Gli eretici d'Italia, vol. II - 55
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d'ajuto, quale altro miglior Teseo potevasi per lei desiderare, che il
signor Bargaglio, non meno pari a lei per valore, che per iscambievole
benivolenza? V. s. ha potuto vedere quant'oltre s'abbiano a stendere
quelle poche reliquie, ch'ancora mi rimangono degli studj poetici, cioè
a far vulgari in rima, se Dio mi darà vita, le canzoni di David, la
quale impresa da molti mesi in qua, contro quello ch'io pensava, non m'è
stato possibile di seguire per attendere alla cura della mia sordezza,
la quale non è per tutto ciò punto scemata, anzi, per quello ch'io posso
comprendere, alquanto cresciuta. E ora che io son libero dalla predetta
cura, m'è necessario d'attendere a replicare ad un nostro italiano,
persona assai letterata, e la quale fa principale professione di studj
di teologia, sopra una questione nata tra noi, nella quale abbiamo già
l'uno e l'altro scritto alcuni fogli, ed è questa: cioè, se Adamo fosse
creato da Dio in guisa che di sua natura fosse immortale o no. Egli
tiene di sì, e io credo la parte negativa esser più vera. E quantunque
la predetta questione o disputa paja di non molto momento nella
religione nostra, nondimeno, massimamente per le conseguenze ch'egli
tira dalla sua opinione, o più tosto dagli argomenti co' quali si sforza
di provarla, e egli e altri, essendo quegli argomenti veri, è sforzato a
tirare, ella è di grandissimo. A me pareva e ad alcuno altro ancora
ch'io avessi risposto a sufficienza a dieci argomenti ch'egli mi diede
scritti a favor suo, e era verisimile quasi ch'egli dovesse quietarsi,
ma egli ha replicato, e assai a lungo. Laonde mi son posto di nuovo a
rispondere a ciò ch'egli ha saputo scrivermi contra, con ferma speranza
che questa mia fatica non debba esser vana, per la quale, se io non erro
gravemente, si dichiareranno molti luoghi difficili e oscurissimi della
scrittura sacra, e da pochi bene intesi. Ma il male è ch'io mi trovo
senza libri, non avendo meco altro che la Bibbia. Spero con tutto ciò di
condurre a fine il meglio che potrò tutta l'opera, riserbandomi, finita
ch'io l'abbia nella guisa che per ora m'è conceduto, ad aggiugnervi
alcune cose che troverò ne' libri che mi mancano, per dar perfezione ad
una tal fatica. Dell'opinione mia è stato del certo, ch'io so, tra gli
antichi Atanasio, e tra' moderni Agostino Steucho d'Agobbio, canonico
regolare e persona letteratissima, il cardinale Gaetano, e molti altri.
Conosco che, per essere la questione alta e difficile e, per molti
rispetti, non pura teologica, e per conseguente non interamente
proporzionata agli studj non che alle forze mie, dovrei lasciar questo
peso a migliori spalle delle mie. Ma io mi confido in Dio, ch'avendo,
siccome io tengo per fermo, la verità dal mio lato, e non iscrivendo ad
altro fine che per manifestarla a chi ella fosse oscura, a gloria d'esso
Dio e profitto degli studiosi delle sacre lettere, non saranno, come ho
detto, le mie fatiche punto vane. Finita ch'io abbia quest'opera, la
quale, per molte risposte che mi convien dare a molti paralogismi e
sofisterie dell'avversario, sarà un giusto libro, mi convien dar fine ad
un'altra opera maggiore e di vie più gran momento, della quale ho
scritto altre volte al sig. Bargaglio, sopra una grandissima disputa
ch'io ebbi con un predicante, che venendo di Geneva, me ne mosse parole
in Basilea, sopra la giustificazione nostra. Quindi venne ch'io scrissi
al Bargaglio di volermi pigliare la traslatazione de' Salmi per
passatempo, non perchè io non sappia molto bene, che e a me e ad ogni
altro conviene sudare molte volte volendo condurre una tale impresa a
mezzana perfezione, nè perchè io voglia esservi punto negligente, ma
perchè, facendo paragone da queste altre fatiche, nelle quali, o in
simili, io sarò continuamente involto, a quella, queste mi pajono
veramente fatiche, e quella quasi una ricreazione d'esse, alla quale
ricreazione ritornerò subito ch'io possa, non avendo infino a qui
vulgarizzati più che undici Salmi e mezzo. Ma per ritornarvi mi fa di
bisogno d'alcuni libri, li quali non so come io possa far qui ad
avergli.
«Sonomi infinitamente rallegrato che il Signore Dio, in luogo della
femina nata dopo la partita mia, che prima vi tolse, vi desse poi un
maschio. Così piaccia a Sua Maestà di darvene allegrezza vera, e non
solamente di quello, ma di tutti gli altri, li quali mi giova di
credere, che e v. s. e madonna Aurelia, la quale io risaluto caramente,
alleviate del continuo nel timor di Dio, senza il quale è somma pazzia
lo sperar mai vero bene alcuno. Non è alcuno di noi che omai per
esperienza se non per ragione e per divini e umani ammaestramenti non
conosca questa vita nostra e questo mondo tutto non esser altro che fumo
e ombra. Alziamo adunque una volta la mente da dovero a quella vita e a
que' secoli promessi da Gesù Cristo, che non può mentire a tutti coloro
che rinunzieranno a se stessi, non che ad ogni altra cosa per seguir
lui, la qual vita e li quali secoli sappiamo per rivelazione divina
essere eterni et incorruttibili. E per poter far ciò come si conviene
preghiamone continuamente e ardentemente Dio, il quale ha promesso
d'esaudirci in tutte le domande che gli faremo, che sieno conformi a
quello che sappiamo essere la santissima volontà sua. A lui e alla
ricchissima e potentissima grazia e benignità sua raccomando di cuore e
v. s. madonna Aurelia e tutta la famiglia vostra.
«In Bada il dì 30 d'ottobre 1577.
«Queste due mie fatiche sono e l'una e l'altra in lingua latina.
«Di V. S. molto magnifica
_Cognato e servitore affezionatissimo_
FAUSTO SOZZINI.
_Al molto magnifico Signor suo e cognato osservandissimo il Signor
Bellisario Bolgarini aff., a Siena_»[521].
Gli adepti di Soccino crebbero tanto, che le differentissime sette di
Unitarj si ridussero in quest'una detta dei Socciniani. Un de' loro
articoli essendo l'abborrimento dalla guerra, condannavano apertamente i
Riformati che prendessero le armi contro i loro re, e ricusavano entrar
nell'esercito, nè tampoco a difesa del paese.
I Socciniani però non ebber pace neppure in Polonia fino al 1638,
perseguitati per ragion politica quasi fossero d'accordo cogli Svedesi.
Dappoi si stabilirono in diversi luoghi, massime in Transilvania, dove
prima aveali introdotti il Biandrata; e colà soltanto si conservarono,
mentre altrove si fusero colle sêtte fra cui viveano.
Da Siena vedemmo pure fuggiti Mino Celsi e frà Sisto, ebreo convertito.
Francesco Pucci, d'illustre casata fiorentina da cui erano usciti tre
cardinali, stando a Lione sul commercio, frequentando letterati, e
piacendosi alle controversie, sorbì le opinioni protestanti, e lasciati
i traffici, si applicò alla teologia, e sperando avervi più libertà in
Inghilterra, v'andò, e nell'Università di Oxford fu dottorato il 1574.
Nel trattato _De fide in Deum quæ et qualis sit_, combattè i Calvinisti
che prevaleano su quell'Università; onde perseguitato, ricoverò a
Basilea, e legato d'amicizia e di credenze con Fausto Soccino, pubblicò
una tesi che «tutto il genere umano fin dall'utero materno è
efficacemente partecipe dei benefizj di Cristo e della beata
immortalità». Le opinioni ivi manifestate lo costrinsero andarsene anche
da Basilea; nè maggior tolleranza trovò a Londra, ove anzi fu messo
prigione; nè in Olanda, ove con molti ebbe dispute, e anche con Soccino
a proposito del suo libro _De immortalitate primi hominis ante
peccatum_[522]. Neppur potè intendersi co' religionarj. A Cracovia, due
alchimisti inglesi, i quali prometteano una gran riforma che per lor
mezzo Iddio farebbe della sua Chiesa, lo persuasero che poteano,
mediante il commercio con certi spiriti, scoprir cose ignote al resto
degli uomini; ed egli vi credette, e cercò per le stampe persuaderne
altri. Disingannatone (1586), si ravvide anche de' suoi errori, in man
del vescovo di Piacenza, nunzio pontificio a Praga, si ritrattò il 1595,
e fatta la penitenza e ordinato prete, servì come secretario al
cardinale Pompeo d'Aragona. Nel 1592 in Olanda aveva stampato un'opera,
ove sosteneva che nè ignoranza, nè incredulità, nè mancanza di battesimo
impediscono che uno si salvi, purchè viva onestamente; opinione
confutatagli da Cattolici, da Luterani, da Calvinisti. Che fosse
arrestato per ordine del vescovo di Salisburgo e mandato a Roma, dove
fosse bruciato, viene asserito, ma non sappiamo con quale appoggio.
Il Theiner riferisce[523] che il nunzio papale voleva chiamar in Polonia
il Bellarmino e Francesco Toledo onde reprimere gli eretici italiani, i
quali erano Buccella[524], Michele Bruto veneziano, Simone da Lucca,
Prospero Provana, Fausto Soccino, l'Alciato milanese, il Bovico
bolognese, Fabrizio Pallavicini di Chiavenna, Rosmino Rosmini di
Roveredo.
In parte già conosciamo costoro; ed abbiam pure nominato fra quei che
predicarono in Polonia Francesco Stancario mantovano. Insegnando
ebraico, in un'accademia eretta a Spilimbergo nel Friuli da Bernardino
Partenio, avea manifestato idee eterodosse, onde dovette fuggire,
e da Basilea diresse ai magistrati veneti un trattato della
_Riformazione_[525]. Mentre Osiandro insegnava che l'uomo è giustificato
dalla giustizia essenziale di Dio e che Gesù Cristo è la nostra
giustizia secondo la sua natura divina, lo Stancario sosteneva che Gesù
Cristo è il nostro mediatore soltanto secondo la sua natura umana. Il
concilio di Ginevra preseduto da Calvino lo scomunicò per questo suo
professare che Gesù Cristo fu mediatore presso l'eterno Padre come uomo,
non come Dio; e dappertutto venne avversato per dottrine esorbitanti. A
Cracovia, dove fu chiamato per insegnar l'ebraico, seppe dissimularle,
ma quando il vescovo Maciejowski insospettito lo fece arrestare, i
signori che l'aveano tolto a favorire, ne ottennero la liberazione;
ond'egli incoraggiato propose si abbattessero le immagini e tutto
l'antico culto; fece da maestro, e diede cinquanta regole di riforma per
le nuove Chiese. La sua dottrina fu scomunicata dai sinodi polacchi, e
ne restò turbata quella Chiesa finchè lo Stancario morì a Stobnitz.
Il Mainardi, da Chiavenna il 22 settembre 1548 scrivendo al Bullinger a
Zurigo varie cose, e sparlandogli dello Stancario, gli manda tre lettere
venutegli da Venezia. In una Baldassare Alterio, segretario
dell'ambasciatore inglese, gli scrive: «Da un pezzo conosco il cervello
dello Stancario, e so di che piede zoppicava. Fu sempre un poveretto,
scandaloso e di strane opinioni; ed ha un'instabilità, per cui non sa
quel che si peschi; molto più temerario che voi non scriviate: onde
fuggitelo per amor di Dio, e levatevelo d'in sugli occhi più presto che
potete: altrimenti non requierete mai, nè voi nè la chiesa vostra».
Domenico Manjoni gli diceva: «Di don Francesco Stancario vi dirò
schiettamente e in verità quel che so e ne penso. In prima è chiaro e
manifesto esser lui leggero, instabile, pieno d'amor proprio,
precipitoso in ogni cosa sua; e il peggio è che vuole si sposino le sue
opinioni, sebben repugnanti dal vero rito cristiano». Aggiunge che fu
prete, che non crede sia ebreo quantunque n'abbia la faccia: che a
Venezia sposò una povera che vivea sulla strada: «me lo tenni in casa
lungo tempo a mie spese, ma a malincuore per la sua inquietudine».
Marco di Lilio, _civis venetus vir pius et fidelis_, lo paragona alla
lumaca, che lascia il segno dovunque passa[526].
Lo Stancario però non può dirsi propriamente unitario: bensì un di quei
litigiosi, che trascendono la meta, esagerando nel confutare. Dopo che a
Königsberg, per ribatter Osiandro diede all'umanità di Cristo tutto ciò
che quegli dava alla sua divinità, a Francoforte sull'Oder trova Andrea
Musculo, che, per confutar lui, sostiene che Gesù Cristo, mediator
nostro in quanto Dio e in quanto uomo, era morto come Dio. Difendendo la
sua opinione in Polonia, imputa gli avversarj di arianesimo, e così
obbliga a sciagurate transazioni. Nell'opera _Contro i ministri di
Ginevra e di Zurigo_ (Cracovia 1562) scrive che: «il solo Pietro
Lombardo val meglio che cento Luteri, ducento Melantoni, trecento
Bullinger, quattrocento Pietro Martiri e cinquecento Calvini; de' quali
tutti, se si pestassero in un mortajo, non se ne strizzerebbe un'oncia
di vera teologia».
Oltre una grammatica ebraica, pubblicò un'esposizione dell'epistola di
san Giacomo; _De trinitate et mediatore D. N. J. C. adversus
Bullingerum, Petrum Martyrem, et Joannem Calvinum, et alios... ecclesiæ
Dei perturbatores;_ e altri scritti polemici. Ostinato a dimostrare che
le Chiese riformate son ariane ed eutichiane, lanciava ingiurie a tutti.
Calvino qualificava il suo di _non absurdum modo sed exitiale commentum,
quo vir ille false turgidus et novitatis nimium cupidus, ortodoxæ fidei
principia labefactare conatus est_: e più che ragioni diresse contro di
lui Orichovio nella _Chimera_, dove insiste perchè il re di Polonia
stermini sì fatti novatori.
Da Candia, dominio di Venezia, era Cirillo Lucar, che in Italia e in
Germania avuto contezza della Riforma, dissimulò, finchè gradi a gradi
divenuto patriarca d'Alessandria, poi di Costantinopoli, cominciò a
sparnazzare le novità. Se n'avvidero i vescovi e preti, e lo fecero
relegare a Rodi; ma coll'appoggio dell'Inghilterra e dell'Olanda
ristabilito, pubblicò un catechismo calvinico, col quale eccitò
turbolenze, che la Porta sopì col farlo strangolare. Diversi sinodi
anatemizzarono lui e le sue dottrine.
Fra i nostrali possiam contare Francesco Lismanin di Corfù francescano,
confessore di Bona Sforza regina di Polonia e suo predicatore in
italiano. Alla cheta diffuse a Cracovia le dottrine riformate,
innavvertito finchè Lelio Soccino nol persuase d'andar in paesi
dissidenti. Visto che il re Sigismondo Augusto inclinava alla Riforma,
rimase per saldarlo in tal disposizione, e ricevette da lui l'incarico
di viaggiare per informarsene. Vide Italia, Svizzera, Ginevra, Parigi
col pretesto di comprar libri per la biblioteca di quel re; tenne
corrispondenza coi caporioni, ma poichè prese moglie, il re di Polonia
n'ebbe sdegnò, nè più volse udire di protestantismo. Questo però erasi
diffuso in Polonia, e il primo sinodo ivi tenuto scrisse al Lismanin,
allora in Isvizzera, pregandolo di tornare. In fatto nel 1556 egli
v'andò, e vi stette nascoso come proscritto, sinchè gli fu ottenuta la
grazia.
I credenti di colà stavan allora divisi fra lo Stancario che sosteneva
Gesù Cristo non esser mediatore secondo la natura divina, e Paolo
Gonesio che sosteneva la preminenza di Dio padre. Il Lismanin ebbe
colloquj col Biandrata nel 1558, e d'allora cominciò a dubitar della
Trinità, e come ariano fu denunziato al concistoro di Cracovia;
scoppiati i dissensi, egli cercò metter concordia, consigliando
attenersi ai quattro Padri della Chiesa, dei quali fe un centone, che
potea però servire a qualunque partito.
Ritiratosi a Königsberg in Prussia, visse miserabile finchè gettossi in
un pozzo il 1563.
Meglio registriamo fra i nostri Jacobo Paleologo, nato il 1520 in Scio
dalla famiglia ch'era stata imperiale, educato in Italia, ove bevute le
nuove opinioni passò a professarle in Germania. Ma come eterodosso non
era accettato, sinchè fermossi in Transilvania, e nel 1569 successe a
Giovanni Sommer qual rettore del ginnasio di Clausenburg. Fausto Soccino
gli mosse guerra perchè seguace delle sovversive dottrine di Budneo; e
perdurando in quelle, fu arrestato dai magistrati e consegnato
all'Inquisizione di Roma, dove venne condannato al fuoco nel 22 marzo
1585. Se credessimo al Ciappi nella vita di Gregorio XIII, davanti al
supplizio si sbigottì, e chiese tempo a pentirsi, onde ricondotto in
prigione, compose opere pie e dotte. Il fatto non consta da altri. Fra'
costui opuscoli ricorderemo quel _de Magistratu politico_, ove sostiene
che Gesù Cristo non abrogò le magistrature civili, e un cristiano può
esercitarle. Confutato da Gregorio Pauli in nome del sinodo di Racow,
egli fece una risposta, alla quale Soccino oppose la _Defensio veræ
sententiæ de magistratu politico_ (Losc, 1580).
NOTE
[499] JEAN GABEREL, _Calvin à Genève_, p. 232-235. LADERCHI,
_Continuazione del Baronio_, p. 202.
[500] Cogliamo quest'occasione per avvertire come Michele Serveto,
ristampando nel 1535 a Lione la geografia di Tolomeo, è forse il solo
de' contemporanei che accusa Americo Vespucci d'aver usurpato la gloria
di Colombo. «Colombo (dice) in un nuovo viaggio scoprì il continente e
molte isole, di cui son oggi padroni affatto gli Spagnuoli. S'ingannano
dunque affatto quei che chiamano America questo continente, giacchè
Americo non la toccò che molto dopo di Colombo, e vi andò non cogli
Spagnuoli, ma coi Portoghesi, per farvi commercio». Humboldt mostrò
quanto a torto si accusi il Vespucci di aver soperchiato il gran
Genovese; del resto si sa che Americo fece il suo viaggio nel 1499 con
Hocheda e per la Spagna, e non come mercante, ma forse come astronomo.
Il bello è che l'edizione del Serveto contiene la mappa del 1522, dove
al nuovo mondo si dà il titolo d'America.
[501] _Opuscoli di Calvino_, p. 1991, 1923 ecc.
[502] HOORNBEECH, _Apparatus adv. Socin._, pag. 24.
[503] Sertorio Quattromani ha un'_Epistola ad Celsum Mollium_, riferita
da Leonardo Nicodemo, _Addizioni alla Biblioteca Napolitana_, ove dà il
Gentile per napoletano, e Calvino per autor della storia del suo
supplizio. Erra: questa storia è di Benedetto Arezio. Al sinodo di
Pinczovia, il 4 novembre 1562, aveva professato _Deum creavisse in
latitudine æternitatis spiritum quemdam excellentissimum, qui postea in
plenitudine temporis incarnatus est_.
[504] Vedi BAYLE, _Dictionnaire critique_.
[505] BAYLE, in Gribaldi. GERDES, p. 276; NICERON, _Mém. des hommes
illustres_, t. XLI, pag. 235. Sue opere sono:
_De methodo ac ratione studendi in jure civili libri tres_, Lione 1544.
_Recentiores jc singuli, singulis distichis comprehensi._
_Commentarius ad legem Falcidiam._ Pavia 1548.
_Epistola in mortem F. Spieræ_, 1554.
[506] Hody, _De Bibl. textibus originalibus_, pag. 552, dice che
Alberico Gentile stampò un libro _De latinitate veteris Bibliorum
versionis male accusata_.
[507] Lettera 7 dicembre 1553.
[508] OTT. _Annal. Anab._, p. 120, FUESSLIN, _Epist. Reform._, N. LXXII.
[509] Fu stampato nel Belgio. Il Sandro, nella _Bibliotheca
Antitrinitariorum_ lo confonde con un altro _De hæreticis an sint
persequendi_, stampato ad Argentorato il 1610, e che si attribuisce a
Sebastiano Chateillon.
[510] A coloro che pretendono la framassoneria inventata da Lelio
Soccino nel 1546 a Venezia possiamo opporre una circolare pubblicata dai
Franchi muratori fin dal 1535, della quale parleremo più avanti.
[511] Bayle corregge moltissimi errori del Varillas e del Mainbourg in
proposito di esso, ma cade in molti altri. Vedi MALACARNE, _Comm. delle
opere e delle vicende di Giorgio Biandrata_, Padova 1814.
[512] CALVINI _Ep._ CCCXXII.
[513] Id. _Ep._ CCCXXI.
[514] Qui sta la differenza dagli Ariani. Questi faceano Cristo creato,
ma avanti a tutte le cose, e che da lui fosse creato il mondo e
governato.
[515] Se non altro Warburton, per quanto ignaro e sprezzante della
teologia cattolica, diceva che l'esser creato l'uomo a immagine di Dio
significava la facoltà che ha di ragionare.
[516] Questa è la dottrina dedotta: ma Fausto professava intera
sommessione alle scritture. _Nihil in iis scriptis legi, quod non
verissimum sit... Præstat, mi frater, mihi crede, cum in aliquem
Scripturæ locum incidimus, qui nobis falsam sententiam continere
videatur, una cum Augustino in hac parte ignorantiam nostram fateri,
quam eum, si alioquin indubitatus plane sit, in dubium revocare._ Epist.
III ad Matth. Rudei. Naturalmente uno de' passi che gli Unitarj
impugnano maggiormente è quel di san Giovanni 1, v, 7. _Tres sunt qui
testimonium perhibent in cælo: Pater, Verbum et Spiritus: et hi tres
unum sunt_. E poichè quel versetto, massime dopo l'edizione del Nuovo
Testamento per Agostino Scholz è posto in dubbio anche da qualche
cattolico, la sua genuinità è dimostrata dal padre G. B. Franzelin,
professore nel Collegio Romano, nel trattato _De Deo trino secundum
personas_.
[517] _Div. Instit._, lib. VI, e 20.
[518] An pœnas capitales facinorosis hominibus irrogare liceat
magistratui christiano.
[519] È vero che i Valdesi negassero il diritto di infliggere la pena
capitale? In fatto ne sono accusati, ed essi se ne scolpano. Alano di
Lille (_De Insula_) detto il Dottore universale, nell'opera _De fide
catholica contra hæreticos sui temporis, præsertim Albigenses et
Waldenses, libri_ IV, tolse a confutar gli errori dei Valdesi, e questo
fra gli altri, assimilando il magistrato al soldato; se fuor di
battaglia uccide uno, è responsale del sangue versato; no, se lo fa
obbedendo al suo capo. Mostra come i Valdesi alterassero o
frantendessero i testi scritturali e de' santi padri, a cui appoggiavano
il loro abborrimento al sangue: ben dà loro ragione quando disapprovano
i rigori delle leggi penali d'allora; pe' ladri basterebbe la
fustigazione; ma la pena capitale non è troppa pei masnadieri; nè
dovrebbe infliggersi agli eretici, bensì, come cristiani, cercar di
ricondurli in grembo alla Chiesa.
Quando si vede Benedetto Carpzovio opporre gli argomenti stessi e le
stesse autorità ai Socciniani, si vorrebbe credere che veramente fin nel
XIII secolo fosse impugnata dottrinalmente la legittimità della pena
capitale. Ma ecco Paolo Perrin, il quale nel 1618 a Ginevra difese
calorosamente i Valdesi, protestare contro Alano, confutare quattordici
calunnie che i Cattolici appongono ai Valdesi, e tra l'altre questa, che
essi sostenessero non potersi condannare a morte (_Histoire des
Vaudois_, pag. 11). E a negarlo reca un manuscritto _Tresor e lume de
fe_ probabilmente del secolo XIV, ove è detto: _Lo es escrit, non
laissares vivre lo malfaitor. Si la ira non saré, la doctrina non
profitare, ni li judici non saren discerni, ni li pecca non saren
castiga. Donc la justa ira es moire de la disciplina, et la patiença sen
rason semena li vici et laissa prevaricar li mal._
Ciò non basterebbe a infirmar la diretta asserzione di Alano Dell'Isola,
ed anche di san Tommaso. Ma Ranerio Saccone, che abbiam mentovato
altrove (vol. I, pag. 79), nel 1250 scrisse una _Summa de Catharis_, e
men iroso che non sogliano i convertiti, racconta con calma e senza
fanatismo, non nega lodi ai settarj, confessando il loro attaccamento
alla Bibbia, e i lor buoni costumi. Or egli afferma opinare i Valdesi
_quod non licet regibus, principibus et potestatibus punire
malefactores_. Anche il padre Moneta cremonese, che fece un dotto
trattato _Adversus Catharos et Valdenses_ nel 1250, ha un lungo capitolo
per provare contro i Valdesi, che la società civile possiede lo _jus
gladii_. Nella _Biblioteca Maxima Patrum_, t. XXV, p. 308, è un _Index
errorum quibus Valdenses infecti sunt_, fatto da un contemporaneo, fra'
quali mette per XXIV: _Omne homicidium quorumcumque maleficorum credunt
esse mortale peccatum: sicut nos non posse vivificare, non posse
occidere._
È dunque singolare veder dagli accusatori asserita e dai difensori
negata una dottrina, che molti oggi ascriverebbero a merito ai Valdesi.
[520] È il nome che, nell'Accademia senese, apparteneva a Girolamo
Bargagli, come quel di Frastagliato a Fausto Sozzini, di Focoso a Giulio
Spannocchi, di Attonito a Lelio Marretti.
[521] Le ricerche intorno ai Soccini non son nuove, siccome apparrà
dalle seguenti lettere, che sono fra i manuscritti della Biblioteca di
Siena, codice E. IX, 17 a c. 35.
«_Al signor Uberto Bentivoglio, Siena._
«Illustrissimo signore, Essendomi venuto alle mani alcuni autentici
attestati in discolpa di Celso di Mariano Sozzini, e di Cornelio della
medesima famiglia, la di cui moglie era Francesca di Atoleo Bolognese, i
quali vivevano nel 1560, desidero da v. s. illustrissima di sapere se
alcuno di essi si dipartisse dal grembo di santa madre Chiesa, mentre le
dette attestazioni in forma pubblica furono ricercate, per esser loro
incolpati di vivere da Luterani e Eretici, da un certo Paolo de' Cataldi
bolognese, che era di quel tempo prigione in Siena a instanza
dell'Inquisizione, e per un esame statogli fatto dopo che fu scarcerato,
e per dar luogo alla verità, disse che tali imposture gli erano state
fatte dire da quell'inquisitore. V. s. illustrissima appaghi con tutto
suo comodo la mia curiosità, ecc.
Di V. S. Illustrissima
Firenze, 24 ottobre 1772.
_Dev. Obbl. Serv._
ANTON FRANCESCO MARMI».
Della risposta hassi la minuta del 29 novembre 1772 non firmata, ma
evidentemente del Bentivoglio, al codice E. IX, 18. a c. 243.
«.... di Cornelio Sozzini non ho alcuna notizia: di Celso Sozzini io ho
le sue dispute, fatte, a mio credere, intorno al 1540. Di costui così ne
parla il P. Ugurgieri nel 3º tomo inedito delle Pompe Sanesi. — Celso
Sozzini fratello d'Alessandro, anch'egli nobile giureconsulto, professò
primieramente nella patria, ispiegando l'instituta civile e tenendo poi
una cattedra straordinaria: e poi in grazia del padre lesse in Bologna
Jus canonico con salario di scudi cento d'oro, e poi, morto il padre,
lesse Jus civile, ma dopo pochi anni lasciò la professione. Si legge di
suo un'Epistola al cardinale d'Augusta, la quale è stampata nel 4º tomo
de' Consigli di Mariano suo genitore.
«Questo Celso nella nostra accademia fu chiamato il Sonnacchioso, e
stampò anche altre opere che si ritrovano in _Bibliotheca auctorum
polonorum_, il che essendo, non pare a me che vi sia da dubitare ch'egli
non fusse un eretico; e certamente costoro nel famoso passaggio dei
Tedeschi abbracciarono il luteranismo, com'apparisce da processi che si
ritrovano nella nostra Inquisizione, ma di poi riconoscendo la vanità di
questa sètta, e non volendo ritornare al grembo di nostra santa fede, si
fecero unitarii, che oggi dichiamo Soccinisti. E di questa illustre
famiglia tali stimo che fossero Lelio, Fausto, Celso e Alessandro
Sozzini, ma, a dire lo vero, Celso dovette ritornare alla vera fede,
mentre, se dobbiamo credere a quello che dice il P. Ugurgieri nel titolo
16, fog. 433, egli morì in Siena li 12 di marzo 1570, e fu seppellito
nella chiesa di San Domenico di Siena».
[522] Soccino, nella terza lettera a Mattia Rudeio, parla della sua
disputa col Puccio, il quale non si tenne vinto, ma non si volle più
ascoltarlo, nè legger un suo libro in italiano.
Vedi GIAMBATTISTA GASPARI, _De vita... Francisci Pucci Filidini_ nella
Nuova Raccolta Callogeriana, tom. XXX. Venezia 1776. BAYLE _ad nomen_ e
DODD.
Nel volume della «Biblioteca de' fratelli Polacchi» v'è una _De statura
primi hominis ante lapsum disputatio_, che contiene dieci tesi del
Pucci, con cui pruova che tutte le creature erano immortali avanti il
peccato; la risposta di Soccino, la replica del Puccio; la difesa del
Soccino.
[523] _Ann. Eccl._ al XL del 1583.
[524] Nella relazione sulla _Nunziatura di Polonia_ del cardinale
Alberto Bolognetto, stampato da F. Calori Cesi a Modena 1861, dicesi che
i Polacchi mal soffrivano di veder i beneficj posseduti da stranieri,
fra cui nomina «il Bucella, medico padovano, eretico ostinatissimo,
l'Alamanni gentiluomo fiorentino, maestro di cucina, uomo cattolico e
dabbene».
[525] In una lettera di monsignor Della Casa da Venezia, 2 luglio 1547,
leggesi: «Uno Stancario, che fu già preso qui per eretico e abjurò, ha
scritto a questi signori deputati (come v. s. illª vedrà per le copie
incluse in questa), e mandato a lor signorie un libro suo stampato, e
intitolato alla Ill. Signoria, il qual libro ha di molte eresie. Per il
che i prefati signori deputati stanno sospesi se debbiano farne querela
o sprezzarlo, e hanno detto, così per via di discorso che sarebbe forse
bene che io scrivessi al cardinale d'Augusta per far pigliare il detto
Stancario. Io non so come Augusta si governi, e però sono andato
sfuggendo, e mi è parso dare avviso a V. S. Illª (il cardinale Farnese).
_Lettere d'uomini illustri conservate nell'Archivio di Parma._
signor Bargaglio, non meno pari a lei per valore, che per iscambievole
benivolenza? V. s. ha potuto vedere quant'oltre s'abbiano a stendere
quelle poche reliquie, ch'ancora mi rimangono degli studj poetici, cioè
a far vulgari in rima, se Dio mi darà vita, le canzoni di David, la
quale impresa da molti mesi in qua, contro quello ch'io pensava, non m'è
stato possibile di seguire per attendere alla cura della mia sordezza,
la quale non è per tutto ciò punto scemata, anzi, per quello ch'io posso
comprendere, alquanto cresciuta. E ora che io son libero dalla predetta
cura, m'è necessario d'attendere a replicare ad un nostro italiano,
persona assai letterata, e la quale fa principale professione di studj
di teologia, sopra una questione nata tra noi, nella quale abbiamo già
l'uno e l'altro scritto alcuni fogli, ed è questa: cioè, se Adamo fosse
creato da Dio in guisa che di sua natura fosse immortale o no. Egli
tiene di sì, e io credo la parte negativa esser più vera. E quantunque
la predetta questione o disputa paja di non molto momento nella
religione nostra, nondimeno, massimamente per le conseguenze ch'egli
tira dalla sua opinione, o più tosto dagli argomenti co' quali si sforza
di provarla, e egli e altri, essendo quegli argomenti veri, è sforzato a
tirare, ella è di grandissimo. A me pareva e ad alcuno altro ancora
ch'io avessi risposto a sufficienza a dieci argomenti ch'egli mi diede
scritti a favor suo, e era verisimile quasi ch'egli dovesse quietarsi,
ma egli ha replicato, e assai a lungo. Laonde mi son posto di nuovo a
rispondere a ciò ch'egli ha saputo scrivermi contra, con ferma speranza
che questa mia fatica non debba esser vana, per la quale, se io non erro
gravemente, si dichiareranno molti luoghi difficili e oscurissimi della
scrittura sacra, e da pochi bene intesi. Ma il male è ch'io mi trovo
senza libri, non avendo meco altro che la Bibbia. Spero con tutto ciò di
condurre a fine il meglio che potrò tutta l'opera, riserbandomi, finita
ch'io l'abbia nella guisa che per ora m'è conceduto, ad aggiugnervi
alcune cose che troverò ne' libri che mi mancano, per dar perfezione ad
una tal fatica. Dell'opinione mia è stato del certo, ch'io so, tra gli
antichi Atanasio, e tra' moderni Agostino Steucho d'Agobbio, canonico
regolare e persona letteratissima, il cardinale Gaetano, e molti altri.
Conosco che, per essere la questione alta e difficile e, per molti
rispetti, non pura teologica, e per conseguente non interamente
proporzionata agli studj non che alle forze mie, dovrei lasciar questo
peso a migliori spalle delle mie. Ma io mi confido in Dio, ch'avendo,
siccome io tengo per fermo, la verità dal mio lato, e non iscrivendo ad
altro fine che per manifestarla a chi ella fosse oscura, a gloria d'esso
Dio e profitto degli studiosi delle sacre lettere, non saranno, come ho
detto, le mie fatiche punto vane. Finita ch'io abbia quest'opera, la
quale, per molte risposte che mi convien dare a molti paralogismi e
sofisterie dell'avversario, sarà un giusto libro, mi convien dar fine ad
un'altra opera maggiore e di vie più gran momento, della quale ho
scritto altre volte al sig. Bargaglio, sopra una grandissima disputa
ch'io ebbi con un predicante, che venendo di Geneva, me ne mosse parole
in Basilea, sopra la giustificazione nostra. Quindi venne ch'io scrissi
al Bargaglio di volermi pigliare la traslatazione de' Salmi per
passatempo, non perchè io non sappia molto bene, che e a me e ad ogni
altro conviene sudare molte volte volendo condurre una tale impresa a
mezzana perfezione, nè perchè io voglia esservi punto negligente, ma
perchè, facendo paragone da queste altre fatiche, nelle quali, o in
simili, io sarò continuamente involto, a quella, queste mi pajono
veramente fatiche, e quella quasi una ricreazione d'esse, alla quale
ricreazione ritornerò subito ch'io possa, non avendo infino a qui
vulgarizzati più che undici Salmi e mezzo. Ma per ritornarvi mi fa di
bisogno d'alcuni libri, li quali non so come io possa far qui ad
avergli.
«Sonomi infinitamente rallegrato che il Signore Dio, in luogo della
femina nata dopo la partita mia, che prima vi tolse, vi desse poi un
maschio. Così piaccia a Sua Maestà di darvene allegrezza vera, e non
solamente di quello, ma di tutti gli altri, li quali mi giova di
credere, che e v. s. e madonna Aurelia, la quale io risaluto caramente,
alleviate del continuo nel timor di Dio, senza il quale è somma pazzia
lo sperar mai vero bene alcuno. Non è alcuno di noi che omai per
esperienza se non per ragione e per divini e umani ammaestramenti non
conosca questa vita nostra e questo mondo tutto non esser altro che fumo
e ombra. Alziamo adunque una volta la mente da dovero a quella vita e a
que' secoli promessi da Gesù Cristo, che non può mentire a tutti coloro
che rinunzieranno a se stessi, non che ad ogni altra cosa per seguir
lui, la qual vita e li quali secoli sappiamo per rivelazione divina
essere eterni et incorruttibili. E per poter far ciò come si conviene
preghiamone continuamente e ardentemente Dio, il quale ha promesso
d'esaudirci in tutte le domande che gli faremo, che sieno conformi a
quello che sappiamo essere la santissima volontà sua. A lui e alla
ricchissima e potentissima grazia e benignità sua raccomando di cuore e
v. s. madonna Aurelia e tutta la famiglia vostra.
«In Bada il dì 30 d'ottobre 1577.
«Queste due mie fatiche sono e l'una e l'altra in lingua latina.
«Di V. S. molto magnifica
_Cognato e servitore affezionatissimo_
FAUSTO SOZZINI.
_Al molto magnifico Signor suo e cognato osservandissimo il Signor
Bellisario Bolgarini aff., a Siena_»[521].
Gli adepti di Soccino crebbero tanto, che le differentissime sette di
Unitarj si ridussero in quest'una detta dei Socciniani. Un de' loro
articoli essendo l'abborrimento dalla guerra, condannavano apertamente i
Riformati che prendessero le armi contro i loro re, e ricusavano entrar
nell'esercito, nè tampoco a difesa del paese.
I Socciniani però non ebber pace neppure in Polonia fino al 1638,
perseguitati per ragion politica quasi fossero d'accordo cogli Svedesi.
Dappoi si stabilirono in diversi luoghi, massime in Transilvania, dove
prima aveali introdotti il Biandrata; e colà soltanto si conservarono,
mentre altrove si fusero colle sêtte fra cui viveano.
Da Siena vedemmo pure fuggiti Mino Celsi e frà Sisto, ebreo convertito.
Francesco Pucci, d'illustre casata fiorentina da cui erano usciti tre
cardinali, stando a Lione sul commercio, frequentando letterati, e
piacendosi alle controversie, sorbì le opinioni protestanti, e lasciati
i traffici, si applicò alla teologia, e sperando avervi più libertà in
Inghilterra, v'andò, e nell'Università di Oxford fu dottorato il 1574.
Nel trattato _De fide in Deum quæ et qualis sit_, combattè i Calvinisti
che prevaleano su quell'Università; onde perseguitato, ricoverò a
Basilea, e legato d'amicizia e di credenze con Fausto Soccino, pubblicò
una tesi che «tutto il genere umano fin dall'utero materno è
efficacemente partecipe dei benefizj di Cristo e della beata
immortalità». Le opinioni ivi manifestate lo costrinsero andarsene anche
da Basilea; nè maggior tolleranza trovò a Londra, ove anzi fu messo
prigione; nè in Olanda, ove con molti ebbe dispute, e anche con Soccino
a proposito del suo libro _De immortalitate primi hominis ante
peccatum_[522]. Neppur potè intendersi co' religionarj. A Cracovia, due
alchimisti inglesi, i quali prometteano una gran riforma che per lor
mezzo Iddio farebbe della sua Chiesa, lo persuasero che poteano,
mediante il commercio con certi spiriti, scoprir cose ignote al resto
degli uomini; ed egli vi credette, e cercò per le stampe persuaderne
altri. Disingannatone (1586), si ravvide anche de' suoi errori, in man
del vescovo di Piacenza, nunzio pontificio a Praga, si ritrattò il 1595,
e fatta la penitenza e ordinato prete, servì come secretario al
cardinale Pompeo d'Aragona. Nel 1592 in Olanda aveva stampato un'opera,
ove sosteneva che nè ignoranza, nè incredulità, nè mancanza di battesimo
impediscono che uno si salvi, purchè viva onestamente; opinione
confutatagli da Cattolici, da Luterani, da Calvinisti. Che fosse
arrestato per ordine del vescovo di Salisburgo e mandato a Roma, dove
fosse bruciato, viene asserito, ma non sappiamo con quale appoggio.
Il Theiner riferisce[523] che il nunzio papale voleva chiamar in Polonia
il Bellarmino e Francesco Toledo onde reprimere gli eretici italiani, i
quali erano Buccella[524], Michele Bruto veneziano, Simone da Lucca,
Prospero Provana, Fausto Soccino, l'Alciato milanese, il Bovico
bolognese, Fabrizio Pallavicini di Chiavenna, Rosmino Rosmini di
Roveredo.
In parte già conosciamo costoro; ed abbiam pure nominato fra quei che
predicarono in Polonia Francesco Stancario mantovano. Insegnando
ebraico, in un'accademia eretta a Spilimbergo nel Friuli da Bernardino
Partenio, avea manifestato idee eterodosse, onde dovette fuggire,
e da Basilea diresse ai magistrati veneti un trattato della
_Riformazione_[525]. Mentre Osiandro insegnava che l'uomo è giustificato
dalla giustizia essenziale di Dio e che Gesù Cristo è la nostra
giustizia secondo la sua natura divina, lo Stancario sosteneva che Gesù
Cristo è il nostro mediatore soltanto secondo la sua natura umana. Il
concilio di Ginevra preseduto da Calvino lo scomunicò per questo suo
professare che Gesù Cristo fu mediatore presso l'eterno Padre come uomo,
non come Dio; e dappertutto venne avversato per dottrine esorbitanti. A
Cracovia, dove fu chiamato per insegnar l'ebraico, seppe dissimularle,
ma quando il vescovo Maciejowski insospettito lo fece arrestare, i
signori che l'aveano tolto a favorire, ne ottennero la liberazione;
ond'egli incoraggiato propose si abbattessero le immagini e tutto
l'antico culto; fece da maestro, e diede cinquanta regole di riforma per
le nuove Chiese. La sua dottrina fu scomunicata dai sinodi polacchi, e
ne restò turbata quella Chiesa finchè lo Stancario morì a Stobnitz.
Il Mainardi, da Chiavenna il 22 settembre 1548 scrivendo al Bullinger a
Zurigo varie cose, e sparlandogli dello Stancario, gli manda tre lettere
venutegli da Venezia. In una Baldassare Alterio, segretario
dell'ambasciatore inglese, gli scrive: «Da un pezzo conosco il cervello
dello Stancario, e so di che piede zoppicava. Fu sempre un poveretto,
scandaloso e di strane opinioni; ed ha un'instabilità, per cui non sa
quel che si peschi; molto più temerario che voi non scriviate: onde
fuggitelo per amor di Dio, e levatevelo d'in sugli occhi più presto che
potete: altrimenti non requierete mai, nè voi nè la chiesa vostra».
Domenico Manjoni gli diceva: «Di don Francesco Stancario vi dirò
schiettamente e in verità quel che so e ne penso. In prima è chiaro e
manifesto esser lui leggero, instabile, pieno d'amor proprio,
precipitoso in ogni cosa sua; e il peggio è che vuole si sposino le sue
opinioni, sebben repugnanti dal vero rito cristiano». Aggiunge che fu
prete, che non crede sia ebreo quantunque n'abbia la faccia: che a
Venezia sposò una povera che vivea sulla strada: «me lo tenni in casa
lungo tempo a mie spese, ma a malincuore per la sua inquietudine».
Marco di Lilio, _civis venetus vir pius et fidelis_, lo paragona alla
lumaca, che lascia il segno dovunque passa[526].
Lo Stancario però non può dirsi propriamente unitario: bensì un di quei
litigiosi, che trascendono la meta, esagerando nel confutare. Dopo che a
Königsberg, per ribatter Osiandro diede all'umanità di Cristo tutto ciò
che quegli dava alla sua divinità, a Francoforte sull'Oder trova Andrea
Musculo, che, per confutar lui, sostiene che Gesù Cristo, mediator
nostro in quanto Dio e in quanto uomo, era morto come Dio. Difendendo la
sua opinione in Polonia, imputa gli avversarj di arianesimo, e così
obbliga a sciagurate transazioni. Nell'opera _Contro i ministri di
Ginevra e di Zurigo_ (Cracovia 1562) scrive che: «il solo Pietro
Lombardo val meglio che cento Luteri, ducento Melantoni, trecento
Bullinger, quattrocento Pietro Martiri e cinquecento Calvini; de' quali
tutti, se si pestassero in un mortajo, non se ne strizzerebbe un'oncia
di vera teologia».
Oltre una grammatica ebraica, pubblicò un'esposizione dell'epistola di
san Giacomo; _De trinitate et mediatore D. N. J. C. adversus
Bullingerum, Petrum Martyrem, et Joannem Calvinum, et alios... ecclesiæ
Dei perturbatores;_ e altri scritti polemici. Ostinato a dimostrare che
le Chiese riformate son ariane ed eutichiane, lanciava ingiurie a tutti.
Calvino qualificava il suo di _non absurdum modo sed exitiale commentum,
quo vir ille false turgidus et novitatis nimium cupidus, ortodoxæ fidei
principia labefactare conatus est_: e più che ragioni diresse contro di
lui Orichovio nella _Chimera_, dove insiste perchè il re di Polonia
stermini sì fatti novatori.
Da Candia, dominio di Venezia, era Cirillo Lucar, che in Italia e in
Germania avuto contezza della Riforma, dissimulò, finchè gradi a gradi
divenuto patriarca d'Alessandria, poi di Costantinopoli, cominciò a
sparnazzare le novità. Se n'avvidero i vescovi e preti, e lo fecero
relegare a Rodi; ma coll'appoggio dell'Inghilterra e dell'Olanda
ristabilito, pubblicò un catechismo calvinico, col quale eccitò
turbolenze, che la Porta sopì col farlo strangolare. Diversi sinodi
anatemizzarono lui e le sue dottrine.
Fra i nostrali possiam contare Francesco Lismanin di Corfù francescano,
confessore di Bona Sforza regina di Polonia e suo predicatore in
italiano. Alla cheta diffuse a Cracovia le dottrine riformate,
innavvertito finchè Lelio Soccino nol persuase d'andar in paesi
dissidenti. Visto che il re Sigismondo Augusto inclinava alla Riforma,
rimase per saldarlo in tal disposizione, e ricevette da lui l'incarico
di viaggiare per informarsene. Vide Italia, Svizzera, Ginevra, Parigi
col pretesto di comprar libri per la biblioteca di quel re; tenne
corrispondenza coi caporioni, ma poichè prese moglie, il re di Polonia
n'ebbe sdegnò, nè più volse udire di protestantismo. Questo però erasi
diffuso in Polonia, e il primo sinodo ivi tenuto scrisse al Lismanin,
allora in Isvizzera, pregandolo di tornare. In fatto nel 1556 egli
v'andò, e vi stette nascoso come proscritto, sinchè gli fu ottenuta la
grazia.
I credenti di colà stavan allora divisi fra lo Stancario che sosteneva
Gesù Cristo non esser mediatore secondo la natura divina, e Paolo
Gonesio che sosteneva la preminenza di Dio padre. Il Lismanin ebbe
colloquj col Biandrata nel 1558, e d'allora cominciò a dubitar della
Trinità, e come ariano fu denunziato al concistoro di Cracovia;
scoppiati i dissensi, egli cercò metter concordia, consigliando
attenersi ai quattro Padri della Chiesa, dei quali fe un centone, che
potea però servire a qualunque partito.
Ritiratosi a Königsberg in Prussia, visse miserabile finchè gettossi in
un pozzo il 1563.
Meglio registriamo fra i nostri Jacobo Paleologo, nato il 1520 in Scio
dalla famiglia ch'era stata imperiale, educato in Italia, ove bevute le
nuove opinioni passò a professarle in Germania. Ma come eterodosso non
era accettato, sinchè fermossi in Transilvania, e nel 1569 successe a
Giovanni Sommer qual rettore del ginnasio di Clausenburg. Fausto Soccino
gli mosse guerra perchè seguace delle sovversive dottrine di Budneo; e
perdurando in quelle, fu arrestato dai magistrati e consegnato
all'Inquisizione di Roma, dove venne condannato al fuoco nel 22 marzo
1585. Se credessimo al Ciappi nella vita di Gregorio XIII, davanti al
supplizio si sbigottì, e chiese tempo a pentirsi, onde ricondotto in
prigione, compose opere pie e dotte. Il fatto non consta da altri. Fra'
costui opuscoli ricorderemo quel _de Magistratu politico_, ove sostiene
che Gesù Cristo non abrogò le magistrature civili, e un cristiano può
esercitarle. Confutato da Gregorio Pauli in nome del sinodo di Racow,
egli fece una risposta, alla quale Soccino oppose la _Defensio veræ
sententiæ de magistratu politico_ (Losc, 1580).
NOTE
[499] JEAN GABEREL, _Calvin à Genève_, p. 232-235. LADERCHI,
_Continuazione del Baronio_, p. 202.
[500] Cogliamo quest'occasione per avvertire come Michele Serveto,
ristampando nel 1535 a Lione la geografia di Tolomeo, è forse il solo
de' contemporanei che accusa Americo Vespucci d'aver usurpato la gloria
di Colombo. «Colombo (dice) in un nuovo viaggio scoprì il continente e
molte isole, di cui son oggi padroni affatto gli Spagnuoli. S'ingannano
dunque affatto quei che chiamano America questo continente, giacchè
Americo non la toccò che molto dopo di Colombo, e vi andò non cogli
Spagnuoli, ma coi Portoghesi, per farvi commercio». Humboldt mostrò
quanto a torto si accusi il Vespucci di aver soperchiato il gran
Genovese; del resto si sa che Americo fece il suo viaggio nel 1499 con
Hocheda e per la Spagna, e non come mercante, ma forse come astronomo.
Il bello è che l'edizione del Serveto contiene la mappa del 1522, dove
al nuovo mondo si dà il titolo d'America.
[501] _Opuscoli di Calvino_, p. 1991, 1923 ecc.
[502] HOORNBEECH, _Apparatus adv. Socin._, pag. 24.
[503] Sertorio Quattromani ha un'_Epistola ad Celsum Mollium_, riferita
da Leonardo Nicodemo, _Addizioni alla Biblioteca Napolitana_, ove dà il
Gentile per napoletano, e Calvino per autor della storia del suo
supplizio. Erra: questa storia è di Benedetto Arezio. Al sinodo di
Pinczovia, il 4 novembre 1562, aveva professato _Deum creavisse in
latitudine æternitatis spiritum quemdam excellentissimum, qui postea in
plenitudine temporis incarnatus est_.
[504] Vedi BAYLE, _Dictionnaire critique_.
[505] BAYLE, in Gribaldi. GERDES, p. 276; NICERON, _Mém. des hommes
illustres_, t. XLI, pag. 235. Sue opere sono:
_De methodo ac ratione studendi in jure civili libri tres_, Lione 1544.
_Recentiores jc singuli, singulis distichis comprehensi._
_Commentarius ad legem Falcidiam._ Pavia 1548.
_Epistola in mortem F. Spieræ_, 1554.
[506] Hody, _De Bibl. textibus originalibus_, pag. 552, dice che
Alberico Gentile stampò un libro _De latinitate veteris Bibliorum
versionis male accusata_.
[507] Lettera 7 dicembre 1553.
[508] OTT. _Annal. Anab._, p. 120, FUESSLIN, _Epist. Reform._, N. LXXII.
[509] Fu stampato nel Belgio. Il Sandro, nella _Bibliotheca
Antitrinitariorum_ lo confonde con un altro _De hæreticis an sint
persequendi_, stampato ad Argentorato il 1610, e che si attribuisce a
Sebastiano Chateillon.
[510] A coloro che pretendono la framassoneria inventata da Lelio
Soccino nel 1546 a Venezia possiamo opporre una circolare pubblicata dai
Franchi muratori fin dal 1535, della quale parleremo più avanti.
[511] Bayle corregge moltissimi errori del Varillas e del Mainbourg in
proposito di esso, ma cade in molti altri. Vedi MALACARNE, _Comm. delle
opere e delle vicende di Giorgio Biandrata_, Padova 1814.
[512] CALVINI _Ep._ CCCXXII.
[513] Id. _Ep._ CCCXXI.
[514] Qui sta la differenza dagli Ariani. Questi faceano Cristo creato,
ma avanti a tutte le cose, e che da lui fosse creato il mondo e
governato.
[515] Se non altro Warburton, per quanto ignaro e sprezzante della
teologia cattolica, diceva che l'esser creato l'uomo a immagine di Dio
significava la facoltà che ha di ragionare.
[516] Questa è la dottrina dedotta: ma Fausto professava intera
sommessione alle scritture. _Nihil in iis scriptis legi, quod non
verissimum sit... Præstat, mi frater, mihi crede, cum in aliquem
Scripturæ locum incidimus, qui nobis falsam sententiam continere
videatur, una cum Augustino in hac parte ignorantiam nostram fateri,
quam eum, si alioquin indubitatus plane sit, in dubium revocare._ Epist.
III ad Matth. Rudei. Naturalmente uno de' passi che gli Unitarj
impugnano maggiormente è quel di san Giovanni 1, v, 7. _Tres sunt qui
testimonium perhibent in cælo: Pater, Verbum et Spiritus: et hi tres
unum sunt_. E poichè quel versetto, massime dopo l'edizione del Nuovo
Testamento per Agostino Scholz è posto in dubbio anche da qualche
cattolico, la sua genuinità è dimostrata dal padre G. B. Franzelin,
professore nel Collegio Romano, nel trattato _De Deo trino secundum
personas_.
[517] _Div. Instit._, lib. VI, e 20.
[518] An pœnas capitales facinorosis hominibus irrogare liceat
magistratui christiano.
[519] È vero che i Valdesi negassero il diritto di infliggere la pena
capitale? In fatto ne sono accusati, ed essi se ne scolpano. Alano di
Lille (_De Insula_) detto il Dottore universale, nell'opera _De fide
catholica contra hæreticos sui temporis, præsertim Albigenses et
Waldenses, libri_ IV, tolse a confutar gli errori dei Valdesi, e questo
fra gli altri, assimilando il magistrato al soldato; se fuor di
battaglia uccide uno, è responsale del sangue versato; no, se lo fa
obbedendo al suo capo. Mostra come i Valdesi alterassero o
frantendessero i testi scritturali e de' santi padri, a cui appoggiavano
il loro abborrimento al sangue: ben dà loro ragione quando disapprovano
i rigori delle leggi penali d'allora; pe' ladri basterebbe la
fustigazione; ma la pena capitale non è troppa pei masnadieri; nè
dovrebbe infliggersi agli eretici, bensì, come cristiani, cercar di
ricondurli in grembo alla Chiesa.
Quando si vede Benedetto Carpzovio opporre gli argomenti stessi e le
stesse autorità ai Socciniani, si vorrebbe credere che veramente fin nel
XIII secolo fosse impugnata dottrinalmente la legittimità della pena
capitale. Ma ecco Paolo Perrin, il quale nel 1618 a Ginevra difese
calorosamente i Valdesi, protestare contro Alano, confutare quattordici
calunnie che i Cattolici appongono ai Valdesi, e tra l'altre questa, che
essi sostenessero non potersi condannare a morte (_Histoire des
Vaudois_, pag. 11). E a negarlo reca un manuscritto _Tresor e lume de
fe_ probabilmente del secolo XIV, ove è detto: _Lo es escrit, non
laissares vivre lo malfaitor. Si la ira non saré, la doctrina non
profitare, ni li judici non saren discerni, ni li pecca non saren
castiga. Donc la justa ira es moire de la disciplina, et la patiença sen
rason semena li vici et laissa prevaricar li mal._
Ciò non basterebbe a infirmar la diretta asserzione di Alano Dell'Isola,
ed anche di san Tommaso. Ma Ranerio Saccone, che abbiam mentovato
altrove (vol. I, pag. 79), nel 1250 scrisse una _Summa de Catharis_, e
men iroso che non sogliano i convertiti, racconta con calma e senza
fanatismo, non nega lodi ai settarj, confessando il loro attaccamento
alla Bibbia, e i lor buoni costumi. Or egli afferma opinare i Valdesi
_quod non licet regibus, principibus et potestatibus punire
malefactores_. Anche il padre Moneta cremonese, che fece un dotto
trattato _Adversus Catharos et Valdenses_ nel 1250, ha un lungo capitolo
per provare contro i Valdesi, che la società civile possiede lo _jus
gladii_. Nella _Biblioteca Maxima Patrum_, t. XXV, p. 308, è un _Index
errorum quibus Valdenses infecti sunt_, fatto da un contemporaneo, fra'
quali mette per XXIV: _Omne homicidium quorumcumque maleficorum credunt
esse mortale peccatum: sicut nos non posse vivificare, non posse
occidere._
È dunque singolare veder dagli accusatori asserita e dai difensori
negata una dottrina, che molti oggi ascriverebbero a merito ai Valdesi.
[520] È il nome che, nell'Accademia senese, apparteneva a Girolamo
Bargagli, come quel di Frastagliato a Fausto Sozzini, di Focoso a Giulio
Spannocchi, di Attonito a Lelio Marretti.
[521] Le ricerche intorno ai Soccini non son nuove, siccome apparrà
dalle seguenti lettere, che sono fra i manuscritti della Biblioteca di
Siena, codice E. IX, 17 a c. 35.
«_Al signor Uberto Bentivoglio, Siena._
«Illustrissimo signore, Essendomi venuto alle mani alcuni autentici
attestati in discolpa di Celso di Mariano Sozzini, e di Cornelio della
medesima famiglia, la di cui moglie era Francesca di Atoleo Bolognese, i
quali vivevano nel 1560, desidero da v. s. illustrissima di sapere se
alcuno di essi si dipartisse dal grembo di santa madre Chiesa, mentre le
dette attestazioni in forma pubblica furono ricercate, per esser loro
incolpati di vivere da Luterani e Eretici, da un certo Paolo de' Cataldi
bolognese, che era di quel tempo prigione in Siena a instanza
dell'Inquisizione, e per un esame statogli fatto dopo che fu scarcerato,
e per dar luogo alla verità, disse che tali imposture gli erano state
fatte dire da quell'inquisitore. V. s. illustrissima appaghi con tutto
suo comodo la mia curiosità, ecc.
Di V. S. Illustrissima
Firenze, 24 ottobre 1772.
_Dev. Obbl. Serv._
ANTON FRANCESCO MARMI».
Della risposta hassi la minuta del 29 novembre 1772 non firmata, ma
evidentemente del Bentivoglio, al codice E. IX, 18. a c. 243.
«.... di Cornelio Sozzini non ho alcuna notizia: di Celso Sozzini io ho
le sue dispute, fatte, a mio credere, intorno al 1540. Di costui così ne
parla il P. Ugurgieri nel 3º tomo inedito delle Pompe Sanesi. — Celso
Sozzini fratello d'Alessandro, anch'egli nobile giureconsulto, professò
primieramente nella patria, ispiegando l'instituta civile e tenendo poi
una cattedra straordinaria: e poi in grazia del padre lesse in Bologna
Jus canonico con salario di scudi cento d'oro, e poi, morto il padre,
lesse Jus civile, ma dopo pochi anni lasciò la professione. Si legge di
suo un'Epistola al cardinale d'Augusta, la quale è stampata nel 4º tomo
de' Consigli di Mariano suo genitore.
«Questo Celso nella nostra accademia fu chiamato il Sonnacchioso, e
stampò anche altre opere che si ritrovano in _Bibliotheca auctorum
polonorum_, il che essendo, non pare a me che vi sia da dubitare ch'egli
non fusse un eretico; e certamente costoro nel famoso passaggio dei
Tedeschi abbracciarono il luteranismo, com'apparisce da processi che si
ritrovano nella nostra Inquisizione, ma di poi riconoscendo la vanità di
questa sètta, e non volendo ritornare al grembo di nostra santa fede, si
fecero unitarii, che oggi dichiamo Soccinisti. E di questa illustre
famiglia tali stimo che fossero Lelio, Fausto, Celso e Alessandro
Sozzini, ma, a dire lo vero, Celso dovette ritornare alla vera fede,
mentre, se dobbiamo credere a quello che dice il P. Ugurgieri nel titolo
16, fog. 433, egli morì in Siena li 12 di marzo 1570, e fu seppellito
nella chiesa di San Domenico di Siena».
[522] Soccino, nella terza lettera a Mattia Rudeio, parla della sua
disputa col Puccio, il quale non si tenne vinto, ma non si volle più
ascoltarlo, nè legger un suo libro in italiano.
Vedi GIAMBATTISTA GASPARI, _De vita... Francisci Pucci Filidini_ nella
Nuova Raccolta Callogeriana, tom. XXX. Venezia 1776. BAYLE _ad nomen_ e
DODD.
Nel volume della «Biblioteca de' fratelli Polacchi» v'è una _De statura
primi hominis ante lapsum disputatio_, che contiene dieci tesi del
Pucci, con cui pruova che tutte le creature erano immortali avanti il
peccato; la risposta di Soccino, la replica del Puccio; la difesa del
Soccino.
[523] _Ann. Eccl._ al XL del 1583.
[524] Nella relazione sulla _Nunziatura di Polonia_ del cardinale
Alberto Bolognetto, stampato da F. Calori Cesi a Modena 1861, dicesi che
i Polacchi mal soffrivano di veder i beneficj posseduti da stranieri,
fra cui nomina «il Bucella, medico padovano, eretico ostinatissimo,
l'Alamanni gentiluomo fiorentino, maestro di cucina, uomo cattolico e
dabbene».
[525] In una lettera di monsignor Della Casa da Venezia, 2 luglio 1547,
leggesi: «Uno Stancario, che fu già preso qui per eretico e abjurò, ha
scritto a questi signori deputati (come v. s. illª vedrà per le copie
incluse in questa), e mandato a lor signorie un libro suo stampato, e
intitolato alla Ill. Signoria, il qual libro ha di molte eresie. Per il
che i prefati signori deputati stanno sospesi se debbiano farne querela
o sprezzarlo, e hanno detto, così per via di discorso che sarebbe forse
bene che io scrivessi al cardinale d'Augusta per far pigliare il detto
Stancario. Io non so come Augusta si governi, e però sono andato
sfuggendo, e mi è parso dare avviso a V. S. Illª (il cardinale Farnese).
_Lettere d'uomini illustri conservate nell'Archivio di Parma._
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