Gli eretici d'Italia, vol. II - 15

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cattolicismo. Il duca Cristoforo nella chiesa di San Giorgio gli fe
porre un monumento con un epitafio, che mostra come le sottigliezze
secentistiche si usassero prima o fuori d'Italia; monumento che,
sovvertito nel 1635 durante le guerre di religione, fu poi ripristinato
nel 1672.
Qualche moderno presenta il Vergerio qual «esempio unico dell'aver
mutato lo splendido posto di prelato romano, l'onore di nunzio papale,
la mitra di vescovo, l'aspettazione della porpora contro le incertezze
d'un esule». A chi ci lesse noi procurammo dar argomenti che bastino a
valutare quanto meriti questa lode; e se le opere sue valgan meglio che
quelle di certi martiri odierni, che tutto dì contaminano il buon senso
e il viver civile.

NOTE
[88] _Nuntiatura Germaniæ_, vol. IV.
[89] Varie lettere del Vergerio per promuovere il Concilio si trovano
nella preziosa raccolta di documenti che, per tesser una nuova storia
del Sinodo Tridentino, avea preparata il padre Alberto Mazzoleni, e che
ora in cinquanta volumi sta nella Biblioteca di Trento, rimanendone
ancora tre in quella di Bergamo.
[90] Codice della Biblioteca Vaticana, 3914, fol. 263 e seg.
[91] _Rob. Vancopius Paulo III; Vormatiæ 17 novembre 1540._
_Die V hujus mensis Vormatiam venit episcopus Justinopolitanus
Catholicorum et Protestantium commercio ac colloquio_ (_utrisque etiam
ad commessationes sæpius invitatus_) _quamdiu hic fuit usus est.
Putabatur a Germanis mandato christianissimi regis advenisse: ego ut id
credam adduci non possum: fatebatur tamen se a majestate sua mille
ducatis donatum, et ejusdem se servum esse._ Nell'Archivio Vaticano,
_Nunciatura Germaniæ_, VIII, 19.
[92] _Arch. Vat. Nunciat. Germaniæ_ XV, 306. Ivi stesso VIII, 281,
Giovanni Poggio al 5 febbrajo 1541 scrive al cardinale Santa Croce:
«Desidero saper da quella come mi ho da governar col Vergerio, esoso qua
sopra modo»,
[93] Nell'archivio di Firenze fra le carte Cervini, filza IV, fol. 118.
[94] Ottonello Vida, che dal Caracciolo, nella vita di Paolo IV
manoscritta, è detto «locotenente del Vergerio nella scola eretica», e
che è noverato nell'Indice tridentino fra gli autori proibiti di prima
classe, ad esso Vergerio scriveva confortandolo perchè tornasse alla sua
diocesi, offrendosi disposto di andarlo a trovar in Germania, «non con
intenzione di venire un'altra volta in peregrinaggio a cercare con
infiniti incomodi e pericoli di quelle comodità e riposi, che poi ci
tengono in continua soggezione e servitù: ma io mi era disposto, come
geloso dell'onore, e della salute di vostra signoria e della nostra
insieme, di venire a trovarla per rimoverla da quel fiero pensiero, il
quale n'ha condotti tanti a perdizione, e col quale mi pareva ch'ella si
fosse partita d'Italia; cioè di volere invecchiare nelle speranze delle
Corti. Ma ora, che ella mi scrive di aver ben considerato il caso suo,
e, poste sulle bilancie le ragioni dell'una e dell'altra parte, aver
deliberato di al tutto chiuder l'orecchie a' canti delle Sirene delle
Corti e del mondo, e di ridursi nel suo tranquillo porto, io mi trovo
tanto di lei soddisfatto, quanto io mi trovai mesto e sconsolato al suo
dipartire, quando ella mi lasciò in Ferrara. E perchè molte fiate
avviene che l'uomo si dispone a voler fare qualche buona opera, e poi,
da qualche nuovo accidente disturbato, cessa, e da quel buon
proponimento si rimuove, però, quantunque non sia da temere che ciò
nella costanza di vostra signoria abbia a cadere, pur non mi rimarrò di
ancora ammonirla e ripregarla, che per l'amor di Gesù Cristo voglia con
pronto effetto eseguire ciò, che per ispirazione divina è stato da lei
saviamente deliberato; e voglia sopratutto considerare, che, avendola il
signor Dio, dal quale procede ogni podestà e autorità, proposta alla
cura di questo suo gregge, non si può addurre, nè immaginare ragione
alcuna, per la quale ella debba o possa mancare da tal ufficio, e
contravvenire alla volontà sua. Egli ci ha fatti nascere tutti in questo
mondo negoziosi, e a ciascuno secondo il suo stato ha assegnato
l'ufficio suo, e posta dinanzi agli occhi la via, alla qual abbiamo a
camminare verso la salute nostra. Dobbiamo adunque ciascuno di noi
esercitare nell'ufficio nostro, ed isforzarne di far bene la parte
nostra, e persistere, come dice l'apostolo, nella vocazione, che Dio ci
ha chiamati; e chi far vuole altramente, lasciar il suo, per occupar
l'altrui ufficio, e uscir del suo proprio sentiero, questi perturba
l'ordine di sua divina maestà, ed erra fuor di strada, come vagabondo e
perduto; nè mai pervenirà a quel fine, al quale è stato da Dio creato.
«E per dir di vostra signoria (benchè ella meglio di me tutte queste
cose intenda) ella è stata prima da Dio, che da alcun papa, eletta
vescovo di Capodistria. L'ufficio del vescovo è essere vigilante sopra
l'anime de' suoi diocesani, e guardarle, e ben custodirle dai pericoli
del mondo, e dalle insidie del maligno spirito. Oltre che, anche egli
deve prima custodire la sua, come ciascuno di noi la nostra, e perciò i
vescovi dal Salvator nostro son chiamati pastori. Il buon pastore non
lascia mai le sue pecore incustodite e senza guida, per andare in
lontani paesi a guardare l'altrui. Egli si sta con loro giorno e notte,
sollecito e vigilante, e mette la vita per loro ne' pericoli, e sempre
provvede che elle non siano contagionate da morbi, depredate da ladri,
divorate da lupi, e siano difese dal caldo e dal gelo, ed abbiano sempre
buoni pascoli, e copia di buone erbe e buone acque, e tutto ciò che fa
loro di bisogno. Il che come potrà quel pastore, che non le ama, non le
vede nè mattina nè sera, e non le conosce? Come farà egli l'ufficio, al
quale Dio l'ha chiamato? Bisogna adunque che, così il vescovo come
ciascuno altro, anzi più esso che ciascun altro (perchè ha da regger
anime redente col sangue del Figliuol di Dio) attenda al suo proprio
ufficio, e si sforzi con ogni studio di farlo bene, e di adempire la
volontà del sommo fattore, nè si metta a seguire il maluso de' nostri
tempi, e di que' vescovi, i quali, vinti dall'avarizia e dall'ambizione,
di niuna cosa manco si pensano che di stare alle residenze, e cercare la
salute dell'anime a loro commesse, e poi non potendosi altramente
difendere, in escusazione allegano la mala consuetudine, come faceva
quel buon prelato, amico di vostra signoria, il quale, molto in vero
accortamente, da questa imputazione si difendeva dicendo, che egli non
intendeva d'essere obbligato di stare al suo vescovato, perciocchè,
quando egli fu creato vescovo, non era questa usanza che i vescovi
facessero residenza alle diocesi, anzi tutti solevano stare a Roma (come
si fa oggidì da molti) a procurare altri onori e beneficj; e che,
essendo eletto a quei tempi e sotto quella fede, non gli pareva onesto
che questa (siccome egli diceva) nuova legge dovesse far pregiudicio
alla libertà sua: e aggiungeva aver udito, che con questa ragione alcune
buone monache avevano similmente ottenuto di poter vivere a lor modo,
senza pericolo d'essere riformate: perciocchè anche esse dicevano
d'essere entrate ne' monasteri, a' tempi che si viveva in più libertà; e
che non era tanto gran miracolo se alcuna di loro aveva qualche volta
pratica con un uomo. Vane sono e troppo apertamente sciocche (acciò che
io non dica empie) queste escusazioni: conciossiachè non si possa
chiamar consuetudine la depravata usanza, per la quale si contravviene
all'ordine del sommo opifice; onde cessano similmente quelle altre
ragioni, che scrivete, di quei nostri cardinali, che pajono nella prima
vista un poco vere e urgenti: cioè, che sia meglio vostra signoria
attenda alla riformazione di tutta la Chiesa, la quale ora ne ha
bisogno, che alla conservazione della sola sua diocesi. Ognuno sa che
tutte le patrie e diocesi di cristianità hanno i lor vescovi, i quali
sono tenuti aver cura ciascheduno della sua: hanno poi i vescovi i suoi
metropolitani, l'officio de' quali è procurare tra le altre cose, che i
vescovi a loro soggetti se ne stiano alle residenze loro, e custodiscano
diligentemente i loro greggi. I metropolitani anch'essi hanno sopra di
loro il sommo pontefice, l'officio e cura del quale è universale sopra
tutta la Chiesa di Dio; la quale poi egli come supremo e sempiterno
capo, col suo santo spirito regge e governa. Questi officj, siccome sono
tutti distinti e separati l'uno dall'altro, così deve ciascuno conoscere
il suo, e a quello intendere gli spiriti, e indirizzare tutte le
operazioni sue: che così l'ordine richiede, da Dio instituito, nè deve
alcuno contravvenir a questo ordine, nè lasciar il suo per ingerirsi
nell'altrui officio, che ciò sarebbe, come ho detto di sopra, guastar
l'ordine, e riprendere Dio, e mostrar di saper ordinar le cose meglio di
lui; il che è non solo inconveniente ma abbominevole, che, come dice
l'apostolo, se il piede dicesse al capo, Io voglio esser capo, e la mano
all'occhio, Io voglio esser occhio, così similmente discordassero gli
altri membri; non potrebbe l'uomo sostentarsi, nè durare in vita.
«Il governo della Chiesa universale appartiene al sommo pontefice: il
quale, perciocchè è gravissima impresa, è stato ben istituito (benchè se
ne dica da' Tedeschi in contrario) ch'egli abbia tanti cardinali al
lato; col consiglio e ajuto de' quali possa provvedere a tutti i bisogni
di quella, e adempiere l'officio suo. Ma saria ben necessario che questi
cardinali e assistenti del sommo pastore, e consiglieri suoi nel governo
universale della santa Chiesa, fossero anche essi assidui e diligenti a
quell'officio; e nelle consultazioni quotidiane si sforzassero di
preporre sempre le cose utili alla conservazione e augumento della santa
sede, e di investigare de' rimedj contra l'armi d'infideli, contra le
eresie, e contra le discordie de' principi cristiani: e perciò
bisognerebbe che tutti fossero uomini di santa vita e di singolar
dottrina, e non avessero nè vescovadi, nè particolar carico d'alcuna
diocesi, perciocchè avendolo, bisognerebbe che anche essi stessero alle
loro residenze, e attendessero a quella cura. Ma posto che il sommo
pastore nè per sè, nè con l'altrui consiglio potesse o sapesse fare
tutto ciò che si converrebbe, e che per tal difetto le cose della fede e
della Chiesa di Cristo patissero delle scisme e degli incomodi: in tal
caso sarebbe ben il dovere, che, se per fare una generale provvisione
gli arcivescovi e i vescovi e gli altri prelati fossero chiamati come ad
un consiglio, dovessero allora lasciare le loro diocesi, al meglio che
potessero custodite, e prontamente tutti convenire al luogo destinato;
dove, secondo che fossero dallo Spirito Santo ajutati, avessero a
provvedere a quell'urgente bisogno. Ma altramente non dovriano mai da se
stessi, e senza esser chiamati e con comandamenti costretti, abbandonar
la cura de' loro popoli.
«Il Salvator nostro, il quale ha il governo sempiterno della santa
Chiesa, ci ha promesso di sua bocca di mai non l'abbandonare, anzi di
starsene con lei fino alla consumazione de' secoli, e s'egli mantiene la
fede e l'obbligo, nè cessa dal suo officio, meno devono i terreni
pontefici mancar dal loro, per supplir agli altrui difetti. Che se,
mancando il sommo pontefice dal suo officio, volessero i metropolitani
assumer essi il carico del governo universale, e lasciare la cura de'
vescovi e delle diocesi a loro soggette, e i vescovi similmente
lasciassero il governo de' loro popoli; e i privati mancassero delle
buone opere; e così cessasse ciascheduno dal suo officio, chi non vede
che ciò sarebbe deformare, non reformare lo stato della Chiesa
universale? Siccome all'incontro, se tutti i particolari stessero nel
loro officio, l'universale stato sarebbe perfetto, e non avrebbe bisogno
d'altra riformazione.
«Facciamo adunque noi tutto ciò che possiamo per adempire quell'officio,
al qual Dio ci ha deputati, e preghiamo nelle orazioni nostre sua divina
maestà (siccome egli ci ha insegnato) che similmente dagli altri si
faccia sempre la volontà sua: perciocchè non avrà alcuno da rendere
ragione nel supremo giorno, se non del suo officio e della sua
negoziazione; non avrò io, nè alcun altro da render conto del vescovato
di vostra signoria, nè essa avrà da render ragione delle operazioni del
papa, nè de' re, nè de' cardinali, ma ben delle sue e di quelle dei suoi
diocesani, se per colpa, o negligenza di lei saranno pericolati, o
infettati di qualche morbo, e usciti dalla via diritta. Sicchè, per fare
omai fine, mandate, monsignor mio, ad effetto la santa deliberazione
vostra, e non vogliate, per far l'officio altrui, lasciare il vostro;
per giovar a persone strane, offendere la patria vostra; per seguir i
signori e i re del mondo, abbandonare il signor del cielo e il re delle
anime nostre.
«La patria nostra, molte volte ne' tempi passati si è doluta di essere
stata abbandonata, e per lunghi intervalli di tempo destituta dalla
presenza de' suoi vescovi, i quali, perciocchè erano forestieri e di
lontani paesi, potevano pretendere qualche adombrata scusa, ma non vera.
Ma voi, al quale Domenedio ha dato in governo quella città, che è
medesimamente patria vostra, nella quale siete da tutti i buoni tanto
amato e stimato; non avete ragione nè escusazione alcuna di dover stare
da lei lontano; anzi dovete, tutto acceso di doppia carità, stare
assiduamente alla residenza vostra; e con la presenza e con la vostra
buona dottrina e col buono esempio, consolare, ammaestrare e confermare
nella via di Dio e nelle buone operazioni i nostri compatrioti, a noi e
di sangue, e di benivolenza tanto congiunti, siccome cominciaste a fare
negli anni passati, che molte fiate con le prediche e buone ammonizioni
vostre ci empieste tutti d'una gran consolazione e speranza. E ora
perchè mancare, o monsignore, di quel santo vostro principio? Ma spero
nel signore Iddio, che non mancherete più lungamente, e che eseguirete
senza dimora alcuna la deliberazione vostra: e io per nome di tutta la
città nostra supplichevolmente prego vostra signoria che così voglia
fare, e che voglia eziandio prendere in buona parte tutto ciò, che io ho
qui troppo presuntuosamente scritto..... »
[95] Lettera piissima di Flaminio a suo cugino Cesare. Roma 15 febbrajo
1544.
[96] _Nec enim puduit eum, scelus omnium turpissimum, sed per Italiam
nimis notum atque Græciam, celebrare laudibus._ SLEIDAN, _De statu
religionis et reipublicæ, all'anno 1548._
[97] «Pare a me che grande ingiuria mi sia stata fatta quando il legato
Della Casa mandò in Capodistria con molto scandalo di tutto quel popolo
i pubblici sbirri cercando per tutta la casa mia. Io aveva di que'
libri, e mandò a far questo rumore appunto in tempo ch'io era al
Concilio di Trento». _Le otto difensioni del Vergerio._
[98] VERGERIO, _Ritrattazione_.
[99] E 'l contrario, tutti lo maledicevano per non haver tolto li Santi
Sacramenti, salvo i Luterani.
[100] Pii, qui s'intendono questi nuovi cristiani.
[101] _Idest_ lutherana.
[102] Cioè la dottrina luterana; e così non fosse! _Hic labor_,
monsignor reverendissimo.
[103] _Idest_ opinione luterana.
[104] Oh bella fede viva sopra i sacramenti della Chiesa.
[105] Da animale.
[106] Per superstizione ed ipocrisia s'intendono le cose della Chiesa.
[107] Cioè seculari luterani.
[108] S'intendono le raccomandazioni dell'anima, che fanno li sacerdoti.
[109] Cose esterne s'intendono i sacramenti e cerimonie sante de'
Cristiani.
[110] Lasso un'altra parte della littera, dove lo autore descrive come
il vescovo Vergerio si è deportato in tollerar la morte del fratello. È
cosa goffa, e non al proposito.
[111] Lo Zilioli, in vite di letterati contemporanei, manuscritte nella
Marciana, racconta che la madre di G. B. Sanga poeta, volendo dar morte
a una fanciulla amata da questo, preparò un'insalata velenosa: e
avendone mangiato anche il Sanga e Aurelio Vergerio, morirono.
[112] È nelle suddette carte Cervini, filza IV, foglio 120.
[113] Nel carteggio mediceo dell'archivio di Firenze son lettere da
Trento del Serristori 1549 e del Buonanni e del Pandolfini da Venezia
del 45 e 46, che parlano del vescovo di Capodistria, della sua venuta a
Trento, della proposizione di torgli il vescovado.
«L'episcopo di Capodistria è venuto al Concilio, rimettendosi in tutto e
per tutto al giudizio del Concilio. Li legati non l'hanno voluto
accettare, ma gli hanno detto che stia absente di Trento finchè avessino
sentita il papa. Il che hanno fatto, ma non è venuto risposta. Non
sappiamo se lui è partito, ovvero stia segreto in qualche casa. Questo
fatto ha dispiaciuto a molti, massime al cardinale di Trento, quale vi
so dire che ha gran fervore.»
[114] «Pare a me che sia onore e reputazione della Chiesa e della fede
nostra santissima e piena di grazia e di maestà il repudiar queste baje,
e dire arditamente ch'elle non son vere».
[115] _Francisci Spieræ qui, quod susceptam semel evangelicæ veritatis
professionem abnegasset damnassetque, in horrendam incidit
desperationem, historia: a quatuor summis viris summa cum fide
conscripta: cum cl. vir. prefationibus Cœli Secundi C. et Jo. Calvini et
P. P. Vergerii apologia: in quibus multa hoc tempore scitu digna
gravissime tractantur_ (senza data ed anno). _Franc. Spiera's Lebensende
von C. L. Roth._, Nurimberga 1829.
[116] Il Xist non conobbe il processo del Vergerio, vedi pag. 123. Il
dottor Kandler di Trieste mi assicura che si trovi nell'archivio
generale di Venezia, venutovi dall'archivio dell'Inquisizione della
fede. Io non potetti rinvenirlo.
[117] Al duca Alberto, il 6 febbrajo 1563, scrive: _Mitto libellum
Savonarolæ itali, qui ante LX annos obiit, in psalmos tres: accepi a meo
principe. Delectabit et juvabit libellus; utinam istic spargeretur.
Esset enim operæ pretium ut in Poloniam quoque et Lituaniam istinc
penetraret._
[118] Luigi Lippomano veneto, dopo molte nunziature, era stato mandato a
quella di Polonia, ove i settarj dicono si mostrasse crudelissimo con
loro, e che, per cominciare, facesse perseguitar gli Ebrei, col pretesto
avessero da un'ostia consacrata cavato una fiala di sangue per
servirsene a sanar la ferita della circoncisione; col che ravvivò nei
credenti il dogma della transustanziazione.
Del Vergerio parla più volte il cardinale Truchses nelle lettere a
Stanislao Osio, che sono fra quelle di Giulio Pogiano. Per esempio, al 9
gennajo 1563, scrive: _Me quoque Vergerii, illius desertoris ac
perditissimi hominis, nefariæ in te declamationes valde delectant. Nam,
etsi nullum tibi ab optimis et summis viris virtutis, prudentiæ,
religionis præconium deest, tamen non est leve egregiæ laudis
testimonium vituperano illius immanis belluæ: quæ aliquando delapsa in
foveam obruetur. Ac tibi quidem jucundum esse debet eundem illum in te
perbacchatum esse, qui magnum illum sanctissimumque pontificem Gregorium
concidere ausus sit toto volumine._
[119] A Brunswich, nel 1855, fu stampato _P. P. Vergerius papstlicher
nuntius, katolischer Bischof, und Vorkämfer des Evangeliums, eine
reformations geschichtliche Monographie von_ CHRISTIAN HEINRICH XIST,
_evangelichem Pfarrer der Zeit Nürnberg_. Egli protesta non voler
offrire materia di guerra, ma un saggio sulla Riforma, e la storia d'un
uomo conosciuto da pochi, da molti mal conosciuto. Ma è passionato.
Aggiunse XLIV lettere tolte dall'archivio di Königsberg. Ma altre furono
indicate nella Biblioteca di Zurigo da M. Young nella _Vita di Aonio
Paleario_ (Londra 1860). Vedasi anche _Apologia pro P. P. Vergerio
adversus J. Casam._ Ulma 1754. Dal catalogo delle opere del Vergerio,
noi scegliamo quelle sole che fanno alla materia nostra.
_Discorsi sopra i Fioretti di frà Francesco_, senza luogo nè anno.
_Don Giovanni da Cremona_, parafrasi sopra i sette salmi.
_Instruzione come si ha da consolar e ammaestrar uno, che sta in
pericolo di morte._
_Il Catalogo de' libri, li quali, novamente nel mese di maggio dell'anno
1549, sono stati condannati et scomunicati per heretici da monsignor
Giovanni della Casa, legato di Venetia, e da alcuni frati. E aggiunto
sopra il medesimo Catalogo un judicio e discorso del Vergerio, 1549._
_Dodici trattatelli, fatti poco avanti il suo partire d'Italia._ Basilea
1549-50.
_Le otto difensioni del Vergerio, ovvero trattato delle superstizioni
d'Italia e della ignoranza de' sacerdoti etc._, pubblicato da Celio
Secundo Curione. Basilea 1550.
_Al serenissimo re d'Inghilterra Eduardo VI._
_Della creazione del nuovo papa Julio III, e ciò che di lui sperare si
possa, 1550. De creatione Julii III etc., 1550._
_La sontuosissima festa fatta in Roma per la coronatione di papa Giulio
III, con la solennità et ceremonia usata nello aprire la porta santa del
Jubileo, con commento, 1550. Qua pompa et magnificentia Julius III, P.
R. coronatus est, etc., anno 1550._
_La forma delle pubbliche orazioni e della confessione ed assoluzione,
la quale si usa nella chiesa de' forestieri, che è nuovamente stata
instituita in Londra._
_A' Principi d'Italia, 1550._
_A quelli venerabili Padri Domenicani, che difendono il Rosario per cosa
buona, 1550._
_Bolla della Inditione e Convocatione del Concilio che si ha da
incominciare in Trento al primo di maggio dell'anno 1551. Bulla Julii
III Rom. Episc. etc. Cum Commentariolo de Vidae_ (pseudonimo), _verso ex
ital. Lingua._ Basilea 1551. Tubinga 1553.
_Al serenissimo duce Donato, et alla Eccellentissima Repubblica di
Venezia, Orazione e Defensione del Vergerio._ Da Vico Suprano, a X
aprile 1551.
_Missæ ac Missalis anatomia, h. e. Missalis enucleatio. Nunc primum_
(_ut ea res purioris fidei cultoribus scitu necessaria ad alias quoque
nationes deveniret_) _e gallica lingua latine versa a. 1551._
_Concilium Tridentinum fugiendum esse omnibus piis, 1551_, e altre
volte.
_Il Vergerio a papa Giulio III, che ha approvato un libro del Mutio,
intitolato le Vergeriane. 1551._
_Operetta nuova del Vergerio, nella quale si dimostrano le vere ragioni
che hanno mosso i Romani Pontefici ad instituir le belle cerimonie della
settimana santa._ Zurigo 1552.
_Risposta del vescovo Vergerio ad un libro del Nausea, vescovo di
Vienna, scritto in lode del Concilio Tridentino._ Poschiavo 1552.
_Fondamento della Religione Christiana, per uso della Valtellina, 1553._
_Consilium quorundam episcoporum Bononiæ congregatorum, quod de ratione
stabiliendæ Romanæ Ecclesiæ Julio III pontifici maximo datum est, 1553_
e più altre volte, e tradotto in altre lingue.
_Ludovico Rasoro alla abbadessa dello monastero di Santa Giustina di
Venetia, sopra un libro intitolato_: Luce di Fede, _stampato nuovamente
in Milano per Giovanni Antonio da Borgo in laude della Messa, 1553._
_Stanze del Berna con tre sonetti del Petrarca, dove si parla
dell'Evangelio e della Corte Romana, 1554._
_Delle commissioni e facultà che papa Giulio III ha dato a monsignor
Paolo Odescalco, comasco, suo nuncio et inquisitore in tutto il paese
de' magnifici signori Grisoni, 1554._
_Catalogo dell'Arcimboldo, arcivescovo di Milano, ove egli condanna e
diffama per heretici la maggior parte de' figliuoli di Dio, e membri di
Christo, i quali ne' loro scritti cercano la riformatione della Chiesa
Christiana. Con una risposta fattagli in nome d'una parte di quei
valenti uomini, 1554._
_Frà Aleandro Bolognese, in un suo libro stampato in Bologna nell'anno
1550, ha tolto a celebrare per cose verissime, catholice e sante, il
concorso de' popoli alla statua et ai muri di Loreto, il sangue uscito
fuor dell'hostia di Bolsena, gli altari fatti e consacrati per mano di
san Michaele Arcangelo sul monte Gargano, et altre simili facende. Et
papa Julio III ha tutto ciò approvato e confermato, onde ogni huom potrà
far giudicio lui e la sua Chiesa Romana esser risoluta di volersi
mantenere in tutte le consuete sue superstizioni, bugie, idolatrie et
errori, in disprezzo deli huomini e di Dio, 1554._
_Heus! Germani, cognoscite ex hac Epistola, quid de vobis sentiat et
predicet Beatissimus Papa; tum etiam videte quale concilium cum suis
creaturis celebraturus sit. Illustrissimo atque optimæ spei Puero D.
Eberhardo, illustrissimi Princ. Christophori, D. W. filio primogenito,
Munusculum Vergerii exulis Jesu Christi. A. 1554._
_Lac spirituale, pro alendis ac educandis Christianorum pueris ad
gloriam Dei. Regiomontani, s. a._ Nel 1550 fu stampato in italiano a
Pavia dalla stamperia Moscheno.
_Della Camera et Statua della Madonna, chiamata di Loreto, la quale è
stata nuovamente difesa da frà Leandro Alberti, bolognese, e da papa
Giulio III con un solenne privilegio approbata. Nell'anno 1554._
_De Idolo Lauretano. Quod Julium III, Rom. episcopum non puduit, in
tanta luce Evangelii undique erumpente, veluti in contemptum Dei atque
hominum approbare. Vergerius italice scripsit, Ludovicus ejus nepos
vertit._ Anno 1556, e altre volte.
_Giudicio sopra le lettere di XIII huomini illustri, pubblicato da M.
Dionigi Atanagi et stampate in Venetia, 1554-1555._
_Consilium quod olim Paulus IV P. R. adhuc cardinalis S. Pet. Carapha
dictus, Pont. Paulo III de emendanda Ecclesia dedit._ Argyropolo 1555.
_Precedentie alla Apologia della Confessione dello illustrissimo signor
duca di Wirtemberga, del Brentio, ove si tratta dell'ufficio de'
principi nella chiesa del Figliuol di Dio, dell'autorità della sacra
scrittura, delle traditioni della Chiesa Cattolica._ Tubinga 1556.
_Historia di papa Giovanni VIII, che fu femmina, 1556. — De Papa fœmina,
1560._
_Vide quid papatus sentiat de illustrissimis Germaniæ principibus, ac de
liberis civitatibus, quæ Evangelio nomen dederunt; in primis quid de
tota nostra doctrina, et de ministris ecclesiarum, 1556._
_Ordo eligendi pontificis et ratio. De ordinatione et consecratione
ejusdem. De processione ad ecclesiam Lateranensem. De solemni convivio,
quo cardinales, episcopos atque alios excipit. Tum de pallio de corpore
beati Petri sumpto, in quo est plenitudo pontificalis officii. Omnia
excerpta verbum verbo ex libro, cui titulus: S. R. Ecclesiæ cerimoniarum
libri VI, qui in vaticana secretiore Bibliotheca magna religione et
reverentia conservatur. Reliqua etiam, quæ illic in hoc genere latebant,
brevi evulgabuntur._ Tubinga 1556, 4.
_De Gregorio P. ejus nominis I. quem cognomento Magnum appellant, et
inter præcipuos Ecclesiæ Romanæ doctores numerant. Invenies hic, candide
lector, primum miracula circiter L. verbum verbo ex dialogis, quos ille
in ipso adeo pontificatu scripsit excerpta: deinde nonnullos veluti
flosculos ex ejus a Jac. a Varagine descriptam. Regiomontani 1556._
_Alcuni importanti luoghi tratti fuor dell'epistole di Francesco
Petrarca, con tre suoi sonetti, 1557._
_Articuli contra cardinalem Moronum, de Lutheranismo accusatum et in
carcerem conjectum, a procuratore Fisci et Cameræ apostolicæ, et nomine
officii sanctæ inquisitionis instituti. Cum Scholiis, 1558._
_Agl'inquisitori che sono per l'Italia. Del catalogo di libri eretici_,
stampato in Roma nell'anno presente, 1559.
_Copia d'una lettera d'Atanasio, dello stato in che è la religione nel
principio dell'anno 1559._
_Postremus catalogus hæreticorum Romæ conflatus 1559. Continens alios
quatuor catalogos, qui post decennium in Italia, nec non eos omnes, qui
in Gallia et Flandria post renatum Evangelium fuerunt editi. Cum
annotationibus._ Pforzheim 1560, e altrove.
_In che modo si portino nel tempo del morire quei che ritengono
l'obedientia della sedia romana. E in che modo quei che Luterani, ovvero
Eretici si chiamano. Con la confession della fede d'un servo di Gesù
Cristo, 1560. All'Illustrissimo ed Eccellentissimo Principe e signor, il
signor Ercole Gonzaga, chiamato il cardinal di Mantoa, Legato al
Concilio di Trento. Che papa Pio IV non fa da dovero, 1561._
_Comparation tra 'l Concilio Basiliense e il Tridentino, 1561._
_Lettera al signor Francesco Betti, delle insidie che il papa m'ha posto
attorno, 1562._
_Della declinazione che ha fatto il papato solamente da undici anni in
qua. Ai fratelli d'Italia._ Ristampato la terza volta l'anno LXII, con
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  • Gli eretici d'Italia, vol. II - 56
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