Gli eretici d'Italia, vol. II - 27

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chiamare _augustissimo_ il sacramento perchè questo titolo si dà agli
imperatori secolari.
Non occorre ripetere che i Protestanti, i quali avean prima appellato al
Concilio, or lo repudiavano come non indipendente, come pregiudicato; e
i profughi d'Italia lo osteggiavano di tutta forza. Ma anche
internamente moveasi querela che la discussione non fosse libera[203],
che tutto venisse da Roma già disposto e deliberato, e, come celia frà
Paolo, lo Spirito Santo viaggiasse in valigia per le poste; che i
prelati troppo s'affaccendassero intorno alla grandezza pontifizia; che
il Concilio fosse menato a senno degli Italiani.
Italiani era una qualificazione generica, come quelle che inventansi a
designare i partiti, e applicavasi a chiunque caldeggiasse le
prerogative romane. Vero è che l'importanza che la Chiesa attribuisce a
ciascun uomo pei meriti suoi proprj, non per la nascita, dovea far
preferire la votazione per testa, anzichè per nazione: dal che derivava
la prepollenza degli Italiani; e agli ottantatrè prelati di tutti
insieme gli altri paesi stavano a fronte centottantasette de' nostri. I
presidi del Concilio, al 1 giugno 1563, scrivendo al cardinale Borromeo
per informar il papa degli andamenti, fra il resto dicevano: «Come
consta di tre nazioni principali, che sono Italiani, Spagnuoli e
Francesi, così è diviso in tre fazioni, che hanno ciascuna la sua mira
ed il suo fine, onde sempre si muovono con le loro passioni e loro
interessi. Gl'Italiani, se non tutti, perchè sono di maggior numero
assai, hanno sempre l'occhio al servizio di vostra santità ed alla
conservazione della Corte di Roma, nè, per cosa che si proponga loro,
sia di qual sorte si voglia, ponno indursi a pensare in essa altro, per
abbracciarla o schifarla, che il servizio o il pregiudizio di sua
santità e della Corte».
Gli Spagnuoli tendono a rialzar i vescovi a scapito del papa e de'
cardinali, cui vorrebbero ridurre a semplici consiglieri del papa, e
obbligati star a Roma a cura delle loro chiese. I principi avrebbero
gradito assai questo abbassamento de' cardinali, laonde se ne stava in
grande apprensione. I Francesi magnificano il Concilio volendo farlo
superiore al papa, a imitazione del Basileense. Li seguono i pochi
Tedeschi che ci sono, ed anche «parecchi Italiani, i quali, come sanno
meno e sono più poveri, facilmente si lasciano tirare dalla ignoranza e
dal bisogno molte volte a quello che non dovrebbero».
In realtà però la discussione dogmatica fu diretta dai gesuiti Lainez e
Salmeron spagnuoli, e con loro Le Jay ginevrino, rappresentante del
cardinale Truchsess vescovo d'Augusta; uno dei tre presidi era inglese,
il cardinale Polo; nè erano italiani Andrea De Vega, Volfango Remio,
Genziano Hervet, luminari di quell'adunanza. Vero è che, i vescovi
forestieri ogni tratto uscendo di carreggiata, era duopo mandarne di
italiani, più poveri e men pretensivi, e valersi de' Gesuiti, i quali
allora mostraronsi più che mai, quel che alcuno li chiamò, i granatieri
della santa sede.
Oltre di questi, componeano l'assemblea uomini insigni, quali di rado si
trovano.
Stava fra i presidi il cardinale Morone, di cui a lungo ragionammo; e
perchè il papa mancava di denari, egli persuase i cardinali a
obbligarvisi, e vi diede regole che poi servirono al Concilio per norma
nel regolare i seminarj.
Ad altri già lodati aggiungiamo l'eruditissimo Seriprando vescovo di
Troja, già secretario al celebre cardinale Egidio da Viterbo; il
Bertani, autore d'un commento a san Tommaso, e d'un trattato sulla
podestà del papa; Alvise Lippomano (-1559) e Girolamo Accolti; Ercole
Gonzaga, fatto vescovo di Mantova da Leon X a quindici anni, a ventidue
cardinale da Clemente VII, segnalato per prudenza negli affari,
applicazione, pietà.
Di Lorenzo Campeggi bolognese, vescovo di Feltre poi di Bologna, nunzio
in Inghilterra pel divorzio d'Enrico VIII, e alla dieta d'Augusta
(-1539) fu figlio Alessandro, cardinale e vescovo anch'esso di Bologna,
dove abbellì San Petronio, introdusse i Gesuiti, e favorì Agostiniani e
Cappuccini; prolegato ad Avignone, vi combattè i Valdesi, e quando il
Concilio fu trasferito momentaneamente a Bologna, esso il ricevette in
casa sua, dove stavano quattro altri vescovi della famiglia stessa
(-1554).
In Agostino Valier, vescovo di Verona, non sapeasi se più ammirare la
rara erudizione o la coscienza intemerata; scrisse cenventotto opere, ma
pochissime ne pubblicò, fra cui una storia di Venezia; impugnò la
barbarie scolastica e il timore delle comete; nella _Rethorica
ecclesiastica_, più volte ristampata, fu il primo che indicasse una
fonte delle false legende, qual fu l'esercizio che ne' monasteri davasi,
di comporre amplificazioni sul martirio di qualche santo, e dove gli
scolari particolareggiavano ed esageravano, come si suole in tali
componimenti, senza darsi briga della verità. I migliori venivano
conservati negli archivj dei monasteri, e trovati più tardi, passarono
per atti autentici.
Per un Aurelio di Bari, vescovo di Budua in Dalmazia, di cui frà Paolo
tesoreggiò le lepidezze; pel Bollani, che, avendo consumata la gioventù
in negozj secolareschi, a venticinque anni passò dalla pretura al
vescovado di Brescia digiuno di studj sacri[204], splendeano il
giureconsulto bolognese Ugo Buoncompagni, consigliere di san Carlo,
splendidissimo, e che pur ricusò tante volte legati, e pensioni, e
infine divenne papa; i cardinali Salviati insigni per virtù e
beneficenza e massime Antonio Maria che fondò ed ampliò spedali e un
collegio per gli orfani; il cardinale Vincenzo Giustiniani genovese,
generale dei Domenicani, dei quali spedì moltissimi ad apostolare le
Indie, la Cina, il Giappone, e che stampò le opere di san Tommaso, e fu
gran difensore del Carranza; frà Camillo Campegio pavese (-1569)
domenicano, che pubblicò _De hæreticis_ ZANCHINI UGOLINI _senæ
arminensis jc. cl. tractatus aureus cum locupletissimis additionibus et
summariis_[205].
Daniele Barbaro d'ordine pubblico scrisse la storia veneta; fece poesie
filosofiche lodatissime col titolo di _Predica dei sogni_; fondò in
Padova l'orto botanico e l'accademia degli Infiammati, tradusse e
commentò Vitruvio; lasciò bellissimo ragguaglio della sua ambasciata a
Edoardo VI d'Inghilterra. Ivi pure Giannantonio Volpi e Antonio
Minturno, letterati di prima schiera; Onorato Fascitello vescovo
d'Isola, autore di lettere e poesie lodate; Marcantonio Flaminio e il
vescovo Vida, che erano salutati Catullo e Virgilio redivivi; Isidoro
Clario gran giureconsulto; Taddeo Cucchi di Chiari, che emendò la
versione della Bibbia vulgata a confronto del testo ebraico e greco,
senza trascurare l'esegesi dei Protestanti; Lodovico Beccadelli insigne
letterato, amico del Bembo, del Contarini, del Polo, dei quali scrisse
la vita, amministratore di diversi vescovadi, poi vescovo egli stesso di
Ragusi, e prevosto di Prato ove morì in odore di santità.
Primo Del Conte milanese, un de' primi compagni di san Girolamo Miani,
spedito in Germania per opporsi all'eresia, dopo tornato era cerco a
gara ne' conventi per leggere di teologia e di lingue orientali,
adoprato dal Volpi vescovo di Como per combattere gli eretici in
Valtellina, e fatto arbitro della scelta de' professori di belle lettere
a Milano e a Como, servì a preparare materie pel Concilio, al quale
assistette come teologo del cardinale Visconti vescovo di Ventimiglia.
L'insigne giureconsulto cardinale Paleotto continuamente era consultato
dai Padri, e scrisse gli atti del Concilio, dei quali molto si giovò il
Rainaldi.
Il calabrese Guglielmo Sirleto, biblioteca ambulante, parlava francese,
latino, greco, ebraico, sicchè fu detto che da trecento anni non s'era
veduto cardinale più dotto, e non fu eletto papa per tema che gli studj
nol distraessero di troppo. Sepoltosi nella Biblioteca Vaticana, colà
pose affatto l'animo in ajutar le opere altrui, mentre di sue niuna
pubblicò; provedeva testi e argomenti ai campioni del sinodo, onde il
cardinale Seriprando scrivevagli da Trento, le opinioni sue sopra le
quistioni agitate esservi riuscite gratissime, e conchiudeva che, stando
a Roma, egli dava maggior ajuto e faceva maggior servizio al sinodo, che
se ci venisse con cinquanta prelati[206]. Eppure non isdegnava
raccogliere attorno a sè i bambini che capitavano in piazza Navona co'
fasci della legna, e istruirli nel catechismo.
Sfoggiavano nelle prediche i più insigni oratori; Alessio Stradella di
Fivizzano, Francesco Visdomini ferrarese, Bartolomeo Baffi da Lucignano.
Cornelio Musso piacentino, affatto giovane, a Pavia faceva lezioni sopra
le epistole di san Paolo, quando sorse un altro a interpretarle in senso
diverso, e trovò assenso, e ne seguirono tumulti, finchè il cardinale
Campeggi, legato a Bologna, fe cacciare i novatori, e raccomandò il
Musso a Paolo III, che lo chiamò a Roma. Quivi a San Lorenzo in Damaso
succedette all'Ochino, contro del quale scrisse discorsi e dispute,
mostrandolo falso ecclesiastico, e cercava anche in privati colloquj
convertirlo. Il primo giorno della quaresima 1548 predicava in San
Pietro di Bologna, quando un Servita levossi a fargli objezioni. Il papa
lo pose vescovo di Bitonto e lo volle alla Corte, affinchè in latino
predicasse ogni giorno sul Vangelo in camera o alla tavola sua;
trattenimento già ben diverso da quelli del tempo di Leon X, e dove,
finito il sermone, si cominciavano le objezioni, che l'oratore
combatteva, il quale disputò spesso con un chierico, che poi divenne Pio
IV, e che l'adoprò all'istesso uffizio.
Somma lode gli si attribuiva per avere sbandite dal pulpito le
sottigliezze scolastiche, le declamazioni ridicole, le ostentate
citazioni d'autori profani, onde far luogo a un predicare sodo, devoto,
conforme al Vangelo. Girolamo Imperiali lo chiama l'Isocrate italiano, e
non mancargli nè la robustezza di Demostene, nè l'ubertà di Cicerone, nè
la venustà di Curzio, nè la maestà di Livio; a lui si dedicarono opere;
a lui monsignor Della Casa un'ode sull'eloquenza: Bernardino Tomitano,
medico e retore dell'Università di Padova, compose un ragionamento
intorno all'eloquenza di esso e gli fece coniar una medaglia portante un
cigno e la leggenda _Divinum sibi canit et orbi_: ai cardinali Contarini
e Bembo «pareva nè filosofo, nè oratore, ma angelo che persuadesse il
mondo».
Questo «Crisostomo italiano» fu scelto a far l'orazione inaugurale del
Concilio; la quale riuscì «piena di sottile artifizio, sparsa di
retorici colori, come se tempestata fosse di rubini e diamanti; vi avea
consumati dentro tutti i preziosi unguenti di Aristotele, d'Ippocrate,
di Cicerone, e tutti i savj precetti di Ermogene». Quest'encomio di un
gazzettiero di quei tempi, Ortensio Lando, la condannerebbe abbastanza
s'anche non avessimo l'orazione stessa, forse troppo malmenata dagli
avversarj, certamente lontana dalla dignità conveniente all'assemblea
più augusta che da molti secoli si fosse radunata. Ai tre nunzj dava
lodi, dedotte dal nome di ciascuno; apostrofava l'eco dei monti
tridentini, e (talmente la mitologia era incarnata) citava l'esempio de'
poeti, che fanno tener concilio agli Dei, e invitava i prelati a
rendersi a quel sinodo, come i prodi di Grecia al cavallo di Troja.
Era stabilito che i teologi dicessero il parer loro, traendolo dalle
sante Scritture, dalla tradizione apostolica, dai sinodi, dalle
costituzioni e autorità de' sommi pontefici e dei santi padri, e dal
consenso della Chiesa cattolica, tutto con brevità, eliminando le
quistioni inutili e le contenzioni pertinaci. Niuno crederà si
procedesse sempre alla quieta; spesso i legati dovettero richiamare i
campioni alle leggi della carità e della modestia; ma insomma era
conflitto interno; tutti partendo dai punti ammessi, e finendo
coll'accordarsi nelle decisioni.
Spetta alle storie particolari lo svolgere di quella _Iliade_ l'elemento
umano, le lotte, i partiti, i maneggi; quel che realmente importa è il
riferir la sentenza finale, il _visum_ est, in cui s'accordano tutte le
genti, le età, le passioni. Anche dall'esame della esteriorità esce la
convinzione che, se sopra alcune decisioni parve operar la politica, le
più furono suggerite da persuasione e coscienza, dettate con elegante e
lucida evoluzione di forma; ravvicinando il mistero all'umana ragione
per quanto è possibile; accarezzando anche il sentimento, mentre i
Protestanti lo vilipendevano. Anzi che a confutare Lutero e gli altri,
si tolse a dirigere l'intera cristianità, fatta civile e ragionatrice,
con rigorosa e perentoria dichiarazione delle dottrine, rimovendo ogni
contraddizione o divergenza; ricusando ogni transazione, ogni confusione
ne' termini e limiti delle definizioni: alla quale stupenda precisione
giovavano le abitudini scolastiche, unite alla rinnovata cultura
classica. Laonde, come la luterana era la sintesi di tutte le eresie,
così il tridentino fu la sintesi di tutti Concilj, che aveano definito
sopra qualsifosse argomento.
Le decisioni sono formolate o in via di trattato, che presenta il dogma
stesso anche particolareggiato, col titolo di _Decretum_ o _Doctrina_: o
in sentenze concise, assolute, col titolo di _Canones_ che proscrivono
errori di fede; o in prescrizioni disciplinari, detti _Decretum de
reformatione_.
E per quanto i presenti nostri Discorsi evitino di essere dottrinali,
non ci pare poter qui ommettere di esporre il complesso delle credenze
cattoliche in ciò che differenzia dalle parziali.
Sui punti capitali della divergenza si erano pronunziate già le prime
sessioni, così da tôr di mezzo le ambiguità, mediante le quali per un
pezzo erasi cercato di rannodare i dissidenti.
Sull'essenza di Dio i nostri cadevano d'accordo con le chiese
_ortodosse_ dei Protestanti.
L'uomo fu creato libero di sua volontà, in modo che la colpa de' suoi
peccati su lui tutta ricade.
Il peccato originale fu riconosciuto non con decreto dottrinale, ma
condannando chi lo negasse: aggiungendo che, col dirne affetti tutti gli
uomini, non comprendeasi la Beata Vergine, per riverenza alla bolla di
Sisto IV sull'immacolata concezione di lei, controversa fra Scotisti e
Tomisti[207]. Per quel peccato l'uomo perdè la giustizia e santità
primitiva; si attirò lo sdegno e la vendetta di Dio; fu degradato
d'anima e di corpo, e soggetto alla morte. Sì il peccato, sì le sue
conseguenze trasmettonsi alla figliolanza, per modo che nessun uomo può
compire verun alto accetto a Dio, nè diventar giusto se non per la
mediazione di Gesù Cristo[208]. La libertà è infiacchita, non perduta;
laonde le azioni umane non son perfette, ma non tutte son peccaminose.
Conservavasi insomma la libertà morale, troppo provata dalla facoltà che
ha l'uomo di ingannarsi e di fare il male: l'arbitrio, per cui è libero
all'uomo di entrare ne' disegni della redenzione, com'era libero di non
uscire dal disegno primitivo della creazione.
Al contrario i Protestanti dicevano che l'uomo è predestinato alla
salute o alla perdizione: le parole di libertà, di libero arbitrio non
trovarsi nella santa scrittura, ed esser invenzione degli Scolastici; è
Dio che opera tutto, il bene come il male; gli uomini nascono col
peccato, colla concupiscenza, cioè con avversione positiva alla legge e
coll'odio di Dio, senza timore nè fiducia in lui, non possedono più nè
intelligenza, nè desiderio del regno di Dio; i peccati attuali non sono
che manifestazioni del peccato ereditario.
Secondo i Cattolici, il peccatore vien richiamato alla grazia per pura
misericordia divina, in vista dei meriti del Redentore, e per mezzo
della rivelazione evangelica: lo Spirito Santo ne risveglia le facoltà
assopite, traendolo ad arrendersi all'impulso celeste. Se il peccatore
vi ascolta, primo effetto n'è la fede nella parola di Dio, e
nell'asserzione che Dio amò il mondo fino a dargli il proprio Unigenito.
In quall'abisso di corruzione giaceva il mondo, se non potè esserne
tolto che per intervento del Figliuol di Dio! E alla misericordia di
questo si volge l'uomo, sperando ne' meriti di esso; e vedendone
l'infinita carità, suscita qualche scintilla d'amore, donde abominio al
peccato, e pentimento; al quale venuto con libero consenso, rimane
giustificato; cioè lo Spirito Santo diffonde nell'anima la grazia
santificante e l'amor di Dio; sicchè rinnovellato, il Cristiano produce
opere buone e meritorie, e diventa partecipe del regno celeste. Ma della
sua giustificazione non acquista certezza, salvo che sia per ispeciale
rivelazione.
Cooperano dunque l'uomo e Dio; Iddio sveglia il peccatore, prima che
questi possa meritarlo, nè tampoco desiderarlo: ma il peccatore deve
corrispondervi liberamente, e allora solo vien rialzato. Lo Spirito
Santo non opera in maniera necessitante, ma alla propria onnipotenza
mette per limite la libertà dell'uomo, la quale dal peccato originale
non rimase distrutta.
Qui (l'andiam ripetendo) consisteva la differenza fondamentale dei
Protestanti: professando essi che il peccatore, spaventato di non poter
adempiere la legge che ode predicarsi, vi vede però che Gesù Cristo
toglie i peccati del mondo, e che la fede giustifica per sè stessa.
Abbracciasi dunque ai meriti del Salvatore, in virtù dei quali Iddio
dichiara giusto e santo il fedele, sebben nol sia, e sebbene continui a
portar la macchia originale, di giunta agli altri peccati. La fede
giustificante non rimane sola, ma vi si congiunge la santificazione,
manifestandosi colle opere buone. La giustificazione e la santificazione
non devono però confondersi, altrimenti non si otterrebbe la certezza
della remissione de' peccati e dell'eterna salute. L'opera della
rigenerazione appartiene tutta allo Spirito Santo, di modo che ogni
gloria ricade su Dio, nulla sull'uomo.
Così i Luterani; Calvino invece pone un intimo nesso fra la
giustificazione e la santificazione: e Dio operar solo in quelli che
predestinò _ab eterno_. Posto che il peccato originale abbia distrutte
affatto le facoltà dell'uomo, non si fa più luogo a libera cooperazione,
nè tampoco a capacità di ricevere l'azione divina. Laonde la
giustificazione è un giudizio, col quale Iddio libera l'uomo dalle pene
del peccato, non dal peccato stesso: pei Cattolici invece comprende e la
remissione del peccato e delle pene dovutegli, e la santificazione mercè
l'atto divino giustificante.
I Protestanti ripudiano la distinzione tra fede viva e morta. E credendo
che, anche dopo la giustificazione, perdura nell'uomo quell'essenza
peccaminosa, non possono ammetter opere grate al Signore. Ben vennero
talvolta a dirle necessarie, ma in qual senso io non intenderei.
Dopo discussioni che attestarono quanta varietà d'opinioni corresse su
proposito sì capitale[209], il Concilio riconobbe che i nostri peccati
ci sono rimessi gratuitamente per la misericordia divina; non sono
soltanto _coperti_, ma cancellati dal sangue di Gesù Cristo; la cui
giustizia è non solo imputata, ma attualmente comunicata ai fedeli per
opera dello Spirito Santo. Ma poichè pur troppo la carne si ribella allo
spirito, perciò la giustizia nostra non è perfetta, e quindi divien
necessario il gemito continuo dell'anima pentita.
Quanto al merito delle opere, la vita eterna è una grazia
misericordiosamente promessa, e una ricompensa data alle buone azioni,
il cui valore proviene dalla grazia santificante. Il libero arbitrio non
può dirigerci alla felicità eterna se non mosso dallo Spirito Santo, ma
i precetti, le esortazioni, le promesse e le minacce del Vangelo
mostrano abbastanza che noi operiamo la salute nostra pel movimento
delle nostre volontà, ajutate dalla Grazia. Sebbene (dice il Concilio)
le sacre carte stimino tanto le buone opere, e Gesù Cristo prometta che
fino un bicchier d'acqua dato a un povero non resterà senza ricompensa;
e l'apostolo attesti che un momento di sofferenza in questo mondo
produrrà un compenso eterno di gloria: pure il cristiano si guardi dal
fidare e glorificarsi in se stesso, anzichè nel Nostro Signore, la cui
bontà è sì grande, che vuol che i doni che ad essi fa sien meriti
loro[210].
Insomma i peccati ci sono rimessi per pura misericordia e pei meriti di
Gesù Cristo: la giustizia, che è in noi per lo Spirito Santo, la
dobbiamo a una liberalità gratuita: le buone opere nostre sono
altrettanti doni della grazia. Dopo di che Bossuet trova strano che i
Protestanti siansi separati da noi per questo punto, tenuto per
essenziale su que' primordj, mentre in appresso le persone sensate
cessarono di considerarlo per tale[211].
La Chiesa per opere buone intende gli atti morali dell'uomo giustificato
in Gesù Cristo, ossia i frutti della volontà corretta, e dell'amore
ispirato della fede. Meritorie chiamansi quelle che dalla nostra libertà
sono prodotte nella virtù di Gesù Cristo. E quando si dice che il
Cristiano deve meritar la vita eterna, s'intende che dee rendersene
degno mediante il Salvatore. Vi sono opere buone al di là dei precetti;
opere suprarogatorie, che possono ommettersi senza ledere la legge
suprema della carità.
Ma quando i Protestanti asserivano l'inutilità delle opere in generale,
intendeano in particolare i sacramenti; i quali invece dai nostri sono
tenuti per necessarj, e furono prefiniti a sette, giusta l'insegnamento
di Pietro Lombardo, appoggiato alla tradizione. Il fine de' sacramenti,
a detta dei Protestanti, è di assicurare i fedeli che la colpa fu
rimessa, consolarli, e liberarli dal timor della legge: come la
circoncisione, sono mere testimonianze dei divini decreti sull'uomo; il
battesimo e la cena recano frutto sol in quanto chi li riceve ha fiducia
nel perdono de' peccati. Il matrimonio non serve a ciò, nè l'ordine: il
battesimo non dovrà riceversi che da chi è capace di comprenderlo: la
confermazione non è che una replica del battesimo: all'estrema unzione
surrogavasi la cena, per confortare l'uomo, sgomentato dal silenzio
eterno di quell'infinito sconosciuto ove sta per cadere. Più repudiavasi
la confessione: può essa farsi per domandar consiglio o per sollievo
della coscienza, ma l'assoluzione non può venire dal prete, sibbene da
Dio. Nella cena dapprincipio ammisero che il corpo e sangue di Gesù
Cristo fosse distribuito sotto le specie di pane e vino; ma Carlostadio
impugnò la presenza reale, poi con maestria Zuinglio ed Ecolampadio.
Anzi Zuinglio voleva i sacramenti mere cerimonie, e non possedere vera
fede chi ha bisogno delle loro consolazioni.
Secondo i Cattolici, pei sacramenti comincia la vera giustizia, o
perduta si recupera, essendo segni sensibili, istituiti da Dio, con
virtù non solo di significare ma di produrre la santità e la giustizia.
I simboli dell'antica alleanza non conferivano la virtù giustificante,
per cui si congiungesse l'uomo a Dio: bensì lo fanno i sacramenti[212];
opera operata da Dio, sebbene non escluda l'attività umana,
richiedendosi la disposizione a riceverla.
Al fatto morale della giustificazione bisogna concorrano il tribunale di
Dio e quello dell'uomo. È Dio che rimette col mezzo de' suoi ministri,
sol esso potendo cancellare la colpa, e restituire all'anima i diritti
alla celeste eredità: ma il perdono non si dà se prima l'uomo non abbia
pronunziato contro se stesso il verdetto di colpabilità, riconoscendosi
degno di castigo. L'umano dev'essere tribunale di giustizia e di pena:
il divino, di misericordia e di grazia, dopo che col pentimento fu
mitigato. Se non che la coscienza non condanna propriamente se stessa,
ma è semplice testimonio dell'atto giuridico di Dio che si esercita
sopra il colpevole: il quale per altro può aderirvi o repugnarvi;
restaurare l'ordine coll'espiazione, o perturbarlo col resistere al suo
autore.
Nella consacrazione il pane e il vino si trasmutano nel vero sangue e
corpo di Gesù Cristo. In conseguenza il nostro essere si trasforma nella
unione col Redentore che vive in noi.
Erasi proclamata tal verità quando il nominalismo, panteismo mistico,
confondeva Dio coll'uomo, sicchè la Chiesa viemeglio espresse la
distinzione, e colla solennità del _Corpus Domini_ celebrò il Cristo
veramente esteriore all'uomo, e che all'uomo s'avvicina per sua bontà.
Per mera regola disciplinare si partecipò l'eucaristia sotto una sola
specie; e il fedele sa che Cristo è tutt'intero sotto entrambe le specie
e sotto ciascuna, e la vitale comunione con lui non dipende dalla
materialità del sorbir anche un poco di vino[213].
Il Concilio definì il matrimonio essere vero sacramento; la Chiesa aver
potuto di propria autorità costituire impedimenti dirimenti, cioè che ne
rendano nullo ogni effetto umano e divino; spettare ai giudici
ecclesiastici le cause matrimoniali, concernenti il vincolo e la
validità dell'atto[214].
È dunque non solo insana ma ribalda la legge, che snatura il sacramento
delle anime fino a ridurlo a contratto di corpi: e fa che un sindaco,
per semplice autorità municipale, imponga a una fanciulla, educata al
pudore e alla gelosia del fior più prezioso, d'abbandonarsi ad un uomo
sol perchè così fu civilmente stipulato, in nome della libertà della
carne, e senza quella benedizione che rende comandato l'amore e sacra la
generazione. Questo, che lo stesso Mirabeau dichiarava il più grande
attentato del potere politico contro il potere religioso, avvia alle
libere unioni e ai liberi abbandoni. Fortunatamente gli uomini son meno
servili che i legislatori; meno della pubblica opinione ascoltano la
coscienza, e così temperano nell'applicazione le brutalità dei despoti o
i sofismi de' parlamenti.
La Chiesa è istituzione umana e divina ad un tempo. Questa parola nelle
Scritture è sempre attribuita a una società visibile: Cristo le promise
che non verrà mai meno: e poichè non è visibile che per la professione
della verità, uopo è che sempre professi la verità. Ciò implica ch'essa
è infallibile, e che niuno può allontanarsi da' suoi insegnamenti[215].
Per esser ammessi nella Chiesa invisibile basta un battesimo spirituale;
per vivervi basta un alimento interiore: ma la Chiesa visibile, appunto
perchè tale, col battesimo di spirito ne richiede uno materiale; col
nutrimento della parola di Gesù Cristo, richiede il nutrimento del corpo
di Gesù Cristo, e che il sagrifizio come il sacramento cada sotto i
sensi. Il sacrifizio e il sacerdozio son congiunti in ogni legge; ed
essendo visibile il sacrifizio nel Nuovo Testamento, tale dev'esser pure
il sacerdozio, al quale per divina istituzione sia data podestà di
consacrare, offrire, ministrare l'eucaristia, e rimettere o no i
peccati. In esso sacerdozio divino, per molti ordini si sale dai minori
ai maggiori ministeri; e tra i maggiori son i diaconi e suddiaconi, tra
i minori gli accoliti, gli esorcisti, i lettori, gli ostiarj. Nella
sacra ordinazione è conferita la grazia: e perciò l'Ordine è uno de'
sacramenti, e imprime un carattere indelebile, sicchè è condannato chi
dice che gli ordinati possono tornar laici: o che tutti i Cristiani
abbiano eguali facoltà spirituali. Nell'ordinazione de' vescovi,
sacerdoti ed altri gradi, non occorre il consenso o l'autorità di
magistrato secolare, e non son ministri ma ladroni quelli che ascendono
ai ministeri ecclesiastici per chiamata o istituzione del popolo e della
potestà laica. È data dal Cielo la vocazione al ministero ecclesiastico,
al dispensare la parola e i sacramenti: ma deve in terra esser
riconosciuta e sanzionata; per operare nel pubblico ministero della
Chiesa bisogna esser autorizzati secondo un simbolo, che gli uomini
effettuano giusta le disposizioni di Cristo, cioè un sacramento. La
visibilità della Chiesa implica un'ordinazione ecclesiastica che, da un
vescovo all'altro, da un sacerdote all'altro, risalga fino a Cristo. Per
tal legame i vescovi derivano dagli apostoli; ed abbisognando di unità
per raccogliere tutti i fedeli in una effettiva convivenza, bisogna
abbiano un capo, istituito da Cristo, visibile com'è visibile la Chiesa;
e a cui tutti obbediscano, perchè tutti membri d'un corpo stesso.
La Chiesa possiede, comunica e interpreta i libri santi, e da essa gli
accettiamo come opera divina, anche prima che lo spirito di Dio si sia
manifestato nel leggerli; gli accettiamo, come dice un gran santo,
perchè la Chiesa ce li dà[216], quand'anche o vi appaja minore
l'ispirazione profetica, come per esempio, ne' libri storici de'
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