Gli eretici d'Italia, vol. II - 42

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gli spiriti maligni andassero vagabondi tanto nell'aria, quanto nei
corpi umani.
Il _Palagio degli incanti_, stampato coll'approvazione dell'inquisitore,
che lo commenda come «dilettevole per vaga et varia lettione et non meno
ferma che recondita dottrina», va zeppo di storielle di demonj, di
incubi e succubi, appoggiate ad autori accreditatissimi. Il più
romanzesco è d'un giovane che, regnante Ruggero in Sicilia, nuotando una
sera in mare, prese pei capelli una figura che gli veniva dietro,
credendola uno de' suoi compagni; ma alla riva trovatala una bellissima
fanciulla, l'ebbe seco, e ne generò un figlio, e vivea lieto di essa. Se
non che ella mai non parlava. Avvertito da un compagno ch'egli erasi
menato a casa un fantasma, colla spada minacciò uccidere il bambino se
essa non parlava: onde rotto il silenzio, ella gli disse che con questa
violenza perdeva un'eccellente moglie, e subito sparve. Il fanciullo
dopo alquanti anni trastullavasi in riva al mare, quand'essa lo prese ed
affogò.
Il libro è scritto dallo Strozzi Cicogna, al quale don Antonio Lavoriero
arciprete di Barbarano, che con la virtù di Dio faceasi obbedienti i
diavoli, narrò che un frate Egidio al duca di Ferrara manifestò un
tesoro, ma nol si potè mai estrarre perchè gli spiriti rompevano le funi
e spegneano i lumi: e che fece da esso don Antonio ascondere una moneta,
promettendo trovarla; e presi quattro ramoscelli d'oliva benedetta e
incisane la scorza, vi scrisse entro «Emanuel Sabaot Adonai, e un altro
nome che non si può rammentare», poi recitò il _miserere_, e quando fu
all'_incerta et occulta manifestasti mihi_, si sentì trarre verso la
porta del giardino, e giunto ov'era sepolta la moneta, le bacchette
voltarono la punta in giù, come fossero tirate. Non son i prodigi della
raddomanzia, che vedemmo asseriti ai dì nostri?
Lo stesso don Antonio gli narrò che, in Noventa sul Vicentino, a una
fanciulla mandavasi un fazzoletto del malato, ed essa il faceva venir
grande grande, poi piccolo piccolo; che se tornasse alla dimensione
primitiva significava guarigione; se no, morte. Egli le mandò il suo
fazzoletto, fingendo fosse d'un'inferma; nè la fanciulla se n'accorse,
perchè egli era esorcista; ma visibilmente lo fece ingrandire e
impicciolire, poi tornar di misura. Ed altre belle ne raccontò quel don
Antonio allo Strozzi[352].
Quelle ubbie antiche meriterebbero soltanto compatimento se fossero
rimaste nel campo della speculazione; ma la natura umana ha una
terribile inclinazione a tradurre le credenze in fatti. E così avvenne
delle streghe, uno dei tanti errori dalla civiltà antica trasmessici,
che il medioevo pascolò di leggende, nelle quali si confondeano il
misticismo e l'empietà, il tremendo e il buffo. Tale credenza fu
repulsata dai legislatori, fin da' rozzissimi Longobardi; e se
comminavasi qualche pena, consisteva nel sottoporre le maliarde alla
pruova dell'acqua fredda, mandando assolte quelle che non restassero a
galla; il che forse era un artifizio per salvarle tutte. Quanto alla
Chiesa, adducevasi un canone di papa Dámaso, che fu repudiato poi, per
falso, dove sono attribuiti a mera illusione i traslocamenti delle
streghe; sicchè alcuni teologi dichiaravano peccato mortale ed eresia il
credere ai notturni congressi[353]. Eppure il padre Cóncina, nella vasta
sua teologia pubblicata dopo il 1750, accettava i prodigi delle streghe
e dei concumbenti come sentenza comune[354].
Sul fine del Quattrocento, secondo Antonio Galateo, credevasi che alcune
malefiche ungendosi si trasmutino in animali, e vaghino o piuttosto
volino in lontani paesi, menino carole per paludi, s'accoppiino a
demonj, entrino ed escano a porte chiuse, uccidano animali[355].
Tale opinione non che cadere, si estese col rinascimento degli studj, e
viepiù nel secol d'oro, e frà Bernardo Rategno da Como, nel 1584, dice
che le streghe non sussistevano _tempore quo compilatum fuit Decretum
per dominum Gratianum... Strigiarum secta pullulare cœpit tantummodo a
centum quinquaginta annis citra, ut apparet ex processibus
Inquisitorum._ Gli errori del vulgo appoggiandosi su quelli de'
persecutori, e invadendo i persecutori stessi, ne derivò un'orrida
congerie di pubblica forsennatezza, che fu un'altra manifestazione della
reviviscenza del paganesimo. E si divulgò che le streghe, masche,
buonerobe, o con che altro nome si chiamassero, _andassero in corso_,
tenesser congreghe in certi luoghi, come al monte Tonale in Lombardia,
al Barco di Ferrara, allo spianato della Mirandola, al monte Paterno di
Bologna, al noce di Benevento..., e sotto la presidenza di Erodiade o
Diana si dessero a balli e a sozzi amori, trasformandosi in lupi, gatti
e altre bestie. Empietà e lascivia formano il fondo di quelle tregende;
in onta alla Chiesa vi s'imbandisce lautamente al sabbato; vi si
vilipende ciò ch'essa ha di più venerando, le croci, le reliquie, il
sacrosanto pane; frati in tonaca e pievani in piviali vi menano carole.
Eravi qualche vecchia di bruttezza insigne, con alcun marchio
particolare? guardava stizzosa una società che la guardava beffarda?
avea risposto con imprecazioni ad insulti fattile? Bastava per
sospettarla strega. Moltissime processate aveano confessato, «Abbiam
veduto il diavolo, Siam andate a cavalcione della scopa alla tregenda,
Vi conoscemmo il tale e la tale»: come dubitare della loro veridicità?
Poi non erano state condannate? e oserebbesi dubitare di cosa giudicata?
Se l'uomo può impetrare dal diavolo le colpevoli gioje che non osa
chiedere a Dio; se v'è modo di patteggiare con una potenza estraumana,
perchè sol pochi v'avrebbero ricorso! Si venne dunque persuadendosi che
molti fossero, e massimamente donne, e formassero tra sè una specie di
società secreta, con capi e adunanze, e piaceri carnali, e voluttà di
vendette.
L'anzidetto frà Bernardo Rategno, zelante inquisitore, ci lasciò un
libro _De strigiis_[356], dove si scandalizza di chi le revochi in
dubitare. Le masche (così egli) fanno congrega principalmente la notte
del venerdì, rinnegano in presenza del diavolo la santa fede, il
battesimo, la beata Vergine; conculcano la croce, prestano fedeltà al
diavolo toccandogli la mano col dosso della loro sinistra, e dandogli
alcuna cosa in segno di ligezza. Qualvolta poi tornano al giuoco _della
buona compagnia_, fanno riverenza al diavolo, che assiste in forma
umana. Nè vi vanno già per illusione, ma corporalmente e sveglie e in
sentimento, a piedi se la posta è vicina, se no sulle spalle al demonio;
il quale talvolta le abbandonò a mezzo del cammino, onde si trovarono
fuorviate: tutte cose che constano dalle loro _spontanee_ confessioni
agli Inquisitori per tutta Italia. Anzi, «a chiuder del tutto le labbra
agli avversarj», adduce esempj di se stesso, che istruendo processi in
Valtellina, ebbe deposizioni da uomini d'intera fede, i quali veramente
le aveano vedute. Ognuno poi a Como sapeva che, un cinquant'anni
innanzi, in Mendrisio Lorenzo da Concorezzo podestà e Giovanni da
Fossato indussero una strega a menarli al giuoco; essa gli esaudì, e
videro le congregate; ma il diavolo accortosi di loro, li fece battere
in malo modo[357]. Riducono poi la cosa ad evidenza l'esserne bruciate
tante, e l'avervi i papi stessi consentito.
Ed è pur troppo vero che l'Inquisizione gravò sopra i siffatti con
legali carneficine, delle quali ingloriavansi gli autori, come di
sanguinose battaglie gli eroi.
L'intenzione di far il male era incontestabile, e ben meritavano castigo
persone che si valeano dell'efficacia della loro scienza sovra lo
spirito di altre ignoranti o paurose. La potenza delle streghe derivava
da patti col demonio: era dunque un'empietà, e la Chiesa dovea punirla,
come prendeva a curare quelli che il diavolo invadeva, o che erano
involontarj stromenti di esso al male. Ne seguivano poi veri misfatti,
che rivoltavano la coscienza pubblica per la bassezza dei mezzi, e ne
spaventavano l'immaginazione per l'orrore dei moventi.
Quando nella Germania la proclività al misticismo diffuse il timor delle
streghe, Innocenzo VIII nel 1484 le fulminò di severissima bolla, dietro
la quale si moltiplicarono e processi e supplizj. Perocchè
all'indebolirsi della fede, si dovette invigorire, come sempre succede,
la forza coattiva sotto la forma dell'Inquisizione; nei processi eransi
assottigliati i legulej; introdotta, benchè riprovata dal diritto
canonico, la procedura secreta, colla quale non è chi non possa andar
condannato. L'uomo, e più la donna, abbandonati al terrore della
solitudine e a processanti incalliti allo spettacolo del dolore, e
ponenti gloria e talvolta guadagno nell'accertarli rei, come se ne
poteano sottrarre? Non pochi dunque, nella persuasione di dover a ogni
modo morire, e che, se anche campassero, rimarrebbero in un obbrobrio
peggior della morte, confessavano spontaneamente, e restava convalidata
l'opinione delle loro colpe.
I processanti medesimi erano superstiziosi quanto i processati, teneano
per norma di far entrare la strega nella stanza a ritroso, onde veder
lei prima d'esser da lei veduti: badare ch'essa non li toccasse, «e
portare del sale esorcizzato, della palma ed erbe benedette, come ruta
ed altre simili»[358]. Un altro insegna che, se il paziente non regge
all'odor del solfo, dà indizio di essere indemoniato. Poi lo facevano
denudare, radere, purgare, chè mai non avesse sul corpo o dentro alcun
malefizio che impedisse di rivelare la verità. E la taciturnità fu
sempre il malefizio più valutato nelle vecchie procedure, come è uno de'
maggiori inciampi nelle odierne.
Proponevansi talvolta rimedj efficaci, ma non prudenti. Se un vampiro
venisse a suggere il sangue, l'autorità faceva bruciare il cadavere, e
il male cessava; ce ne assicura lo scettico Montaigne. Ad una signora
mantovana che credevasi ammaliata, il medico Marcello Donato dispose che
tra gli escrementi si facessero comparire chiodi, piume, aghi: ella,
credendo averli cacciati di corpo, sanò; sì; ma dunque il fatto era
vero; la donna avea visto quegli oggetti, nè potea più dubitarne, e la
persuasione sua trasfondeva in tutti i suoi conoscenti, e questi ai
loro.
Ogni codice sancì pene contro le stregherie. Già il famoso giureconsulto
Bartolo consigliava al vescovo di Novara di far morire a lento fuoco
una, imputata d'aver adorato il diavolo e con sortilegi mandato a morte
dei fanciulli[359]. Una legge veneziana del 1410 proibisce severamente
le malie; gli schiavi che, interrogati in proposito, si ostinassero al
silenzio erano minacciati di tortura. Lo statuto di Mantova, che durò
quanto la dominazione dei Gonzaghi, cioè fino al 1708, impone che i
malefici, incantatori, fatucchieri, e chiunque fa incantagione, o dà
pozioni per sottoporre il cuore altrui, e trarre all'amore o ad altro
fine pernicioso, in modo che uomo o donna sia rimasta malefiziata, e
condotta all'insania o a malattia e morte, sieno bruciati; se nessun
effetto ne seguì, vadano alla frusta e al taglio della lingua, ed
espulsi dal territorio: chi ha l'abitudine di tali atti in secreto o in
pubblico, sia arso: possa chiunque denunziarli, e si creda a chi con un
testimonio di buona fama giuri d'aver visto, o con quattro testimonj
giuri che tal è la pubblica voce. Si eccettua chi faccia tali
incantagioni all'intento di guarire. Non avrei che a cercare per
moltiplicar gli esempj di simili leggi.
In Italia quest'errore era comune, e nella diocesi di Como Bartolomeo
Spina asserisce che oltre mille in un anno se ne processavano, e più di
cento bruciavansi[360].
Dinanzi a tanto numero di processi e di vittime, l'uomo è preso da un
terribile sgomento della propria ragione, interrogandosi se tutto fu
menzogna o delirio; tutto invenzione di tribunali, invasi da quella sete
di sangue, che non di rado si scambia per sete di giustizia.
Non pochi ai dì nostri si persuadono della potenza di alcuni a produrre
in altri il sonno magnetico e il sonnambulismo. Sappiam noi se
quest'arte non si conoscesse anche allora? Certo negli incantesimi
entravano quelle che ancora chiamansi erbe delle streghe o magiche, e
son generalmente solanacee e narcotiche: e il Porta e il Cardano
indicano l'oppio, il giusquiamo, la belladonna, la datura, lo stramonio,
il laudano, la mandragora. Inzavardati che si fossero con estratti di
tal qualità, nella comatica estasi vedeano diavoli, tregende, altre
immagini, abituali ne' discorsi e nelle fantasie d'allora: figuravansi
trasportati, e soffrire, e godere realmente. Anche dissipato il sogno,
poteano rimaner persuasi fosse stato reale, attesa la credenza comune;
tanto che il ripeteano, e ne convincevano se stessi; e il confessavano
quando o l'astuzia d'un processante o lo spavento della tortura ne
turbasse la mente.
Il Bodino, giureconsulto di prima schiera, il cui libro _de Republica_
anticipava i concetti del Montesquieu, fece una _Dæmonomania_ dove
annovera i delitti de' maghi, cioè: 1º rinegano Dio, 2º lo bestemmiano,
3º adorano il diavolo, 4º gli dedicano i figliuoli, 5º glieli
sacrificano, 6º li consacrano al demonio fin dall'alvo materno; 7º
promettono allettar al suo servizio quanti più potranno; 8º giurano nel
nome del diavolo e se ne gloriano, 9º commettono incesti e nefandità,
10º uccidono, cuociono, mangiano persone, 11º e principalmente cadaveri,
massime d'impiccati, 12º fan morire mediante veleni o sortilegi, 13º fan
perire le bestie, 14º e così le frutte e i cereali, 15º si copulano
carnalmente col diavolo.
Non cerchiamo se fosser veri questi delitti; erano creduti, ed esso
Bodino s'avventa contro quelli che negano le streghe, principalmente il
Viero; e se nel confutarli s'irrita oltre misura, egli ne chiede scusa
perchè è impossibile, a chi per poco sia tocco dall'onor di Dio, l'udir
tali bestemmie senza incollerirsi.
I fatti dunque sussistevano; erano fuor del naturale; le cause venivano
esibite dalla scienza e dalle opinioni del tempo; l'autorità, interprete
della pubblica opinione, doveva cercare ed esaminar questi accusati;
l'esame si facea secondo la giurisprudenza d'allora; e il castigo era,
non dico giusto, ma legale.
E che perfettamente legali fossero reputati i processi
dell'Inquisizione, n'è pruova l'averne stampato i codici, gli
_arsenali_, le _pratiche_, anzichè tenerli arcani; e del resto qual
necessità di nasconderli, poichè procedevano non altrimenti che tutti i
tribunali, tutti i giudizj?
Eliseo Masini[361] parlando di maghi, streghe e incantatori, contro cui
deve procedere il Sant'Uffizio, dice: «Perchè simili sorta di persone
abbondano in molti luoghi d'Italia ed anche fuori, tanto più conviene
essere diligente; e perciò s'ha da sapere, che a questo capo si riducono
tutti quelli che hanno fatto patto, o implicitamente o esplicitamente, o
per sè o per altri col demonio;
«Quelli che tengono costretti (com'essi pretendono) demonj in anelli,
specchi, medaglie, ampolle o in altre cose;
«Quelli che se gli sono dati in anima ed in corpo, apostatando dalla
santa fede cattolica, e che hanno giurato d'esser suoi, o glien'hanno
fatto scritto, anco col proprio sangue;
«Quelli che vanno al ballo, o (come si suol dire) in striozzo;
«Quelli che malefiziano creature ragionevoli o irragionevoli,
sagrificandole al demonio;
«Quelli che l'adorano, o esplicitamente o implicitamente, offerendogli
sale, pane, allume o altre cose;
«Quelli che l'invocano, domandandogli grazie, inginocchiandosi,
accendendo candele o altri lumi, chiamandolo angelo santo, angelo
bianco, angelo negro, per la sua santità, e parole simili;
«Quelli che gli domandano cose ch'egli non può fare, come sforzare la
volontà umana, o saper cose future dipendenti dal nostro libero
arbitrio;
«Quelli che in questi atti diabolici si servono di cose sacre, come
sacramenti, o forma e materia loro, e cose sacramentali e benedette, e
di parole della divina scrittura;
«Quelli che mettono sopra altari, dove s'ha da celebrare, fave, carta
vergine, calamita o altre cose, acciocchè sopra essi si celebri
empiamente la santa messa;
«Quelli che scrivono o dicono orazioni non approvate, anzi riprovate
dalla Santa Chiesa, per farsi amare d'amore disonesto, come sono
l'orazione di san Daniele, di Santa Maria, di sant'Elena; o che portano
addosso caratteri, circoli, triangoli ecc. per essere sicuri dell'armi
de' nemici, e per non confessare il vero ne' tormenti, o che tengono
scritture di negromanzia, e fanno incanti, ed esercitano astrologia
giudiziaria nelle azioni pendenti dalla libera volontà:
«Quelli che fanno (come si dice) martelli, e mettono al fuoco pignattini
per dar passione e per impedire l'atto matrimoniale;
«Quelli che gittano le fave, si misurano il braccio con spanne, fanno
andare attorno i sedazzi[362], levano la pedica, guardano o si fanno
guardare sulle mani per sapere cose future o passate, ed altri simili
sortilegi»[363].
Sarebbe troppo bel privilegio dell'errore se non trovasse
contraddittori; e ne trovò, per quanto generale, la credenza ne'
notturni congressi. Samuele De Cassini tolse a provare che il demonio
non trasporta effettivamente queste donne, e solo in esse produce
un'estasi, per la quale credono volare o trovarsi fra la moltitudine; ma
Giovanni Dadone domenicano sostenne che il volo talora avvenga
realmente[364]; e con lui opinano frà Bartolomeo Spina maestro del sacro
palazzo[365], frà Silvestro Priero suddetto, e Paolo Grillandi legista
fiorentino che dapprima le aveva negate[366], e fino Gianfrancesco Pico
della Mirandola[367]. Frà Leandro degli Alberti, vulgarizzando un costui
libro, racconta: «Essendosi scoperto l'anno passato qui quel tanto
malvagio, scellerato e malefico giuoco _della donna_, dove è rinnegato,
bestemmiato, e beffato Iddio, e ancor conculcata con i piedi la croce
santa, dolce refrigerio dei fedeli cristiani e sicuro stendardo, e dove
ancor vi sono fatte altre biasimevoli opere contro della nostra
santissima fede; il perchè essendo stato integramente investigato e
ponderatamente conosciuto, e ancor proceduto giuridicamente dal savio e
providente censore ed inquisitore degli eretici, furono da lui
consegnati al giudice molti di questi maladetti uomini, i quali, secondo
il comandamento delle leggi, fece porre sopra d'un grandissimo monte di
legne, e bruciarli in punizione delle loro scelleraggini ed anco in
esempio degli altri. Or così di giorno in giorno procedendosi per
estirpare e svellere questi cespugli di pungenti spine di mezzo delle
buone e odorifere erbe de' fedeli cristiani, cominciarono molti con
ingiuriose parole a dire non esser giusta cosa che questi uomini fossero
così crudelmente uccisi, conciossiachè non avevano fatto cosa per la
quale dovessino ricevere simile guiderdone; ma ciò che dicevano di detto
giuoco, lo dicevano o per sciocchezza e mancamento di cervello, ovvero
per paura degli aspri martirj. E non pareva verisimile che fossero fatti
dagli uomini tanti vituperj all'ostia consacrata, nè alla croce di
Cristo, e alla nostra santissima fede. E questo facilmente potevasi
confermare, perchè molti di loro prima avendolo detto, di poi
costantemente lo negavano. Per questi biasimevoli ragionamenti di giorno
in giorno crescevano nel popolo simili mormorii, la qual cosa intendendo
lo illustre principe signor Gianfrancesco, uomo certamente non manco
cristiano che dotto e letterato, deliberò di voler intenderne molto
integramente, e con sottili investigazioni conoscere così il fondamento
come tutte le altre minime cose che erano formate sopra di esso, prima
intervenendovi e ritrovandosi alle esaminazioni di quelli avanti
dell'inquisitore, poi interrogandoli da sè a sè, parte per parte di
detto scellerato giuoco, e degli abominevoli riti e profani costumi e
scomunicati modi e maledette operazioni che ivi continuamente si fanno,
e non solamente da uno di quelli, ma da gran numero; e ritrovandoli
accordarsi nelle cose di maggior importanza, cioè sommersi in tanti
sozzi vizj, siccome vero servo di Gesù Cristo, acciò che ciascuno si
deva ben guardare dalle fraudi dell'antico nostro nemico, ed ancora per
poterlo meglio in ogni luogo perseguitare, si pose a scrivere di questa
rea, scellerata e perversa scuola del demonio...».
Gianfrancesco introduce la _strega_ a dialogar con uno che non vi crede
(_Apistio_), e che affaccia objezioni di buon senso a tutte le
confessioni di quella, mentre il giudice (_Dicasto_) adopera le formole
giuridiche per provare che non sono illusioni, e sostenere la verità
delle deposizioni di lei intorno al trasporto reale delle persone, ai
sozzi banchetti, alle nefande nozze, all'abuso del sacrosanto pane. Da
altri processi egli raccolse d'un prete Benedetto, innamorato del
diavolo in carne col nome d'Armellina, i cui piaceri esso preferiva a
qualunque altro, e con costei discorreva fin per le piazze, sembrando
mentecatto agii altri che non la vedeano; per amor di lei non battezzava
i bambini, non consacrava le ostie, e all'elevazione le alzava
capovolte, così eludendo i sacramenti. D'altri ancora egli sa, talmente
presi d'un demonio in forma di donna, che voleano abbandonar piuttosto
la vita; finchè quella gran fiamma ne era cacciata coll'altra fiamma
d'una catasta di legna. E questi fatti sono tanto comuni che confessano
andare alla tregenda oltre due migliaja di persone.
La strega del Pico conviene d'aver mandato la gragnuola sui campi di
suoi malevoli, uccisone il bestiame, succhiato il sangue di sotto le
ugne de' bambini, finchè morivano se essa medesima non vi prestasse
rimedj, insegnatile dal demonio. L'incredulo insiste principalmente sul
perchè dal demonio non domandasse denari; ed essa risponde averne anche
avuti, ma che scomparvero, e l'attrattiva maggiore consistere sempre ne'
piaceri del senso. Il demonio permetteale tutti gli atti di cristiana,
ma mentre assisteva ai divini uffizj dovesse sottovoce protestare come a
menzogne, stralunare gli occhi, far atti di scherno, e trattasi di bocca
la particola, conservarla per le profanità della tregenda.
Paolo Grillando inquisì una donna che, mentre era riportata a casa dal
diavolo amante, udì sonar l'_ave_ della mattina, ond'esso fuggì
lasciandola sul terreno, ove fu trovata ignuda. Un marito spiò sua
moglie tanto, che s'accorse dell'ungersi e dello scomparire, e a
rinforzo di bastonate obbligatala a confessare, volle menasse lui pure
alla tregenda: ivi sedutosi a mensa, tutto trovava insipido, onde chiese
del sale, inusato ai loro banchetti. Avutone dopo lunga istanza,
esclamò: «Lodato Dio che finalmente il sale è venuto»; e bastò
quell'esclamazione perchè tutto andasse in dileguo, ed egli rimase colà
ignaro del luogo, finchè la mattina da pastori sopravenuti seppe ch'era
presso Benevento, a cento miglia dalla patria sua. Dove tornato, fece
processar la moglie e condannare[368].
Altri fatti egualmente certi aveva in pronto Bartolomeo Spina predetto.
Una fanciulla, che dimorava colla madre a Bergamo, fu una notte trovata
a Venezia nel letto di un suo parente; chiesta del come, vergognosa
raccontò aver visto sua madre ungersi, e trasformata uscir dalla
finestra; ed ella volle far esperimento dell'unto stesso, e seguì la
madre, e la vide tender insidie al fanciullo parente; di che ella
spaventata invocò il nome di Gesù, e tosto ogni cosa disparve;
l'inquisitore ne fe processo, e la madre alla tortura confessò il tutto.
Antonio Leone, carbonajo di Valtellina, dimorante a Ferrara, narrava
d'un marito che parimente vide la moglie untarsi, ed uscir per la gola
del camino, ed egli imitatala, la raggiunse in una cantina: essa, come
il vide, fece un segno pel quale tutto sparì, ed egli rimasto colà, fu
côlto per ladro: se non che si scolpò narrando il fatto, pel quale la
moglie fu mandata al supplizio[369].
Basta il buon senso più triviale a spiegar questi fatti; ma non tutti
così chiari sono quelli che adducono gli apologisti, l'insistenza dei
quali convince che v'aveva contraddittori. Nel 1518 il senato veneto,
disapprovando le esorbitanze degl'inquisitori nella Valcamonica,
rinomatissima per tale fastidio, revocò a sè i processi, e statuì che in
tali materie i rettori delle città si unissero agli ecclesiastici.
Combatterono l'opinione vulgare il francescano Alfonso Spina[370], il
cavaliere Ambrogio Vignato giureconsulto lodigiano[371], Gianfrancesco
Ponzinibio giurista piacentino, negando possa il demonio generare come
incubo o come succubo, e i voli delle streghe e le tregende esser
illusione[372]. Andrea Alciato[373] scrive: «Era venuto un inquisitore
nelle valli subalpine per inquisire le streghe; già più di cento n'avea
bruciate, e quasi ogni dì nuovi olocausti a Vulcano ne offeriva, delle
quali non poche coll'elleboro piuttosto che col fuoco meritavan essere
purgate; finchè i paesani colle armi si opposero a quella violenza, e
recarono la cosa al giudizio del vescovo. Egli, speditimi gli atti,
chiese il mio parere»; e fu diretto a sottrarre queste sciagurate ai
supplizj; dichiarò siffatta credenza non esser che di donnicciuole; e
perchè (domandava) non potrebbe il demonio aver preso le sembianze di
esse donne? e come mai scompare tutta la tregenda all'invocare Gesù?
A Pietro Borboni arcivescovo di Pisa, che consultò i dotti di
quell'Università se il fatto di certe monache ossesse fosse naturale o
soprannaturale, Celso Cesalpino, famoso naturalista rispondeva,
esponendo a lungo i portenti attribuiti alla magia, senza mostrare
impugnarli; di poi argomentando con Aristotele, asserisce esistere
intelligenze medie fra Dio e l'uomo, ma non poter queste comunicare con
noi[374]. Forza era conchiudere non poter essere reali gli esaminati
invasamenti: ma egli, per riguardi al tempo, non dichiara se non che non
sono naturali, e volersi applicarvi i rimedj della Chiesa.
Traviata così l'opinione del vulgo e dei dotti, farà più dispiacere che
meraviglia il vedere membri rispettabilissimi della Chiesa trascinati
dalla corrente. Nel 1494 papa Alessandro VI, avendo udito in _provincia
Lombardiæ diversas utriusque sexus personas incantationibus et
diabolicis superstitionibus operam dare, suisque veneficiis et variis
observationibus multa nefanda scelera procurare, homines et jumenta ac
campos destruere, et diversos errores inducere_, commette agli
inquisitori di perseguitarle. Pure egli avea vietato a questi
d'intrigarsi di sortilegi, malie, fatucchierie, se non v'intervenissero
abuso di sacramenti o atti contro la fede. Nel 1521 Leone X,
all'occasione de' molti sortilegi scopertisi in Valcamonica, parlava
agli inquisitori della Venezia d'una genia perniciosissima che rinnega
il battesimo, e dà il corpo e l'anima a Satana, e per compiacergli
uccide fanciulli, ed esercita altri malefizj[375]. Nel 1523 Adriano VI
al Sant'Uffizio di Como scriveva essersi trovato persone d'ambo i sessi,
che prendono a signore il diavolo, e con incantagioni, carmi sacrilegi
ed altre nefande superstizioni guastano i frutti della terra, e si
licenziano ad altri eccessi e delitti[376].
Riferisce il padre Carrara, nella storia di Paolo IV L. II § 8, che in
quel tempo i demonj fecero l'estremo di loro possa, come chi si sente
alle strette. Fra gli altri nel 1558 invasero un luogo pio d'orfanelle
in Roma, di modo che il papa istituì una congregazione di ragguardevoli
prelati, alla cui testa il cardinale decano Bellay e G. B. Rossi
generale dei Carmelitani, perchè riconoscesser il fatto e cogli
esorcismi riparassero la repentina perturbazione di quelle zitelle. Una
maga africana abitante in Transtevere pretendea guarire un certo Cesare,
sellajo pontifizio, che diventava acatalettico, e credeasi indemoniato;
ma voleva averne la permissione dal papa onde non incorrere le pene da
esso minacciate contro le superstizioni. Il padre Ghislieri non solo
negò tal licenza, ma fe carcerare la strega, e sebbene non si riuscisse
a provarla rea, la esigliò, e il sellajo affidò agli esorcismi del padre
Rossi. Questi lo conobbe veramente indemoniato; e ordinò alla madre di
lui facesse minute indagini per casa, massime nelle coltrici, e sotto i
limitari delle porte, ove gli streghi sogliono riporre lor malefizj; e
di fatto sotto un mattone si trovò un pentolino sudicio e polveroso, e
in esso un battufolo di carte e cenci, un circoletto di capelli biondi
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