Gli eretici d'Italia, vol. II - 02

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bassa, Francia, Aragona, Castiglia, Andalusia, Indie, Etiopia, Brasile,
e tre di lingua italiana; cioè la siciliana, l'italiana propriamente
detta che comprendeva l'alta Italia, e la romana, immediatamente
sottoposta al generale col collegio romano e col germanico, in cui si
educavano ventiquattro Tedeschi alle dignità e fatiche ecclesiastiche, e
con case per professi e novizj, e v'apparteneva anche Napoli. Claudio di
Jay va ad estirpare da Brescia la pullutante eresia; dove Francesco
Strada cento e più giovani guadagna a Dio; e a Ghedi, ove si toglieano
in burla i predicatori, egli, col lasciare via i fioretti e la retorica,
e col venire alle strette, ottiene copiosissimi frutti, come nella
restante terraferma veneta. A Ferrara il duca e il popolo del pari gli
ammirano e seguono. A Macerata festeggiandosi con isfrenata profanità il
carnevale, alcuni Padri esposero il Sacramento, con preci ed istruzioni
tali, che il popolo per assistervi abbandonò balli e maschere, e ne
cominciò una devozione, che molto propagossi. Nimistà secolari sono
spente in Faenza, e fatte gran conversioni, a malgrado dell'Ochino. Il
Bobadilla rabbonaccia le furenti nimicizie dell'isola d'Ischia: il
Lefevre apostola Parma; il Brouet riforma uno scandaloso monastero a
Siena: il padre Silvestro Landini apostola la patria Lunigiana, la
Garfagnana, il Lucchese, Spoleto, Modena, Reggio, dove trovava molto
esteso il luteranismo, e «ammorbatine persino de' sacerdoti, e
professarlo dove più e dove meno alla scoperta» (BARTOLI); rabbonaccia
molte ire, principalmente a Correggio e in Garfagnana; poi passa a
disciplinare la difficile Corsica e la selvaggia Capraja.
Fra gli Italiani ascritti pei primi a quella società ricorderemo
Bernardino Realino di Carpi, caro alle Corti per bei modi, ai dotti per
sapienza filologica e legale, al pubblico pel disprezzo degli onori e
per pazienza, dolcezza e carità. Paolo da Camerino e Antonio Criminale
apersero alla fede la Cina e l'Indie dove poi tanto si segnalarono il
Nobili e il Ricci; e dove compironsi i fasti più insigni dei Gesuiti e
un de' principali pretesti alla loro soppressione nella colonia del
Paraguai, tana di antropofagi ch'essi convertirono in un paesaggio da
idillio, governato con quanto di più giocondo immaginarono i socialisti
moderni.
Benedetto Palmia convertì molti studenti a Padova, fra cui tre fratelli
Gagliardi e Antonio Possevino, divenuti luminari della Chiesa. Achille
Gagliardi, già più che sessagenario facea sin tre prediche al giorno;
tutto zelo e abilità nel dirigere la gioventù nei collegi di Milano,
Torino, Venezia, Brescia, e lasciò opere spirituali che vorrebbero
mettersi a fianco dell'_Imitazione di Cristo_.
Francesco Adorno genovese fu primo rettore del collegio di Milano,
provinciale di Lombardia e direttore spirituale di san Carlo, che tanto
operò ad introdurre questi cherici in Lombardia. Il padre Acquaviva,
dell'insigne famiglia dei duchi di Atri, generale de' Gesuiti per
trentaquattro anni, molte cose scrisse intorno alla sua Compagnia e alla
religione, e a lui si attribuiscono i _Monita secreta_, librettaccio
riconosciuto falso persino dal Gioberti, eppure riprodotto oggi
pomposamente, ad insulto del buon senso. Luigi, figlio del prode don
Ferrante Gonzaga di Castiglione delle Stiviere, lasciò la reggia per
entrare nella Compagnia, e nella brevissima vita si rese modello
d'interiore perfezione non meno che di carità nel soccorrere i poveri e
gli infermi. Il suo direttore spirituale Girolamo Piatti milanese,
attirò molti alla vita ascetica coll'esempio e coll'_Ottimo stato di
vita del religioso_.
Istituiti pel popolo, presto divennero i favoriti delle classi elevate.
In Sicilia il vicerè di Vega gli ajuta ad aprire la prima casa di
novizj: il padre Domenecchi gl'introduce a Messina, poi a Palermo, ove
presto ottengono l'Università: il valtellinese Pietro Venosta, spedito
da sant'Ignazio a missionare in quell'isola, vi è ammazzato nel 1564. A
Montepulciano Francesco Serda traeva persone d'alto posto a mendicare
seco; egli bussava alle porte, essi riceveano le offerte. Il padre
Alfonso Salmeron a Napoli predicava per le piazze; nelle pubbliche e
private librerie cercava i libri empj da bruciare: e appena egli v'ebbe
condotto i Gesuiti, Ettore Pignatelli duca di Monteleone assegnò loro
una casa nel vicolo del Gigante, ove allevavano giovani nel
cattolicismo: poi nel 1557 comprarono la casa del conte di Maddaloni;
indi ebbero il famoso collegio, pel quale il solo principe della Rocca
spese ventimila ducati. Il doge di Venezia chiese due Gesuiti ad
Ignazio, fra i quali il Laynez che, divenuto generale, spiegava il
vangelo di san Giovanni pei nobili, e predicava ai tanti eretici
chiamativi dal commercio. Alloggiava nello spedale di San Giovanni e
Paolo, ma tanti doni vi affluivano, ch'egli protestò dal pulpito non ne
riceverebbe più. Poi il priore Lippomani provvide colà d'una casa i
Gesuiti, che n'ebbero pure a Padova, a Belluno, a Verona.
Se Ignazio non era meglio che un ignorante entusiasta, come alcuno
vuole, cresce la meraviglia che fondasse una Compagnia di accorgimenti
proverbialmente sottili, e che più d'ogni altra rivelò quanta potenza
morale acquisti un'associazione robusta in una società che si
sfascia[14].
Le costituzioni de' Gesuiti portano i tre voti consueti: ma alla povertà
si obbliga il privato, mentre i collegi e i noviziati ponno possedere
onesta agiatezza. Non legavansi ai voti prima dei trent'anni, con lungo
e scabroso noviziato prevenendo le incaute professioni e i tardivi
pentimenti. Non che isolarsi, vivono in mezzo alla società, pur senza
mescolarvisi; non hanno chiostri ma collegi ben fabbricati; abito
ecclesiastico, non monacale, e che possono mutare con quello del paese
ove dimorano; vita tutta di opere reali, efficienti, avendo per ogni
condizione un posto, per ogni capacità una destinazione. Ciascuna
provincia aveva un luogotenente e gradazione di cariche, dipendenti dal
generale, che, a differenza degli Ordini monastici, era perpetuo, sedeva
nella capitale del mondo cristiano: conosceva ciascuno per le relazioni
trasmessegli dai capi; vegliava sull'amministrazione de' beni, e
disponeva de' talenti e delle volontà. Acciocchè l'obbedienza fosse più
intera, aveano divieto di chiedere dignità, anzi da principio asteneansi
da qualunque impiego permanente. La Riforma avea tolto a pretesto
l'ignoranza e la corruttela del clero? ed essi mostransi studiosi, e
d'una costumatezza che i maggiori avversarj non poterono se non dire
ipocrisia. Si sono paganizzati i costumi e la disciplina? essi gli
emendano cogli spedienti migliori, cioè l'esempio e l'educazione. L'alto
insegnamento è negletto? essi se ne impadroniscono. Piaciono le
rappresentazioni? ed essi ne danno di sacre. È tacciato di venalità e
ingordigia il clero? ed essi insegnano gratuitamente, gratuitamente si
prestano alla cura delle anime; moltiplicano scuole pei poveri,
esercitano la predicazione, e ne colgono mirabili frutti, sino a portare
all'entusiasmo della devozione. Il secolo tende alla disunione? questa
società si rinserra in modo, da parere un uomo solo. Il secolo assale la
Chiesa nel suo capo? essi se ne fanno l'antemurale, i gianizzeri come si
disse allora, i granatieri come diceva Federico di Prussia. Obbediscono
incondizionatamente ad ogni accenno di lui: Caldeggiano a propugnarne
l'autorità, non la temporale scassinata, ma quella che poneva Roma alla
testa dell'incivilimento; a restituire, oltre l'apostolato del diritto,
anche quello dell'azione, cioè della scienza e della pietà.
Quando il pensiero si rivoltava contro ogni restrizione, quando
scrollavasi ogni autorità, Ignazio organizza la cieca obbedienza, la
sommessione dell'intelletto e della volontà a un capo, il quale invierà
il figliuolo del principe a mendicare, il grand'erudito a insegnare
l'abicì, l'eloquente oratore a convertire selvaggi.
È il tempo delle grandi scoperte, ed essi gettansi ad apostolare i
Barbari nelle missioni, convertono la Cina e l'America, il Giappone e
l'India. È il tempo degli studj, ed essi ne fecondano il fiore; in ogni
ramo dello scibile si collocano fra i primi dotti, e i letterati
d'allora hanno una voce sola per magnificarne le scuole. È il tempo
delle controversie, ed essi le accettano, e liberi pensanti e scopritori
di nuove verità, fondano sistemi filosofici e teologici, che possono
combattersi, non trascurarsi nella storia della scienza; e combattono i
Protestanti con ogni modo, eccetto la violenza; avendo anzi impetrato il
privilegio d'assolvere gli eretici dalle pene corporali.
Dapertutto erano cerchi a maestri, a predicatori, e massime a direttori
spirituali. Non stitichezze nel confessare, non vulgarità nel predicare,
non rigorosa disciplina che maceri un corpo destinato a servigio del
prossimo; non istancar i giovani, nè prolungarne l'applicazione più che
due ore, e ricrearli in villeggiature ed esercizj ginnastici; officiosi,
affabili, l'uno all'altro coadiuvanti, scevri da ogni personale
interesse a segno, che vennero imputati d'affievolire gli affetti
domestici.
Non v'è forte pensatore che i meriti de' Gesuiti non confessasse; non
v'è cianciero da caffè che non vi lanciasse accuse, sicuro d'essere
creduto, come l'accertava due secoli fa il maggiore scettico[15], e come
ne diè prova fino il secol nostro ove la sistematica miscredenza portò
la tolleranza, e che la ricusa solo a costoro, e a chi osasse non
rivomitar contr'essi il vomito antico.
E per vero una società che proponeasi inculcare il sentimento e dare
l'esempio dell'unità, che annichilava la propria dinanzi alla volontà
superiore, sommetteva la propria ragione al decreto altrui, urtava
talmente gli istinti orgogliosi e l'irruente fiducia dell'uomo in se
stesso, che non è meraviglia se fu segno d'inestinguibil odio, e se ad
ogni lampo di libertà tenne dietro un fulmine su di essa. La podestà
secolare poi armavasi allora per reprimere lo spirito di rivolta, e Casa
d'Austria, costituitasi guardiana e restitutrice dell'ordine, arrestava
il torrente rivoluzionario; onde i novatori nell'avversione a questa
confusero i Gesuiti, che ne pareano o istigatori o stromenti. Ma la
storia vive d'indipendenza e di libertà; se esecra i persecutori forti,
peggio ancora i persecutori pusilli; e pronta a lodare le virtù perchè
non disposta a dissimulare i vizj, non può adagiarsi in beffe e
leggerezze nel giudicare quest'associazione, fusa e robusta come
l'acciajo, in mezzo alle moltitudini che perdevano ogn'altra coesione
fuor quella de' Governi; questa milizia che, dovendo offrire il perfetto
contrapposto del protestantismo, professava obbedienza e venerazione al
pontefice, unità, organamento; questa milizia che, quando ogni stabilità
è scossa dal calcolo, dall'interesse, dal dubbio, lasciasi distruggere
piuttosto che cangiarsi, e morrà esclamando, _Aut sint ut sunt_, _aut
non sint_.
Quanto ai punti allora disputati, i Gesuiti stavano per la maggior
libertà dell'uomo; Dio non vuol niente per noi senza di noi; volle tutto
per gli uomini e per mezzo degli uomini. Di qui la loro speciale
tendenza ad educare ancor più le volontà che gl'intelletti.
Propensi alla democrazia come tutti i teologi cattolici, e derivando il
potere principesco dal popolo[16], furono tacciati di insinuare odio ai
tiranni, e scolpare il regicidio; eppure la prima conseguenza della loro
distruzione fu un regicidio legale. Ma neppure la distruzione ammorzò
l'odio contro della Compagnia; e mentre gli antichi avversarj ne
intaccavano l'istituzione, i moderni ebbero parole eloquentissime affine
di esaltarla, e vantarne come i meriti intrinseci così gli effetti, per
soggiungere che n'erano traviati. E ancora mette i brividi di paura
perfino nel suo sepolcro, come allorquando, armata di gioventù e di
abnegazione, identificando l'utile del genere umano col trionfo della
Santa Sede, offrivasi per la giornata campale ai pontefici, i quali, se
fino allora erano indietreggiati davanti alla Riforma, allora voltarono
faccia e ripigliarono l'attacco[17].

Erasi dunque in via d'una riforma, diversa da quella de' Protestanti, in
nome dell'autorità, opponendosi all'individualità di opinioni e di
morale, quand'anche l'individuo fosse il papa, soggetto esso pure a
debolezza. Nella Chiesa il principio era santo, s'anche pervertiti i
ministri, ond'essa galleggiava nel naufragio di questi, e sentiva in se
stessa la forza di rigenerarsi. I Protestanti intaccavano il principio
stesso, quasi avesse usurpato i diritti della parola scritta di Dio; ed
eccolo invece attestare la propria vitalità; e senza accordo, e prima
del Concilio, e non per opera del capo della Chiesa nè tampoco dei
vescovi, uomini privati e ignoti restringersi attorno al gran dogma
dell'autorità ch'è vita della Chiesa, e questa utilizzar quale
riformatrice delle genti civili, com'era stata dirozzatrice delle
barbare.
Questi riformatori non si ascondono nel deserto come i primi anacoreti;
non si approfondano nella povertà come i Francescani, ma gettansi nel
mondo, fra la società colta e gaudente, pure accorrendo a Roma a
chiederne l'ispiramento e la sanzione; proclamando così i due grandi
canoni della visibilità della Chiesa e della sua autorità.
Varj i mezzi di organamento, tutti però aspirano alla riforma, e con
concetti opposti a quelli de' Protestanti; tutti alla santità del
principio religioso e sociale congiungono quello della peccabilità
dell'uomo. Disputino i teologi se le opere sien necessarie o no alla
salute: intanto essi operano, e più della contenzione irritante adoprano
la carità pacificante. Di tal guisa la fede veniva suscitata dalla
parola, avvivata dalle opere, e non cercavasi soltanto di formare
consorzj che leggessero la Bibbia, ma che imitassero Cristo e
acquistassero lo zelo e l'abnegazione, che sono necessarj alla salute
propria e a quella del prossimo.

NOTE
[1] NICERON, _Mêm._ tom. XXI, p. 115.
[2] SPONDANO, _Ann. ad_ 1543.
[3] Vedi _Consilium delectorum cardinalium et aliorum prælatorum de
emendanda Ecclesia: S. D. N. D. Paulo III ipso jubente conscriptum et
exibitum 1538_. Nelle riforme proposte dicesi pure: _Solent in scholis_
Colloquia Erasmi, _in quibus multa sunt quæ rudes informant ad
impietatem_.
[4] G. CONTARINI _Epistolæ duæ ad Paulum III_. Coloniæ 1538, p. 62.
[5] _Injustæ secessionis ab ecclesiæ romanæ sinu jam damnati...
sectarii, lutherani præsertim... ad ovile Christi revocantur._ Roma
1750.
[6] _Imago optimi sapientisque pontificis in gestis Pauli III expressa._
Brescia 1743. Quel sozzo di Gregorio Leti, nella edizione del conclave
di Giulio III, dice: «Al governo di Paolo III non fu altro apposto che
il soverchio amore che portò al duca Pier Luigi, e dicesi che la morte
sua fu causata dal grandissimo dispiacere ch'ebbe della crudel morte di
detto Pier Luigi».
[7] Oltre gli storici e i polemici, appare da questo sonetto satirico,
che trovammo fra carte di quel tempo:
L'aquila altera, valorosa e magna
Minaccia al Gallo fiamma, sangue e guerra:
Al che concorso è il gran re d'Inghilterra,
Gran parte dell'Italia e tutta Spagna.
Fassi la gran dieta in Alemagna
Per porre il papa, i preti e i frati in terra.
Marco nelle sue terre genti serra
Perchè non fa per lui star in campagna.
Fansi leghe secrete, e pur si sanno:
E tal nol crede che n'udirà 'l duolo.
Al Turco il re di Persia dà il malanno.
E or tant'alto è dell'aquila il volo
Che, non potendo il Sol farle alcun danno,
Dominerà dall'uno all'altro polo.
Far cerca il papa nolo
Con molti, acciò 'l Concilio non si fia.
Marco sta in fantasia
Di dar soccorso al quasi arido giglio,
Che teme pur dell'aquila l'artiglio.
[8] Relazioni degli ambasciatori veneti, pag. 318.
[9] Per Paolo III, Alessandro Cesari detto il Grechetto fece una
medaglia, vedendo la quale, Michelangelo dichiarò non esser possibile
che l'arte andasse più innanzi. Sul rovescio aveva un Alessandro Magno,
che s'inchina al sacerdote di Gerusalemme.
[10] Or ora spiegheremo questo aggettivo.
[11] _Lettere_, lib. II, c. 9.
[12] _Lettere_, lib. IV, c. 71.
[13] BULCEUS, _hist. Universitatis Parisiensis_, t. VI. Anche più tardi
l'insigne Melchior Cano cercava far proibire quel libro.
[14] Il trigramma IHS, che si imprime sugli azimi sacrosanti, ha questa
particolarità d'esser formata dalle lettere greche I, H e della latina
S. Nelle monete di Giovanni Zemisce, che prima lo pose senza l'immagine
imperiale, è segnato I C: in quelle di Giustiniano Rinotmeta IHS XC: in
quelle di Romano IV, IhS XRS, già mescolatavi la S latina. L'immagine
del Crocifisso fu aggiunta da papa Onorio III nel 1222.
Vedi FR. VETTORI, _De vetustate et forma monogrammatis nominis Jesu_.
Roma 1747. RATMAYER, _De oblatis quæ hostiæ vocari solent_. Amsterdam
1757. QUARANTA, _Di un sileno in bronzo ecc._ nel rendiconto della R.
Accademia di Archeologia di Napoli, 1864, p. 191.
Non fu dunque invenzione di sant'Ignazio o de' Gesuiti: e già a' suoi
tempi san Bernardino da Siena lo fece imprimer sopra tabelle, ed esporre
alla venerazione; e il popolo vi pose tanto affetto, che per esso
distruggeva le carte da giuoco. Le solite contrarietà incontrò questa
nuova devozione; il santo fu tacciato d'eresia e di connivenza coi
Fraticelli, allora diffusi; fu citato ai tribunali ecclesiastici, onde
papa Martino V lo chiamò a Roma, ma compresane la santità, lodò quella
devozione. Ripetute le accuse sotto Eugenio IV, n'ebbe nuove lodi.
San Bernardino introdusse anche di segnare con quel monogramma le case,
onde preservarle dalla peste, ed è ricordata la solennità con cui lo
fece porre sulla facciata di Santa Croce a Firenze nel 1437.
Di ciò si sovvenne taluno quando il cholera minacciava Modena nel 1836,
e insinuò d'imitarlo. In fatti, con una premura pari allo spavento,
tutte le case si videro segnate del devoto monogramma, e alcune lo
perpetuarono in pietra. Venuti i sovvertimenti del 1859, volendosi in
ogni modo denigrare le condizioni di quella pia città, si spacciò che
quasi tutta essa apparteneva ai Gesuiti: così vero, che l'emblema di
questi vedeasi su tante case!
[15] _On n'a qu'à publier hardiment tout ce qu'on voudra contre les
Jésuites, on peut s'assurer qu'on en persuadera une infinité de gens._
BAYLE, _in Lojola_.
[16] La teoria di san Tommaso, che deriva il potere pubblico dal popolo,
cioè dal comune perfetto, fu sostenuta testè dal padre Ventura _Del
potere politico cristiano_.
[17] Si volle trovar molte somiglianze fra sant'Ignazio e Nicolò
Paccanari. Questo conciapelli di Trento andò soldato a Roma, dove udita
una predica, si diè tutto a vita penitente, e ritiratosi alla Madonna di
Loreto, ivi stese regole pei compagni che Dio gli desse: opera che parve
prodigiosa, essendo egli affatto illetterato. Presto trovò compagni, che
si dissero della Fede di Gesù: ma formatasi allora la repubblica romana,
e cominciata, come sempre, dalle persecuzioni (1798), furono chiusi in
Castel Sant'Angelo, poi sbanditi. Il Paccanari, che intitolavasi
«superior generale della società della Fede di Gesù», si rifuggì a
Vienna, dove gli si unirono varj Gesuiti, essendo quell'Ordine
considerato come un risorgimento della Compagnia di Gesù; passò quindi
in Ungheria, assistito principalmente dall'arciduchessa Marianna
d'Austria. All'elezione di Pio VII venne a Roma con essa, che gli comprò
casa, ove introdusse l'educazione de' giovani coi metodi gesuitici;
mentre altre s'aprivano a Padova, a Spoleto, nel Vallese, in Francia, in
Germania. Dipinti come Gesuiti, furono espulsi dalla Francia: poi
quando, nel 1814, Pio VII ripristinò la Compagnia di Gesù, ecclissavansi
affatto i Paccanaristi, che parte entrarono in quella. Si crede che il
Paccanari, insuperbito del prosperar del suo Ordine, nel quale appariva
una scienza ed esemplarità che egli non aveva, finisse male, ma non si
sa dove nè come.


DISCORSO XXII.
GIULIO III. MARCELLO II. PAOLO IV.

Morto Paolo III. settantacinque giorni durarono nel conclave
l'arruffamento tra la fazione imperiale e la francese, e le promesse e
transazioni, finchè Giammaria Ciocchi dal Monte, già passato per le
maggiori e più scabrose dignità, ottenne la tiara col nome di Giulio III
(1551). Egli mandò Girolamo Franchi agli Svizzeri annunziando di aver
assunto quel nome in onor di Giulio II ad essi tanto caro; volere una
guardia di loro alla sua persona e a Bologna, e sollecitavali ad inviare
i loro prelati alla seconda sessione del Concilio di Trento.
Poco si tardò a comprendere com'egli fosse uno di que' molti, che pajono
degni del primo luogo sol finchè stanno nel secondo. Dalla lodatissima
capacità e coraggiosa operosità cascò nell'infingardaggine; e
abbandonati gli affari al cardinale Crescenzio, sciupava tempo, denari e
convenienza in una deliziosa vigna fuor di porta Flaminia, rimasta
proverbiale. Di lui non è male che non dica il Bayle, dietro allo
Sleidan, al Tuano, al Bullinger, a Crespin, ad Erasto: che a forza di
denari mandasse a monte l'elezione, già fattasi del cardinale Polo a
papa; che bestemmiasse senza dignità; ma anche il Pallavicino confessa
che i vizj di esso comparivano maggiori che le virtù, sebbene in
apparenza più che in realtà. Fece prodigalità ai parenti, e li pareggiò
ai più antichi signori, essi di cui jeri ignoravasi il nome: avendogli
la resistenza de' cardinali impedito investirli di feudo papale, vi
ottenne dal duca di Firenze la signoria del Montesansovino; diede titoli
e cappelli rossi ad altri; Camerino in governo a vita a Balduino suo
fratello: al costui figlio Giambattista il titolo di gonfaloniere della
Chiesa, e Novara e Civita di Penna in signoria. La costui moglie
donn'Ersilia lussureggiava di tal fasto, che la duchessa di Parma figlia
dell'imperatore penava a ottenerne udienza. A un pitocchetto raccolto, e
che lo spassava giocolando con un bertuccione, Giulio pose tal amore,
che il fece adottare da suo fratello, lo colmò di benefizj, e per quanto
zotico fosse, e i prelati vi repugnassero. lo ornò della porpora: ma il
mal allevato riuscì alla peggio, e finì per le prigioni.
Ottavio Farnese, per assicurarsi il dominio di Parma che la santa sede
ridomandava, si era messo a protezione della Francia, la quale amò
sempre mantener l'agitazione in Italia, appoggiando o le città che
voleano farsi libere, o i principi che voleano ingrossare; e se non
altro, vi cercava posizioni strategiche. Anche allora mandò guarnigione
a Parma: di che corrucciato, il papa minacciava di togliere al re
l'obbedienza de' sudditi; ma questo rispondeva come chi si sente
maggiore di forze, facendo presentire che, come altra volta gli
Imperiali, così adesso i Francesi potrebbero scendere a saccheggiare
Roma; e spargeva nel suo paese l'idea d'un Concilio nazionale[18].
Nè venerato, nè amato passò Giulio[19], e gli fu surrogato Marcello dei
Cervini da Montepulciano, un de' prelati più pii e insieme più dotti
(1555). Marcello II, com'egli si titolò, voltosi con ardore alla
riforma, escluse il vasellame d'oro dalla tavola pontifizia, e lo mandò
alla zecca pei bisogni pubblici; la guardia svizzera giudicava
sconveniente al vicario di Cristo, che col segno della croce si difende
meglio che coll'armi; tenne discosti i nipoti; per non lentare la
disciplina degli ecclesiastici voleva a soli laici affidare la politica
amministrazione. Ma queste ed altre rimasero nello stato di mere
intenzioni, perchè dopo pochi giorni moriva.
Fra i grandi e sant'uomini che illustravano la Chiesa d'allora,
risplende Girolamo Seriprando, gentiluomo napoletano, poi generale degli
Agostiniani; alto filosofo, perfetto teologo, istrutto nelle più varie
discipline e in molte lingue, di costumi soavissimi, di vita esemplare:
da Giulio III fatto arcivescovo di Salerno, poi da Pio IV cardinale e
legato al Concilio di Trento, ove morì nel 1563. A Baccio Martelli
vescovo di Fiesole scriveva egli come non avrebbe mai creduto che il
Cervini potesse divenir papa, «perchè tutti i modi suoi e tutta quella
strada per la quale camminava sì ostinatamente, gli pareva contraria a
quella per la quale si suol giungere al papato...... essendo costante
ne' buoni propositi e inflessibile dalla strettissima e severissima
semita della giustizia e bontà». Allora dunque che lo vide eletto papa,
«Cominciai (dice) a pensare la grandezza di Dio, la quale fa fare agli
uomini molte volte quel ch'essi non vorrebbero, e, secondo il discorso
umano, non dovrebbero fare. E quando da senno in simili azioni si
chiamasse lo Spirito Santo, sempre succederebbe così.... Quanto al
benefizio pubblico della Chiesa e alla riforma, io certo me ne
prometteva assai, ma temeva ancora e dubitava assai, perchè comprendeva
quanto grande sia la differenza tra l'immaginarsi una cosa, ragionarne e
scriverne bene, e il porger le mani ad eseguirla.... Quando, dopo
ventidue giorni, è sopraggiunta la morte, che cosa ho io detto vedendo
con improvviso impeto tolta alla Chiesa tanta speranza di rinnovazione e
di riforma? Che pensieri sono stati i miei, sentendomi sonare intorno le
voci di tutti i buoni, che dicevano, _Nos autem sperabamus quod ipse
esset redempturus Israel?_..... I pensieri e le parole mie furono simili
a quei della donna sunamite, quando si vide morto il figliuolo, la
quale, gittata a' piedi d'Eliseo, disse: _Numquid petivi filium a Domino
meo? Numquid non dixi tibi, ne illudas me?_ Mi ricordai non aver pregato
Dio che costui nominatamente fosse papa, ma solo che fosse uno, il qual
togliesse tanto obbrobrio e tanta derisione, quanta è quella nella
quale, da molti anni, si trovano questi santi nomi, Chiesa, Concilio,
Riforma, ecc. Parevami che le speranze di questo nostro desiderio
fossero cresciute fino al sommo, anzi, che non fossero più speranze ma
fatti, e possessioni di beni presenti, quando la morte disturbò il
tutto, e ci fece cascare quasi in peggior grado di quello ch'eravamo
prima, cioè in una mezza disperazione, o opinione che siamo in odio a
Dio, il quale, come che fosse stato addormentato quando fu fatta quella
elezione, svegliato e adirato ha distrutto a un tratto quella
sant'opera, come fosse stata fatta contra la sua volontà, ed in
dispregio dell'onnipotenza sua. Ma la cosa non sta così. La creazione di
papa Marcello è stata da Dio, perchè tutte le opere nostre opera Dio in
noi e per noi. La morte di papa Marcello è stata da Dio, perchè la morte
e la vita sono in mano del Signore: ma chi può penetrare il profondo de'
secreti consigli di Dio? chi può immaginarsi, non che dire, perchè ha
voluto darci sì buona speranza, per torlaci così subito? Qui bisogna
tacere, e pregar Dio che questo, che a noi par male, ritorni in bene
della Chiesa sua; e che questo effetto, che pare sdegno ed odio, si
volti tutto in pace ed amore. Non lascerò però di dire un mio pensiero,
ancorchè basso, e molto lontano dall'infinita altezza della provvidenza
di Dio. Ha voluto per avventura mostrarci, coll'avvicinarci tanto alla
riforma, e in un tratto toglierci sì grande speranza, che la riforma non
ha ad essere opera umana, nè ha da venire per le vie aspettate da noi,
ma in modo che noi non avremmo saputo immaginarlo, e per mano valida,
che parrà veramente suscitata da Dio a vendetta degli empi e laude di
coloro che saranno veramente buoni; buoni, dico, nel cospetto di Dio,
non negli occhi degli uomini. Della qual riforma ha voluto mostrarne che
non è ancora il tempo, non essendo ancor finite le nostre iniquità. Sia
pregato che si degni sempre temperare i suoi giusti sdegni con la
dolcezza della sua misericordia[20]»....
Ebbe successore Giampietro Caraffa di Napoli (1555-59). Mentre egli
trovavasi nunzio alla Corte di Spagna, Ferdinando il Cattolico venne a
morte, e provando rimorso dell'aver tolto il regno di Napoli agli
Aragonesi, consultò persone pie e dotte, fra le quali esso Carafa, che
gli disse chiaramente, non poter lui salvare l'anima se non restituendo
quel regno. E forse ne seguiva l'effetto se altri, «perturbando con la
ragione degli interessi di Stato le ragioni di Dio e della giustizia»,
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