagli:
«Io non volsi mancare di dare avviso a v. e. ill. di quel che mi era
stato parlato da più persone di certa semenza d'eresia che par si sia
sparsa in questa città da qualche mese in qua, e ne detti avviso
generale, secondo che mi fu rapporto allora da quelli tali. Dalli quali
di poi ho avuto una lista di più persone, parte nobili e parte artigiani
e plebei, che ne devono fare più scoperta professione, la quale sarà con
la presente. Ho voluto intendere più particolarmente quel che si sia
visto o inteso delle lor male operazioni. Dicono che per le chiese sono
stati visti udire solo il vangelio, e poi voltar le spalle al
Sacramento, con atti ed altre dimostrazioni derisorie del comune culto
divino, e ragionar del purgatorio in burla, e un di loro par che una
mattina, ritrovandosi alla predica di un frate teatino o riformato, che
conteneva del purgatorio, subito si partì ridendo, e dicendo che non
voleva più star a udire simili favole; oltre al parlare poco conveniente
dell'autorità della sedia apostolica. Ma perchè simili umori non si
sogliono scoprire più oltre che con piccoli segni, parimenti la legge si
contenta di piccoli indizj per poter perseguitarli. Il signor G.
(Inquisitore, Governatore?) mi ha detto che n'è stato parlato a s. s.
ancora, e che io gli facessi avere quella medesima nota come ho fatto: e
poi se piacerà o all'e. v. o a s. s. si potrà procedere in quel modo che
più li parrà opportuno (_Omissis_).
«Lista dei nobili: li duoi figliuoli di M. Maria Sozini, cioè Carlo e
Camillo. Fausto, fratello di M. Alessandro Sozino. Savola f. di M. Levio
Pecci, e anco si dubita di lui. Marcantonio Cinuzi[465]. Nicolò
Spanocchi. M. Francesco Buoninsegni.
«Lista d'ignobili: Mess. Paolo marescalco al ponte. M. Ippolito
marescalco in Pantaneto. Francesco libraro alla Beccheria[466]. Nicolò
conciator di cori (_cuoi_) barbarossa. Quel che assetta l'oriol di
piazza. M. Cesare Sarto incontro alla fonte di Piazza»[467].
Noi abbiamo fatto ogni possibile per seguire questa traccia, ma fu
invano, se non che da Roma al 23 luglio 1560, veniva diretta al duca
questa lettera:
«Illustrissimo ed eccellentissimo signore,
«Essendo che ci consti al presente ne' suoi Stati, e principalmente
nella città di Siena pullulare alcune eresie, e di giorno in giorno
augumentarsi, alle quali se di breve non si provede, dubitiamo non
avenghi come in molti luoghi di cristianità è avvenuto, partoriscano la
perdita di molte anime, oltre a quelle che già sono in periculo, se la
mano potentissima de Iddio non vi provede, e desiderando noi con il
mezzo di s. e., si come è cura nostra, provederli per quanto possiamo;
il che anche speriamo per il suo buon e santo zelo, quale sempre in lei
abbiamo conosciuto verso la santa fede catolica, e questa sancta sede,
abbi da desiderare e procurare, abbiamo dato ordine di mandarvi qualche
servo da bene, proporzionato a questo bisogno; acciò, con l'ajuto di n.
s. Iddio e per mezzo di v. e., possi provedere alla salute di tali, a'
quali, se così non si provede, oltre il danno loro, seran causa di
dannificare li altri. Et perchè desideriamo eseguir ciò quanto più
presto, preghiamo v. e. si degni avisarci di quel che gli occorre e più
li piace in questo negozio, alla cui gratia ci raccomandiamo sempre.
«Di V. E. Ser.
Il card. De Carpi.
Il card. Puteo.
Il card. Alessandrino.
Il card. d'Araceli.[468]
Esso rispose, gloriandosi di esser persecutor de' ribelli di Cristo; ma
poichè ama la giustizia, e talvolta queste accuse sono date per passioni
private o per voglia di nuocere, desidera gli siano porte notizie più
precise intorno a questo affare, e allora penserà al rimedio, senza
ch'essi prendansi molestia. Altrove[469] abbiamo lettera del nunzio, che
richiede al duca Cornelio Sozzini, per mandarlo all'Inquisizione di
Roma.
Al qual punto si riferiscono pure le lettere seguenti al granduca;
«Ill. et Ecc. Padrone mio,
«Io non resto nè resterò di continuo de procurare con ogni destra opera,
anche nelle proprie case de sospetti, per ritrovare la imboscata delli
eretici, de quali potria forsi essere ora molta la segretezza, che
continuasse nelli animi di qualche persona il credere che egli sieno in
alcune loro male opinioni antiche, dipoi già lassate. Per il che odo
dallo Inquisitore che alcuni sono andati da esso a dimandare et
ottenutone il perdono, massime dopo la cattura di M. Achille
Benvoglienti e de un M. Aonio (Paleario), molto tempo fa preso in
Roma, che fu già qui pedante in casa de' Belanti, e seminava tal peste
con chiunque praticava, et in fra altri di questa città era un M. Mino
Celsi, che pochi dì fa se ne è partito e vistosi a Bologna, e si bene si
crede per molti debiti che in vero si trova, e ne ha lassato ricordo a
la moglie, con dirli de più che perciò si è allargato, da qualche altro
si fa giudizio che possa essersi partito per la presa e pratica del
sopradetto M. Aonio, e che forsi possi passare a Ginevra: però se
ritrarrò dove egli si posi o altro de li sopradetti, ne farò subito
consapevole v. e. ill. alla quale con debita reverenza m'inchino».
«Di Siena l'ultimo de luglio 69.
«Di V. E. Ill. divotissimo servitore
Federigo delli Conti Monteaguto[470].
«Serenissimo Padrone mio,
«Ho fatto, secondo il solito, pubblicare in Balia li nuovi Capitani di
Giustizia di questo Stato, conforme al comandatomi da v. a., quale
supplico si degni farmi dar cenno se io debbo lasciar abjurar in giorno
festivo nella catedrale di questa città M. Achille Benvoglienti, come di
già si intende aver abjurato in Roma, di dove pochi dì fa è tornato
secondo l'ordine del Santo Offizio della Inquisizione, che se bene lo
inquisitore qui questa mattina ch'è ritornato da Fiorenza, me ne mostra
lettere e commessione di detto Offizio, e mi dice averne avuto licenza
da v. a., mi è parso nondimeno a consentirlene, per più sicurità,
aspettarne il comandamento di quella, si come ancora io desidero intorno
alla ultima risoluzione nella causa delli uomini della Badia a Isola con
li monaci di Santo Eugenio, quali, con tutto che pregati da me e fatti
pregar instantemente dalli avvocati e procuratori loro, però solo in mio
nome, non si sono possuti indurre, nè mi meraviglio essendo frati e bene
stanti, ad alcuna concordia, e fanno gran diligenza per ottener
l'esecutione delle sentenze, le quali si sarieno forsi possute concedere
da me secondo il tenor dell'ultimo rescritto da v. a. ma per desiderio
di non errare mi scuserà se novamente ne ricerchi il cenno di quella,
alla quale pregando felicità e contento con ogni umiltà le faccio
riverenza.
«Di Siena li 11 aprile 70.
«Di V. A. servitore fedelissimo
Federigo delli Conti Monteaguto[471].
Nel processo di questo Achille Benvoglienti, il Sant'Uffizio fece
arrestare cinque streghe, che, convinte d'aver negato la fede,
rinunziato al battesimo, ammazzati diciotto bambini, furono condannate
al fuoco. Il granduca permette si eseguisca la sentenza. Nell'archivio
fiorentino sta il costituto del Benvoglienti sopra materie religiose, e
il Montaguto lo accompagna a Cosimo con notizie relative a quel
processo[472].
Mino Celsi fu creduto un pezzo fosse un nome di guerra, sotto cui
s'ascondessero Lelio o Fausto Soccino o il Castalio. Ma realmente egli
fu di Siena, donde fuggì nel 1569, e visse tre anni fra i Grigioni, de'
quali ci dà una pittura tutt'altro che lusinghiera. Passò poi a Basilea,
e cercò sempre metter concordia fra i dissidenti; e fu uno dei tre, che,
soli fra i teologi protestanti, disapprovarono il supplizio di Serveto:
egli medesimo non impugna il diritto di punire per opinioni eterodosse
ma vorrebbe applicata un'ammenda o l'esiglio, non la morte[473].
Nel settembre del 60 il mentovato Pero Gelido, da Venezia scriveva al
granduca:[474]
«È capitato in questa città otto dì fa un Nicolò Spanocchi, cittadino
senese, il quale subito è venuto a trovarmi, e dopo un poco di proemio
molto bene acconciato, essendo uomo di lingua e di buon intelletto,
mostrò esser sempre stato devoto della regia casa de' Medici....... e
che per calunnie de' suoi nemici, più che egli l'abbia meritato è
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