Gli eretici d'Italia, vol. II - 11

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de' suoi sudditi, casa per casa, gli renda conto della sua fede,
eziandio le massaje, affine di poter vedere come progrediscono nella
religione; perchè dice esser certo, se non operasse così, avrebbe a
render ragione di tutte le anime de' suoi sudditi. Deh! fossero così
fatti tutti i signori e principi! Il Signore vi dia fede, e vi avanzi
nella sua cognizione, giacchè di continuo dobbiam pregare di crescere
nella fede».
A soli ventinove anni ella morì, e ad Eidelberga fu scritto sul suo
sepolcro: «A Dio immortale e alla virtù e memoria di Olimpia figlia di
Fulvio Morato, uom dottissimo, carissima moglie del medico Andrea
Grunthero, il cui ingegno e la singoiar cognizione delle due lingue, e
la probità de' costumi, e il sommo studio della pietà, sopra il comun
modo furono stimate. Il qual giudizio umano della vita sua la beata
morte, subìta santamente e pacatamente, confermò col testimonio divino.
Morì in suolo straniero l'anno 1555 della salute; dell'età sua XXIX. Qui
fu sepolta col marito e col fratello Emilio».
Celio Calcagnini, che grandemente lodava le traduzioni e orazioni della
Morata, ne pianse in versi la morte[86]. Sulla casa ch'era stata sua,
l'accademia di Eidelberga fece scrivere:
_Vilis et exilis domus hæc quamvis, habitatrix_
_Clara tamen, claram reddidit ac celebrem._
Delle opere sue una parte perì nell'incendio di Schweinfurt, tra cui
osservazioni sopra Omero, e dialoghi greci e latini. Le altre che, oltre
quarantotto lettere, sono tre discorsi sui paradossi di Cicerone,
dialoghi, orazioni latine e poesie greche, vennero raccolte da Celio
Curione, e stampate a Basilea[87], dedicandole a Elisabetta regina
d'Inghilterra nel 1558: subito esaurite, ristamparonsi nel 1562, poi di
nuovo nel 1570 e nel 1580 con aggiunte.

NOTE
[75] Vedi M. YOUNGH, _Aonio Paleario_, vol. I, 48.
[76] Nella Magliabechiana sono manoscritti (Classe VII, 346) dei versi
latini sopra la regina Margherita quando tornava in Francia.
_O patria, o arces, o dulcia tecta parentum,_
_Unde avus, unde pater, tres unde ex ordine fratres_
_Scepta tulere mei, mene o agnoscitis, arces?_
[77]
_Nam tot Ferraria vates_
_Quot ranas tellus ferrariensis habet._
BARTH. PAG. PRIGNANI.
[78] _Summæ pars_ I, Tit. VIII, c. II.
[79] Queste lodi deduciamo dal guascone Brantôme, poi dal Varillas, che
di quello esagera le iperbole, come un gazzettiere moderno.
[80] Peraltro Marot diceva:
_De lutheraniste ils m'ont donné le nom:_
_Que droit ce soit je reponds que non._
I salmi di Marot furono stampati coll'approvazione della Sorbona e della
facoltà teologica di Parigi, colla solita dichiarazione che non vi si
conteneva nulla di contrario alla Chiesa cattolica.
Fra le sue poesie n'ha una intitolata _A' suoi amici quando, lasciata la
regina di Navarra, fu ricevuto nella casa e stato di madama Renata
duchessa di Ferrara_.
_Mes amis, j'ay changé ma dame:_
_Une autre a dessus moy puissance,_
_Née deux fois, de nom et d'ame,_
_Enfant du roy par sa naissance:_
_Enfant du ciel par connoissance_
_De celuy qui la sauvera,_
_De sorte, quand l'autre saura_
_Comment je l'ay telte choisie,_
_Je suis bien sur qu'elle en aura_
_Plus d'aise que de jalousie._
Nell'ep. XLIX dice quel che ha imparato in Italia:
_Depuis un peu je parle sobrement,_
_Car ces Lombards avec qui je chemine_
_M'ont fort appris à faire bonne mine,_
_A un mot seul de Dieu ne deviser,_
_A parler peu, et à poltroniser._
[81] Una colonna in Aosta porta: _Hanc Calvini fuga erexit anno 1541:
religionis constantia reparavit 1741._
[82] _Lettere di Calvino_, Tom. I, p. 44, 34.
[83] Nella Biblioteca imperiale di Parigi, Cod. 8645, carte 56.
[84] Lettera del 10 maggio 1563. Nella biblioteca di Modena si conserva
un bel codicetto di preghiere della Renata, ov'essa è rappresentata
tutta vestita d'oro e con un velo pur d'oro in testa. Vedi _Mem. della
Deputaz. di Storia Patria di Modena_, Vol. II, 1864. Nel castello si
indica una cappella, fatta costruire da lei, con cornice e lastre di
marmo in giro, per modo che non si potesse mettervi statue o immagini.
[85] Lettere di Calvino raccolte da G. Bonnet. Parigi 1855, tom. II, p.
553.
[86] Sul Calcagnino caddero i soliti dubbj, come accennammo; ma Erasmo
gli facea congratulazioni pel suo lavoro sul libero arbitrio. _Libellus
tuus de libero arbitrio, mi Celi, usque adeo mihi placuit etc._: il qual
libro però dal Barotti suo biografo è attribuito al domenicano Vincenzo
Giaccari di Lugo, ad istanza del Calcagnini. Questi mostrossi sulle
prime favorevole al divorzio di Enrico VIII che ne lo interrogava, ma
consigliatosi con buoni cattolici, cangiò sentenza.
[87] _Olimpiæ Moratæ fœminæ doctissimæ ac plane divinæ opera omnia quæ
hactenus inveniri potuerunt cum eruditorum testimoniis et laudibus.
Quibus Cœlii Secundi selectæ epistolæ et orationes accesserunt._
Nell'epitafio della Morata, il Curione mescola Dei e Cristo.
_Qui sparsum violis humum, viator,_
_Panchæoque stupes odore passim_
_Fragrare omnia, jam benignus audi._
_Treis nosti Charites, novemque Musas_
_Scriptis precelebres vetustiorum:_
_Quei quantum est alibi venustioris_
_Artis vel lepidæ eruditionis,_
_Harum pectora nutriente Phœbo, flata_
_Illo, quem perhibet chorus sacrorum_
_Vatum de ætheriis plagis venire,_
_Consensu tribuunt pari poetæ._
_Hoc quam forte putas tegi sepulcro,_
_Musarum decima est, Charisque quarta._
_Hanc quod progenitam ferunt Olympo_
_Vatem, Pallas OLIMPIAM vocavit._
_At cur FULVIA nomen inditum illi est?_
_Fulvi scilicet hæc quod instar auri_
_Explorata malis laboriosis,_
_Et fatis agitata sæpe duris,_
_Auro purior attamen reperta est:_
_Seu fulvæ quod avis modo, beatos_
_Inter vivere cœlites sueta,_
_Terras liquerit ocyus jacentes._
_Quod vero ingenio valens sagaci_
_Raris dotibus ingeni puellas_
_Inter fulserit eruditione,_
_Castis prædita moribus bonisque,_
_MORATA est ideo vocata vulgo._
_Hanc Christus Dominus dedit videndam_
_Terris: at simul ac flagrare vidit_
_Hanc desiderio sui, repente_
_In cœlum rapuit, sibique junxit._
_Firmo fœdere connubi ligatam_
_Qui cum nunc placidam capit quietem_
_Consors perpetua beatitatis._
_At tu vive, vale diu, viator,_
_Virtutemque animo colas probato,_
_Quæ te sola potest beare cœlo._


DISCORSO XXVII.
PIETRO PAOLO VERGERIO VESCOVO DI CAPODISTRIA.

L'elettore palatino Federico il Saggio, appassionatissimo per le
reliquie, ne faceva incetta in ogni parte del mondo, e le riponeva in
capse e teche di legno, di vetro, d'ebano, ornate di pietre, d'argento,
d'oro. Uno degli incaricati di tale ricerca fu il monaco Burcardo barone
di Schenk, il quale poi dalle prediche di Lutero lasciossi indurre a
mutar fede. Per quella raccolta stando a Venezia, il 19 settembre 1520,
informava come varie opere di Lutero si fossero introdotte in quella
città, e il patriarca e il papa n'avessero proibita la vendita; poi al 5
aprile seguente aggiunge che, per ordine del papa, il patriarca
scomunicò per tutte le chiese Lutero e chi ne tenesse i libri.
Conobbe egli colà Pietro Paolo Vergerio o piuttosto Verzerio, giacchè la
sua famiglia portava nello stemma un cavolo (verza). La qual nobile
famiglia di Capodistria, un secolo prima, avea prodotto un famoso
erudito, vissuto alla Corte dei Carrara di Padova, de' quali celebrò le
glorie. Pietro Paolo ebbe fratelli Giacomo, Aurelio e Giovanni Battista,
che tutti salirono in rinomanza. Egli studiava a Padova, quando lo
Schenk l'indusse a recarsi nel Würtenberg a compire gli studj e portare
reliquie a quell'elettore, e lo raccomandò allo Spalatino, cappellano di
questo, «persuaso che sarebbe di grand'onore ed utile all'Università,
perchè di nobilissimo ingegno e memoria, e reputasi il migliore in
diritto e belle lettere fra i giovani dello studio di Padova». Col
fratello Giacomo si mosse egli in effetto, ma l'elettore, dacchè Lutero
predicava, erasi visto diminuire l'entrata che provenivagli dalle
indulgenze, onde si moderò nello spendere, e massime in reliquie; e non
potè anticipare denari al Vergerio pel viaggio. Questi pertanto rimase a
Padova; ma ciò l'avea fatto conoscere in Germania, e doveva influire sul
suo avvenire. Dottorato, fu in uffizj giuridici a Verona, a Padova, a
Venezia, poi andò a Roma, dove facea da segretario di Clemente VII suo
fratello Aurelio, che morì cavalier di Malta nel 1532.
Pietro Paolo si pose a servigio del cardinale Contarini, ed entrò nelle
grazie del papa, che lo destinò a succedere al Rangoni vescovo di Reggio
come legato a re Ferdinando di Germania. Scopo della legazione era
d'ottenere che, essendo le dottrine luterane condannate già da Leone X,
s'avesse ad applicare ogni mezzo per isvellerle; dar incoraggiamenti a
Faber, Eck, Cochleo, Nausea, e agli altri amici della religione
cattolica.
Il Vergerio in Germania ebbe buone accoglienze dall'imperatore, e ne fu
investito di qualche benefizio. Del tempo ch'egli stava colà molte
lettere conserva l'archivio Vaticano[88]. In una del 22 settembre 1533 a
Jacobo Salviati mostra come, per attendere al meglio della Chiesa,
importerebbe che la santa sede facesse almen tregua col Turco. E se mai
il proporla si trovasse men decoroso, esibisce entrare egli stesso in
Turchia, col pretesto di tornare per suoi affari in patria, donde,
conoscendo la lingua e non avendo dignità, potrebbe facilmente passare a
Costantinopoli, e colà trattare sottomano. E tanto più che aveva
benevolo il balio Alvise Gritti, del cui padre doge avea steso l'elogio.
In altre a monsignor Carnesecchi mostra quanto il re di Germania stesse
in apprensione pel congresso del papa col re di Francia a Marsiglia e
per quelle nozze. Ripete più volte le proteste «dell'ardentia sua di
servir con sincerissima fede, perchè ho lasciato la precedente mia vita
et industria per farlo fin alla morte, se bene non havessi premio e
favore mai, che lo haverò da Jesù Cristo, spero» (18 marzo 1534).
Più notevole è una sua lettera del 27 agosto 1534 al senato di Venezia,
ove dipinge il danno fatto dalla setta luterana non solo alla religione,
ma al quieto vivere della Germania, eccitando a sedizione e tumulto, e a
prendere l'armi contro i signori. Questi effetti si produssero con libri
scritti in latino, ma poi Martin Lutero si accorse quanto frutto
potrebbe fare «nelle maledette sue vie, scrivendo più presto con la
lingua comune della Germania». Non contenti, «hanno pensato diffondere
questo tossico di heresia e di sedition nella Italia». Perciò da un
frate veneziano che abita in Augusta fecero comporre in vulgare nostro
un libretto di forse cento carte in ottavo, col titolo _Correzion del
stato cristiano_, anno 1533, senza nome d'autore, nè luogo: «libro pieno
in sè di tutte le ribalderie, heresie, distruzion della nostra fede che
finora hanno saputo immaginar Luterani e tutta quell'altra feccia
d'uomini barbari che sono nemici e d'Italia e di Cristo». È facile
capire che è destinato all'Italia, e che vi recherà gran guasti fra i
nostri, essendo tale che «non potria esser peggiore e più pericoloso».
Pertanto avendo quel felicissimo dominio avuta sempre la gloria cogli
uomini e il merito con Dio di difender col proprio sangue l'onore e la
salute della santa fede, li supplica a guardarsi dai mali principj che
quel libro potrebbe diffondere; e impedire che tra le mercanzie ne sieno
portate delle balle.
Poi ai 30 dello stesso mese scrive al Carnesecchi avvertendolo che a
Trieste «pullulava molto bene il luteranismo, preso per il commertio
della Germania»; egli provvederà come può: e lo stesso re di Germania,
se è costretto dissimulare nelle terre dell'impero di Boemia, è poi
rigorosissimo nel suo patrimonio arciducale d'Austria, «e fa volentier
severa demostration contra quei maledetti, e contra Tergestini la farà
severissima». Soggiunge sapere come, «uscita da Trieste, questa peste è
attaccata molto bene a un castello nominato Piran, dove pubblicamente
alcuni ribaldi andavano contaminando gli animi delle semplici persone.
Monsignor, io conosco la natura del paese, perchè ivi è la mia patria.
Se tra quelle singolarità di intelletti penetra la setta luteristica; se
quel canton dell'Italia si ammorba, vostra signoria vedrà presto (_sed
Deus omen avertat_) tutte le circumvicine provincie e region infette e
corrotte». E però l'esorta a informarne il pontefice perchè osti ai
principj, e voglia infiammare i signori veneti a far provisione
severissima: egli stesso ne scriverà alla signoria. «Io so bene che
alcuni di quei scellerati di Pirano sono stati chiamati a Venezia per
questa causa, ma so eziandio che più severità vi si dovria usare che non
si usa. Monsignor, dico che nessuna cosa più importa ai nostri tempi che
questa: e se coloro se ne vanno impuniti, _actam est de tota Istria,
actum cum summo totius Italiæ periculo_».
Il Vergerio era tornato a Vienna d'ordine del nuovo papa onde lealmente
e incondizionatamente insistere perchè fosse radunato il Concilio[89]; e
al tempo stesso offerire a chi volesse la corona d'Inghilterra,
demeritata da Enrico VIII col farsi eretico. Ivi ebbe con Lutero un
colloquio, che frà Paolo Sarpi descrive con evidente retorica, facendo
dal legato esporre mille offerte e promesse del papa, e da Lutero
ricusarle con frasi da antico Romano. Ma il Seckendorf, infaticabile
cercatore di quanto glorifica il luteranismo, riferisce
quell'abboccamento senza veruna delle circostanze fantasticate da frà
Paolo, nè la pomposa diceria che questo mette in bocca a Lutero;
racconta solo che questo, la mattina, raccomandò al barbiere: «Radimi
bene, perchè devo parlar col nunzio papale, e voglio parergli più
giovane, e così crescergli la paura ch'io abbia a campare a lungo». Pure
al Vergerio egli sembrò deforme di faccia, d'abito, di gesti; che
parlasse latino sì male, da non creder di lui i libri col suo nome
pubblicati; lo giudica l'arroganza stessa, la malignità, l'impudenza, e
conchiude: «Gran fastidio, mi faceva l'udirlo, nè volli altro rispondere
se non due parolette per non sembrare un tronco».
Or va e credi al frate veneziano! Anche il Pallavicino nega affatto le
indecorose esibizioni; quel colloquio non esser più vero che i fatti
dell'Iliade; e gli contrappone il ragguaglio che il Vergerio ne scrisse
al segretario del papa, come d'un incontro accidentale, ove non si parlò
di nulla di serio. Noi siamo fortunati di poter produrre la relazione
originale che il Vergerio ne diresse al Recalcati da Dresda il 12
novembre 1535[90], e sebbene lunga, non ci parve bene accorciare:
Nelle ultime mie, che furono date in Hall a dì 4 del presente,
scrissi che io era per andar allo Elettor Brandeburghese; vi
sono stato, e ora la S. V. intenderà il successo di quella
parte di viaggio nella quale ci sarà alcuna cosa da avvertire,
intrandovi frà Martino Luthero, e quello che ho potuto operare
con quel Principe.
Da Hall fino a Berlin, che è la residenza di quello Elettore,
ci sono quindici leghe di cammino, il quale si ha a fare per la
maggior parte su li dominj del duca di Sassonia Elettor, dove è
tutto pieno di popoli eretici, e di peste (e mi mancava solo
questa sorte di pericolo ad averli avuti tutti in questo
viaggio); ma perchè era molto necessario alla impresa che
nondimeno io vi passassi, presi per consiglio di andarmene
appunto per Wittemberga, che è la sentina delle eresie, e
m'avvedeva, che se io andava per li villaggi, mi dovea esser
pericolo maggiore della peste e d'altro. Scrissi adunque al
locotenente del prefato duca Elettor, chè S. E., come ho già
scritto, non era in queste parti: che, se li piaceva, avrei
voluto passar per la sua terra. Monsignore, udite in che
reputazione questi principalissimi eretici hanno il nome di
papa Paolo. Quel locotenente ricevute le mie lettere mandò
alcuni de' suoi ad accompagnarmi, e comandamento alli osti dove
io dovea alloggiare, che non prendessero miei danari, che esso
li volea pagare in nome del signore. Poi quando fui per entrare
in Wittemberga, egli medesimo uscì ad incontrarme con una bella
compagnia, e smontò da cavallo con due altri gentilomini, e in
somma con tutti quelli atti di riverenza che facciano ad un
nunzio apostolico nei buoni tempi, e credo certo maggiori; mi
ricevettero e condussero ad alloggiar nel castello e nelle
stanze medesime del principe, dove vi stetti la notte: e la
mattina seguente, accompagnato dallo stesso locotenente per
quattro leghe continue, me n'andai a fare i fatti miei. In
questo modo sono stato trattato dalli maggiori inimici che
abbia mai avuto la sede apostolica; il che per molte cause dee
esser di grandissima speranza e consolazione a nostro signore,
e dico più che, essendo stati li ragionamenti di coloro spesse
fiate di Sua Santità e delle sue azioni, tutti molto la
commendavano, dicendo di aver speranza che questo è quello che
vorrà fare il tanto desiderato concilio; il quale è stato
fuggito, così diceano ogni tre parole, dalli altri pontefici, e
levar le pericolosissime dissensioni che sono nella fede di
Gesù Cristo. Questa è grande laude e felicità di sua
beatitudine che eziamdio tra costoro abbia tanto gran fama e
tanto grande espettazione d'opere sante. Ma monsignore, io ho
da scrivere qualche altra notabil cosa che mi occorse in quella
conversazione eretica.
Avendo io a partirmi da Wittemberga, mi era messo a tavola e
faceva colazione, e ecco entrare il locotenente (che tra
l'altre cortesie usava questa ch'egli medesimo mi serviva) con
Martino Lutero e con Pomerano, dicendo che, in assenza della
Corte del suo principe e d'altri dotti uomini che suoleno esser
in quella Università, allora transferita in Turingia per conto
della peste, egli non avea altri da farmi tener compagnia, la
cui lingua io avessi potuto ben intendere, e che io volessi
ascoltar quelli due, che essi aveano per savii uomini, tanto
che io mangiava.
Io non potei mostrarmi che consenziente, essendo dove io era, e
ascoltai frà Martino e quell'altro, tanto che durò la colazione
e che li miei signori andassero a montar a cavallo. Comincio
dalla etade, e di grazia prendete volentieri pazienza
d'intender quello che scriverò di costui.
Egli è di cinquant'anni poco più, ma robusto e forte, che non
pare di quaranta, di ciera assai grossa, ma la quale si forza
di tener morbida e delicata quanto può. Pronunziazione
mediocremente spedita e non molto aspra per tedesco, in lingua
latina parla tanto male, che mi pare di esser chiaro, che
alcuni libri che vanno attorno sotto il suo nome, e par che
abbino qualche odor di latinità e di eloquenza, non sono suoi,
e lo confessava egli medesimo che non suol scriver in latino,
ma che fa professione di saper ben dire nel suo volgar; così
dicea di se medesimo. Li occhi guerzi, li quali, monsignor,
quanto più io mirava, tanto più mi pareva di vederli appunto
simili a quelli che qualche volta io ho veduto di qualche uno
indicato ispiritato, così affogati, inconstanti, e con certo
come furor e rabbia che vi si vede per dentro. E veramente che
quanto più penso a quel che ho veduto e sentito in quel
monstro, e alla gran forza delle sue maladette operazioni, e
conjungendo quello che io so dalla sua natività, e di tutta la
passata vita, da persone che li erano intimi amici sino a quel
tempo che si fece frate, tanto più mi lascio vincere a credere,
che egli abbia qualche demonio adesso.
Usò questa sola civiltà, che, parlando in mia presenza, stava
con la berretta in mano, e disse eziandio qualche parola in
laude di nostro signore, di aver inteso che era savio e buono
fin quando egli fu a Roma, nel qual tempo (aggiunse la bestia
sorridendo) celebrai parecchie messe. E a dirne presto il mio
judicio, tratto dalla faccia, dall'abito, dai gesti, e dalle
parole, o sia ispiritato o non, egli è l'arroganza istessa, la
malignità e l'imprudenzia, che è una vergogna infinita di
questi scempi principi e altri che hanno governo di queste
terre, che non vedono chi è costui il quale hanno tolto per
maestro e per profeta. Vostra signoria giudichi anche essa
dall'abito; quel cervello incomposito era vestito di festa,
perchè era la domenica, con un giuppon che aveva il busto di
ciambellotto trito, e le maniche che stavano in mostra
ambiziosa di raso, veste di sargia fodrata di volpe, ma assai
corta, parecchi anelli, e al collo un grosso pendente d'oro; la
berretta poi in forma di prete. Diceva aver procreate con la
sua venerabil monaca due figlie femine e tre maschi, de' quali
uno è di dodici anni, e vanagloriava impudentemente di volerlo
lasciar dopo di sè grande uomo nella dottrina evangelica. Vive,
per quel che ho inteso e poteva io allora troppo ben
comprendere, con nessuna gravità e nessuna esemplarità di buoni
costumi, e non avendo altro al mondo che il stipendio del
principe per la sua lettura e per le prediche, e essendo di
animo incivile e villano, che suo padre fu vilissimo mercenario
nelle miniere di Coslaria, e la madre servitrice ad alcuni
bagni, che non si può dir cosa più infame, in una vita sordida
e abjetta.
La prima cosa che disse, quando venne avanti dove io mangiava,
vedendomi taciturno e volendo eccitar qualche ragionamento, fu
se in Italia io aveva inteso alcuna cosa della sua fama di
esser tedesco inbriaco; e notate un poco il senso di queste
parole arroganti e impudenti, le quali per certo dimostrano che
egli abbia fatto e faccia tutto ciò che fa per qualche suo
sdegno e per mera invidia e come per vendetta; anzi affermo
alla signoria vostra che tutto il suo parlar non spira altro
che questo, e che in quell'animal irrazional non ci è altro che
furor e insano appetito di poter confonder tutta la fede di
Gesù Cristo e tutto il mondo se potesse.
Se avrò a venir alla presenza di nostro signore con la relazion
delle operazioni mie, dirò di molte sue parole piene di qualche
significazion importante, che sono quelle che precipuamente me
lo hanno fatto parer tanto impudente; o non avendo a venir, le
scriverò di Vienna; ma questa non è ora da differire. Disse che
il re d'Inghilterra gli avea mandato novamente un suo dottore,
e lo chiamava segretario di quella maestà, nè mi espresse
altro, nè potei io interrogar più oltre, e avrei creduto che
forse l'avesse detto per jattanza ad alcun suo effetto, ma lo
intesi poi da altri ch'era vero. Io mi forzai di buttar alcune
parole per farli dire il suo giudicio sopra l'operazion di quel
re, ma egli in questa cosa sola stette sopra di sè in rispetto,
nè si lasciava intendere, io pur urgea, e dissi: E come laudi
ciò che egli ha fatto novamente contro quelli due santi uomini?
Non so, rispose egli. Ma ritornando a quel che ho detto di quel
dottor anglico, è molto da advertire che quel re, avendo
risaputo l'animo di nostro signore e essendo tanto ricco di
denari com'è, avrà mandato colui, e ne manderà delli altri ad
instigar li principi e Stati di questa setta, li quali, avendo
di cotesta sede odio tanto intestino, come hanno, e accedendo
ora a concitargli compiutamente il stimolo di tanto oro, quanto
in un tal caso è da creder che il re vorrà e potrà profunder, e
essendo essi di natura assai corruttibili e cupidi di cose
nove, e forse poco amici molti di loro all'imperator medesimo,
potriano fare in un tratto qualche grande e pericoloso moto.
Replico quella mia debole opinione, la qual già scrissi, che
molto più opportunamente si potria metter in ordine nel futuro
concilio una espedizion contro di lui, nel qual tempo saria da
sperar, che usandosi buoni pratiche, una buona parte di costoro
si potesse tirar ad esser con la sede apostolica, dove
volendosi fare adesso, la maggior parte le saria contro
ansiamente. E notate un poco che a me pare di comprendere, che
questi intelletti fatti alla rovescia interpretino in questo
modo ciò che fa ora sua santità. Questo papa, che ha in animo
di voler estirpar l'eresie con viva forza e con arme, non vuol
principiar dalla Germania, per qualche suo rispetto; ma cerca
di concitar li principi cristiani a far la guerra contro il re
d'Anglia, prendendo occasion dalla morte del cardinal Roffense.
E per non aver in ciò disturbo dall'Alemagna, che ha cominciato
prima a tener molte delle opinioni che tiene ora quel re, la va
nutrendo in speranza e pratica di concilio, contro la quale
faria poi ciò che potesse, quando per avventura avesse avuto
felicità di debellar, ovvero riunirsi Inghilterra. E dicono che
quel tristo di frà Martino m'ha detto delle parole che hanno
tutto questo sentimento: per la qual cosa è da dubitare molto,
che questi miei Tedeschi, fin che penseranno una tal cosa con
li loro sospettosissimi ingegni, e che la festa di Anglia
potria esser la loro vigilia, non faccino ora tutto quello che
ponno, ch'è molto più ch'altri non crede, parte pubblicamente,
parte con pratiche occulte per defension di colui. E se dalli
conati loro non avrà poi a riuscir altro, almeno potranno
interturbare che non si faccia adesso concilio, tale che abbia
quieta esecuzion sopra di loro: la qual saria grande infelicità
del pontificato di cotesto santissimo pastore. Del qual
Concilio, che per certo abbia ad esser fruttuoso e con
grandissimo onore di Dio e di papa Paolo III in sempiterno, io
ne ho più speranza che mai io abbia avuto, e per l'inclinazione
che io vedo in questi principi, e avendo conosciuto d'appresso
chi è questo Martino Lutero, quanto senza nervo e senza
giudicio quanto una bestia: e voglio vaticinar che con la sola
indizione, la qual presto faccia nostro signore, e sarà quella
che farà creder compiutamente li principi e li popoli che si fa
daddovero, l'audacia di colui e la insania rimanerà fratta e
debilitata, e di tutti li suoi seguaci insensati: così come
all'incontro ella se corroborerà e crescerà in infinito se il
Concilio per qual causa si voglia s'andasse differendo, per
questa ragion sola che disseminariano che il papa non ha ardire
di farlo: e questo è stato il loro Achille, da alcuni anni in
qua, a commovere il volgo sapendo di non poter difender le cose
sue.
Vi ho fatto menzione di Pomerano e non detto altro di lui. Egli
è uno de' primi della sinagoga, parroco di Wittemberg, e quello
che impone la mano e ordina sacerdoti in tutta quella setta, e
me lo diceva egli medesimo di averne questa autorità, data da
frà Martino e da quelli altri dell'accademia, e nelle
ordinazioni servare il modo tradito da santo Paulo. Alle quali
parole avendo veduto Lutero ch'io sorrideva, disse quasi con
impeto. _Nos cogimur ita facere; et ordinantur viri qui sunt
communiter approbati._ E io lo domandai quello che voleva
inferire dicendo _cogimur facere_, se forse questo, che sanno
ben di far cosa assurda, e che Pomerano non può aver quella
autorità data da loro. Rispose che, essendo sprezzati dalli
nostri santissimi (così diceva, episcopi) li quali non voleano
nè ordinarli nè ascoltarli, erano costretti a proveder al fatto
e alle anime loro, e col consenso di molti buoni dar la potestà
ad uno di essi che supplisca in loco di episcopo. Veda
vossignoria che prudenti uomini son questi, e avverta in questa
risposta, prima alla gran loro pazzia di dire di dar tale
autorità de _imponendis manibus_, e in un tratto confessar di
non poterla dare; dappoi, che a voler saper che opinioni
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