Gli eretici d'Italia, vol. II - 24

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appiccicarvi le satire, di cui fu sempre ghiotta quella popolazione, e
che si dissero pasquinate anche quando o non v'erano state affisse, o
l'erano ad altre statue. Perocchè il privilegio di Pasquino fu diviso
dal Babbuino che dà nome a una via, dal Facchino del palazzo Piombino,
dall'abbate Luigi, da donna Lucrezia dietro il palazzo di Venezia, dallo
Scanderbeg sul palazzo che fu abitato da questo, e principalmente dal
Marforio, dio marino colossale dissepolto tra il Foro (_Martis forum_) e
il tempio di Marte, e collocato per prospettiva alla fontana di
Campidoglio.
Massime alle elezioni dei papi si moltiplicano queste satire, per lo più
brevi, talora in dialogo, sempre argute. Noi ne accenneremo alcune, che
abbiano qualche appiglio colla nostra storia.
A Sisto IV morto:
_Stupra, fames, strages, usura, furta, rapinas_
_Et quodcumque nefas, te duce, Roma tulit._
_Magna (licet tarde) solvenda, est gratia morti:_
_Omne scelus tecum, Sixte cruente, jacet._
Per Alessandro VI, quando si ripescò dal Tevere il cadavere di suo
figlio:
_Piscatorem hominum ne te non, Sexte, putemus,_
_Piscaris natum retibus ecce tuum._
E altre volte:
_Vendit Alexander claves, altaria, Christum:_
_Emerat ille prius, vendere jure potest._
E alla sua morte:
_Dic unde, Alecto, pax hæc effulsit et unde_
_Tam subito reticent prælia? Sextus obit._
Per Giulio II, che diceasi aver buttato le chiavi di Pietro per impugnar
la spada di Paolo:
_Huc barbam Pauli, gladium Pauli, omnia Pauli:_
_Claviger ille nihil ad mea vota Petrus?_
e altrimenti:
_Obtulerat, Juli, tibi quæ sors Julia claves,_
_Clavas, erravit credo, datura fuit._
e per le sue indulgenze:
_Fraude capit totum mercator Julius orbem;_
_Vendit enim cœlos, non habet ipse tamen._
Per la mansuetudine di Leon X:
_Ipse licet cupias animos simulare Leonis_
_Non lupus hoc genitor, non fuit ursa parens_
_Ergo aliud tibi prorsus habendum est, cæcule, nomen,_
_Nam cuncta ut possis, non potes esse leo._
Altra volta Pasquino era comparso da pellegrino mendicante, e diceva:
«Andrò ai Galli e agli Ispani per empir la tasca d'oro, poichè il poter
dell'oro caccia adesso le Muse. Amici, portatemi oro, non versi; ai
potenti non comanda che il denaro».
_Dona date, astantes; versus ne reddite: sola_
_Imperat ætheriis alma moneta Deis._
Ma perchè i letterati, contenti de' favori di papa Leone, lo lasciavano
tacere, Pasquino cantò:
_Non homo me melior Romæ est. Ego nil peto ab illo,_
_Non sum verbosus: hic sedeo et taceo._
Di rimpatto si sfogò contro Adriano VI. Sotto Clemente VII le sventure
furono troppo serie: ma alla sua morte, che si dicea causata
dall'imperizia del medico Curti, fu scritto:
_Curtius occidit Clementem; Curtius auro_
_Donandus, per quem publica parta salus._
O gli applicaron il versetto evangelico: Ecce qui tollit peccata mundi.
Fu anche scritto:
_Nutrix Roma fuit, genitrix Florentia: flevit_
_Nec tua te nutrix, nec tua te genitrix._
_Mors tua lætitiam tulit omnibus: unica mæret_
_Quæ, te regnavit principe, dira fames._
In un altro epitafio assai lungo, dopo basse ingiurie, s'invitano i
Romani a festeggiare, perchè
_Pristina libertas reddita, Roma, tibi est._
Al tempo di Paolo III Pasquino scriveva:
_Ut canerent, data multa olim sunt vatibus æra:_
_Ut taceam, quantum tu mihi, Paule, dabis?_
Ma non tacque, e tra gli altri applicogli il detto scritturale: _Zelus
domus suæ comedit illum:_ e che Roma, dopo trovatasi sì male di due
Medici, or cadde nella frenesia (Farnese).
Un'altra volta narrava Marforio che un angelo intimasse al papa: «Pasci
le mie pecore»; Pasquino replicava aver egli risposto: «La carità ben
ordinata comincia da sè». E Marforio insisteva: «È egli giusto di
toglier il pane di bocca ai figliuoli per darlo ai cani?»
Un'applicazione in grande de' testi biblici fu fatta in occasione
dell'Epifania del 1535, per la gita del papa a Marsiglia.
Il papa diceva: _Modicum videbitis me, modicum et non videbitis me, quia
vado ad patrem._
Il re di Francia: _Tu es qui venturus est, non alium expectamus._
Il cardinale di Cesi: «Io sono una vigna selvaggia: il padre mio era un
agricoltore».
Il cardinale di Bari: «Barabba era un ladro».
Il cardinale Campeggio: _Filii tui tamquam novellæ olivarum in circuitu
mensæ._
Il cardinale di Mantova: _Lingua mea calamus velociter scribentis._
Il cardinale di Ravenna: _Vade in pace et noli amplius peccare._
Il cardinale Doria: _Vade retro, Satana._
Il cardinale di Bologna: _Amice, quomodo intrasti non habens vestem
nuptialem?_
I cardinali spagnuoli: _In cathedram Moysis ascenderunt scribæ et
pharisæi._
I cardinali nuovi: _Laudate, pueri, Dominum, laudate nomen Domini._
Pasquino: _Si veritatem dico vobis, quare non creditis?_
Non è facile capir tutte le allusioni, e perciò ne lasciammo via molti.
Fu anche parodiato il Vangelo, facendone uno secondo Marforio, dove la
visione d'Emaus è convertita a tassar papa Clemente, ma più il suo
successore.
Un'altra volta era il _Liber generationis antichristi filii diaboli.
Diabolus genuit papam, papa vero genuit bullam; bulla vero genuit ceram;
deinde cera genuit plumbum; plumbum vero indulgentiam; ea vero curenam_
(assoluzione dal digiuno quaresimale); _carena vero genuit quadragenam_
(la quarantena); _ex qua tandem orta fuit simonia, ex qua fuit
superstitio, etc._; e dopo la cattività di Babilonia, il cardinale
generò il cortigiano, il cortigiano il vescovo suffragante e il
commendatore, che generarono la pensione: dalla pensione venne la
decima, da questa l'oppressione del paesano; l'oppressione generò la
collera, e questa l'insurrezione, nella quale si rivelò il figlio
dell'iniquità che chiamasi Anticristo.
Gli è per tali profanità che delle pasquinate ebbe ad occuparsi anche il
Concilio di Trento, perocchè alcuni, e specialmente il legato Del Monte,
voleano si provvedesse all'abuso che in essi faceasi de' testi sacri,
convertendoli o a satira o a giocondità: ma non si credette dovervi
prendere un provvedimento speciale: solo si proibì di usar le parole
scritturali in vanità, adulazioni, scurrilità, superstizioni, libelli
famosi. E fra i decreti sui libri proibiti al § 11 restano in generale
vietati _Pasquilli omnes, ex verbis sacræ scripturæ confecti. Item
Pasquilli omnes etiam manuscripti, omnesque conscriptiones in quibus
Deo, aut sanctis, aut sacramentis, aut catholicæ ecclesiæ et ejus
cultui, aut apostolico quomodocumque detrahitur_.
Pure queste applicazioni di testi ecclesiastici talvolta non sono che
ingegnose, come quando nel 1535 de' cardinali francesi si dice «Per
altra via se sono tornati»; e dei tedeschi: «Non v'è nulla da mangiare
noi in questa casa?»
Ed altra volta per l'entrata de' Francesi in Italia:
Roma. _Hora est jam de somno surgere._
Spagna. _Uxorem duxi: habe me excusatum._
Germania. _Quo me vertam nescio._
Fiandra. _Effusum est in terra robur meum._
Polonia. _Date elemosinam._
Portogallo. _Non bene conveniunt Judæi cum Samaritanis._
Lorena. _Dominus dedit, Dominus abstulit._
Savoja. _Nescio loqui, quia puer sum._
Piemonte. _Legatis manibus et pedibus, projicite eum in tenebris
exterioribus._
Ginevra. _Quando morietur et peribit nomen ejus, tribulationes cordis
multiplicatæ sunt._
Svizzera. _Miseremini mei, saltem vos amici mei._
Olanda. _Veh nobis._
Genova. _Transeat a me calix iste._
Milano. _Timor et tremor venerunt super me._
Parma. _Adorabimus in loco ubi steterunt pedes ejus._
Modena. _Deprecabilis esto super servos tuos._
Firenze. _Domini est terra et plenitudo ejus._
Napoli. _Deficit spiritus meus, paratum cor meum sperare in Domino._
Messina. _Non credam amplius._
Mantova. _Quid vultis mihi dare et eum ego vobis tradam._
Francia. _Dissipabo et assorbebo simul._
Venezia. _Non timebimus dum turbabitur terra, etenim inimici mei non
potuerunt adversus nos._
Inghilterra. _Pereat memoria ejus, et sequaces ejus fiant orphani._
E qui son a ricordarne due a proposito di Galileo. Quando egli ebbe
scoperto i satelliti di Giove, e che la più parte degli astronomi li
negavano, Keplero li vide, ed esclamò, _Galilee, vicisti_. Di rimpatto
un frate a Firenze prese per testo d'una predica, _Viri Galilæi quid
statis aspicientes in cœlum?_
Nell'Indice tridentino de' libri proibiti è registrato _Evangelium
Pasquilli_. Vi somigliano le _Sortes Virgilianæ per Pasquillum
collectæ_; emistichi o versi di Virgilio, applicati ingegnosamente.
Il papa si duol di non aver dapprincipio soffogato Lutero:
_Trojaque nunc stares, Priamique arx alta maneres_
A quei che voleano il papa presedesse al Concilio:
_An monstrum infelix sacrata sistitis arce?_
Ad Erasmo vacillante,
_Terras inter cœlumque volabat._
Al papa perchè non si mescoli delle cose temporali,
_Pastorem, Tytire, pingues_
_Pascere oportet oves, deductum dicere carmen._
Il papa temente della sorte de' suoi, esclama:
_Dii patrii, servate domum, servate nepotem._
Sui disastri di Roma:
_Urbs antiqua ruit, multos dominata per annos._
Lutero solo contro tutto il mondo:
_Vim cunctam atque minas perfert cœlique marisque._
Nell'indice de' libri proibiti dal concilio di Trento son notati:
_Pasquilli et Marforii hymnus in Paulum III._
_Pasquillorum tomi duo, quorum primo versibus ac rhytmis, altero
soluta oratione conscripta quamplurima continentur._
_Pasquillus extaticus et Marphorius._
_Pasquillus Fagius._
_Pasquillus Germanicus._
_Pasquillus proscriptus a tridentino concilio._
_Pasquillus semipoeta._
_Pasquino in estasi nuovo e molto più pieno che 'l primo_, fu
aggiunto con decreto del 16 marzo 1621.
In occasione che il papa prende il possesso, che è una delle solennità
più splendide della splendida Roma, veniva Pasquino foggiato in qualche
personaggio, e allora le satire s'acconciavano a queste trasformazioni.
Per l'una diceva:
«Qual meraviglia se mi trovi cangiato, dacchè Paolo cangia dieci volte
all'ora?»
Vestito da Occasione, diceva all'imperatore:
_Cæsar, habes nulli qualem me habuere; videsne?_
_Ni mea, ni noscis tempora, asellus eris._
Ma gli si rispondeva:
_Postquam regna tenet Paulus, domus alta Quiritum_
_Occidit, atque simul concidit omne decus._
_Occidit imperium Christi, spes, fasque, piumque._
_Occidit alma quies, occidit alma fides._
_Dicendum occasus potius quam occasio certum est,_
_Pasquille, ut rebus nomina conveniant._
Un'altra volta egli compariva da viaggiatore, e
_Credula verbosum papam quia Roma creasti_
_Expedìt hoc cunctis dicere; Roma, vale._
Essendo vestito da Perseo, gli fu appicciato il distico:
Perseo che di Medusa il capo cese,
Cederà ancora il capo del Farnese.
Oppure:
_Papa medusæum caput est; coma, turba nepotum:_
_Persæu, cede caput; cæsaries periet._
Quando esso Paolo III trasferì il concilio, stampossi un _Pasquilli
carmen in Paulum III fugitivum a facie concilii Mantuani_:
_Quid est tibi, papa, quod concilium fugisti, et vos, cardinales, quia
conversi estis retrorsum?_
_A facie reformationis mota est curia, a facie reformationis veræ,_
_Quæ converteret papam in pauperem plebanum, et cardinales in miseros
capellanos._
Anche Paolo IV fu incessante bersaglio a satire, massime a cagione dei
nipoti: e il suo nome di famiglia Caraffa diè occasione a molte arguzie,
tanto che si dovette proibire di gridar per istrada bicchieri e caraffe.
Sotto Sisto V comparve Pasquino con una camicia tutta sudicia. E
chiedendogliene Marforio il perchè, rispondeva: «Perchè la mia lavandaja
è divenuta sorella di papa».
E perchè Sisto rimescolava colpe vecchie, si fecer dialogare le due
statue di san Pietro e Paolo. Il primo vedeasi in atto di partire cogli
sproni:
_San Paolo_: Dove vai?
_San Pietro_: Corro qualche pericolo. Temo esser chiamato in giudizio
perchè ho rinnegato il mio maestro.
_San Paolo_: Allora farò bene anch'io a cavarmela, perchè m'imputeranno
le persecuzioni che feci contro i Cristiani.
Ma Sisto non intendea scherzi, e faceva anche impiccare i satirici, onde
Pasquino dovette contentarsi d'esclamare che papa Sisto non la perdona
neanco a Cristo.
Venendo a tempi vicini, di Benedetto XIV disse Pasquino: _Vir bonus in
solio, Bonus vir in solio_. E di Pio VI che nello stemma portava aquila,
gigli, stelle, venti:
_Redde aquilam imperio, Gallorum lilia regi,_
_Sidera redde polo; cætera, Brasche, tibi._
In somma Pasquino è un arguto, che tien l'occhio al Vaticano, l'orecchio
al conclave, intelligenze nelle anticamere, spie nelle sale e nelle
alcove. Talvolta fu l'uom dabbene indignato de' vizj: tal altra lascia
fra il riso trapelare l'ira protestante come quando dice:
Il rosso gregge si divide in tre,
Mangia Dio, mangia plebe, e mangia re.
Si abusa del suo nome? egli esclama:
_Me miseram! copista etiam mihi carmina figit,_
_Et tribuit nugas jam mihi quisque suos._
Talora domanda un cappello di cardinale:
_Tandem, maxime pontifex, galerum_
_Pasquillo tribuas tuo roganti._
_Si sensu sine sum, rude atque marmor,_
_Complures quoque episcopos videmus_
_Ipso me mage saxeo creari._
Altre volte fa un confronto tra il papa e Cristo:
_Christus regna fugit: sed vi papa subjugat urbes._
_Spinosam Christus, triplicem gerit ille coronam._
_Abluit ille pèdes; reges his oscula præbent._
_Vendentes pepulit templo, quas suscipit ipse...._
_Ascendit Christus, descendit ad infera præsul._
Qualche volta con tenuissimi cangiamenti muta l'elogio in satira; come
quando essendosi scritto, _Orietur in diebus nostris justitia et pax_,
Pasquino vi antepose un _M_.
E altra volta: «Tu ridi, o passagero, perchè il vecchio Pasquino vedi
senza naso, senza labbra nè mani, e perduta ogni forma.
_Nempe vides quam Roma viros bene tractet honestos_
_Quos ea, si qui sunt hic, periisse cupit._
_Nam me quod nimius veri sum visus amator_
_Et mores urbis carpere sæpe malos_, ecc.
E il Marini cantava:
Non cercar tu che passi
Come favelli e scriva
Una pietra insensibile e scolpita
Che della mano e della lingua è priva.
Fora ancor poco a questa età cattiva,
Poichè tacion color che han voce e vita
Quand'io non sol parlassi
Ma parlando scoppiassi,
Per romper con lo scoppio e testa e braccia
A chi mi fa parlare e vuol ch'io taccia.
Nel 1592 erasi stabilito di farla finita con questo garrulo mozzicone e
gettarlo in Tevere. Trovavasi allora a Roma Torquato Tasso, e suggerì:
«Nol fate. Dalla polvere nella ripa del fiume nasceranno infinite rane,
che gracideranno notte e giorno per vostro dispetto». Gli si diede
ascolto, onde Marforio ne mandò le congratulazioni a Pasquino. E questo
rispondea: «Di fatto m'avean messo in querela col sant'Uffizio. Comparvi
davanti ai cardinali, e pensa come mi conciarono! Senza un secondo
Torquato, la bocca di Roma era chiusa per man de' Barbari. Per fortuna
la ragione disarmò l'ira, e la satira dee la vita alla poesia».
Sotto Urbano VIII de' Barberini, Pasquino esclamava:
Ohimè, non ho più un quattrino,
Tutto il mio è del Barberino.
Ed essendosi levato il tetto di bronzo dal Panteon per fondere la
cattedra di san Pietro, disse: _Quod non fecerunt barbari, fecerunt
Barberini_. Quando esso papa emanò una bolla contro il tabacco, Pasquino
esclamò: _Contra folium quod vento rapitur ostendis potentiam tuam, et
stipulam siccam persequeris_.
Sotto Alessandro VII, Pasquino prese, come spesso i buffoni, la parte
del prepotente, schernendo il papa degli insulti fattigli da Luigi XIV,
or in colloqui coll'abbate Luigi, or in sindacato dove i conservatori di
Campidoglio assumono per segretario Marforio, Pasquino per procurator
fiscale, don Gregorio per usciere; e dopo molte cose serie e molte
beffarde, conchiudesi con sette avvisi: 1º che tutti i cittadini abbian
un esemplare della storia romana, per ricordarsi le geste degli avi,
aspirarne l'amor della libertà, e ricordarsi che cacciarono i Tarquinj
dalla città; 2º che siano obbligati di legger la storia primitiva della
Chiesa, notare il diritto che avea il popolo d'eleggere i papi e di
partecipare al governo temporale; 3º di non chiuder gli occhi ai
disordini degli ecclesiastici; 4º ridersi delle bolle fabbricate per
avvilire il popolo e sottomettere i laici ai preti; 5º stare uniti in
santa fraternità, perchè sulla discordia si fondò la sua schiavitù; 6º
render al papa ogni rispetto e obbedienza come sovrano spirituale; 7º
guardarsi dal pagare soldati quando i papi volessero far guerra e
cambiar la croce in spada.
Oltre la pasquinata, che diceva di lui, _Maxime de se, magna de
parentibus, mala de principibus, pessima de cardinalibus, nihil de Deo_,
moltissimi sonetti conosco per la morte d'Alessandro VII, e un de'
migliori è questo:
Papa Alessandro settimo sanese
Di casa Chigi, qui sepolto giace
Che sopra dodici anni e più d'un mese,
Mal grado suo, non vide Italia in pace.
Con finto zelo e con pietà fallace
Molto al mondo promise e nulla attese.
Disse che i suoi starebbono al paese,
Ma a capo all'anno si trovò mendace.
Vantò di sollevar lo stato oppresso,
Disse voler premiar li dotti e buoni,
Far tornar Roma al suo primiero sesso.
Ma niuno più di lui senza occasione
Mille gabelle impose, e niun quant'esso
Distrusse Roma ed ingrandì bricconi.
Un papa il ciel ci doni,
Che riducendo quel ch'ei disse in atto,
Si guardi poi dal far quel ch'egli ha fatto.
Questo sonetto trovo nella Magliabecchiana mss. cl. VII. 309; dove sono
moltissime pasquinate, o in raccolte, o sparse: fra cui _Risate di
Pasquino con l'abbate Luigi per l'aggiustamento di Pisa circa le
differenze tra il re di Francia e la casa Chigi_.
Ultimamente stampossi _Pasquin et Marforio, histoire satirique des
papes, traduite et publiée pour la première fois par_ MARY LAFON (Parigi
1861). È poco meglio che copia di un articolo dei _Mémoires de
littérature par M. De S...._ (t. II, p. II, p. 200, Aja 1717),
aggiuntevi mentosto pasquinate che satire contro i papi, tolte da Hutten
e da altri. Per esempio, sotto Giulio II mette il dialogo, spiritoso per
verità ma ben lungo, fra questo papa e san Pietro alla porta del
paradiso, che è attribuito a Erasmo o a Fausto Anderlino, e che noi
mettemmo in nota al Discorso XIV. Esso Hutten ha pure il _Pasquillus
exul_, dialogo con Ciro; ove finge che, abbandonando affatto la città,
stanco di aspettare, nè più nulla sperando dal papa, solo occupato ad
impinguare i suoi ben numerosi, gli espone il secreto della creazione
dei trentun cardinali, della promulgazione delle indulgenze, e del
progetto della crociata, che in fatto era un'operazione politica e
finanziera per ristaurar l'erario, e dar al papa la maggioranza nel
conclave.
E tutt'altro che pasquinate sono il dialogo tra Vadisco e Pasquino:
_Apophtegmata Vadisci et Pasquinei de corrupto statu Ecclesiæ_; il
_Pasquillus extaticus_, ed altre composizioni.
Gli è per quest'ultima che annettesi il marmo beffardo al nome di Celio
Curione, del quale vuolsi sia la raccolta _Pasquillorum_, comparsa a
Basilea il 1544.
Questa comincia da una poesia _De se ipso et origine sua_, ove Pasquino
narra lui esser Lica che portò ad Ercole, da parte di Dejanira, la fatal
camicia, onde perdè la vita; ma prima di spirare lanciollo in aria:
ricaduto sopra uno scoglio del mar d'Eubea, suscitava tante tempeste,
che Nettuno col tridente ne lo cacciò, onde salvossi in terraferma, ed
or rimane a Roma, dove una turba di pedagoghi ogni anno gli rende i
dovuti onori.
Non v'è titolo propriamente onde attribuir quella raccolta al Curione, e
neppure il _Pasquillus theologaster_ diretto a Lutero; bensì è di lui il
_Pasquilli extatici de rebus partim superis, partim inter homines in
christiana religione passim hodie controversis cum Marphorio colloquium_
(Basilea 1544). Poi _Celii Secundi Curionis Pasquillus extaticus, una
cum aliis etiam aliquot sanctis pariter et lepidis dialogis, quibus
præcipua religionis nostræ capita elegantissime explicantur; omnia quam
antea cum auctiora, tum emendatiora,.... adjectæ quoque sunt quæstiones
Pasquilli in futuro concilio a Paolo III indicto disputandæ, lectu
jucundissimæ_ (s. l. et a.).
Forse col titolo di _Pasquino in estasi, ragionamento di Marforio e
Pasquino_, il dialogo fu scritto originariamente in italiano, qual si
trova manoscritto nella biblioteca ducale di Gotha, poichè v'è qualcosa
che manca nelle stampe latine, come il passo relativo a Giovanni Valdes,
che daremo qui sotto.
Comparve poi a Ginevra _Pasquillus extaticus, non ille prior sed totus
plane alter auctus et expositus_; e _Pasquino in estasi, nuovo e molto
più pieno che 'l primo, col viaggio all'inferno colla falsa data di
Roma, nella bottega di Pasquino a l'istanza di papa Paulo Farnese_.
Sebben quest'ultima frase sia evidentemente falsa, indicherebbe però
fosse anteriore al 1549, e vi stanno in appendice _Questioni di Pasquino
da disputare nel Concilio di Trento, che mostrava di voler fare il
papa_.
È un de' libri che più corsero attorno in quel tempo, e di quelli che
sogliono fare il maggior danno, pervertendo il buon senso e la morale
col mettere il riso al luogo delle ragioni, e ridur l'uomo al grado di
scimia. Diamone l'analisi.
_Marforio._ «Che c'è di nuovo, Pasquino? Tu sei bello e smagliante.
_Pasquino_. Come chi ha veduto il re del cielo. Non sai che, dopo il
colloquio coll'Eterno, Mosè sfolgoreggiava?
_M._ Il so, ma che? Forse le pietre van oggi in cielo?
_P._ Perchè stupirne, quando ci van tuttodì monache, abati, preti,
vescovi, papi, coi ventri dieci volte più pesanti di me?
_M._ Oh per lo meno son uomini e non sassi.
_P._ Non sai che quei che governano il mondo e la Chiesa han l'orecchio
duro, sicchè bisognan pietre per toccarli, e massime per cacciar quello
sciame di adulatori che vi ronza attorno?
_M._ E chi t'ha dato a te quest'incarico? N'hai licenza dal papa?
_P._ La necessità mi forza a parlare. I nostri contemporanei hanno gran
bisogno d'udir la verità: quei che potrebbero dirla taciono; bisogna
dunque che parlin le pietre, come comanda il Vangelo».
Qui vien a raccontare come, stando in una grotta presso il Coliseo,
s'addormentò, e gli apparve un globo di fuoco, di mezzo al quale un
vecchio Jerosataniel, capo de' veri veggenti, il quale gli esibì di
mostrargli il cielo. «Ma oggi v'ha due cieli, uno eterno, ove Cristo
salì, ove andranno i fedeli, ove Dio, cinto di angeli, giudicherà noi
tutti; l'altro, fatto di man d'uomo, e compaginato abbastanza male dal
papa». Pasquino chiede di veder quest'ultimo: gran città, dove entrava
una folla di cattivi angeli, carichi di suppliche, petizioni, corone,
rosarj, cera da bolle, argento, oro, sigilli, immagini, scapulari,
pietre preziose; altri n'uscivano portando la pace, la guerra, i nembi,
il fulmine, la tempesta, e tutto ciò che gli uomini creduli amano e
temono. Una sola porta serve ai mortali, fatta di marmo grossolano, e
che ha per ornamenti la donazione di Costantino e i trofei dei papi,
quando umiliavano i re, e metteano il piede sulla testa degli
imperatori.
Il vecchio che la custodiva, udito che era Pasquino, nol volle ricevere,
dicendo che quello cielo non era fatto per buffoni e mimi.
La guida lo consolò, dicendogli conosceva una breccia, aperta da Lutero
e Zuinglio secondo i precetti di Paolo, per demolire questo cielo.
All'entrata sventolavano due bandiere, portanti detti evangelici: «Nel
silenzio e nella speranza sarà la vostra forza. — Venite a me voi che
soffrite e faticate, e v'ajuterò». Accostandosi al difficile accesso,
incontrano un vecchio, dalla barba lunga, sulla cui tunica eran ricamate
le lettere V. D. M. I. Æ. (_Verbum Dei manet in æternum_). Questi non
vuol lasciar entrare Pasquino se non l'esamina sulla fede. E gli
domanda: «Chi è il capo della Chiesa, Cristo o il papa?»
— Tutt'è due» risposi io.
— Dunque la Chiesa è bicipite, eh?
— No no, celiavo: non ebbe mai e non ha che un solo capo, Gesù Cristo;
chi gli mette sulle spalle anche quello del papa, ne fa una specie di
Cerbero».
Il vecchio lo bacia, e lo mena verso gli altri, chiamandolo fratello.
Colà trova Federico di Sassonia, eccellente principe che aperse tutte le
porte al Vangelo: Zuinglio, Capitone, Ecolampadio, altri Tedeschi, e
molti Svizzeri, alquanti Francesi abbastanza Italiani, e qualche
spagnuolo. Fra gli Italiani erano Gerolamo Galateo di Venezia, che
undici anni soffrì con costanza, e morì pel Vangelo nelle tenebre d'un
carcere. Vide anche uno spagnuolo, nobil cavaliere di Cesare, ma
cavaliere di Cristo ancor più nobile, Giovanni Valdes _vir summa
religione, fide, eruditione, qui Neapoli diem obiit supremum, egregiis
relictis ad hoc cœlum excidendum istrumentis_.
Continuando vede come le mura che difendevano quella città erano di
rosarj, tonsure, barbe, cingoli, sandali, pazienze, zoccoli, pesci, ova,
mitre, cere, bolle, il tutto cementato con olio e seta: e v'avea quattro
porte; la superstizione, l'ignoranza, l'ipocrisia, l'orgoglio. Ma tutto
era minato, senza che se n'accorgessero i monaci che custodivano.
Entrato, esamina il quartiere dove stavano monaci ed eremiti, de' quali
storpia beffardamente i nomi, poi le monache, poi i confessori, e i gran
dottori che faticavano a trasportar dal Vecchio e dal Nuovo Testamento
ciò che s'affaceva alla Chiesa loro, le decime, le mitre, gl'incensi, i
sacrifizj de' leviti, lasciando via le mogli col dir che la nuova legge
permette solo le concubine e peggio. Invece di evangelisti, scorge una
folla di dottori e redattori di decretali e bolle sull'infallibilità del
papa.
Quand'ebbe veduto questo ed altro, pregò il vecchio di ricondurlo
quaggiù; e credette inutile veder l'inferno, dacchè avea veduto il cielo
dei papi.
È principalmente all'occasione del conclave che la lingua di Pasquino
taglia e fende, valendosene amici e nemici a sostenere od abbattere i
varj candidati. Quelle satire riferendosi a fatti e persone
specialissime, han poco interesse dopo passatane l'occasione. La più
antica che si conservi, credo sia quella dopo la morte di Clemente VII
nel 1534.
_Dialogo fra Pasquino e san Pietro imprigionato
in Castel Sant'Angelo._
_Pasquino._ Or che par vero che Clemente è morto,
Sali fuora, buon Pietro, di prigione,
E va gridando al cielo e alle persone
Tutto il mal che t'ha fatto, e quanto torto.
Non star serrato più: prendi conforto,
Ch'ora per tutto si farà ragione,
E tal che infino a qui fatto ha il barone,
In sulle forche si vedrà di corto.
E via dice i più villani improperj contro Clemente «che ha spogliato la
Chiesa e 'l mondo e Cristo», e conchiude:
Pietro norma ti sia d'andar più saldo,
Che ne facci un miglior, non un ribaldo.
San Pietro gli domanda a chi
gli par senza peccato,
Che si potesse dar questo papato.
Farnese è attempato
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