Gli eretici d'Italia, vol. II - 22

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vita mia non mi trovai sì mal contento giammai, e quasi non potevo alzar
il viso.... A me è stato forza, per ovviare a tanta infamia, mandare le
censure e le risposte a Lione, non perchè si stampino, ma perchè si
vedano..... Voi dite che le risposte pungono. Non si può, credo io,
rispondere se non si redarguiscono le ragioni dell'avversario, e le
allegazioni non si mostrano non bene allegate..... Ma come si sia, lo
scrivere ed opponere è libero a ciascuno, ed io non fuggo d'esser
ripreso: anzi quel che voi dite esser chi dica molti altri luoghi
meritar riprensione, mi sarà forte grato che mi sieno mostrati, che
sempre imparerò qualche cosa, e l'avvedermi della mia ignoranza mi sarà
buona dottrina. La quale ignoranza io non la disdico in me: sol dico
che, se quelli che vanno a Parigi a studiare in teologia, in sei anni si
addottorano, io, che l'ho studiata otto anni continui in Carpentras, non
dovrei esser dalla natura sì mal dotato, che io non ne avessi preso
qualche parte; e se ben non ho studiato Durandi, Capreolo, Ochan, ho
studiato la Bibbia, san Paolo, Agostino, Ambrogio, Crisostomo, e quei
degnissimi dottori che sono le colonne della vera scienza».
[130] Girolamo Negro, al 6 dicembre 1535 da Roma scriveva a Marc'Antonio
Micheli: «Sua signoria reverendissima (il cardinale Farnese?) sta ben
del corpo e meglio dell'animo, sì per le doti della natura sua ben
composta, come eziandio per le acquistato virtù; onde nella morte del
carissimo fratello, nè la morte, nè la povertà in la qual si trova in
questo grado, gli dà punto di noja, nè lo disvia da' suoi studj. Ora la
sera legge il Fedone di Platone greco e la Logica d'Aristotele a certi
nostri; la mattina fa esercizio col papa a Belvedere, dal quale è ben
veduto, e così da tutta la Corte. Dopo pranzo, con belli tempi cavalca
per queste anticaglie...... Tiene circa venti cavalli, perchè le facoltà
sue non gli bastano per di più, e bocche quaranta. Vivesi mediocremente
a guisa de' religiosi senza pompe. Il papa gli ha assegnato scudi
duecento al mese per il suo vivere, la qual provisione con gli
emolumenti del cappello basta per l'ordinario della spesa, e scorrerassi
così finchè Iddio mandi altro.
«È venuto qui da Carpentrasso M. Paolo Sadoleto nipote del vescovo:
giovine dotto e gentile, al quale ha rinunciato l'episcopato. E perchè
credo vostra eccellenza intendesse già il travaglio gli fu dato dal
maestro del Sacro Palazzo sopra li commentarj suoi sopra l'epistola di
san Paolo alli Romani, accusandolo di eresia e vietando li libri non
fossero venduti, il vescovo mandò qui al papa una bella apologia, ed era
attaccata una grossa scaramuzza con questo frate suo conterraneo (il
Bacia), sopravvenuto il reverendissimo nostro, si ha interposto e fatta
la pace, con grande onore del vescovo; li libri sono stati approvati e
rilassati. Il detto M. Paolo ha portato qui il libro di suo zio tanto
desiderato, che è l'_Ortensio_, lo quale è in man nostre; e ci dice che
'l scrive ora _De Gloria_, per rifar del tutto li danni nostri di tanta
perdita» (cioè la perdita del libro _De Gloria_ di Cicerone).
[131] _Ep._ 4, l. XI.
[132] Ne' manuscritti vaticani, nº 3918.
[133] _Ep._ del lib. III.
[134] Vedi TIRABOSCHI, _St. della letteratura ital._, Tom. VII, p. 1. La
vita del Sadoleto fu scritta da Fiordibello, di cui parliamo nel testo.
Il libro del Sadoleto sull'educazione e la vita comparvero tradotti in
francese dal Charpanne, nel 1865.
Nipote del Sadoleto fu Paolo Sacrato canonico di Ferrara, di cui sono a
stampa (1579) molte lettere a personaggi d'allora; un libro sulla
Genesi, uno sui Salmi, uno sull'epistola canonica di san Giacomo. Al
fine delle sue lettere ha due discorsi a difesa di due prelati, i quali
le loro pastorali aveano scritte in italiano perchè la più parte de'
preti della loro diocesi non capivano il latino.
[135] SPONDANO, _Ann. Eccl. ad annum_.
[136] Dal processo del Morone appare che quei dell'accademia aveano
pubblicato un libro «In che maniera doveriano esser istrutti in fine
della pueritia li figliuoli de' Cristiani nelle cose della religione».
[137] Era un tristo arnese questo Bendinelli. Carlo Sigonio, dappoi così
famoso come storico, era stato eletto successore al Da Porto in Modena,
e preparò una vita di Scipione Africano per dedicarla a Cosimo de'
Medici, sperando così esser chiamato lettore a Pisa. Il Bendinelli, che
già avea divulgato censure contro alcune traduzioni del Sigonio, fece
secretamente stampare essa vita, e così scornò il Sigonio.
[138] Il Morone nel suo processo narra che, quando cresimava, «fu posta
fuori una pittura in suo obbrobrio, che era un asino con la mitra in
testa e col piviale».
[139] SADOLETI _ep. famil._, vol. III, p. 317, 319.
[140] Autor di varie operette e traduzioni, molto lodato dal
Castelvetro. Non trovasi sottoscritto al formolario: ma sul fine di sua
vita fu sospettato di nuovo d'eresia, onde fe segreta abjura davanti al
cardinale Morone. Ma parendo che questa segreta abjura non bastasse, e'
ne prese tal afflizione che morì, di circa cinquantasei anni, il 1568.
[141] Ochino, non ancora apostata e condannato.
[142] Lettere levate da un cartolario appartenente al cardinale Morone,
deposte nell'archivio secreto vaticano.
[143] «In compenso del vescovado di Tortona, quale il N. S. indignamente
avea levato al conte Giovanni mio figliuolo, S. S. gli ha conferito
quello di Modena, etiam che per me non si ricercasse altro che digno
compenso.»
Lettera del cancelliere Morone, marzo 1529, nel vol. III della
_Miscellanea di cose italiane_.
[144] Son parole del processo di lui, del quale già largamente ci
valemmo e più ci varremo in questo discorso. La copia che noi usammo,
d'oltre seicento carte, e che dobbiamo al signor duca Scotti, servì
certamente ad uno de' giudici, come mostrano i segni ed appunti ch'esso
vi fece. Pur troppo, secondo il consueto, son taciuti i nomi, che ci
avrebbero dati molto maggiori indizj.
[145] Le lettere del Morone, che son nell'archivio vaticano, attestano
le premure continue perchè il Concilio si facesse ed accelerasse.
Nell'adunanza di Hagenau però riferisce come i Luterani avessero
risposto al re de' Romani in modo da toglier ogni speranza di concordia,
dicendo apertamente che non conoscono nè vogliono riconoscer il papa per
capo. «E se pure l'imperatore e il re vogliono che li ministri di sua
santità intervengano al convento proposto, non intendono che sua santità
abbia più di una voce, come ogni altro vescovo. Quanto alla restituzione
delli beni ecclesiastici, dicono non esser tenuti, perchè li dispensano
meglio che non faceano li primi possessori, di che s'offeriscono render
conto» (23 luglio 1540, _Arch. vaticano_).
Il cardinale Farnese rispondendo, fra altre cose, dice trovarsi strano
che voglia trattarsi di dogmi per opera di principi, non di teologi; e
che il duca Lodovico di Baviera non abbia menato seco Echio, se non per
disputare, almen per consiglio: il qual Echio è certo molto dotto e
peritissimo in questa materia s'altri mai in Germania; nè tanto duro
quanto lo fanno gli avversarii, che ne traggono pretesto di ricusarlo
per timor che hanno di esso. «Ed è gran cosa che detti avversarii
mandano chi e come vogliono, e danno la legge alli Cattolici di non
poter introdurre, se non quei che piaciono agli eretici» Roma, 24 luglio
1540.
[146] Oltre la dolcezza, il Morone palesa già nella legazione, come poi
nel processo la poca fiducia in sè, il desiderio d'abbandonar gli
affari, il bisogno d'aver l'appoggio di un Legato. Il vescovo d'Aquila
scriveva al cardinale Farnese da Worms l'8 gennaio 1541: _Mutinensis est
satis turbato animo, excusat se a negociis, credo prudenti consilio quia
prudens est et perspicacis ingenii; nunquam tamen potuit induci ut semel
tantum una cum Feltrensi voluerit tractare causam; imo dicit se velle ad
Urbem proficisci, vel ad regem Romanorum. Excito ejus animum, quantum
possum omni studio foveo, confirmo; dignus enim est ut ametur, sed video
animi obstinationem: hodie enim confirmavit se omnino deliberasse de
recessu, et nolle futuris comitiis interesse_.
[147] «Mentre ho servito Paolo III come nuncio in Germania, ho sempre
voluto tenere il luogo che si deve a un nuncio apostolico, sopra tutti
gli altri ambasciadori di imperatore e re, e sopra tutti li principi
dello impero, etiam gli elettori ed ecclesiastici. Il qual luogo non
avria potuto tenere mordicus se avessi avuto a ritenerlo per un principe
secolare. Oltre di questo, avevo le facoltà molto ampie, le quali
dispensavo per tutta Germania secondo il bisogno; quali istantemente
avevo richiesto, e fatto diverse volte ampliare. La qual facoltà, se il
papa fosse solo principe temporale, anzi se non fosse papa universale,
non potria darle da dispensare in provincie esterne». _Processo._
[148] Lettera 22 giugno 1542. Il formulario colle firme trovasi nel I
volume delle opere del cardinale Cortese.
[149] Nell'archivio vaticano, _Nunziatura di Germania_, VIII, 64, è una
nota anonima del settembre 1540, di persone opportune a mandarsi col
cardinale Contarini in Germania. Son essi il generale de' conventuali,
Gregorio Cortese che conosciamo, il maestro di sacro palazzo, Pietro
Ortiz, Pietro Martire, canonico regolare, il Flaminio. Di questi ultimi
dice: «L'uffizio di scriver ben potria far anche il Flaminio, bon poeta
e bon orator, ben dotto in greco, e per molti anni datosi alla scrittura
sacra e dottori antiqui; ben stimato per il commento sopra alcuni
psalmi.... Non cognosco don Pietro Martire. Il reverendo Contureno, per
relazion del Flaminio, ne dice miracolo della dottrina teologica ed
altre, ed eziandio della lingua greca e latina, e credo anche in qualche
parte della ebraica. Il che è molto a considerar tra quelli che si
mandano, perchè li Luterani maggior profession fanno e più si valgono
delle lingue che di ogni altra cosa. Se si avesse potuto aver teologi
secolari d'Italia, sarebbe stato meglio; ma di questo ben manca
l'Italia, e bisogna servirsi di religiosi....».
[150] Jacopino Lancellotti, in una cronaca inedita che ora si va
stampando, all'anno 1543, dice venuti da Roma al vescovo 40 articoli di
fede, sui quali esaminare gli accademici che espongono false dottrine.
Il cronista le dice sparse da Francesco Greco (di nazione) che legge
greco in comunità per venticinque lire al mese, ad istanza degli
accademici. _Vi sono molti, e de' migliori della città, che sono tutti
immersi nel greco._ Si dice che il vescovo (Morone) voglia far
sottoscrivere gli accademici....... Si dice che Francesco Greco era per
non sottoscrivere gli articoli. Nicolò Machella andò per la stessa
ragione a Venezia. Gli altri trenta accademici sono spaventati. Viene
per questi articoli il modenese Bertani, vescovo di Fano. Gli accademici
insinuano non mangiar magro, non confessarsi che a Dio, non venerare i
santi, e non celebrare che poche feste, non esservi purgatorio. Il
canonico Valentino diceva voler vendere tutti i libri, i galantuomini
non potendo più studiare le scritture senza incorrer pericoli.
Si sospende la sottoscrizione dei quarantuno (sopra disse quaranta)
articoli per non mettere in voce di luterana la città, essendosi solo
disputato per istruzione. Ciò saputo, il Machella ritornò a Modena.
Settembre. Il vescovo invita varii accademici a sottoscrivere i
quarantun articoli: risposero lo faranno se prima li sottoscrivano i
conservatori del Comune; interrogati, questi risposero voler sentire su
di ciò gli aggiunti. Tre soli furono poi i conservatori che
sottoscrissero. Allora il cardinale Sadoleto modificò gli articoli. Si
fece tornare Francesco Greco, ma perchè era stato processato fuori, pare
che il vescovo non volesse la sua sottoscrizione, del che lagnaronsi gli
accademici, che lo condussero in comunità, ove dichiarossi pronto a
sottoscrivere, e che voleva gli fosse mantenuta la cattedra di greco.
Tutta la città è sottosopra.
L'inquisizione presenta al governatore lettere ducali perchè dia il
braccio secolare contro le eresie che sono in Modena.
Nota che alle prediche del francescano Dalla Pergola andava sempre il
governatore — e gran gente: ebbe rimproveri dal suo provinciale: il
Morone lo protegge: l'Inquisizione gli dà da giustificare quarantasei
articoli e riesce vincitore. Dice non predicava che l'Evangelo, non
nominava santi, nè penitenze quaresimali: asseriva aver Cristo pagato
per noi. Gli accademici alle sue prediche sono più di venticinque, tra
quali Andrea librajo il primo a introdur libri eretici in Modena, che
furon poi bruciati a Roma. Il cronista dice il Pergola mandato a Modena
dal Morone, e che tornato a Venezia, i suoi superiori lo carcerarono.
Un canonico regolare prende ad esame cogli inquisitori un libro senza
data, da lui trovato in camera di Lucrezia Rangoni, e accusa l'ignoto
autore di esso al vicario vescovile: dal pulpito invita chi ha libri
proibiti a portarglieli.
A Bologna è bruciato, come a Modena, per eresia quel libro che gli
accademici lodano.
Dall'archivio di Stato, già archivio segreto estense, copiamo questo
brano di relazione, che Francesco Villa governatore di Modena manda a
Ferrara al duca per mezzo del suo cancelliere M. Gentile Albino, il 12
agosto 1542.
«Prima, che instando il reverendissimo cardinale Morone (in vertù d'un
breve di nostro signore) perchè alcune persone di Modena si
sottoscrivano ad una modula di capitoli che saranno con queste
instruzioni, loro si rendono difficili e renitenti a volerlo fare,
dicendo non stare a loro a dare sentenza di queste cose, ma accetteranno
quel che sarà determinato dal Concilio. E pure alcuni capitoli vi sono,
alli quali loro si sottoscriveriano, ma volendo detto reverendissimo si
sottoscrivano a tutto e non ad una parte sola, la cosa sta così
imperfetta. Detto reverendissimo veramente è proceduto con tutta quella
destrezza che sia possibile. Aggiuntavi ancho l'opera di esso signor
governatore, quale non è mancato ricordarli che, per le asprezze che usò
il cardinale Gajetano legato d'Alemagna con li Luterani, nacque di
piccola favilla quel grande incendio che anchor oggi arde, e che sua
reverenza si guardi che Dio non voglia e permetta talora e per li
peccati del mondo mettendo a disperazione costoro, persone di molto
ingegno e spirito e d'un sottil cervello, sorgesse un qualch'altro simil
fuoco in Italia, onde per il lento procedere d'esso reverendissimo e per
quel che le dette persone hanno scritto a Roma sia nostro signore
entrato in sospizione de sua reverendissima, e ha eletto sei cardinali
legati alla requisizione de' Modenesi: delli quali si pensa che ne
manderà uno ad essa città a procedere e inquirere sopra le cose della
fede, di che esso reverendissimo è rimasto con tanta mala sodisfazione
de dette persone, che non voleva intromettersene: pur pregato da esso
signor governatore, se ne lascia parlare, et quando queste persone
volessero sottoscriversi, accetterà le sottoscrizioni: in che esso
governatore non manca, siccome ha fatto buon ufitio col cardinale, di
farlo ancho con loro, et esortarli a sottoscriversi per accomodare
questa differentia la quale conosce quanto è di mala natura e quanto
male ne potria seguire, e perchè troppo gli dispiaceria per l'honore
dell'illustrissimo signor duca che nel suo Stato pervenisse da Roma a
Modena un cardinale a far processi e inquisizioni di cose della fede,
massime stendendo lui gli capitoli, nè essendo sua sicurtà, ha voluto
che io li porti a sua eccellenza (il duca) acciò, vedutili e mostrati
come gli parerà, possa deliberare e pigliare qualche espediente
opportuno sopra questa pratica, la quale per molti rispetti è di
gravissima importanza, e ricerca gran considerazione».
[151] Balzac scriveva a Chapelain:
«Je suis bien avant dans la querelle d'Annibal Caro, mais je ne change
point de passion, et l'estime toujours plus honnête homme que son
adversaire, quoique peut-être son adversaire soit plus grand docteur que
lui. Je n'ai gueres vu de grammairien de la force de ce modenois,
soit-ici, soit dans les commentaires sur la Poëtique d'Aristote. Il faut
avouer pourtant qu'il pèche quelque fois par trop de subtilité, et qu'au
reste c'étoit un ennemi public qui ne pouvoit souffrir le mérite ni la
reputation de personne». _Lettera 5 del libro V del 1640._ Nelle opere
di Chevreau, pag. 330, ediz. del 1697 dell'Aja, leggesi una lettera di
questo, a M. de la Menarderie, ove dice: «Je viens d'achever de lire
votre poëtique, où vous traitez Castelvetro d'une étrange sort. Et
peut-être qu'autre fois vous n'eussiez pas trouvé votre compte, s'il est
vrai ce que Pasquin lui a reproché en quelque endroit, qu'il passoit de
la langue aux mains, de la plume au fer, de l'encre au sang: et qu'il
avait fait assassiner un fort galant homme qu'avoit pris la liberté de
lui contredire».
[152] Il Morone, interrogato se avesse nemici a Modena, dice di no,
salvo «quel Bonifacio Valentino, qual è proposto di Modena, il quale
sempre mi fu avversario in tutte le cose che concernevano al governo
della Chiesa di Modena, ed ebbe particolari nimicizie col mio vicario,
il quale io favoriva, e con l'arciprete don Andrea Accolti, il quale era
mio confessore... faceva la quadriglia con alcuni contro di me ad
impedire... e diceva: Io so che ho torto, ma voglio litigare per far
dispetto al cardinale».
[153] Il citato Tassoni narra:
1558. _De anno antecedenti, videlicet 1557 D. Bonifacius Valentinus
canonicus et præpositus ecclesiæ cathedralis mutinensis et D. Filippus
Valentinus doctor et consobrinus ejus, et D. Ludovicus Castelvetrus
doctor, et quidam D. Antonius Gadaldinus bibliothecarius citati fuerunt
Roma ab inquisitoribus hereticæ pravitatis ad respondendum de fide:
tandem Gadaldinus, et D. Bonifacius missi sunt Romam sub custodia, et in
carcere inquisitionis clausi: aliis duobus, videlicet D. Ludovico
Castelvetro et D. Filippo, fugientibus. Qui per contumaciam
excomunicati, et omnibus honoribus privati sunt. Sed quum D. Bonifacius
examinatus, confessus fuisset omnes, errores, et opiniones suas, et
retractasset, et abjurasset eas, liberatus fuit a carcere, injuncta
pœnitentia quod publice in Ecclesia super Minerva ad altare S. Crucis
ante et post debeat alta voce abjurare omnes hæreses, in quibus per
multos annos fuerat involutus. Et sic die 6 maji 1558 in dicta ecclesia
Romæ abjuravit. Postea Mutinæ reversus, in die Pentecostis post
prædicationem fecit eandem abjurationem die 29 maji in ecclesia
cathedrali Mutinæ, præsente multo populo. Sed Antonius Gadaldinus senex,
qui vendiderat maximam quantitatem librorum lutheranorum prohibitorum,
remansit Romæ in carceribus inquisitionis._
Segue l'atto di abjura di Bonifacio Valentino, del tenore della sopra
riportata: confessa aver creduto fosse contro le sacre scritture il
mangiar magro, e il vietare ai preti l'ammogliarsi: l'uomo fosse per la
sola fede giustificato, e potesse avere la vita eterna senza opere: non
doversi tenere nè venerare le immagini de' santi, nè i santi invocare;
inutili le indulgenze; che non vi sia il purgatorio; le buone opere non
acquistare la vita eterna; il sommo pontefice di Roma non essere vicario
di Cristo, ma Anticristo: non necessaria la confessione; i sacramenti
non conferir la grazia; non farsi transustanziazione nell'eucaristia;
lesse libri d'eretici e luterani, le lezioni de' quali ha ascoltate, e
ha conversato con loro: stette in quelle eresie per otto o dieci anni,
nel qual tempo, benchè non celebrasse mai messa, _perch'io non la
celebrai mai, se non la prima volta_, interveniva però ai divini uffici
cogli altri canonici in coro, _e mi sono comunicato non essendo absoluto
dalle presenti heresie_. Le quali eresie ora abjura, maledice e detesta.
[154] In un arsenale di cose variatissime, quali sono le annotazioni del
Lagomarsino alle lettere di Giulio Pogiano, troviamo due lettere del
cardinale Commendone a Giammaria Castelvetro, del febbrajo e dell'aprile
1570, donde appare che questi aveva interposto l'imperatore Massimiliano
II e il duca di Ferrara per ottenere che la sua causa fosse giudicata in
Ferrara: al che quegli rispondeva non essersi mai costumato di toglier
di mano a quel sant'Uffizio le cause da esso iniziate: prometteagli
però, a nome di sua santità, se si fosse costituito, farlo giudicare con
ogni clemenza, carità e anche prestezza. Avendo poi esso Castelvetro
domandato grazia dell'errore commesso, il cardinale s'impegnava
d'ottenergliela. POGIANI _epistolæ_, vol. IV, p. 444.
Un Jacobo Castelvetro, pur modenese, che non era però nipote di
Lodovico, abbracciò le nuove opinioni: e a Basilea pubblicò nel 1562 i
libri di Lodovico, e uno contro il concilio di Trento, inserito nella
Biblioteca Viziana: poi a Londra stampò varj classici nostri. Venuto a
Venezia, fu côlto dal sant'Uffizio, ma l'ambasciadore Arrigo Vottone
riuscì a farlo fuggire, nel 1611.
Venuta ora la frenesia de' monumenti, i Modenesi domandarono le ceneri
del Castelvetro per trasportarle nella loro città, ma ne fu chiesto un
prezzo esagerato.
[155] Una vita del Castelvetro di contemporaneo, trovata dal Tiraboschi,
narra che Lodovico volle far interdire il fratello Paolo che sciupava;
di che irato, Paolo pensò vendicarsi, e accostatosi a Pietro Bertano,
frate e cardinale avverso al Castelvetro, l'accusarono a Roma, avendo
sollecitatore il Caro.
Il padre Laderchi al 1571 riferisce che «morì finalmente nella eresia
Lodovico Castelvetro, e Giovanni Merlino pseudovescovo; talchè, colla
uccisione di così insigni eretici fatta dalla divina giustizia, parve la
Chiesa aver riportato non minor trionfo sugli eretici che sugli
infedeli». Era l'anno della battaglia di Lepanto.
Il Vergerio scriveva al duca Alberto il 15 marzo 1561:
«Fuoruscirono d'Italia per l'evangelo tre insigni personaggi, un
vescovo, un abbate, e un professore di lettere greche, di nome Francesco
da Porto, di sopranome Greco. Visse alquanto a Ferrara, ha
cinquant'anni, moglie, figli; e potrebbe a Regiomonte nella scuola di
vostra altezza venire, e credo si contenterebbe di duecento fiorini. Se
Dio movesse l'altezza vostra a desiderarlo per la sua scuola, oserei
affermare che avrebbe un uomo che nella letteratura greca (e tacio la
latina) non avrebbe il pari in altra scuola, oltrechè è sincero nella
dottrina e veramente pio».
Il Da Porto morì a Ginevra, e Teodoro Beza ne compose l'epitafio.
[156] Antonio Caracciolo, domenicano, il quale, al principio del 1600,
scrisse una vita di Paolo IV, ch'è una difesa della santa inquisizione,
e che potè vedere i registri di questa, scrive:
«In Modena gli eretici fecero più faccende che in niuna parte d'Italia.
Quivi fu il vicario del cardinale Morone, chiamato Bianco da Bonghis, e
molti sospetti d'eresia. Vi fu Antonio Gadaldino, librajo modenese,
eretico marcio con tutta la sua famiglia: vendè costui molti volumi del
_Beneficio di Cristo_, libro pernizioso che insegnava la giustificazione
_ex sola fide et ex meritis Christi_, imputazione alla luterana. Questo
libro, così caro agli eretici, il Gadaldino non solo lo vendè ma anche
lo ristampò.
«Il cardinale Cortese..., ancorchè di grande stima per bontà e per
lettere, fu nondimeno senza rispetto alcuno inquisito dal sant'Uffizio
per aver letto ed approvato il libro del _Benefizio di Cristo_».
Altrove dice pure che «quel libro (_del Benefizio di Cristo_) fu
stampato molte volte, particolarmente a Modena, _de mandato Moroni_».
Aggiunge Bonifazio Valentino, al quale Adriano, segretario del cardinale
di Fano, scrisse una lettera di condoglianza per la morte di Lutero e di
due frati modenesi eretici, frà Reginaldo e frà Albasio. Bonifazio
infettò la terra di Nonantola. Poi Alessandro Milano, frà Bernardo
Bartoli, che in carcere abjurò: frà Bartolomeo Pergola, prete Domenico
Morando, Francesco Camerone, un Farzirolo, prete Gabriel Falloppia,
Gozapino calzolaro, prete Girolamo Regia, il Castelvetro, don Girolamo
di Modena cappellano del Morone; Giovanni Borgomazza, Giovanni Bertano,
mastro Giovanni Maria Mannelli. Costoro mandavano sussidj agli eretici
di Germania: e dà qualche contezza di ciascuno.
Le notizie e i documenti più importanti intorno a questo periodo si
trovano nella Biblioteca Modenese del Tiraboschi, ma sparpagliati man
mano che gli capitavano, e secondo i nomi delle persone. Altre ce ne
furono somministrate per cortesia, fra cui la cronaca inedita del
Tassoni, ove leggesi al 1561. _Cum, jam pluribus mensibus elapsis,
dominus Ludovicus Castelvetrus, dominus Philippus Valentinus doctores
mutinenses accusati fuissent de hæresi lutherana, et citati Romæ, sed
non comparuissent, et sicut contumaces condemnati fuissent, tandem de
anno 1560 dominus Ludovicus, habito salvoconductu, ad purgandam
calumniam Romæ se transtulit, una cum domino Joanne Maria fratre suo. Et
sic ab inquisitoribus ter examinatus, timens ne quid deterius sibi
contingeret, noctu clam aufugit, et sic ab inquisitoribus condemnatus,
tali sententia percussus est._
Segue uno squarcio della sentenza pubblicata dai cardinali inquisitori
dell'eretica pravità, ove il Castelvetro è dichiarato eretico
impenitente, e incorso nelle censure.
Il cronista, parlando più oltre di Lanfranco Fontana nobile modenese,
dice che, bandito già dal duca Alfonso d'Este, abbracciò, più anni dopo,
la religione luterana in Francia.
[157] Similmente il Fontanini (_Bibl. dell'eloq. italiana_, tom. I, pag.
119) narra che certi libri «del Brucioli, di B. Ochino, di G. Valdes, e
di altri della medesima farina, nello smuovere una casa in Urbino
nell'anno 1723, si trovarono insieme nascosti, e quivi murati per
salvarli dal fuoco in tempo di Paolo IV».
[158] Nelle _Novæ amœnitates literariæ_ di Arrigo Guglielmo Klemmio,
stampate a Stuttgard nel 1773, si contengono _Anecdota de Ludovico
Castelvetro ejusque scriptis, in primis Locorum Melancthonis in linguam
italicam ab ipso translatorum editione_. Quella traduzione è minutamente
descritta dal Bruckero _Miscell. histor. philosoph._, p. 302; ma non
dice di chi sia. Il Fontanini la sostiene del Castelvetro; ma
probabilmente esagerò nell'accusar questo, come esagera il Muratori nel
difenderlo.
[159] Non già: bensì che sarebbesi potuto esprimerlo più chiaramente, e
che ciò si potrebbe anche dopo il Concilio, qualora lo Spirito Santo
l'ispirasse.
[160] La lettera, diretta a Giovanni Domenico Sinibaldo, suo vicario,
esiste nel processo, e dice:
«Alli preti curati siate sollecito, ripetendo spesso privatim et publice
il medesimo, ed istruendoli massimamente nel punto della remissione
delli peccati nelle confessioni delli poveri ignoranti, come si contiene
nel sinodo coloniese».
[161] Egli rispondeva, oltre il resto, le parole che mettemmo alla nota
18.
[162] Il Contarini? I nomi sono soppressi: ma molti potemmo supplire con
altre indicazioni.
[163] Questo Pergola confessa d'aver tenuto l'opinione luterana circa la
giustificazione o l'invocazione dei santi. Dice che, quando fu
processato, il Morone e monsignor Lodovico (_Castelvetro_) gli esibirono
i mezzi di fuggire d'Italia, ed esso non volle.
Il citato Tassoni scrive:
_De anno 1544 pro tempore quadragesimæ in ecclesia cathedrali prædicavit
quidam frater Bartolomeus, conventualis S. Francisci, dictus il
_Pergola_, qui post Pascha accusatus de hæresi apud inquisitorem S.
Dominici, in die lunæ duabus concionibus in dicta ecclesia ore
retractavit, vel potius hæreticorum honore declaravit magna parte
articulorum sibi oppositam, qui erant amplius 40, probati per 11 testes
idoneos et sufficientes, dicens: intelligebam sic; excusans se,
aliquando negans non dixisse sic, et aliquando dicens testes non
intellexisse. Qui postea Romæ condemnatus est non posse amplius
prædicare et ad alia quædam facienda._
_Eodem anno prædicavit quidam frater conventualis S. Francisci, dictus
_il Pontremolo_ in festo nativitatis D. N. qui accusatus de hæresi et
condemnatus obiit._
[164] Esiste la costui lettera: pure se n'ha un'altra più tarda, ove si
lagna che il Morone si mostrasse austero coi dissidenti in Bologna.
[165] Vedi la nota 5 del nostro discorso XIX.
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